Rassegna stampa 10 luglio

 

Giustizia: la pretesa della impunità e l’etica pubblica perduta

di Stefano Rodotà

 

La Repubblica, 10 luglio 2009

 

Etica pubblica. Parole perdute, e al loro posto un deserto, dove scompare la responsabilità della politica, privacy vuol dire fare il comodo proprio, il senso dello Stato è ormai un’anticaglia. Ogni giorno, più che una nuova pena, porta una mortificazione continua del vivere civile, con un circuito di imbarazzanti ospitalità, che vanno da quella generosamente offerta a schiere di ragazze dal Presidente del Consiglio fino a quella elargita con altrettanta generosità allo stesso Presidente da giudici costituzionali.

Registrare questi fatti vuol dire moralismo, eccesso di voyeurismo, ultima spiaggia di una opposizione senza idee, anti-berlusconismo da abbandonare? O siamo di fronte ai segni di un processo di decomposizione di cui i protagonisti non sembrano neppure consapevoli, tanto sono sgangherate le difese loro e dei loro sostenitori, affidate alla disinvoltura del mentire e del contraddirsi senza pudore, a censure televisive, a lettere imbarazzanti e più rivelatrici d’una confessione?

Il catalogo è questo, ed è lungo. Tutto comincia con la pretesa dell’impunità, ma una impunità totale, che non si concentra solo nel lodo Alfano e dintorni, ma si estende in ogni direzione, diventa diritto assoluto di stabilire che cosa possa essere considerato lecito e che cosa (poco, assai poco) illecito, che cosa sia pubblico e che cosa debba rimanere privato. Il voto popolare diventa un lavacro e una unzione.

Ancora oggi, quando si parla di conflitto d’interessi, spunta una schiera di avvocati difensori che esibisce un argomento in cui si mescolano arroganza e disprezzo d’ogni regola: "Di conflitto d’interesse si è parlato mille volte, i cittadini lo sanno e il loro voto a Berlusconi, quindi, respinge nell’irrilevanza politica e giuridica quel conflitto". Non si potrebbe trovare una mortificazione della democrazia e della sovranità popolare più eloquente di questa. Il voto dei cittadini è degradato a scappatoia per sottrarsi alle regole e alla decenza etica. E, quando, finalmente qualcuno dice che il re è nudo (ahimè, in tutti i significati possibili), il re s’infuria, si comporta come se chiedere spiegazioni fosse un delitto di lesa maestà.

Improvvisamente lo spazio pubblico gli sembra insopportabile, proprio quello spazio che aveva voluto costruire a propria immagine e somiglianza, e nel quale si radica non piccola parte del suo consenso. Alla vigilia di una tornata elettorale di qualche anno fa, milioni di italiani ricevettero un colorito libretto dove Silvio Berlusconi esibiva e rivelava infiniti dettagli della propria vita privata, compresi il nome del suo camiciaio e quello del fornitore di cravatte. Campagna all’americana si disse, ovviamente.

Ma l’America è un’altra cosa, è il paese dove la Corte Suprema fin dal 1973 ha stabilito che gli uomini pubblici hanno una minore "aspettativa di privacy", dove proprio in questi giorni, sull’onda di uno scandalo che rischia di spegnere le ambizioni del governatore della Carolina del Sud, si sono unanimemente ribaditi due capisaldi dell’etica pubblica: un uomo politico non può mentire; deve accettare la pubblicità di ogni sua attività quando questa serve per valutare la coerenza tra i valori proclamati e i comportamenti tenuti.

Niente doppia morale, niente vizi privati e pubbliche virtù per chi riveste funzioni pubbliche, alle quali è giunto per scelta e non per obbligo, e del cui esercizio deve in ogni momento rendere conto alla pubblica opinione. Ma il contagio berlusconiano si è diffuso, come dimostra l’imbarazzante vicenda che ha visto protagonisti due giudici costituzionali.

"A casa mia faccio quello che mi pare", diceva il Presidente. "A casa mia invito chi mi pare" (con contorno di assicurazioni sulla riservatezza della fedele domestica), viene di rincalzo il giudice. E chi non accetta queste sbrigative forme di autoassoluzione viene bollato come gossipparo, guardone dal buco della serratura, spione, nostalgico dell’Inquisizione, fautore della società della sorveglianza.

Ma le cose non stanno così, e basta un’occhiata alle regole della tanto invocata privacy per confermarlo. Certo, anche le "figure pubbliche" hanno diritto a un loro spazio di intimità, ma questa tutela è garantita solo se le informazioni non hanno "alcun rilievo" per definire il ruolo nella vita pubblica della persona interessata (articolo 6 del codice deontologico sull’attività giornalistica in tema di privacy).

Proprio così’: "alcun rilievo". Non solo questa formula è netta, senza equivoci, ma proprio l’attenzione della stampa internazionale è prova evidente dell’esistenza di un interesse forte a conoscere, così come è clamoroso il fatto che vi sia stata una cena "privata" tra il Presidente del Consiglio, il ministro della Giustizia che ha dato il nome al famoso "lodo" e due tra i giudici che dovranno valutare la costituzionalità della più personale tra le leggi ad personam. Non si può invocare la privacy per interrompere il circuito del controllo democratico.

Proviamo di nuovo a dare un’occhiata alle regole, alle odiatissime regole. Qui troviamo un’altra formula eloquente: "commensale abituale". Dobbiamo ritenere che questa sia la condizione del Presidente del Consiglio, visto che il giudice costituzionale invitante ha detto che quella cena non era la prima e non sarebbe stata l’ultima.

Gli implicati in questa vicenda protestano, dicendo che quella situazione, che obbliga ogni altro magistrato ad astenersi quando abbia frequentazioni della persona che deve giudicare, non è prevista per i giudici costituzionali. Ma questo non vuol dire che i giudici della Consulta possano fare i loro comodi. Proprio perché la loro funzione richiede indipendenza assoluta da tutto e da tutti, sì che giustamente il Presidente della Repubblica ha escluso la possibilità di un suo intervento, massimo deve essere il rigore del loro comportamento. Non un meno, ma un più, rispetto agli altri giudici.

Moralismo, o grado minimo della deontologia professionale e dell’etica pubblica? Proprio questi riferimenti sembrano scomparsi. Mentre la quotidiana attività legislativa smantella pezzo a pezzo lo Stato costituzionale di diritto, negando diritti fondamentali agli immigrati o dando in outsourcing a ronde private l’essenziale compito della sicurezza pubblica (qui s’incontrano le pulsioni della Lega e la concezione aziendalistica del Presidente del Consiglio), è quasi fatale che il senso dello Stato venga relegato in un angolo, considerato un inciampo dal quale liberarsi.

Interviene qui la questione del moralismo, del quale in altri tempi ho scritto un pubblico elogio e del quale torno a dichiararmi un fedele. Non voglio nobilitare le miserie di questi tempi invocando la lettura di quelli che, giustamente, vengono detti "moralisti classici". Registro due fatti. Il primo riguarda l’uso italiano e inverecondo dell’esecrare il moralismo per liberarsi della moralità. È una vecchia trappola, alla quale si può sfuggire solo se si hanno convinzioni forti e non si cede al realismo da quattro soldi, che spinge ad accettare qualsiasi cosa in nome d’una politica senza respiro.

Il secondo lascia aperto uno spiraglio alla speranza. Proprio una rivolta in nome della moralità politica e dell’etica pubblica ha scosso le fondamenta d’un potere che sembrava saldissimo e che i vecchi riti della politica d’opposizione non riuscivano a scalfire. Lo conferma l’annuncio che il Presidente del Consiglio vorrebbe compiere una "svolta personale". Ancora uno sforzo, moralisti!

Giustizia: arresti G8; l'appello perché coscienza civile si risvegli

 

Il Manifesto, 10 luglio 2009

 

Segnali allarmanti sullo stato di salute delle garanzie democratiche e dei diritti di libertà in Italia si sono sommati in rapida successione in questi giorni. Ne hanno fatto le spese le giovani e i giovani colpiti dai provvedimenti di privazione della libertà personale in un contesto che dovrebbe essere tra i più aperti in uno stato di diritto: quello della manifestazione di dissenso, anche il più radicale.

Con sorprendente tempismo, nella settimana del secondo G8 presieduto da Silvio Berlusconi, dopo quello tristemente noto di otto anni fa a Genova, ordini di carcerazione sono stati eseguiti a carico di 21 partecipanti alla contestazione dell’Onda studentesca nei confronti del "G8 dei rettori" di Torino, risalente a due mesi prima.

Il giorno seguente, durante le prime contestazioni all’incontro dei capi di Stato e di governo, in occasione del transito a Roma delle delegazioni internazionali verso la sede del summit a Coppito nell’Abruzzo terremotato, gli ordini di carcerazione hanno riguardato 8 dei 36 giovani fermati nel corso di un corteo partito dalla terza Università pubblica della capitale.

Un corteo caricato dalle forze dell’ordine nel momento in cui i manifestanti stavano per sciogliersi e raggiungere la manifestazione convocata alla Sapienza contro gli arresti del giorno prima. Nulla aveva compiuto il corteo nei confronti di cose e persone, e non risulta, né è stata contestata agli indagati, lesione alcuna all’incolumità di chicchessia.

Mentre tra i fermati, chi è stato trattenuto in carcere, in stato d’arresto e perfino in regime di semi-isolamento, è noto essere impegnato in quotidiane e trasparenti attività politiche e sociali. Esattamente come è avvenuto con gli arresti di esponenti dell’Onda e dei movimenti che l’appoggiano, effettuati il giorno prima.

Non è una democrazia reale quella in cui l’attività politica organizzata e l’espressione aperta delle proprie opinioni, anche rivolte al cambiamento più profondo dell’ordine costituito, diventano motivo di recessione e restrizione della libertà personale. Né si possono considerare integre, piene ed effettivamente tutelate le garanzie di agibilità democratica in un Paese, quando in esso l’autorità esercita forme di repressione generalizzata delle contestazioni collettive di dissenso.

Se la repressione delle posizioni "radicali" si fa sistematica e continua, se chi le esprime è sottoposto all’applicazione delle misure più estreme di restrizione della propria libertà, le coscienze di chi ha a più cuore la democrazia devono allarmarsi per la sua sorte e per quella della libertà di tutti.

Se l’autorità si trasforma in attività di repressione politica, ogni coscienza democratica deve prendere voce, poiché la vigilanza civile non può essere a tempo determinato: se chiude gli occhi, si rassegna a perdere una quota di democrazia, un pezzo di libertà. E a pagarne i costi sono tutte e tutti, giacché la democrazia e la libertà sono indivisibili.

Reagiamo con una convinta e intensa mobilitazione politica, sociale e culturale alle lesioni che democrazia e libertà hanno subito con gli episodi repressivi di questi giorni. Non lasciamo sole e soli questi giovani. Denunciamo, in ogni sede, la grave responsabilità assunta da chi questi episodi ha voluto, disposto e realizzato. La coscienza civile si risvegli, subito.

 

Primi firmatari: Franca Rame, Dario Fo, Gianni Vattimo, Giacomo Marramao, Luisa Capelli, Giovanni Cerri.

Giustizia: Terre des Hommes; Napolitano non firmi il ddl 773-B

di Daniele Biella

 

Vita, 10 luglio 2009

 

Appello della storica Ong internazionale: "Il presidente della Repubblica fermi un testo che esclude i bambini stranieri dai diritti fondamentali".

Terre des Hommes, Ong internazionale attiva da quasi 50 anni a difesa dell’infanzia, chiede al Presidente della Repubblica di non firmare il Pacchetto Sicurezza e rimandarlo alle Camere, in quanto contenente norme in evidente contrasto sia con la Costituzione Italiana sia con la Convenzione dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Crc) dell’Onu.

"In particolare ci riferiamo alla violazione dell’art. 3 della Costituzione, che asserisce la pari dignità sociale di tutti i cittadini a prescindere dal loro status giuridico e che impone alla Repubblica di rimuovere tutti gli ostacoli che di fatto limitino la libertà e l’uguaglianza dei cittadini", dichiara Raffaele K. Salinari, presidente di Terre des Hommes, "nonché alla violazione dei diritti alla registrazione alla nascita e alla salute, riconosciuti a tutti i minori - senza alcuna discriminazione di origine, razza, situazione finanziaria - come stabilito negli articoli 2, 3, 7 e 24 della Crc".

"In qualità di garante ultimo del dettato costituzionale ci appelliamo al presidente Napolitano perché chieda alle Camere di rivedere il testo del Ddl 773-B per ristabilirne l’aderenza alla nostra Costituzione e alla Crc", prosegue Salinari. Nel suo complesso, inoltre, le norme sull’immigrazione del Pacchetto Sicurezza sono in contrasto con l’art.13 della Dichiarazione universale dei Diritti Umani che stabilisce la libertà di movimento e residenza di tutti gli esseri umani, nonché con l’art. 35 della Costituzione italiana che tutela l’immigrazione. Infine, stando alle disposizioni del Pacchetto Sicurezza neppure i rifugiati avranno garanzia di tutela, contro il dettato dell’art.10 della Costituzione che invece prevede il diritto di asilo per tutti colori che non godano nel loro paese dei fondamentali diritti di libertà.

Nei mesi scorsi Terre des Hommes aveva espresso la sua preoccupazione sulle difficoltà della registrazione all’anagrafe dei bambini nati da genitori migranti irregolari, introdotte dal Ddl 773-B e aveva lanciato una petizione online che in pochi giorni ha raccolto oltre 8mila firme. "L’introduzione del reato di clandestinità sancisce per legge l’esclusione di questi bambini dai più elementari diritti, quali il diritto a un nome e a una identità.

Molto precario sembra anche il futuro dei minori stranieri migranti non accompagnati che, pur inseriti in percorsi di reinserimento sociale, al compimento del 18 anno si ritrovano clandestini in quanto non in possesso dei requisiti richiesti dal Pacchetto (almeno 3 anni di presenza in Italia, di cui 2 spesi in percorsi di integrazione)", come evidenziato nella ricerca "Minori erranti" di Terre des Hommes Italia e Parsec (giugno 2009). "Tutti questi minori finiranno per essere invisibili allo Stato italiano, con il concreto rischio di cadere nelle maglie della criminalità organizzata e diventare vittime di abusi, sfruttamento e tratta", conclude Salinari.

Giustizia: Fare Futuro; con ronde rischiamo giustizia fai da te

 

Redattore Sociale - Dire, 10 luglio 2009

 

No alle ronde. C’è il "rischio grottesco della giustizia fai da te". Lo scrive Antonio Rapisarda su Fare Futuro Webmagazine, la rivista on-line della fondazione di Gianfranco Fini. Le ronde sono una risposta "non solo insufficiente ma culturalmente pericolosa" alla domanda legittima di maggiore sicurezza, dice Fare Futuro.

Perché, "al di là del fenomeno annuncio", l’istituzione delle ronde tra le altre cose può fare da sostegno normativo a chi vorrebbe cercare una risposta individuale a un problema collettivo: e che questa risposta individuale, poi, possa essere interpretata a seconda della propria sensibilità politica o culturale è un rischio inutile e pericoloso". Insomma, spiegano dalla fondazione di Fini, "l’ordine pubblico non può essere delegato al cittadino, al quale non può essere assegnata nemmeno una funzione di surrogato". Farlo significa "accettare una perdita di fiducia verso la capacità della politica di tutelare con le leggi i propri cittadini".

Giustizia: fino a 12 mesi di carcere, per chi "imbratta" i muri

 

Redattore Sociale - Dire, 10 luglio 2009

 

Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, durante la riunione straordinaria del comitato per l’ordine e la sicurezza che si è tenuto ieri mattina in Prefettura, ha dichiarato soddisfatta che Milano è più pulita di qualche anno fa, e le risorse che la città ha dedicato per cancellare gli imbrattamenti hanno portato degli ottimi risultati.

Con il decreto legge sulla sicurezza i writers milanesi avranno vita dura. D’ora in avanti si procederà d’ufficio, e le multe saranno più salate, e in caso di flagranza di reato il giudice ordinario potrà decidere per la reclusione fino a sei mesi. Ma se la vernice delle bombolette intaccherà la superficie di chiese e monumenti le pene saranno molto più severe.

Reclusione fino a 12 mesi e multa fino a tremila euro, e in caso di recidiva si sale a due anni con sanzione fino a diecimila euro. "Sono d’accordo - ha commentato il vice-responsabile per la città di Milano dell’Italia dei Diritti, Luca Ragone - perché le chiese e i monumenti sono patrimonio artistico comune. Credo comunque che un anno di reclusione sia decisamente troppo.

È vero che si tratta di atti vandalici, ma la pena deve essere equivalente al reato, altrimenti le nostre carceri si riempiranno di writers e ladruncoli di biscotti, e gli stupratori e i veri delinquenti saranno a piede libero. Serve una punizione esemplare - conclude l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro - per tutelare i patrimoni artistici e culturali delle nostre città".

Giustizia: omicidio Reggiani; in appello l’ergastolo per Mailat

di Massimo Lugli

 

La Repubblica, 10 luglio 2009

 

Ergastolo. Nicolae Romulus Mailat, 29 anni, l’assassino di Giovanna Reggiani, ha ascoltato la sentenza senza batter ciglio prima di venir trascinato via dalle guardie carcerarie. Si chiude con una condanna a vita il processo d’appello per uno degli omicidi più atroci degli ultimi anni. La donna, moglie dell’ammiraglio Giovanni Gumiero (che non era in aula perché di ritorno da una missione in Somalia) fu aggredita, brutalizzata e massacrata di botte il 30 ottobre del 2007, mentre tornava a casa a piedi dalla stazione di Tor di Quinto.

Un anno dopo, il 29 ottobre scorso, Nicolae Mailat fu condannato a 29 anni, con la concessione delle attenuanti generiche. "Ero ubriaco e ho strappato la borsa della signora - questa la sua versione - ma non sono stato io ad ucciderla... Chiedo perdono a tutti e a Dio e spero che giustizia sia fatta". Una confessione a metà che non lo ha salvato dalla pena più dura prevista dal codice. "Inaudita crudeltà, non merita attenuanti", ha detto il pg.

Ma la storia truce della signora uccisa (che scatenò durissime polemiche sulla sicurezza nella capitale e fu seguita dal decreto Prodi che permetteva l’allontanamento dei cittadini comunitari "a rischio") non si chiude qui. Il presidente della I corte d’assise, Antonio Coppiello, ha infatti disposto il trasferimento degli atti in procura per l’identificazione di eventuali complici dell’omicidio. Si tratta di far luce sulle dichiarazioni di un altro romeno, Nicolai Clopotar, che si era eclissato durante il procedimento di primo grado e non è più stato rintracciato. L’uomo tirò in ballo il suocero di Mailat: "Mi ha detto che, oltre a Nicolae, c’erano altre due persone che hanno assalito quella signora". I giudici, in sostanza, sono certi che il ventinovenne romeno sia colpevole ma non escludono che qualcun altro complice sia riuscito a fuggire.

Solo due ore di camera di consiglio prima della sentenza. L’avvocato di Mailat, Piero Piccinini, aveva chiesto l’assoluzione, il procuratore generale Alberto Cozzella si era battuto per l’ergastolo e ha vinto. Il romeno, condannato per omicidio, rapina e violenza sessuale, dovrà scontare anche 6 mesi di isolamento diurno, pagare (in via del tutto teorica) le spese giudiziarie di 2.500 euro e un risarcimento ai familiari delle vittime di mezzo milione. La sentenza dovrà essere pubblicata sul "Tempo" e sul nostro giornale. La prima condanna, a 29 anni, prevedeva anche l’espulsione a pena scontata ma questo dispositivo viene automaticamente annullato dal "fine pena mai". È probabile che, se Mailat riuscirà a tornare in libertà verrà immediatamente accompagnato alla frontiera.

"Mailat non se l’aspettava, ritengo che ci siano state delle violazioni di alcuni diritti fondamentali della difesa, come la mancata possibilità di ascoltare, in primo grado, alcuni testi fondamentali" commenta l’avvocato Piccinini.

In carcere, secondo il legale, l’imputato si lamenta solo del fatto che nessun parente gli scrive o lo va a trovare. "Una decisione giusta - replica l’avvocato Tommaso Pietrocarlo, che assiste il marito della vittima - ci sono prove schiaccianti". Dello stesso parere, ovviamente, il procuratore generale Alberto Cozzella: "C’erano elementi solidi, la Corte ha colto nel segno". Molti i commenti favorevoli di esponenti politici del Pdl e di tutto il centro destra. "Ora che il caso è chiuso speriamo che la giustizia in Italia torni uguale per tutti" si legge in una nota del partito dei romeni in Italia - Identità romena, che denuncia "Un pesante clima di romenofobia".

Giustizia: Cnvg con Mancino; misure contro il sovraffollamento

 

Ristretti Orizzonti, 10 luglio 2009

 

La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia con Mancino: "rapida adozione di misure che possano attenuare l’attuale situazione di disagio dovuta al sovraffollamento delle carceri".

Il Vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Mancino, intervenendo al coordinamento dei Magistrati di Sorveglianza, ha auspicato "la rapida adozione di misure che possano attenuare l’attuale situazione di disagio dovuta al sovraffollamento delle carceri", esprimendo quindi preoccupazione per "… la gravità dell’attuale sovraffollamento delle carceri, che si traduce in un ostacolo all’attuazione del percorso rieducativo dei detenuti e, più in generale, alla realizzazione dei loro diritti fondamentali e, segnatamente, del diritto alla salute".

La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, unendosi alle preoccupazioni espresse dal Presidente Mancino, rilancia insieme a Ristretti Orizzonti, l’appello "Difendiamo l’art. 27 della Costituzione", sottolineando come si sia di fronte ad una situazione giudicata grave non solo dal volontariato, ma anche dalle più eminenti figure istituzionali. (vedi il testo dell’appello).

 

Elisabetta Laganà

Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

 

Mancino: urgenti misure per far fronte al sovraffollamento (Asca, 10 luglio 2009)

 

"La rapida adozione di misure di adeguamento di carattere logistico che, in attesa di soluzioni organiche, possano attenuare l’attuale situazione di disagio dovuta al sovraffollamento delle carceri" sono state auspicate dal vice presidente del Csm Nicola Mancino, portando il suo saluto alla riunione del Coordinamento Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza che si è tenuta nella Sala Conferenze del Consiglio Superiore della Magistratura.

Dopo aver richiamato i principi costituzionali che presiedono all’esecuzione della pena-funzione rieducativa, garanzia dell’inviolabilità personale anche nei confronti di chi è sottoposto a legittime restrizioni della libertà, divieto di trattamenti contrari al senso di umanità Mancino ha sostenuto che "in tale prospettiva risulta ancora più evidente la gravità dell’attuale sovraffollamento delle carceri, che, di fatto, si traduce in un ostacolo all’attuazione del percorso rieducativo dei detenuti e, più in generale, alla realizzazione dei loro diritti fondamentali e, segnatamente, del diritto alla salute".

Ha quindi richiamato il programma di interventi necessari per conseguire la realizzazione di nuove infrastrutture penitenziarie e l’aumento della capienza di quelle esistenti presentato recentemente dal Direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e ha sostenuto che "nell’attesa dell’adeguamento delle strutture detentive, rimane alto l’impegno per assicurare la piena attuazione della normativa vigente anche in tema di misure premiali e di regime di detenzione differenziato previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario".

Soffermandosi infine sull’applicazione dell’art.41 bis dell’ordinamento che prevede l’adozione di un regime carcerario maggiormente afflittivo in funzione di una più efficace lotta alla criminalità organizzata, il Vice Presidente del Csm ha ricordato la delibera del 10 giugno 2009 approvata dal Consiglio che, pur esprimendo parere favorevole alle norme del "pacchetto sicurezza" in tema di regime carcerario duro, ha evidenziato l’obbligo di "dare attuazione ai principi affermati dalla Corte Costituzionale e, dunque, a consentire che il regime in oggetto venga applicato conformemente alla Costituzione".

Giustizia: Osapp; emergenza carceri sta diventando nazionale

 

Agi, 10 luglio 2009

 

Il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, ha inviato oggi una richiesta di incontro con il ministro della Difesa Ignazio La Russa e con il capogruppo al Senato del Pdl Maurizio Gasparri in merito all’ipotesi di impiegare i militari nelle carceri con compiti di vigilanza.

"Non discutiamo i motivi di opportunità o le ragioni legate alla precarietà delle risorse che impediscono una soluzione come questa - si legge nella nota del sindacato di polizia penitenziaria - e di certo il suggerimento che abbiamo dato nei giorni scorsi al Capo del Dipartimento Ionta, dell’impiego dei militari per la sicurezza delle carceri, ma anche di vecchie caserme dismesse, siamo convinti sia ancora una via percorribile, almeno da valutare".

Quella degli istituti penitenziari - sostiene Beneduci - sta diventando oramai un’emergenza nazionale, che s’aggrava sempre di più incidendo anche sulla sicurezza della collettività. A questo punto non ci spieghiamo, se di sicurezza nazionale si deve parlare, come mai le ragioni che hanno portato all’impiego dei militari per la sorveglianza di obiettivi strategici non valgano per gli istituti penitenziari. Un problema grande e grave, che, viste le dimensioni che sta assumendo, pensiamo sia bene che anche i responsabili della Difesa e dell’Interno contribuiscano a risolvere".

Giustizia: Gasparri (Pdl) a Mancino; il "41-bis" è costituzionale

 

Agi, 10 luglio 2009

 

"Tenere in isolamento i boss mafiosi è la cosa più costituzionale che si possa fare. Mancino renda omaggio al coraggio del Parlamento sul 41 bis. Siamo intervenuti dopo la resa di troppi magistrati di sorveglianza". Lo dichiara il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, in riferimento alle dichiarazioni del vice presidente del Csm, Nicola Mancino, sulle nuove norme sul regime del carcere duro contenute nel pacchetto sicurezza. (AGI)

Giustizia: La Russa (Pdl); mai discusso dei militari per le carceri

 

Agi, 10 luglio 2009

 

"Non si è mai discusso né viene presa in considerazione l’ipotesi che militari delle Forze Armate possano svolgere compiti sostitutivi degli Agenti della Polizia Penitenziaria. A questi ultimi va, comunque, la mia piena solidarietà e vicinanza". Lo ha dichiarato il Ministro della Difesa Ignazio La Russa.

Imperia: evasioni, suicidi e proteste... il carcere è nella bufera

 

Secolo XIX, 10 luglio 2009

Sono giornate decisamente "nere" per la casa circondariale di via Don Abbo a Imperia. Dopo l’evasione del tunisino, l’altra notte è stata la volta di un tentativo di suicidio da parte di un detenuto all’interno delle mura del penitenziario. Si è legato un cavo dell’antenna della televisione attorno al collo e si è appeso all’inferriata.

Si tratta di Salah Rachid Dibe, 35 anni, di origine algerina, recluso per aver contravvenuto ad un decreto di espulsione e perciò condannato a dieci mesi di reclusione. L’uomo, a quanto pare sposato e padre di famiglia, venuto in Italia alla ricerca di una fortuna che non è mai giunta per lui, ora è in coma profondo e a quanto pare irreversibile, ricoverato nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Imperia, mantenuto in vita artificialmente. Le autorità sanitarie stanno cercando di rintracciare i parenti per avvisarli dell’accaduto e per richiedere l’eventuale autorizzazione ad espiantare gli organi. Questo appare l’unico motivo per cui resta in vita. Del suo tentativo si sono resi conto gli agenti della polizia penitenziaria solo quando hanno avvertito un tonfo nella sua cella. Sono accorsi e hanno dato l’allarme al 118.

"Ora basta - tuona e si infuria Michele Lorenzo, segretario regionale del sindacato della penitenziaria, ilSappe - La Polizia Penitenziaria imperiese deve fare i conti con l’ottusità gestionale dei vertici dell’amministrazione penitenziaria. Cinque detenuti evasi, innumerevoli risse, aggressioni e proteste interne ed oggi il tentativo di suicidio di un detenuto salvato solo grazie alla tempestività della Polizia Penitenziaria non bastano per convincere l’Amministrazione penitenziaria ad adottare urgenti misure per arginare e fronteggiare l’emergenza? Annunciamo un autunno molto caldo, stiamo preventivando una serie di manifestazioni sotto le prefetture delle città liguri. Il ministro Alfano ha promesso una visita nei penitenziari liguri, è giunta l’ora che mantenga la sua promessa, anche se non siamo in campagna elettorale. Se il ministro imperiese Scajola tiene alla sua città ed alla sicurezza deve intervenire presso il Presidente del Consiglio. Dichiariamo da oggi lo stato di agitazione in tutti gli istituti della Liguria".

Oggi è attesa un’ispezione amministrativa da parte del capo del Dipartimento, Franco Ionta. Era annunciata per il 15 luglio, ma è dato per scontato che verrà anticipata. Intanto le indagini sull’evasione, coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica, Maria Paola Marrali, sono state affidate per la parte operativa ai carabinieri del nucleo investigativo. "Saranno valutate tutte le circostanze con grande attenzione così come vennero valutate nel corso dell’evasione del 2006. Per ora non ci sono iscrizioni tra gli indagati" ha riferito ieri il procuratore capo, Bernardo Di Mattei.

Ieri i militari del capitano Pizziconi hanno eseguito un primo sopralluogo. Il pm Marrali nel frattempo ha emesso un mandato di cattura europeo per Farah Ben Faical Trabelsi, il detenuto di origini tunisine autore della clamorosa fuga di martedì scorso. Potrebbe aver trovato rifugio in Francia, dove avrebbe non poche conoscenze.

Nuoro: l’istituto di Macomer non è una prigione per terroristi

di Giovanni Bua

 

La Nuova Sardegna, 10 luglio 2009

 

Manca il muro di cinta. Le garitte. Le auto blindate per i controlli esterni. E i sistemi di videosorveglianza per l’interno. Ci sono poche guardie. E nessun mediatore culturale. Indispensabile per comunicare con gli stranieri. Manca tutto insomma. E invece che arrivare soluzioni arrivano problemi. Sotto forma di ventisette presunti terroristi islamici che il dipartimento di amministrazione penitenziaria ha impacchettato e spedito a Macomer.

Una struttura scelta, insieme ad altre due in Italia, per far parte del nuovo circuito AS2 (alta sicurezza di secondo livello). Ma che, secondo le guardie che ci lavorano ogni giorno, di sicurezza non è in grado di garantirne affatto. E così, nel carcere tra le cui mura potrebbero arrivare presto i tre tunisini che l’Italia ha deciso di prendere in consegna da Guantanamo, si scatena la protesta.

A farsene portavoce è Antonio Cocco, segretario regionale del Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria. "Innanzitutto - spiega Cocco - vorrei sottolineare che ufficialmente il sindacato non sa nulla della scelta di Macomer come carcere di Alta sicurezza. Si parlava da tempo di una rimodulazione. Ma quando questa è avvenuta nulla ci è stato detto.

Questo è già un fatto gravissimo. Infatti quando prima si cambiava la destinazione di un carcere si facevano riunioni, commissioni, sopralluoghi. Si discuteva, anche con il sindacato. Che rappresenta chi dentro il carcere ci lavora. E lavorandoci ne conosce i problemi e le criticità". Problemi e criticità che nella casa circondariale di Macomer a quanto pare abbondano.

"Quando finalmente si decideranno a convocarci - spiega Cocco - diremo che siamo completamente contrari alla scelta di Macomer come carcere di Alta sicurezza. Per una serie di noti problemi logistici della struttura. E soprattutto per una cronica carenza di personale. Problema che affligge tutta l’isola. Basti pensare che le guardie penitenziarie hanno 60 mila giornate di congedo accumulate e non godute. E tremila giornate di riposo settimanale. Che non possono fare. E lo Stato, invece che mandarci nuovi agenti, ci manda nuovi detenuti. E non detenuti normali, ma complessi. Che mettono a rischio la sicurezza degli agenti, e dei cittadini".

"L’istituto di Macomer nasce come casa mandamentale negli anni ‘80 - gli fa eco Michelangelo Gaddeo della Fp Cgil di Nuoro - per definizione strutture carcerarie minime annesse alle preture, e per tale motivo buona parte degli spazi e delle misure di sicurezza previsti per le case circondariali non sono mai stati realizzati. E i vari interventi fatti nel tentativo di adattare gli spazi non hanno risolto i limiti originari. Mancano infatti a tutt’oggi il muro di cinta e le postazioni di controllo e vigilanza esterno, l’impianto di video sorveglianza è guasto e visti i tagli non ci sono i soldi per ripararlo. Il braccio per i detenuti pericolosi non è idoneo ad assicurare le condizioni di sicurezza per gli operatori, per i detenuti e per i cittadini di Macomer".

"E tutto ciò nel più assoluto silenzio delle istituzioni e della politica locale e regionale - continua Gaddeo - crediamo invece che gli amministratori locali, ad iniziare dal sindaco di Macomer e il presidente della Provincia, assieme al presidente della giunta regionale ed al prefetto debbano immediatamente intervenire sul tema dell’inserimento dei detenuti pericolosi in una struttura inadeguata come quella di Macomer e più in generale sul sovraffollamento e sulla crisi del sistema penitenziario, pretendendo dal governo e dal ministro Alfano interventi immediati e concreti in assenza dei quali si profila un aggravarsi della situazione di emergenza".

Viterbo: serve una Consulta per affrontare la crisi del carcere

 

Il Messaggero, 10 luglio 2009

 

La situazione del carcere di Mammagialla è allarmante. E ci vorrebbe una consulta per risolverne i problemi - almeno in parte. L’idea arriva dall’assessore alle politiche sociali della Provincia, Giuseppe Picchiarelli, che afferma: "Mancano oltre 140 unità di polizia penitenziaria e sono circa trenta gli agenti distaccati in altra sede. A fronte di questa carenza d’organico, il numero dei detenuti ha raggiunto livelli mai toccati in precedenza: più di 670 carcerati, tra cui tanti extracomunitari e tossicodipendenti, molti con problemi psichiatrici. Inoltre, una cospicua parte è a regime penitenziario 41 bis e 416 bis, quello per associazioni mafiose".

Per questo l’assessore ha pensato all’istituzione di una consulta a cui partecipino rappresentanti della Provincia, del Comune, della Prefettura, della Questura, il direttore di Mammagialla, il garante dei detenuti, le organizzazioni sindacali e le associazioni che svolgono volontariato nell’istituto.

"Vivere all’interno del carcere - continua Picchiarelli - si sta facendo sempre più duro, sia per i detenuti i quali rischiano di non trarre giovamento dalle finalità rieducative dell’istituto, sia per gli agenti non più garantiti nella loro incolumità sul posto di lavoro. Un disagio che, diversamente da quanto si potrebbe pensare, non interessa solo il personale e i carcerati, ma investe la tenuta sociale di tutto il territorio. Quindi sarebbe auspicabile che gli enti locali, con le parti coinvolte, collaborino per verificare la compatibilità del sistema e rivendicare l’adozione di quelle politiche indispensabili a scongiurare che la situazione degeneri".

Chieti: "Voci di dentro", ora il giornale dei detenuti "esce fuori"

 

Il Messaggero, 10 luglio 2009

 

"Voci di dentro", il periodico dei detenuti della Casa Circondariale di Chieti, esce ora all’esterno con una vera e propria redazione. Si trova in via Porta Pescara 3 e dai prossimi giorni diventerà la fucina per la realizzazione del nuovo numero.

Con una grossa novità: la redazione apre le porte a un ospite del carcere in condizioni di semilibertà che nei prossimi giorni comincerà a lavorare grazie a una borsa lavoro del Comune (400 euro al mese per un periodo di 6 mesi) e a un accordo con la Casa Circondariale.

Oltre a questo, l’associazione ha stipulato una convenzione con l’Ufficio di esecuzione penale esterna di Chieti-Pescara-Teramo, che prevede da settembre come pena alternativa il lavoro nella redazione per i soggetti indicati dal tribunale. Nata con lo scopo di promuovere la solidarietà nei confronti dei detenuti, l’associazione lavora per il loro reinserimento sociale e lavorativo, sostiene incontri, convegni, iniziative di sensibilizzazione, attività di formazione professionale. Numerose le iniziative realizzate in carcere, tra queste: un nuovo corso di italiano, installazione di un acquario nella sezione femminile; realizzazione di cineforum all’interno del carcere.

Napoli: il professor Ferraro e la filosofia... praticata in carcere

 

Il Mattino, 10 luglio 2009

 

"Il sapere è un possesso senza proprietà, occorre restituirlo a chi non lo ha avuto e ne è privo". Fuori dalle mura accademiche, il professore Giuseppe Ferraro, parla di etica, di verità, del rispetto dei sentimenti. Lo fa davanti a detenuti che forse non usciranno mai dalla prigione in cui sono stati rinchiusi per aver commesso degli errori. Riflette sull’imperfezione della giustizia, ma anche sulla crisi istituzionale e sulle sue responsabilità.

Portando martedì sera questi dibattiti alla sala conferenze della Biblioteca comunale, location del secondo appuntamento di Lettere Mediterranee, rassegna curata da Neri Pollastri. Giuseppe Ferraro è docente di Filosofia all’Università di Napoli Federico II e al Philosophisches Seminar della Ludwigs Universitaet di Freiburg in Germania. È autore di studi di fenomenologia, leopardiani e nietzscheiani. E ha pubblicato, tra i vari testi, "La verità dell’Europa", "La filosofia spiegata ai bambini" e "Filosofia in carcere", frutto dell’esperienza svolta in un paesino a rischio della provincia di Caserta e della didattica dei sentimenti tenuta tra i ragazzi del carcere minorile di Nisida. "La filosofia - ha esordito il professore - è un sapere che si incorpora.

La filosofia, in sé, non esiste: nessuno l’ha mai vista o toccata, come la matematica e l’astronomia. Parla sempre di luoghi. E perciò io la pratico "fuori": nelle carceri, nei posti dove è presente il disagio, nella mia città. Per chi fa filosofia, la domanda è sempre in agguato, lì accanto, sulla strada. E poiché si tratta di una disciplina che risponde a quesiti estremi, il mio ragionamento è stato quello di portarla in luoghi estremi, ovvero nei confini interni, dove la città si arresta e finisce in se stessa. Sono le zone della solitudine, come appunto le carceri".

Catanzaro: i detenuti del carcere di Siano recitano "l’Amleto"

 

www.catanzaroinforma.it, 10 luglio 2009

 

"Essere o non essere?’: il dubbio amletico prende vita tra le mura del carcere dove ogni differenza si annulla. Il teatro riscopre la sua intima essenza terapeutica invitando attori e spettatori ad un momento di riflessione in quell’impulso vitale necessario a smuovere le coscienze. Lo spettacolo andato in scena martedì mattina nella Casa Circondariale di Siano è stato l’ultimo tratto di un viaggio tra le pieghe dell’animo di quei detenuti che per circa sette mesi hanno deciso di indossare una maschera, mettersi in gioco e scoprire qualcosa in più di se stessi.

L’esperienza del laboratorio teatrale rientra nell’ambito del progetto pedagogico annuale promosso dall’istituto penitenziario - sezione rieducativa - con il supporto dell’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Catanzaro, la direzione artistica dell’autore e regista Gregorio Calabretta e la partecipazione delle attrici Consuelo Citriniti e Antonia Marino. Per il direttore del carcere, Roberto Romaniello, l’iniziativa nasconde una duplice valenza, culturale e trattamentale, utile ad arricchire il percorso di reinserimento sociale dei detenuti, oltre che a favorire il dialogo interculturale tra soggetti di nazionalità diversa.

Il prologo vede i detenuti, per un giorno protagonisti sul palco, dietro le sbarre ad affidare alla mimica i propri sentimenti legati all’esperienza del carcere. Poco dopo si rompono le barriere con il pubblico e compaiono i primi personaggi in costume - Amleto e Shakespeare - che parlano attraverso la personale rilettura del testo shakespeariano del regista Calabretta.

Tra le file della platea gli altri detenuti osservano, commentano, ridono, si emozionano. Nel finale, abbandonati i costumi d’epoca, i detenuti tornano nell’abituale silhouette nera, quasi "invisibile", aspettando il momento che li vedrà prendere di nuovo posto nella propria cella. "Il carcere è un foglio di calendario che si stacca dal muro", recitano le parole finali mentre si accendono le luci della speranza. Il teatro per un attimo si confonde con il sogno. Un’esperienza forte che aiuterà i detenuti a capire, conoscere e, chissà, forse anche cambiare.

Palermo: a Palazzo Jung si apre la mostra dei detenuti-artisti

 

Ansa, 10 luglio 2009

 

La fantasia, il colore, la creatività per "riempire" il vuoto della pena. È questo il significato della mostra "Fiori blu", promossa dall’assessorato alla Legalità della Provincia di Palermo, guidato da Piero Alongi, e organizzata con la direzione della Casa circondariale "Ucciardone".

Domani alle 11, a Palazzo Jung (via Lincoln 71) il presidente della Provincia, Giovanni Avanti, e l’assessore Alongi inaugureranno l’esposizione, che raccoglie le opere di pittura e computer grafica realizzate da 16 detenuti comuni, allievi dei corsi dell’associazione "Euro - Arti grafiche e computerizzate". All’apertura della mostra saranno presenti il direttore dell’Ucciardone, Maurizio Veneziano; i curatori Maria Badalamenti e Salvatore Pipia; il presidente dell’associazione "Euro" Eugenio Ceglia; Orazio Faramo, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria.

"La reclusione - commenta Avanti - non deve essere intesa come una punizione sterile e fine a se stessa ma come un’occasione per cambiare la mentalità dei detenuti, per intervenire sul loro vissuto offrendo un’alternativa, o comunque un momento di crescita, per il futuro fuori dal carcere. Solo così la detenzione può essere un sistema efficace di educazione e correzione, che agisce nel profondo del singolo e della società".

Immigrazione: "condono contributivo" regolarizzerà badanti

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2009

 

Ci vorranno 500 euro per regolarizzare la posizione dell’immigrato irregolare. Il datore di lavoro, nei soli casi di impiego per i servizi alla persona e alla famiglia, dichiarerà allo Stato - e otterrà una sorta di condono contributivo, previdenziale e fiscale - l’attività svolta dallo straniero, ma anche dall’italiano.

Il provvedimento in arrivo, infatti, riguarderà anche i lavoratori italiani e comunitari. Per i clandestini, però, l’ok è concesso a condizione che siano entrati in Italia non oltre i tre mesi precedenti all’entrata in vigore della legge. Quale legge? L’intervento annunciato come regolarizzazione di colf e badanti è ora nella fase di scrittura: secondo le ultime ipotesi, potrebbe essere un emendamento al disegno di legge anti-crisi. Ci vorrà, per questo, il consenso del titolare dell’Economia, Giulio Tremonti.

Certo è che è ormai ufficiale l’intesa di massima tra i ministri del Welfare, Maurizio Sacconi, e dell’Interno, Roberto Maroni: quantomeno perché è scattata la fase finale della formulazione del testo e i ministeri stanno limando a spron battuto le norme e i dettagli tecnici. Ma l’impianto è ormai pronto. Riprenderà, nel modello, lo schema di regolarizzazione del 2002 deciso dal secondo governo Berlusconi. Stavolta, però, anziché essere esteso a diverse figure lavorative, il provvedimento è circoscritto ai "servizi alla famiglia e alla persona".

Con il pagamento dei 500 euro è prevista la non punibilità del lavoratore in nero e del suo datore di lavoro, trattandosi di una vera e propria emersione di attività sommerse. Saranno posti, poi, alcuni paletti per impedire almeno la sanatoria dei delinquenti: dalle istanze, per esempio, andranno esclusi i soggetti con sanzioni penali o espulsi per motivi di pubblica sicurezza. Resta da capire se potrà essere evitato che si regolarizzi con la semplice dichiarazione e il forfait anche chi non ha mai svolto lavori domestici. Tra gli altri requisiti ipotizzati, quello per i datori di lavoro stranieri che dovrebbero essere "lungo soggiornanti" cioè avere un permesso di lungo periodo, rilasciato dopo i primi cinque anni di soggiorno regolare: in questo modo si dovrebbe evitare un meccanismo di elusione delle norme, già accertato con i controlli del Viminale sugli elenchi delle domande per il decreto flussi: sono stati scoperti numerosi finti datori di lavoro stranieri, in combutta con gli altrettanto finti lavoratori per i quali si chiedeva l’assegnazione della quota.

Va poi messa a fuoco anche la norma che riguarda i datori di lavoro in attesa di una risposta alla domanda di inserimento nelle quote flussi, visto che diverse decine di migliaia di queste quote devono essere ancora assegnate. Ma rimane anche un altro punto interrogativo: il numero di coloro che aderiranno. Negli ambienti del Governo si ipotizzano stime di 2-300mila persone, ma stando ai dati sulle presenze irregolari fornite dalle associazioni del settore i numeri potrebbero almeno raddoppiare.

E il Viminale, sotto sotto, morde il freno: perché è noto come ogni provvedimento di questo genere - anzi, il suo effetto mediatico - si porta dietro nuove ondate di sbarchi di clandestini, attratti dall’illusione di una sanatoria. Maroni tuttavia potrà dire che stavolta, però, scatterà il reato di clandestinità e, come ha già ricordato, "si raddoppia l’iter che porta all’espulsione, perché insieme a quello amministrativo scatta anche il procedimento penale".

Il nuovo reato di immigrazione clandestina, insieme al Ddl sicurezza che lo contiene, già approvato definitivamente dal Parlamento, entrerà comunque in vigore non prima della norma sulla regolarizzazione. In questo modo si potrà escludere qualunque possibile arresto di badanti e colf, o perlomeno espulsioni decise a seguito di un giudizio del tribunale. Per il testo sulla sicurezza si parla di una pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale - dopo la firma, che ancora non c’è, del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano - ad agosto.

Il Parlamento è comunque in fibrillazione per la possibile misura di regolarizzazione da adottare. Un disegno di legge bipartisan, trasformato in un emendamento al Ddl 1167 (lavoro privato e pubblico) è stato presentato ieri al Senato per mettere in regola i circa 360mila lavoratori extracomunitari "incapienti", cioè rimasti esclusi dai decreti flussi 2007 e 2008. In calce al testo le firme di Emma Bonino e Pietro Ichino (Pd), Mario Baldassarri (Pdl), ma ci sono anche Anna Finocchiaro (Pd), Gianpiero D’Alia (Udc), Luigi Compagna, Barbara Contini e Ferruccio Saro (Pdl).

Immigrazione: sit-in di protesta davanti al Cie di Ponte Galeria

 

Ansa, 10 luglio 2009

 

Sono circa 500 i manifestanti che si sono radunati di fronte al Cie di Ponte Galeria per dare vita ad un presidio contro i provvedimenti contenuti nel ddl sicurezza, che prevedono la possibilità di prolungare fino a 6 mesi il tempo di permanenza dei detenuti nei Centri di identificazione ed espulsione. La manifestazione, organizzata da una rete di comitati che si definisce Antirazzista, vede anche la confluenza di gruppi di manifestanti della Rete No G8 che contestano il summit in corso a L’Aquila.

Un volantino distribuito dai manifestanti chiede la "chiusura dei Cie e la libertà di movimento per tutti". Le condizioni di vita all’interno dei Cie è un’altra delle argomentazioni che scandiscono le voci della protesta. "Qui a Ponte Galeria non ci sono mediatori culturali, l’assistenza medica è deficitaria e ci sono molte persone che dovrebbero essere classificate come rifugiati politici, altro che clandestini" dicono alcuni manifestanti.

Giornalisti poco graditi al presidio, alcuni manifestanti hanno dato vita ad un siparietto con finte telecamere e macchine fotografiche, scimmiottando quella che definiscono "l’invadenza" dei media durante le manifestazioni e domandando ai cronisti se si ritengano "liberi". Qualcuno tra i manifestanti ha anche apostrofato i cronisti presenti definendoli "il vomito dell’informazione". Il presidio proseguirà con un "assedio sonoro" al Cie e con alcuni interventi dei manifestanti.

Immigrazione: Acli; l'Italia è già multietnica, il ritardo è politico

 

Redattore Sociale - Dire, 10 luglio 2009

 

A Padova il seminario "Cittadini in-compiuti". Russo: "Si tratta di passare dalla negazione alla tutela dei diritti umani e civili e di iniziare a pensare a un welfare fatto non solo per gli italiani ma anche per gli stranieri".

È una critica a tutto tondo alla politica nazionale sull’immigrazione e in particolare alla recente legge sulla sicurezza quella lanciata dalla presidenza delle Acli, nel corso del seminario nazionale "Cittadini in-compiuti" in corso a Padova. A sferrare le critiche più dure è Antonio Russo, responsabile dell’area immigrazione che parla di un "ritardo culturale" e di una necessaria inversione di rotta perché "l’Italia ormai è già multietnica e l’integrazione è più avanti di quanto si voglia davvero far vedere".

È ora di dire basta, secondo Acli, alla logica dell’emergenza e al "pericolo dell’assedio" che finora ha caratterizzato la politica nazionale, per avviare invece una serie di riforme indispensabili, a partire dalla legge sulla cittadinanza del 2002 che Russo ritiene "assolutamente superata e da aggiornare". Si tratta, in sostanza, di passare dalla negazione alla tutela dei diritti umani e civili degli stranieri e di iniziare a pensare a un welfare fatto non solo per gli italiani ma anche per gli stranieri.

Ma bisogna fare ancora di più, come introdurre la possibilità di permesso di soggiorno per la ricerca del lavoro e sospendere ad tempus la legge Bossi-Fini che mette nell’irregolarità un immigrato che perda il lavoro e non ne trovi un altro entro sei mesi. E sulla spinosa questione delle badanti Russo insiste: "Questa situazione arrecherà problemi non solo alle lavoratrici ma anche alle famiglie. È quindi urgente che si pensi a una moratoria, una regolarizzazione o come la si voglia chiamare per mettere in regola le donne che prestano assistenza nelle nostre famiglie".

E dalle Acli arriva anche la proposta di una detrazione dell’intero costo dell’assistenza domestica per le famiglie che impiegano una badante. Altre riforme da fare, poi, sarebbero quelle per il libero accesso alle cure, l’ammissione ai concorsi per il pubblico impiego che ora sono preclusi agli immigrati, la possibilità di alloggio a prezzi calmierati senza che questo arrechi danni agli italiani in attesa. Bisognerebbe poi puntare sull’apprendimento della lingua, sui ricongiungimenti familiari e sul ruolo dei mediatori culturali.

Ad oggi, però, le cose vanno diversamente, con una "politica miope" e una legge "ostile, scritta con la pancia e non con la ragione", una legge "che influirà sulla vita e la dignità delle persone, che fallisce nel merito e si presta a dubbi di incostituzionalità". Il referente per l’immigrazione, dunque, avvisa: "Le Acli non resteranno ferme a guardare, ma saranno al fianco degli immigrati e delle famiglie anche con la tutela legale. Il razzismo non appartiene alla nostra cultura, ma inizia a insinuarvisi e a essere accettato. La sfida del multiculturalismo non può essere barattata con favori e impegni elettorali o attraverso le ronde". Quello che serve, dunque, per Acli è un’inversione di rotta, un’apertura al nuovo tessuto sociale che avanza e che è già realtà.

Stati Uniti: pena di morte; "giustiziato" un detenuto, di 32 anni

 

Ansa, 10 luglio 2009

 

Nel 1995 era stato condannato per l’omicidio di due campeggiatori. Michael P. De Lozier, 32 anni, è stato ucciso nello Stato dell’Oklahoma dopo che i giudici avevano emesso una sentenza di pena capitale. La sua morte è stata ufficialmente dichiarata giovedì notte. L’uomo non ha mai voluto spiegare il perché del suo gesto. Proteste delle associazioni contrarie alla pena di morte.

Iran: 2.500 persone arrestate, contestavano i risultati elettorali

 

Ansa, 10 luglio 2009

 

Un deputato riformista iraniano ha detto ieri che sono state 2.500 le persone arrestate dopo le contestate elezioni presidenziali del 12 giugno, di cui 500 sono ancora in carcere. Nei giorni scorsi il capo della polizia, Esmail Ahmadi-Moqaddam, aveva detto che le persone arrestate erano 1.032, di cui i due terzi erano state rilasciate. Il deputato Mohammad Reza Tabesh, citato ieri dall’agenzia Ilna, dà notizia di un incontro avuto dalla minoranza riformista del Parlamento, a cui lui stesso appartiene, con il procuratore generale della Repubblica Dorri-Najafabadi. L’alto magistrato, ha aggiunto Tabesh, ha parlato appunto di 2.500 arrestati, dei quali 500 restano ancora trattenute nelle carceri iraniane, rischiando la pena capitale, come vogliono le autorità spirituali del Paese.

Gran B.: finanziato carcere in Nigeria, per rimpatrio di detenuti

 

Ansa, 10 luglio 2009

 

La Gran Bretagna contribuirà con un milione di sterline alla costruzione di una prigione in Nigeria dove potrà trasferire circa 400 criminali nigeriani attualmente detenuti nelle sue carceri. Ogni tentativo di deportarli finora è infatti fallito perché le condizioni nei penitenziari del Paese africano sono talmente cattive che se il Regno Unito li rimpatriasse violerebbe le leggi sui diritti umani.

Il governo britannico spera che, finanziando la costruzione o il rinnovamento di un penitenziario nigeriano, i detenuti potranno essere restituiti al Paese d’origine e scontarvi il resto della loro pena. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, i prigionieri dei penitenziari nigeriani vivono in condizioni terribili - le carceri, riporta Amnesty International, sono sovraffollate e più della metà dei detenuti attende per anni di essere processato - che non permettono quindi ad alcun paese democratico e sviluppato di rimpatriarvi un prigioniero. Secondo Lin Homer, direttrice della Uk Border Agency, l’ente britannico per l’immigrazione ed il controllo dei confini, contribuire alla costruzione o al miglioramento di una prigione nigeriana si rivelerebbe la soluzione più conveniente per la Gran Bretagna, che ogni anno spende circa 30mila sterline per tenere ciascuno di questi detenuti nelle proprie prigioni.

"Ci stiamo consultando con la Nigeria per aiutare il Paese a migliorare le condizioni nelle sue prigioni. Si tratta di aiutarli a creare una struttura in grado di far fronte in maniera adeguata ai detenuti. Sarebbero soldi ben spesi", ha dichiarato la Homer in un suo intervento dinanzi ad alcuni parlamentari. Se la Nigeria deciderà di accettare il contributo britannico dovrà acconsentire in cambio a modificare le proprie leggi affinché i detenuti possano essere rimpatriati senza il loro consenso. Una soluzione simile era già stata proposta in relazione ai prigionieri di nazionalità giamaicana, ma non era poi stata realizzata.

È dal 2005 infatti - quando il numero di detenuti stranieri presenti nelle carceri del Regno è arrivato a 11.000, oltre un ottavo dell’intera popolazione penitenziaria - che il governo sta cercando di risolvere il problema dei troppi prigionieri stranieri, in alcuni casi offrendo soldi ai carcerati affinché acconsentissero volontariamente al loro rimpatrio. La soluzione proposta dalla Homer ha sollevato tuttavia una bufera di polemiche. "Ciò non deve significare che a lungo termine si finisca col costruire prigioni in tutto il mondo anziché risolvere i nostri problemi con le procedure relative alla deportazione", ha detto il conservatore Damian Green, sottosegretario per l’immigrazione del governo ombra.

 

 

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