Rassegna stampa 9 luglio

 

Giustizia: leggi inapplicabili, studiate da chi gioca con la paura

di Don Giuseppe Dossetti

 

Europa, 9 luglio 2009

 

Sulla legge che introduce il reato di clandestinità vorrei parlare come cittadino informato sui fatti, ma anche come cristiano e uomo di Chiesa. Per la mia esperienza, penso che questa legge sarà inapplicabile, poiché trasferisce nel campo della giustizia penale e del sistema repressivo centinaia di migliaia di persone: l’alternativa sarà tra il collasso del sistema e un’applicazione spot per alcuni casi, tanto per dire che si è fatto qualcosa.

La conferma l’abbiamo nel fatto che non riusciamo neppure ad applicare le leggi che ci sono: non riusciamo a mandar fuori dai nostri confini le poche migliaia di delinquenti pluri condannati. Le cronache sono piene di casi di stranieri, fermati per esempio per spaccio, e immediatamente rilasciati. La nuova legge appiattisce in un’unica fattispecie lo spacciatore e la badante; ma, mentre per le persone oneste essa rappresenterà un ulteriore ostacolo nel percorso di regolarizzazione, i delinquenti non saranno impediti dal continuare le loro attività.

E così la legge, invece di diminuire la clandestinità. e i circuiti illegali, li farà aumentare. Non posso pensare che persone competenti, come certamente sono i nostri governanti e i loro consulenti, non abbiano considerato questo fatto; e, nello stesso tempo, non sia evidente per loro quello che è chiaro a ogni cittadino italiano che abbia bisogno di una badante o di un operaio: che cioè oggi è impossibile, tecnicamente impossibile, entrare in Italia per lavoro in modo regolare. Questo fatto, che è, ripeto, un fatto, cambia sostanzialmente la valutazione di ogni provvedimento. È infatti evidente che, non essendoci uno sbocco possibile e ordinato all’immensa pressione migratoria, essa aumenta continuamente, cori la sua carica di sofferenze e di illegalità.

In questa materia, la sinistra italiana ha gravissime responsabilità, essendosi mostrata, quando era al governo, demagogica e senza contatto con la concretezza dei problemi. Ha polemizzato con la legge Bossi-Fini, senza rendersi conto che essa coincideva, nell’impianto, con la legge Turco-Napolitano, elaborata peraltro per una situazione, quella degli anni ottanta, ormai superata. Non è stata capace di elaborare un pensiero che tenesse insieme accoglienza e legalità. Anche per questo, ha perso le elezioni.

Tuttavia, questa legge non sarà inefficace. Essa avrà un effetto certo, quello di aumentare nel nostro paese i sentimenti di paura e di odio. Essa contribuirà a creare un clima di sospetto, un pregiudizio verso lo straniero, avvalorando la tesi che esso è per noi un pericolo. Renderà il nostro popolo cieco di fronte al fatto che già adesso le trattenute sui salari degli stranieri pagano una quota consistente delle nostre pensioni; ci renderà insensibili di fronte a ingiustizie come quella per cui un operaio straniero che perde il lavoro dopo anni di permanenza in Italia e di trattenute, potrà perdere, oltre al lavoro, il permesso di soggiorno, e con esso buona parte di quanto ha versato. Sarebbe atroce che fosse proprio questo lo scopo dei promotori della legge: non quello di affrontare il problema, peraltro difficilissimo, dell’immigrazione, ma quello di promuovere questi sentimenti elementari e barbarici, allo scopo di approfittare, a scopi elettorali, di quest’onda emotiva.

In ogni caso, il sicuro diffondersi di questi sentimenti di paura e di odio mi porta a parlare anche come uomo di Chiesa. Mi sembra doveroso, come hanno fatto i vescovi della Lombardia, segnalare questi pericoli, che attengono alla qualità morale del nostro popolo, oltre che ad aspetti centrali del messaggio cristiano. Per questo sono sorpreso di fronte alla timidezza della reazione della Conferenza episcopale, che ha finora fatto dichiarazioni generiche, sfocate e palesemente imbarazzate.

In altre situazioni, si sono usati ben altri toni. Non vorrei che si desse in pratica ragione a Umberto Bossi, che ha dichiarato sprezzantemente, a proposito delle reazioni vaticane: "La solita liturgia!". Dobbiamo ringraziare il capo della Lega, perché ha posto i nostri vescovi di fronte all’impossibilità di trovare, attraverso il genericismo di certe dichiarazioni, la scappatoia per non prendere posizione.

Giustizia: i "clandestini" e il paradosso del pacchetto sicurezza

di Raffaele Cantone (Magistrato)

 

L’Unità, 9 luglio 2009

 

Sono passati soltanto pochi giorni dall’approvazione dell’ultimo pacchetto sicurezza e, malgrado il testo non sia ancora nemmeno in vigore, la criticatissima norma sull’immigrazione clandestina sta creando i primi problemi. Le inascoltate cassandre che avevano presagito l’inutilità della disposizione (per essere assolutamente incapace di arginare il fenomeno migratorio) e la sua dannosità (sia perché non consente di distinguere l’immigrazione criminale da quella di chi viene in Italia per lavorare sia perché le denunce intaseranno la macchina giudiziaria) stanno, forse, ottenendo un’inutile e tardiva soddisfazione.

Uno degli esponenti del governo ha, infatti, già avanzato una richiesta di "sanatoria" per le badanti presenti sul territorio nazionale, conscio evidentemente del fatto che la nuova norma si applicherà agli stranieri che già vivono in Italia e che, quindi, potrà esserci un particolarmente negativo impatto sulle non poche famiglie che si avvalgono di lavoratori domestici non regolari. Altri autorevoli esponenti del governo, però, si sono immediatamente precipitati a rassicurare tutti, affermando testualmente che le nuove norme sulla sicurezza non incidono sulle persone che già sono in Italia perché riguardano solo il futuro e non sono retroattive.

Ora è vero che il diritto non è matematica e che l’interpretazione giuridica è una scienza non esatta ma è davvero un paradosso che una norma di carattere penale, il cui ambito di applicazione dovrebbe essere precisamente definito, si stia prestando già a letture così opposte. In verità la norma non lascia adito ad alcun equivoco; il nuovo articolo, infatti, punisce "lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del Testo Unico".

Non c’è bisogno di alcun fine esegeta per capire il perché il reato è stato costruito in questo modo dal legislatore; se si fosse limitato a punire solo l’ingresso abusivo, sarebbe risultato applicabile in casi del tutto marginali, sanzionando, invece, il "trattenersi" consente un’applicazione generalizzata a tutti gli irregolari presenti sul suolo nazionale.

Ed allora non c’è bisogno di scomodare categorie giuridiche quali quelle dell’irretroattività della legge penale né è necessario dilungarsi su concetti tecnici quali la natura permanente o meno del reato, perché è evidente che una volta che la legge sarà entrata in vigore qualunque straniero presente in Italia, senza regolare permesso di soggiorno, sarà destinatario della sanzione penale, indipendentemente dal fatto di avere o meno fatto ingresso in Italia prima o dopo l’entrata in vigore del pacchetto sicurezza.

Giustizia: affissione foto ricercati; l'esame della norma è rinviato

 

Ansa, 9 luglio 2009

 

No al far west all’italiana. La possibilità che le foto degli stupratori siano affisse ovunque, nei luoghi pubblici, per dare la caccia al maniaco ha ricevuto lo stop, in aula di numerosi deputati. Durante la discussione sulla nuova normativa in materia di violenza sessuale il dibattito si è acceso proprio quando si è parlato delle cosiddette foto "wanted" con tanti no sia da esponenti dell’opposizione che della maggioranza. Tra questi Alessandra Mussolini. La relatrice del provvedimento Carolina Lussana ha chiesto, dunque, di rinviare la discussione sull’articolo che parla delle foto segnaletiche alla prossima settimana e di riportare l’argomento in comitato dei nove. Una scelta che ha fatto slittare la fine della discussione sulla norma a martedì prossimo.

L’argomento delle foto "wanted" era stato accantonato in mattinata. Alla ripresa della discussione sul tema subito si sono levate voci di dissenso, nella maggioranza e nell’opposizione. Per la radicale Rita Bernardini "mettere in giro le foto di un violentatore che si è reso latitante rischia di mettere in difficoltà testimoni e vittime di reato".

Dura anche la posizione di Alessandra Mussolini (Pdl): "Negli Stati Uniti - ha spiegato la parlamentare - si diffondono le informazioni anche nel quartiere quando c’è stata una sentenza passata in giudicato". Per Mussolini siamo al paradosso: "In certe occasioni - ha detto - siamo iper garantisti, come quando vietiamo le intercettazioni, ma poi diventiamo iper forcaioli quando si tratta di affiggere le foto di persone nemmeno condannate. Così si espone solo la vittima a ritorsioni. Per i rilievi fotografici ci deve essere almeno un primo grado di giudizio altrimenti non si tutela nemmeno la vittima e poi a chi le diamo le foto, alle ronde?". Della stessa opinione anche Flavia Perina, Pdl.

Ha difeso il provvedimento, invece Giacomo Caliendo, sottosegretario alla Giustizia, spiegando che il testo attuale è stato già modificato in comitato dei nove. Contro l’Italia "del far west" si è schierato, invece, un altro pidiellino, Gennaro Malgieri. Alla fine la relatrice del provvedimento, la leghista Carolina Lussana, ha chiesto il rinvio della discussione alla "prossima settimana" e di riportare l’argomento della foto wanted in comitato dei nove per "ulteriori riflessioni".

Giustizia: Servizi segreti "paralleli" nel Dap; 4 i rinvii a giudizio

 

www.primadanoi.it, 9 luglio 2009

 

Per presunte rivelazioni fatte dal camorrista Antonio Cutolo nascoste all’autorità giudiziaria, l’ex direttore del carcere di Sulmona ed attuale numero uno della prigione di Opera a Milano, Giacinto Siciliano, Salvatore Leopardi, ex capo del Servizio ispettivo del Dap, l’ispettore della polizia penitenziaria Alfredo La Piccirella ed Annarita Burrafatto, responsabile della segreteria del servizio ispettivo, sono stati rinviati a giudizio.

La decisione è stata presa dal gup Silvia Castagnoli. I quattro dovranno rispondere in tribunale, a seconda dei casi, di falso materiale, falso per soppressione, falso ideologico, omessa denuncia di reati e rivelazioni di segreti d’ufficio. Il processo avrà inizio il prossimo 13 novembre dinanzi la sesta sezione penale del Tribunale di Roma. A spingere per il rinvio a giudizio sono stati i pubblici ministeri Maria Monteleone ed Erminia Armelio.

Al centro dell’inchiesta le presunte rivelazioni fatte dal boss campano e trasmesse poi ai servizi segreti senza che fosse informata l’autorità giudiziaria. I fatti risalirebbero tra il 2005 ed il 2006 nel periodo di detenzione di Antonio Cutolo nel carcere di massima sicurezza di Sulmona. Il boss campano avrebbe portato avanti colloqui illegali con detenuti e servizi segreti. In particolare il Dap, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, avrebbe creato una sorta di intelligence parallela con il compito di trasmettere ai servizi segreti false rivelazioni investigative scaturite da colloqui segreti con Antonio Cutolo.

Secondo l’accusa sarebbero scomparsi atti e documenti relativi agli incontri con Cutolo, mai posti all’attenzione dell’autorità giudiziaria, che sarebbero stati inviati direttamente ai servizi segreti. La procura di Roma inoltre sta scavando nel passato per accertare l’esistenza di altri casi analoghi. Al centro del procedimento penale le confidenze fatte dal boss campano, grazie alle quali egli ha usufruito di permessi premio che gli avrebbero consentito di proseguire le sue attività malavitose.

Nel periodo preso in questione il capo del servizio ispettivo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria era il magistrato Salvatore Leopardi. L’intera inchiesta è partita da un’interrogazione di Graziella Mascia, ex parlamentare di Rifondazione Comunista, che aveva denunciato l’esistenza di una sorta di attività parallela a quella giudiziaria. Antonio Cutolo è stato detenuto nel carcere di Sulmona dal 1983 prima di essere trasferito negli anni scorsi in un altro penitenziario. In passato, secondo gli inquirenti, avrebbe fatto parte degli Ncs, gruppo affiliato alla Nuova Camorra Organizzata, impegnato in agguati particolarmente audaci.

Nel suo periodo di detenzione in Abruzzo, precisamente nel 2006, Cutolo grazie ad alcuni permessi speciali, insieme ad altri esponenti della famiglia, avrebbe organizzato una serie di estorsioni ai danni di commercianti ed imprenditori della zona. Questi fatti, confermati, hanno portato il boss campano a nuove ordinanze di custodia in carcere. La richiesta però degli inquirenti circa l’applicazione del carcere duro del 41-bis, convinti che il boss volesse ricostruire la Nuova Camorra Organizzata, fu respinta dai giudici.

Giustizia: succede nelle carceri, ma i telegiornali non lo dicono

di Valter Vecellio

 

www.articolo21.info, 9 luglio 2009

 

Notizie di cui non si deve avere "notizia", di cui non si occupano i telegiornali, e che raramente compaiono sui giornali. Alessandria: i medici penitenziari protestano per il rinnovo del contratto. Venezia: quattro detenuti nelle celle "singole", fino a otto, i detenuti stipati in quelle che ne dovrebbero ospitare tre. Sanremo: carcere super-affollato: 320 detenuti in 209 posti. Verbania: mancano gli agenti; pregiudicati i "lavori sociali" dei detenuti. Siena: nelle carceri organici ridotti all’osso, sicurezza a rischio. Padova: nel carcere "Due Palazzi" c’è l’allarme scarafaggi.

Sicilia: il Garante dei detenuti della regione Sicilia denuncia: nelle carceri dell’isola la situazione è drammatica. Campania: l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione denuncia che in un solo giorno sono morti due detenuti. Aversa: un detenuto di 43 anni si impicca all’Opg di Aversa. Palermo: al carcere dell’Ucciardone per i colloqui, i parenti fanno anche dieci ore di attesa. Crotone: un detenuto di 32 anni si toglie la vita, era in carcere da una settimana. Venezia: emergenza sanità, c’è un solo medico e per tre ore al giorno.

Brindisi: agenti penitenziari protestano, l’organico è insufficiente. Roma: il segretario della Uil Pa Penitenziari Eugenio Sarno denuncia: carceri verso il disastro. Il Dap silente e immobile. San Gimignano (Si): sit in di protesta della polizia penitenziaria. Sulmona: psicologi carcerari in piazza: situazione insostenibile.

Busto Arsizio: i rappresentanti della Polizia Penitenziaria denuncia: dietro le sbarre, l’emergenza è una quotidianità. Roma: il sindacato Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) annuncia: gli agenti protestano in tutta Italia. Milano: anche all’istituto per minorenni "Cesare Beccaria" è emergenza: 540 i ragazzi stipati in celle che ne dovrebbero ospitare 400.

Roma: il garante dei detenuti della regione Lazio denuncia: pochi agenti, quindi il nuovo carcere di Rieti non apre. Palermo: il garante dei detenuti della regione Sicilia denuncia: il carcere della Favignana è disumano. Ravenna: il sovraffollamento è del 300 per cento: 60 i posti disponibili, 180 i detenuti. Viterbo: contro il sovraffollamento, sit in della polizia penitenziaria. Roma: comunicato della Uil: 63.741 detenuti, record nella storia delle carceri italiane.

Trentino: nelle carceri il 30 per cento di detenuti in più della capienza. Tolmezzo: i detenuti sono 293, un centinaio più della capienza del carcere. Viterbo: un detenuto tenta il suicidio tagliandosi la gola. Napoli: nel carcere di Poggioreale, il più affollato d’Europa, 2700 detenuti sono stipati in celle che ne dovrebbero ospitare non più di 1300. Sassari: ai detenuti fanno compagnia i topi, che escono dai cessi alla turca. "Noi e i topi", raccontano i detenuti, "restiamo chiusi in quella cella per 22 ore al giorno".

Bolzano: i detenuti occupano praticamente tutto lo spazio disponibile del carcere. In un’unica cella stipati fino a dodici detenuti. Roma: nel carcere di Regina Coeli si dorme per terra su materassi di fortuna. Palermo: carcere dell’Ucciardone: i posti letto sono 378, ma i detenuti nel 2008 sono arrivati a essere anche 718 detenuti. In alcune celle da quattro, dormono in dodici, in grappoli di quattro letti a castello. Per dormire si fanno i turni tra il giorno e la notte. I bagni alla turca sono spesso tappati con bottiglioni di vetri, per evitare che i topi che escono dalle fognature fatiscenti invadano le celle.

Sono solo alcune delle "cronache" dal carcere di cui siamo venuti a conoscenza: fatti e vicende che si sono consumate negli ultimi dieci giorni. Ognuno di questi episodi corrisponde una dettagliata interrogazione presentata dai parlamentari Radicali, del Pd e dell’Italia dei Valori al ministro della Giustizia Angiolino Alfano, e al ministro della Salute Maurizio Sacconi. Non che ci si illuda circa le "risposte", che infatti non sono state date, e quando arrivano, giungono dopo mesi. Tuttavia occorre insistere, bisogna non demordere. Devono sentire il fiato sul collo.

Non si è saputo mettere a frutto il tempo che si era guadagnato con l’indulto. Non si sono neppure gettate le basi per quelle riforme che da tempo si attendono; ora la situazione nelle carceri italiane si è ulteriormente aggravata, incancrenita. Ci vorrebbe un nuovo indulto, accompagnato questa volta da quell’amnistia che sciaguratamente non si è voluta fare. E poi quel programma riformatore di respiro fatto di pene alternative al carcere e depenalizzazione.

Non è questione di essere tolleranti e condiscendenti verso chi delinque; il problema è che nel momento in cui lo Stato priva della libertà uno dei suoi cittadini, più che mai si fa garante della sua incolumità, della sua salute. Nelle carceri italiane si sconta un supplemento di pena, oltre alla detenzione in quanto tale; nelle carceri italiane ci si uccide per disperazione dopo pochi giorni di detenzione, ci si ammala, si vive in condizioni vergognose; detenuti e agenti di polizia penitenziaria.

Non solo: c’è un amarissimo paradosso: quel minimo (davvero minimo) dato di efficienza nei tribunali e nelle carceri, deriva dalla sostanziale inefficienza del sistema. Immaginiamo per un momento che quel 90 per cento di reati rimasti impuniti sia invece punito e si trovi un colpevole; supponiamo che i magistrati riescano a istruire e a celebrare i processi, invece di lasciarli accatastati cibo per topi "amnistiati" per prescrizione; supponiamo che finalmente in carcere ci vada chi deve andarci.

Bel sogno, vero? Che dopo appena qualche minuto si trasformerebbe in un incubo, perché tempo qualche ora, l’intero sistema salterebbe: troppi detenuti, molti di più degli oltre sessantamila detenuti. Oppure immaginiamo che cosa sarebbero oggi le carceri se non si fosse varato l’indulto.

A queste domande il ministro della Giustizia Angiolino Alfano non risponde, per la semplice ragione che non ha una risposta, non ha una politica. E intanto i Gasparri e i Quagliariello continuano a ciancicare di sicurezza, ordine pubblico, certezza della pena, necessità di caccia all’immigrato da punire se clandestino in quanto tale, e non per quello che fa o ha fatto. Ma facciano il piacere!

Giustizia: le carceri come dei carri bestiame, solo posti in piedi

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 9 luglio 2009

 

"Solo posti in piedi". Questo è il cartello che presto verrà affisso davanti alle entrate degli istituti di pena.

Si è sforata ormai anche la soglia dell’ipocrisia, quella che prevede un "capienza tollerabile" di 63.762 detenuti a fronte di una soglia regolamentare che invece ne accetta "solo" 43.201, cioè 20 mila in meno. Quest’ultima a sua volta gonfiata. Il numero di posti realmente fruibile infatti è ancora più basso, non arriva ai 38 mila.

Ieri eravamo a 63.789. Peggio di un carro bestiame. A Trieste la direzione del carcere aveva persino introdotto un registro dei materassi a terra per stabilire chi a turno doveva dormire sul pavimento. Un modo per regolamentare il disagio ed evitare tensioni. Dopo le brande supplementari, dopo i letti a castello che raggiungono il soffitto, dopo l’occupazione delle salette una volta adibite per la socialità, quelle dove in genere c’era il tavolo da ping-pong e alcune sedie e tavolini per giocare a carte oppure a scacchi ed ora vivono in permanenza 20-30 persone, dopo i pavimenti sono rimasti solo i posti in piedi. Restano i corridoi (come in certi ospedali), ma ancora per poco.

Ovviamente c’è fermento nelle carceri per questa situazione che rasenta l’indicibile, soprattutto quando il caldo torrido, come quello di questi giorni, rende impraticabili le più elementari condizioni di vita e d’igiene. Ma non è che in inverno sarà meglio. Ora infatti le direzioni possono ricorrere al prolungamento delle ore d’aria nei cortili, come indicato da una circolare del Dap. Ma quando arriverà il freddo e le ore di cella chiusa si prolungheranno la vita sarà ancora di più un inferno.

Da settimane si registrano proteste collettive dei reclusi. In almeno 30 istituti di pena sono in corso scioperi del vitto e "battiture" ad orari prestabiliti. Andate sotto le mura del carcere della vostra città e sentirete un assordante concerto di pentole e casseruole accompagnato da urla, canti, fischi, stracci alle finestre. Il popolo chiuso si fa sentire, suona la sua sinfonia d’estate. A Lanciano, Secondigliano, Reggio Emilia, Rebibbia reclusione, Marassi, Marino del Tronto, Como, Piacenza, Saluzzo, Catania, Palermo, Pisa, Verona, Venezia, i detenuti hanno inscenato proteste a turno.

Negli uffici del Dap se non è allarme rosso, poco ci manca. Anche se nessuno l’evoca e le preoccupazioni si dirigono soprattutto verso comportamenti individuali, come l’autolesionismo e i suicidi (è stato vietato l’uso di scatolame in metallo), lo spettro della rivolta aleggia nei retropensieri. Basta un niente, una scintilla in situazioni sature di tensione e malumore perché tutto precipiti. Per questo la protesta ha contagiato anche la polizia penitenziaria che deve convivere con il sovraffollamento.

Le principali sigle sindacali hanno manifestato ieri a Bologna. Seconda tappa dopo Milano. Il calendario della protesta degli agenti di custodia prevede ulteriori tappe a Bari, Palermo, Cagliari per poi concludersi a Roma in settembre. I sindacati penitenziari denunciano il "disinteresse del Ministro Alfano" e una carenza d’organico cifrata a 5 mila agenti. Ricordano, inoltre, come il "piano carceri", nel quale si prevedeva la costruzione di 24 nuovi istituti e l’ampliamento di quelli esistenti, non è mai decollato.

Affermano anche che "la soluzione di tutti i problemi non può essere quella di affidarsi solo e soltanto all’edilizia penitenziaria". L’idea che la semplice estensione della superficie repressiva, la moltiplicazione senza precedenti dei contenitori penali, l’esplosione della popolazione detenuta fino alle 80-100 mila unità messe in conto dalle proiezioni del piano carceri non sia più la soluzione ma parte del problema, è un’acquisizione nuova in territori come quelli della penitenziaria.

Si tratta evidentemente di quel semplice "buon senso" che nasce da chi opera a contatto diretto con la realtà carceraria fuori dalle strumentalizzazioni politiche, dalla demagogia populista e giustizialista. Si tratta di una consapevolezza sistemica che però non ha rappresentanza sociale e mediatica e non trova traduzione in un sistema politico che ormai funziona solo per lobby e gruppi di potere. Le proteste dei detenuti non riescono a farsi sentire, non trovano eco in periodo dove il conflitto è demonizzato, la protesta criminalizzata, soprattutto i movimenti deboli, isolati, confusi.

Pur ammettendo che la situazione è "altamente critica", il Dap può permettersi di rispondere ricorrendo a dei ridicoli palliativi. Il presidente, Franco Ionta, ha istituito un sistema di monitoraggio, un gruppo di lavoro con facoltà di verifica e proposta, costituito col bilancino per dare visibilità ai diversi interessi corporativi che compongono la realtà penitenziaria: due magistrati, un direttore penitenziario, un ufficiale giudiziario e due alti ufficiali della polizia penitenziaria.

In una circolare di 16 pagine, inviata a tutti gli istituti di pena, indica l’individuazione di "spazi detentivi a gestione "aperta" - con limitate ricadute sul contingente da impiegare per il controllo e la sicurezza - dove assegnare detenuti di minore pericolosità". Una soluzione arrangiata per tenere i reclusi ammassati nelle celle solo in orari notturni. Ha disposto un incremento delle ore di passeggio e l’acquisto di maggiori quantità di ghiaccio e metadone. Il carcere, come avrebbe detto Gigi Proietti si è liqueso.

Giustizia: proteste in 30 carceri e il Dap crea "gruppo di lavoro"

 

www.ilsussidiario.net, 9 luglio 2009

 

Il sovraffollamento record nelle carceri italiane ha toccato questa mattina quota 63.789 detenuti (di cui 20.649 stranieri), contro un limite "tollerabile" di 63.702 e una soglia regolamentare di 43.201. Il caldo torrido estivo e la mancanza di spazio hanno indotto il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ad alzare la guardia: in questo periodo ogni giorno sono quotidianamente una trentina le carceri dove si protesta.

Per ora si tratta solo di sciopero del vitto e battitura delle sbarre da parte dei detenuti, ma la situazione è, per ammissione del Dap, "altamente critica". Proprio per questo il Capo del Dap, da Franco Ionta, ha deciso di istituire un sistema di monitoraggio, vale a dire un gruppo di lavoro composto da sei persone (due magistrati, un dirigente penitenziario, un ufficiale giudiziario e due poliziotti penitenziari), con il compito di verifica e proposta, anche attraverso visite negli istituti.

Nel frattempo, vista anche la protesta degli agenti penitenziari (le principali sigle hanno manifestato oggi a Bologna contro una situazione drammatica e una carenza di organico di 5 mila unità), Ionta ha deciso di convocare i sindacati per il 20 luglio prossimo e allo stesso tempo ha inviato a tutti i provveditorati una circolare dando indicazioni su come far fronte ai disagi del cado estivo.

Nel documento di sedici pagine Ionta suggerisce di individuare "spazi detentivi a gestione aperta" - con limitate ricadute quindi sul contingente da impiegare per il controllo e la sicurezza - cui assegnare detenuti di "minore pericolosità". Questi andrebbero in cella solo per dormire, mentre per il resto della giornata starebbero più che altro "nelle aree e nei luoghi destinati ad attività sportive e ricreative". Oltre ad un aumentato acquisto di ghiaccio, la circolare prevede che sia potenziato il servizio di fruizione dell’aria e dei passeggi, facendo presente al riguardo - scrive Ionta - che nessuna asserita esigenza del personale potrà giustificare e comportare una contrazione del tempo per questo servizio.

In carcere, si sa, il rischio di suicidi o gesti autolesionistici aumenta d’estate. Gli agenti - sollecita il capo del Dap - dovranno essere ben attenti a che i detenuti non acquistino scatolame di latta o metallo, che i fornellini siano regolamentari e che i tossicodipendenti siano tenuti sotto controllo.

A questi ultimi, in particolare, dovrà essere garantita la somministrazione di farmaci sostitutivi, in particolare il metadone. Tra la trentina di istituti dove è in corso la protesta ci sono quello di Lanciano (7 giorni di battitura delle inferriate), Napoli Secondigliano, Reggio Emilia, Rebibbia reclusione, Genova-Marassi, Como, Ascoli Piacenza, Saluzzo, Catania, Palermo, Pisa, Verona e Venezia. Si tratta di proteste che durano pochi giorni e che poi, come in una sorta di ideale staffetta, proseguono in altre carceri.

Giustizia: Ionta (Dap); soldati per sorvegliare mura delle carceri

 

Ansa, 9 luglio 2009

 

Se le carceri sono sovraffollate come non mai dal dopoguerra ad oggi (63.789 contro una soglia regolamentare di 43.201) e i poliziotti penitenziari scarseggiano (dovrebbero essere 45.109 ma di fatto sono 40.334), perché non fare ricorso ai militari nella vigilanza esterna e sui muri di cinta degli istituti a maggior rischio sicurezza?

A proporlo al ministro della Giustizia Angelino Alfano è il capo del Dap, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, alle prese con una situazione già critica che, in estate, col caldo, sta esplodendo. Ma i fondi per assumere più agenti o per aprire nuove carceri scarseggiano e vanno trovate al più presto soluzioni tampone.

Perciò Ionta, nominato dal governo commissario straordinario per l’edilizia carceraria, ha deciso di non affidare la ricerca di soluzioni al solo piano che ha consegnato lo scorso maggio al Guardasigilli Alfano, ma ha avanzato la proposta dei soldati-sentinella per "liberare" circa un migliaio di agenti penitenziari da impiegare dentro gli istituti o per potere aprire quei padiglioni nuovi fino ad oggi inutilizzati a causa della mancanza di personale.

L’idea non è nuova: nel ‘93 una richiesta analoga arrivò sul tavolo dell’allora ministro della Difesa Salvo Andò. Non se ne fece nulla. A tentare la stessa soluzione fu nel 2000 il Guardasigilli Piero Fassino, che pensò ai militari di leva ma che subì l’altolà del collega della Difesa Sergio Mattarella, disponibile solo a concedere gli ausiliari. Un buco nell’acqua anche quello. Ma dal momento che l’indulto del 2007 ha esaurito i suoi effetti, dei palliativi vanno trovati, soprattutto quando il caldo diventa insopportabile.

Così Ionta, con il capo della direzione generale detenuti, Sebastiano Ardita, ha firmato una circolare di 16 pagine per sollecitare i provveditori ad "aprire" le celle, vale a dire far trascorrere ai detenuti non pericolosi la maggior parte della giornata in aree destinate alle attività sportive e ricreative o lungo i "passeggi". In cella dovrebbero tornare solo per dormire, e se il caldo è eccessivo sarà consentito aprire "i blindati anche oltre l’orario".

In carcere, si sa, il rischio di suicidi o gesti autolesionistici aumenta d’estate. Gli agenti - è scritto nella circolare - dovranno essere attenti a che i detenuti non acquistino scatolame di latta o metallo, che i fornellini siano regolamentari e che i tossicodipendenti siano tenuti sotto controllo. Nel frattempo, la protesta monta ed è ora tenuta sotto controllo al Dap da un nuovo gruppo di lavoro di sei persone.

Tra i 30 istituti dove quotidianamente i detenuti fanno sciopero del vitto e battono contro le inferriate ci sono il carcere di Lanciano (da 7 giorni), Napoli Secondigliano, Reggio Emilia, Rebibbia, Genova-Marassi, Como, Ascoli, Piacenza, Saluzzo, Catania, Palermo, Pisa, Verona e Venezia. "Siamo troppo pochi per poter agire con tempestività. Serve l’esercito", chiedono ad Alfano i sindacati Osapp e Sappe, che ieri con le più importanti sigle sindacali hanno manifestato a Bologna. A Imperia è evaso un tunisino eludendo la sorveglianza.

Il Dap sembra aver accolto la loro richiesta. Nella lettera che Ionta ha inviato ad Alfano si chiede di considerare le carceri tra gli obiettivi sensibili su cui la sorveglianza sia fatta dai militari che verrebbero impiegati solo per la sorveglianza esterna delle carceri più a rischio, con detenuti in carcere duro). Ora Alfano dovrà convincere il ministro della Difesa, Ignazio La Russa.

Giustizia: polizia penitenziaria; sì a militari per vigilanza esterna

 

Agi, 9 luglio 2009

 

I sindacati di Polizia Penitenziaria dicono sì all’impiego dei militari anche per i servizi di vigilanza esterna delle carceri. "Vogliamo l’Esercito negli istituti penitenziari - afferma Leo Beneduci, segretario dell’Osapp - gridiamo a gran voce che il Ministro adotti l’Esercito per il problema della sicurezza nelle sezioni, come è stato fatto per la sicurezza sulle strade".

Il sindacato Sappe, inoltre, sottolinea che "non è probabilmente un caso che la proposta fatta dal Capo del Dap Ionta al ministro della Giustizia Alfano fa seguito all’incontro avuto ieri pomeriggio dal Sappe a Palazzo Chigi con autorevoli esponenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri sull’emergenza penitenziaria.

Ieri abbiamo suggerito proprio questo - racconta Donato Capece, segretario del Sappe - impiegare i militari nella sorveglianza esterna dei maggiori penitenziari italiani, finalmente considerati a giusta ragione "obiettivi sensibili", nelle more dell’assunzione straordinaria di 1.000 volontari in ferma breve delle Forze Armate, già idonei a prestare servizio nel Corpo".

Capece, dunque, si augura che "destinare i militari a presidio delle strutture penitenziari più grandi del Paese sia il primo di una serie di provvedimenti che la Presidenza del Consiglio dei Ministri adotterà nel breve e medio termine, specie a tutela delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria impiegati nella prima linea delle sezioni detentive oggi sovraffollate da 64mila detenuti presenti a fronte di 42mila posti letto e con 5mila agenti di Polizia penitenziaria in meno".

Giustizia: Osapp; va sempre peggio... il Dap spera nel miracolo?

 

Ansa, 9 luglio 2009

 

"Con uno stato di saturazione che vede ormai salire di giorno in giorno la presenza effettiva dei detenuti, ora a quota 64 mila, il Dipartimento della amministrazione penitenziaria confida nella possibilità, forse miracolosa, che i flussi in entrata possano finalmente compensare quelli in uscita".

Lo afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, nel giorno in cui i principali sindacati della polizia penitenziaria protestano a Bologna "per la condizione estrema degli istituti".

"Oggi manifestiamo anche per il collega morto una settimana fa a Catania, nel carcere di Bicocca, - spiega Beneduci in una nota - assassinato dai colpi di pistola di un altro collega in servizio". Secondo il sindacato "sul fronte del personale, solo per l’assetto attuale, mancano all’appello più di 5 mila agenti, che con il nuovo piano carceri dovrebbero essere 9 mila unità in più rispetto al quadro d’organico completo".

 

Bene uso militari, agenti non bastano più

 

Trova l’accoglienza favorevole del sindacato di polizia penitenziaria Osapp la proposta avanzata dal capo del Dap Franco Ionta di utilizzare i militari come sentinelle sui muri di cinta delle carceri. "Siamo perfettamente d’accordo: sarebbe un primo segnale concreto per alleviare lo stressante e assolutamente disagevole lavoro della polizia penitenziaria - dice Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp -.

Quando a metà giugno abbiamo incontrato il ministro Alfano gli avevamo proposto di utilizzare le caserme dismesse dell’esercito dove accogliere il sempre maggior numero di detenuti e avevano proposto che a sorvegliarli fosse l’esercito. Ormai sono troppi, non sappiamo dove metterli e come vigilare su di loro". Beneduci lamenta una carenza di 5mila agenti: "È ovvio, l’impiego dell’esercito sarebbe una misura tampone, ma è pur sempre qualcosa visto da anni chiediamo inutilmente un aumento di organico".

I militari in questo caso, secondo il segretario dell’Osapp, dovrebbero dipendere dai comandanti di reparto delle carceri. "L’emergenza carceri dura da vent’anni - conclude Beneduci - per affrontarla servirebbe una complessiva riforma del sistema e con riorganizzazione polizia penitenziaria, con assetto e organizzazione autonomi simili a quelli di cui godono la Polizia di Stato e il Corpo Forestale".

Giustizia: Uil; sì all'arrivo dei militari e aprire carceri inutilizzate

 

Il Velino, 9 luglio 2009

 

"Abbiamo appreso, da alcune agenzie di stampa, che il capo del Dap ha proposto alla sua attenzione l’eventualità di impiegare militari nei compiti di sorveglianza armata alle strutture penitenziarie. Se la notizia corrispondesse al vero, non possiamo non manifestare tutta la nostra condivisione della proposta formulata".

Si apre così la lettera che stamattina il segretario generale della Uil Pa penitenziari , Eugenio Sarno, ha inoltrato al ministro della Giustizia Alfano e al capo del Dap, Ionta. Sarno, nel ricordare come "proprio questa organizzazione sindacale nei mesi scorsi, in varie occasioni, ebbe a suggerire, come ipotesi propedeutica al deflazionamento degli insostenibili carichi di lavoro per la polizia penitenziaria, il ricorso a forme alternative di sorveglianza armata, ivi compresa la possibilità di ricorrere ai militari" ha auspicato che "in tempi rapidi si possa addivenire alle necessarie intese con il ministero della Difesa per l’impiego di militari nei compiti sopra richiamati".

Ma la Uil Pa penitenziari, non mancando di polemizzare con la gestione del Dap, ha anche chiesto ad Alfano di riaprire la Casa circondariale de L’Aquila, al termine del G8. "Risulta di difficile comprensione, infatti, quale sia la ratio che muove il capo del Dap a emanare - scrive Sarno - una circolare dispositiva ai dirigenti penitenziari sollecitando una detenzione aperta e nel contempo a mantenere chiuse strutture pienamente utilizzabili.

È il caso della Casa circondariale de L’Aquila. Chiusa a seguito del sisma, ripristinata e resa pienamente operativa e disponibile (con una ristrutturazione effettuata in tempi record) per il vertice G8. Di fatto richiusa a vertice finito. Infatti, a conferma della richiusura, il personale in servizio a L’Aquila è stato già oggetto di provvedimento di missione per istituti vari fuori dai confini abruzzesi".

"Come dire il sovraffollamento avanza e determina condizioni di inciviltà e sopraffazione della dignità umana e il Dap si consente il lusso di mantenere chiuse strutture assolutamente efficienti. Per tali ragioni, affidandoci al buon senso e confidando nella Sua sensibilità, Le chiediamo - termina la missiva - di intervenire perché il Dap provveda alla riapertura della Casa Circondariale de L’Aquila e provveda a sospendere immediatamente i servizi di missione per il personale colà in servizio".

Giustizia: Idv; Alfano si dimetta, se non sa risolvere i problemi

 

Adnkronos, 9 luglio 2009

 

"Se il ministro della Giustizia non è in grado di risolvere la drammatica situazione in cui sono costretti a lavorare gli agenti della Polizia Penitenziaria, allora senza esitazione, si dimetta". È quanto dichiara, in una nota, il senatore dell’Idv, Stefano Pedica, vice presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea. "È necessario - continua Pedica - che il ministro adotti ad horas opportuni provvedimenti al fine di armonizzare l’impiego degli agenti di Polizia Penitenziaria e del personale in servizio con le esigenze contingenti dell’attuale distribuzione della popolazione detenuta nelle carceri sul territorio nazionale".

Per Pedica, "queste persone, servitori dello Stato, sono giunti ormai all’estremo delle forze a causa delle condizioni di invivibilità degli istituti di pena, costretti a turni massacranti a causa del numero esiguo di personale, con retribuzioni al minimo e contratti mai rinnovati. Tutta la mia solidarietà al corpo di polizia penitenziaria - conclude - mentre consiglio al ministro di rispondere presto e con fatti concreti, o in caso contrario valuti seriamente le proprie dimissioni da un compito che non riesce a portare a termine".

Friuli: tribunale di Tolmezzo ok; nuovo carcere Pordenone ko

di Loris Del Frate

 

Il Gazzettino, 9 luglio 2009

 

Il carcere di Pordenone? Per ora resta una chimera fatta salva una ulteriore generica promessa del ministro di Giustizia, Angelino Alfano di fare subito il punto sulla situazione per capire effettivamente quante siano le possibilità di avere una nuova struttura in città al posto del vecchio Castello. È questo quanto ha portato a casa il presidente Renzo Tondo dall’incontro che ieri ha avuto con il ministro a Roma.

Per la verità sul tavolo non era in discussione la "questione Pordenone", ma il mantenimento del Tribunale a Tolmezzo, obiettivo raggiunto dal presidente Tondo. Resta il fatto che le rassicurazioni del ministro Alfano, ossia una ricognizione sullo stato dell’arte, avrebbero dovuto essere già superate visto che la delegazione che era andata a Roma (tra gli altri c’erano il sindaco Bolzonello, l’assessore provinciale Giuseppe Pedicini e i tecnici regionali dei Lavori pubblici e Sicurezza) era riuscita a strappare al commissario nominato dal Governo, Franco Ionta, la concreta possibilità che il nuovo carcere di Pordenone venisse inserito nel piano del Governo.

Questo anche a fronte del fatto che una parte dei finanziamenti, una decina di milioni di euro, sarebbero stati assicurati da Comune, Provincia e Regione. Per la verità sino ad ora, salvo alcune indiscrezioni che non hanno comunque avuto conferma, non è dato sapere se effettivamente il nuovo carcere di Pordenone sia o meno finito all’interno del piano carceri che doveva essere pronto in due mesi, periodo già abbondantemente superato. Evidentemente il fatto che ieri il ministro di Giustizia Angelino Alfano abbia promesso al presidente Renzo Tondo una verifica sullo stato dell’arte potrebbe significare che la vicenda sia ben lontana dall’essere risolta.

Anche perché - come si legge nella nota emessa dalla Regione - lo stesso Ministro dovrà "verificare in tempi brevi come il Friuli Venezia Giulia potrà beneficiare del Piano carceri" lasciando quindi intendere che allo stato la nuova struttura pordenonese non è inserita in quel documento. C’è da aggiungere che il sindaco Sergio Bolzonello aveva già pronta l’ordinanza con la quale era disposto a chiudere il Castello se non fossero arrivate notizie positive con il piano carceri nazionale.

Una minaccia quella della chiusura che è sempre attiva - come ha confermato più volte il sindaco - e che potrebbe concretizzarsi, in assenza di novità, già con il prossimo autunno. Ma non è tutto. A scompaginare ulteriormente la questione anche il fatto che emergenze carcerarie sono esplose a Gorizia e a Trieste.

Pordenone, insomma, pur essendo primo in lista d’attesa poterebbe ulteriormente scendere nella graduatoria delle priorità. Intanto ieri il ministro Alfano e la Regione hanno sottoscritto un protocollo di collaborazione che integra quello firmato nel 2006 e prevede l’interscambio di esperienze e di conoscenze in campo organizzativo, il supporto e l’assistenza per il potenziamento delle tecnologie informatiche, il rafforzamento degli organici dei Tribunali con personale dell’Amministrazione regionale, ma anche l’istituzione di una Consulta regionale permanente per la giustizia, con la partecipazione di magistratura e avvocatura.

Ascoli: a Marino del Tronto protesta contro il sovraffollamento

 

Ansa, 9 luglio 2009

 

Anche i detenuti del Supercarcere di Marino del Tronto, ad Ascoli Piceno, stanno partecipando in questi giorni alla protesta per il sovraffollamento delle strutture penitenziarie che si sta svolgendo in una trentina di istituti italiani. Le modalità sono le stesse di altri carceri nazionali, e cioè quella della battitura continua delle inferriate. Una protesta che nei prossimi giorni, secondo fonti locali, dovrebbe coinvolgere anche altri penitenziari delle Marche, tra cui quelli di Ancona e Pesaro. Per il momento ad Ascoli non si registrano incidenti o situazioni particolari di conflitto. Il supercarcere di Marino del Tronto ospita ancora boss della mafia condannati al carcere duro - il famoso 41 bis del codice penale - e fino a pochi anni fa vi era detenuto anche Toto’ Riina.

Imperia: detenuto marocchino si impicca; è in coma profondo

 

Ansa, 9 luglio 2009

 

L’immigrato è stato ricoverato in rianimazione, ma poco dopo il suo cuore ha cessato di battere. Accertamenti sono in corso per ricostruire la dinamica del suicidio e per risalire alle cause.

È ricoverato nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Imperia in coma profondo il detenuto di 30 anni di nazionalità marocchina che ha tentato di uccidersi, impiccandosi con un lenzuolo, all’interno della sua cella. L’uomo, D.S., è stato soccorso nella Casa Circondariale imperiese dai medici del 118 e dai volontari della locale Croce Rossa, è stato portato all’ospedale dove i medici stanno cercando di mantenerlo in vita. Le sue condizioni sarebbero disperate e, ovviamente, è in prognosi riservatissima.

Napoli: ruba pacco di biscotti da 1,29 €; condannato a 3 anni

 

Il Mattino, 9 luglio 2009

 

Aveva rubato un pacco di wafer da 1,29 euro in un discount ed è stato condannato a tre anni di reclusione. Salvatore Scognamiglio, 40 anni, non ha potuto beneficiare dell’attenuante del danno lieve per gli effetti della legge Cirielli che ha introdotto un giro di vite per i recidivi.

La sentenza è stata emessa oggi dal giudice monocratico di Marano, sezione distaccata del Tribunale di Napoli, al termine di un breve dibattimento che era stato chiesto dal pm nelle forme del giudizio immediato. Assistito da un difensore di ufficio, l’imputato - che per questa accusa si trova agli arresti domiciliari - non ha chiesto l"adozione di riti alternativi come patteggiamento o rito abbreviato che avrebbero determinato una pena più lieve.

Scognamiglio è stato riconosciuto responsabile di rapina impropria. Nei giorni scorsi all’interno di un discount di Melito, in provincia di Napoli, fu bloccato da due addetti alla sicurezza che lo avevano notato mentre si impossessava di un pacco di biscotti.

Invitato a consegnare la refurtiva - come emerso oggi al processo - tentò di divincolarsi, ma fu presto immobilizzato e consegnato ai carabinieri. "Mi vergogno, avevo fame...", si è giustificato Scognamiglio, che è tossicodipendente e che in passato ha già riportato condanne per piccoli furti.

Il giudice, in base alle norme sulla recidiva della Cirielli, che non consente in questi casi di concedere le attenuanti (generiche e danno lieve) prevalenti, gli ha inflitto tre anni di reclusione, il minimo consentito dalla legge.

Napoli: Comunità di Sant’Egidio; in galera ci vanno i poveracci

 

Il Mattino, 9 luglio 2009

 

La Comunità di Sant’Egidio lancia da anni l’allarme: in galera ci vanno i poveracci, quelli che non possono permettersi il lusso di un avvocato. La tesi è confermata oggi, alla luce dell’episodio di Melito, da Antonio Mattone, volontario della comunità.

 

C’è una spiegazione a questo incredibile episodio?

"Ce ne sarebbero tante. Ma bisognerebbe inoltrarsi in una lettura critica delle leggi mentre qui si tratta di guardare il lato umano della vicenda".

 

Qual è il lato umano?

"Da quel poco che so, si tratta di un furto determinato dalla fame. Io credo alle parole di quest’uomo che sostiene di aver preso quei biscotti solo per sfamarsi".

 

Ma il metodo è sbagliato...

"Certo che è sbagliato. Nessun furto è giustificabile".

 

Quindi?

"Quindi suggerirei una lettura diversa di questa vicenda".

 

Prego, ci spieghi.

"Questo è un campanello d’allarme. Il numero di persone che scivola verso la povertà è in aumento. Chi è povero e ha fame rischia di fare qualcosa di sbagliato. Io che vado a dare sostegno ai detenuti, me ne rendo conto da vicino".

 

In che modo?

"Mi capita sempre più spesso di trovare, a Poggioreale, senzatetto o extracomunitari ai quali la comunità offriva sostegno e cibo fuori del carcere. Finiscono dentro perché commettono piccoli reati ma non sanno o non possono difendersi".

 

Torniamo al discorso iniziale. Finisce in prigione chi non ha i mezzi per tutelarsi.

"Io sono certo che il motivo è questo. Ne incontro tantissimi che parlano poco e male l’italiano e quindi non riescono a difendersi".

 

Ma trova anche nostri connazionali?

"Ci trovo i più poveri, i diseredati, quelli che non sanno nemmeno quel che è accaduto e ammettono di aver commesso piccoli furti per necessità. Sono loro che non hanno nessuna possibilità di difendersi perché non hanno i mezzi né la cultura per farlo".

 

Lei sostiene che chi ha mezzi e cultura riesce a farla franca?

"C’è qualcuno che pensa che un figlio di papà, dopo aver commesso una bravata rubando i wafer al negozio sotto casa, finisca in galera per tre anni? Mi sembra un’esagerazione, e non si parli di questione-sicurezza".

 

Perché?

"Beh, siamo onesti, è impossibile considerare il furto di un pacchetto di wafer come una questione di sicurezza".

 

E allora coma cataloga l’evento?

"Come un segnale importante, come una richiesta di aiuto. Sapeste quante sono le persone che hanno bisogno delle cose più semplici, del panino che la comunità di Sant’Egidio distribuisce ai senzatetto. Sempre più spesso quel panino vengono a chiederlo anche persone che hanno un tetto, ma non i soldi per comprarsi da mangiare".

 

E rischiano di finire male, magari con tre anni di carcere da scontare...

"E il dramma vero è che nella spirale dei furti per povertà finiscono sempre più spesso le persone anziane. Li pescano con la vaschetta di prosciutto, o con l’adesivo per la dentiera, nascosti sotto la giacca. Sono situazioni drammatiche. Spesso li lasciano andare dopo aver ripreso i prodotti. A volte, fortunatamente, ci sono persone che si offrono di pagare il conto della merce nascosta".

Modena: Cgil; Ionta vuole carceri "aperte", dov’è il personale?

di Cristina Bonfatti

 

www.viaemilianet.it, 9 luglio 2009

 

Il caldo è un problema in carcere, e Roma decide: disporre servizi per allungare il tempo di permanenza all’aperto dei detenuti. Ma dal Sant’Anna i sindacati insorgono: e con quali uomini? Resta drammatica la situazione nell’istituto di pena modenese.

I 50 detenuti sono stati trasferiti, ma la situazione al carcere Sant’Anna non è migliorata granché. I detenuti continuano a superare di gran lunga quota 500, con cinque o sei persone per cella, alcune della quali costrette a dormire in terra e senza materasso. Ogni agente a turno gestisce una settantina di detenuti, ed è già capitato, a causa di un’improvvisa malattia di un poliziotto della penitenziaria, che un collega sia rimasto in servizio dalle 15 fino alle 7 del mattino successivo, dovendo controllare contemporaneamente due reparti.

Una situazione al limite, che rischia di aggravarsi, perché l’amministrazione penitenziaria centrale chiede maggior impegno della polizia nel periodo estivo, per allentare la tensione provocata dal caldo, che in alcuni carceri ha portato a proteste fra i reclusi. "Buone intenzioni non c’è che dire - spiega Luciano Ianigro di Fp-Cigl - poter lasciare all’aperto più a lungo i detenuti quando c’è caldo è scelta umana. Ma se allunghiamo l’attuale turno, che finisce alle 15, servono almeno due uomini in più in servizio e non ci sono. Non dimentichiamo che anche per noi inizia il periodo di ferie, e già ora mancano 4 o 5 agenti per turno". La circolare firmata dal capo dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, però, parla chiaro: i detenuti meno pericolosi devono rientrare nelle celle solo per dormire, nessuna esigenza del personale potrà giustificare una contrazione del tempo all’aperto.

"E noi cosa dovremmo fare - continua Ianigro - mettere nell’area verde settanta detenuti con un solo agente, che se va bene in caso di disordini non può chiamare aiuto perché la radio non va, come già accaduto? E del collega cosa sarà?", dice amareggiato il rappresentante del sindacato.

Il problema è che servono uomini, e in tutto il paese - aggiunge Vincenzo Santoro, Cgil - mentre le assunzioni previste sono appena 300, per tutti i carceri, quando ogni mese ci sono mille nuovi detenuti. E non si aspettano molto i sindacati nemmeno dall’incontro con Ionta previsto per il 20 luglio. "Ci parleranno del piano carceri e dei progetti futuri. Ma le carceri scoppiano adesso e sempre adesso manca il personale, non domani", conclude sconsolato Ianigro.

Sulmona: nove detenuti dell’Alta Sicurezza diplomati geometri

di Chiara Buccini

 

Il Centro, 9 luglio 2009

 

Un progetto per la valorizzazione turistico-culturale della transumanza lungo il tratturo Celano-L’Aquila sulle orme di Antonio De Nino e Gabriele D’Annunzio. Lavoro che rappresenta il riscatto didattico di un gruppo di 9 detenuti, a elevato indice di vigilanza, del carcere cittadino che ha presentato il lavoro per ottenere il diploma da geometra.

Esami di maturità molto particolari considerato che chi è detenuto con elevato indice di vigilanza non può uscire dal carcere. Quest’anno sono ben nove i detenuti diventati geometri. "Durante l’anno scolastico" scrive in una lettera S.P., uno degli studenti che quando entrò in carcere aveva soltanto la licenza elementare "abbiamo preparato diversi lavori collettivi, il più significativo ci pare la rievocazione ai fini turistici, economici e culturali dell’antica transumanza, che fino a qualche decennio fa i pastori abruzzesi effettuavano verso la Puglia.

Abbiamo immaginato" riprende "di percorrere virtualmente un tratto del tragitto Celano-L’Aquila e più esattamente il tratto che attraversa il Comune di Pratola Peligna". Nel viaggio immaginario gli studenti-detenuti, hanno progettato e realizzato (con tanto di relazione tecnica, planimetrie, piante e individuazione del terreno attraverso le mappe catastali) un agriturismo e un museo e riportato alla luce un sito archeologico sulla cui esistenza esistono delle fonti storiche di Antonio De Nino.

Prevista anche l’area pic-nic e il parcheggio per i visitatori. Una parte del progetto è dedicata alla letteratura della transumanza con un’attenzione particolare a Gabriele D’Annunzio e alla storia della pastorizia. Non mancano i riferimenti storico-giuridici con l’individuazione, nel 111 avanti Cristo, della Lex agraria epigrafica che regolamentava le migrazioni stagionali dei pastori dall’Abruzzo verso la Puglia. Nei mesi scorsi, il gruppo ha anche realizzato un opuscolo dal titolo "Sui sentieri della conoscenza" dedicato ad Antonio De Nino.

In questi giorni gli attesi esami di maturità. Emozione anche tra i docenti che hanno seguito i detenuti durante il quinquennio. "È stata un’esperienza formativa anche per noi" spiega la docente Anna Rita Perna "gli studenti si sono impegnati molto e hanno dimostrato di voler migliorare la loro condizione attraverso lo studio, raggiungendo risultati davvero soddisfacenti, alcuni hanno già espresso il desiderio di iscriversi all’Università". Il Polo universitario di Sulmona, negli anni scorsi, ha sottoscritto una convenzione con il carcere di via Lamaccio.

Sanremo: detenuto con 12 dita manda in tilt matricola di carcere

 

Ansa, 9 luglio 2009

 

Problemi la documentazione per il rilievo delle impronte digitali che prevede 10 caselle. La polizia penitenziaria ha individuato un’area per le due dita in più del carcerato (i pollici) e annotato la singolarità nella casella "segni particolari". Carcere di Valle Armea a Sanremo in tilt per un detenuto con 12 dita. I problemi sono scattati all’ufficio matricola quando l’uomo è stato registrato e quando si è scoperta l’anomalia, incompatibile con la documentazione per il rilievo delle impronte digitali che prevede 10 caselle. La polizia penitenziaria ha individuato un’area per le due dita in più del carcerato (i pollici) e annotato la singolarità nella casella "segni particolari". In un universo particolare come quello carcerario il caso di polidattilia o iperdattilia è passato tutt’altro che inosservato. Il detenuto è stato sottoposto ad una visita medica che ha confermato l’origine della malformazione congenita dalla quale è affetto.

Roma: oggi, a Rebibbia, lo spettacolo teatrale "Mediterraneo"

 

Comunicato stampa, 9 luglio 2009

 

Maurizio Costanzo e il Garante dei detenuti Angiolo Marroni, a Rebibbia per la prima dello spettacolo teatrale "Mediterraneo", messo in scena dai detenuti della Casa di Reclusione.

Oggi il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni e Maurizio Costanzo, direttore artistico dei Teatri Parioli e Brancaccio di Roma, parteciperanno alla prima di "Mediterraneo", spettacolo scritto fra gli altri dall’educatore Antonio Turco e messo in scena dal Laboratorio Teatrale Permanente della Casa di Reclusione di Rebibbia.

Lo spettacolo, patrocinato dal Garante dei detenuti del Lazio, conclude un percorso laboratoriale, coordinato dal circolo culturale "Rino Gaetano" dell’Aics di Roma, che ha coinvolto 60 detenuti molti de quali stranieri: 43 di loro domani saranno in scena.

La regia è di Venturini, che da due anni si occupa della Compagnia e del Laboratorio. Lo spettacolo è dedicato al Mediterraneo, come contenitore delle culture degli ospiti del carcere. I detenuti magrebini, arabi, slavi, rumeni, campani, laziali, rom, siciliani, salentini, con il contributo di due detenuti dell’America latina, hanno offerto una visione complessa dei loro ricordi delle terre di origine. Dei loro riti legati alle immagini degli amori giovanili, delle loro speranze disilluse, del loro dramma di sentirsi diversi in ambienti nuovi che li respingono. Da alcuni anni la Compagnia teatrale dell’Istituto, diretto da Stefano Ricca, è in cartellone al Teatro Parioli di Roma.

Domani sera, nel corso della prima dello spettacolo, a Maurizio Costanzo sarà consegnata una targa. Insieme a lui, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, che da sempre sostiene l’attività artistica negli Istituti penitenziari, e il Presidente Nazionale dell’Aics, Bruno Molea.

Volterra: "Compagnia Fortezza"; carcere come Centro cultura

 

Il Tirreno, 9 luglio 2009

 

"L’arte è capace di rompere anche i muri delle prigioni". Così il presidente della Crv Giovanni Manghetti commenta il progetto teatrale che coinvolge i detenuti volterrani, firmato dal regista Armando Punzo. Si tratta di un’esperienza unica, come sottolineano i relatori all’interno della presentazione di Volterra teatro, a palazzo dei Priori.

Si comincia il 13 luglio sul colle etrusco. Dando il via alla 23esima edizione ad un festival che la Compagnia della fortezza porta avanti sempre con maggior successo. È nel carcere volterrano che il teatro dietro le sbarre prende forma e oltrepassa le barriere.

La nuova avventura della Compagnia prende le mosse stavolta da "Alice nel paese delle meraviglie", il personaggio e il libro di Lewis Carrol che da solo scava abissi di alterità, deragliamenti di personalità, scomposizioni di identità e che diventa un "saggio sulla fine di una civiltà" (21-25 luglio, carcere).

Quest’anno viene rilanciata e centralizzata l’idea del carcere come istituto di cultura, saranno infatti ospitati personaggi della cultura e dello spettacolo. Marco Martinelli, regista del Teatro delle albe, presenta il video di Alessandro Renda Ubu sotto tiro sull’esperienza da lui diretta a Scampia (21 luglio, ore 17 carcere - chiesa sotterranea). Vladimir Luxuria parla del suo libro per bambini "Le favole non dette", sul tema della trasformazione (22 luglio, ore 17 carcere - cortile interno). Giovanni Maria Flick, avvocato e professore di diritto penale, già Ministro della Giustizia, affronta il tema della dignità umana (23 luglio, ore 17 carcere - chiesa sotterranea).

Cagliari: sabato conferenza stampa, dopo una visita in carcere

 

Comunicato stampa, 9 luglio 2009

 

L’Associazione 5 Novembre "Per i diritti civili" convoca una conferenza stampa sabato 11 luglio, ore 13.00, presso l’ingresso del Carcere di Buoncammino, in Viale Buoncammino.

A seguito del monitoraggio delle condizioni di vita dei detenuti e delle detenute all’interno degli istituti penitenziari della Sardegna, di Macomer, di Buoncammino e del Cpa di Elmas, che avverranno venerdì 10 e sabato 11 luglio con una visita da parte delle delegazioni dell’Associazione 5 Novembre, di Rifondazione Comunista e dei Radicali Italiani, vi invitiamo alla partecipazione della conferenza stampa che si terrà sabato 11 luglio a Cagliari, presso l’ingresso del Carcere di Buoncammino, in Viale Buoncammino alle ore 13.00.

Alla conferenza stampa parteciperanno Roberto Loddo, dell’Associazione 5 Novembre e del dipartimento diritti civili del Prc, Giuseppe Stocchino, segretario federale Rifondazione Comunista di Cagliari, Ivan Lai della segreteria federale del Prc e capogruppo Prc del Comune di Elmas, Antonella Casu, segretaria nazionale dei Radicali Italiani, e Rita Bernardini, parlamentare radicale eletta nel Pd, componente della commissione Giustizia della Camera dei Deputati.

 

Roberto Loddo

Associazione 5 Novembre

Segreteria Federale Prc Cagliari

Immigrazione: allo studio percorso per regolarizzare le badanti

di Vladimiro Polchi

 

La Repubblica, 9 luglio 2009

 

"Il governo ha allo studio dei percorsi per le famiglie che vogliano regolarizzare le badanti". Spetta al ministro per i Rapporti col parlamento, Elio Vito, spiegare l’ennesima capriola dell’esecutivo. Il governo sta infatti lavorando a una regolarizzazione. L’obiettivo? Salvare dai rigori del reato di clandestinità, le 600mila colf e badanti irregolari in Italia. Due le ipotesi di lavoro: una norma di legge ad hoc e un decreto flussi in autunno. Intanto, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, avverte: "Oggi la società è multiculturale".

A parlare espressamente di regolarizzazione è Elio Vito, secondo il quale il governo proporrà al Parlamento norme con "effetti positivi per il contrasto al lavoro nero", che possono portare fino a "11 miliardi di euro nelle casse dello Stato". Plaude il sottosegretario, Carlo Giovanardi: "È stata accolta la mia proposta". Ma la cifra citata da Vito, allarma la Lega e il ministro della Difesa. Passano infatti poche ore e Ignazio La Russa è pronto a correggere il collega, chiedendo di escludere le colf e limitare la sanatoria solo a "chi assiste ultra settantenni e persone portatrici di handicap". E Roberto Cota (Lega) aggiunge: "Se il governo studia un provvedimento che non è una sanatoria generalizzata lo verificheremo".

Nelle stesse ore, dal presidente della Camera, Gianfranco Fini arriva l’avvertimento a non considerare "il razzismo debellato". Poi, nell’introduzione al catalogo della mostra "Convergenze mediterranee" (dal 14 luglio a Montecitorio), Fini elogia la multiculturalità, che "presuppone la piena libertà di scegliere prescindendo dalla propria cultura di riferimento". E netto appare il contrasto con quanto affermato il 9 maggio scorso dal premier Silvio Berlusconi contro "l’Italia multietnica".

Che le acque siano agitate nella maggioranza, lo conferma poi l’iniziativa di quattro deputati "finiani" - Granata, Perina, Mussolini e Barbieri - che presentano un emendamento al decreto anti-crisi per sanare tutti coloro che abbiano fatto una richiesta di regolarizzazione. Immediato arriva, però, lo stop di Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati Pdl: "Il decreto anti-crisi non è lo strumento adeguato".

Due i progetti sui quali stanno lavorando i tecnici del Viminale. Primo, una norma per regolarizzare chi può dimostrare di avere un lavoro domestico e di essere entrato in Italia prima di una certa data (antecedente all’entrata in vigore del reato di clandestinità). Secondo, un decreto flussi 2009 per salvare dai rigori della legge chi ha già fatto domanda d’assunzione. "Apprezziamo il tentativo di risolvere il problema contingente - commenta Andrea Olivero, presidente delle Acli - ma non basta: bisogna prevedere nuovi strumenti di ingresso legale, come il permesso per ricerca di lavoro". E oggi alla Senato, verrà presentato un disegno di legge bipartisan per la "regolarizzazione del lavoro dei cittadini stranieri".

Immigrazione: nel Cie di Milano, detenuti in sciopero della fame

 

Ansa, 9 luglio 2009

 

Alcune decine di militanti del movimento antirazzista hanno consegnato questo pomeriggio al Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano diverse bevande destinate agli stranieri rinchiusi nel centro.

I detenuti sono in sciopero della fame da diversi giorni contro la norma del pacchetto sicurezza che allunga i tempi di permanenza all’interno del centro fino a 6 mesi per consentire l’identificazione di quegli stranieri privi di documenti e permesso di soggiorno. L’iniziativa dei giovani del Comitato antirazzista arriva nel giorno del G8 e poche ore prima della manifestazione organizzata a Milano per chiedere ai grandi del mondo delle politiche sociali diverse.

Diritti: convegno "Prostituzione: quali politiche e quali risposte"

 

Fuoriluogo, 9 luglio 2009

 

Presentato a Roma, da parte di Associazione On the Road, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Cooperativa Dedalus, Consorzio Nova, Coordinamento Nazionale delle Comunità d’Accoglienza (Cnca) e Movimento di Identità Transessuale (Mit), un rapporto sugli effetti delle ordinanze comunali contro la prostituzione in strada. Le Associazioni hanno denunciato un accanimento ingiusto e insensato fatto di ordinanze, pacchetto sicurezza e ddl Carfagna e chiedono che il testo predisposto in materia dal Governo venga ritirato.

Se alle nuove norme sulla sicurezza, appena approvate in Parlamento, si aggiungeranno le disposizioni contenute nel Ddl Carfagna sulla prostituzione, l’effetto sulle persone straniere costrette a prostituirsi sarà devastante. Sarebbe un accanimento ingiusto e insensato nei confronti di persone che vanno invece sostenute, specie se vittime di tratta e di grave sfruttamento. Lanciano un grido d’allarme le organizzazioni che hanno promosso ieri a Roma un seminario nazionale intitolato "Prostituzione. Quali politiche e quali risposte".

Associazione On the Road, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Cooperativa Dedalus, Consorzio Nova, Coordinamento Nazionale delle Comunità d’Accoglienza (Cnca) e Movimento di Identità Transessuale (Mit) hanno presentato nel seminario, a riprova delle proprie critiche al testo del Ddl Carfagna, un rapporto di monitoraggio in cui vengono esaminate le ordinanze contro la prostituzione di strada emesse in ben 56 comuni, distribuiti su 23 province e 11 regioni, che di fatto anticipano l’applicazione del disegno di legge proposto dalla ministra Carfagna per vietare l’esercizio della prostituzione in "luogo pubblico o aperto al pubblico".

Dall’approvazione del "pacchetto Maroni" - che l’estate scorsa ha conferito ai sindaci il potere di intervenire in materia di sicurezza pubblica - infatti, sono state circa 600 le ordinanze emesse dai Comuni e il 16% di esse ha riguardato la prostituzione in strada. Dal rapporto emerge con evidenza che l’unico effetto prodotto dalle ordinanze è quello di spostare temporaneamente il "problema", senza rispondere all’esigenza di sicurezza dei cittadini e aggravando le condizioni di insicurezza e sfruttamento di chi si prostituisce.

In tutte le aree geografiche monitorate dalle unità di strada delle 26 associazioni che hanno contribuito alla realizzazione del rapporto è stata registrata una forte riduzione delle presenze in strada nei primi giorni di attuazione delle ordinanze e un significativo spostamento verso aree limitrofe non soggette a tali provvedimenti; il numero delle persone in strada, tuttavia, è generalmente tornato a salire non appena i controlli sono diminuiti.

La prima reazione delle reti criminali che controllano la prostituzione è stata quella di intensificare il turnover in strada e di spostare l’attività prostituiva verso i luoghi chiusi (sono aumentati gli annunci di offerta prostituiva in appartamento, molti locali notturni sono diventati punti di offerta anche di prestazioni sessuali a pagamento).

Le principali conseguenze registrate sono state:

- l’aumento della dipendenza dalla rete dello sfruttamento, per il controllo che quest’ultima ha rispetto al reperimento di appartamenti e all’ingresso al lavoro nei night;

- la diminuzione delle possibilità di contatto con operatori sociali e forze dell’ordine, con una conseguente riduzione delle tutele, dell’informazione e dell’orientamento alle opportunità di uscita dai circuiti di tratta e sfruttamento;

- un aumento dei rischi connessi alla salute, in quanto lo spostamento verso zone nascoste produce una concentrazione di donne nella stessa area, costrette da tale concorrenza a non rispettare anche le più elementari norme di protezione nei rapporti con i clienti.

La recente approvazione del disegno di legge sulla sicurezza - con l’introduzione del reato di clandestinità e la conseguente difficoltà ad accedere anche a basilari servizi pubblici per paura di essere denunciati - renderà ancora più difficili le condizioni di vita di tante donne, uomini e minori stranieri che si prostituiscono in Italia in condizioni di forte disagio o di grave sfruttamento. Il Ddl Carfagna darebbe loro il colpo di grazia.

È dunque per ragioni di fatto e non ideologiche che le associazioni che hanno promosso il seminario ritengono inemendabile e totalmente da respingere il disegno di legge predisposto dal Governo e chiedono alla Ministra di aprire un vero dialogo con gli addetti ai lavori - mai realmente avviato - per arrivare a definire un testo che non sia un’altra legge-manifesto, ma una risposta concreta ad efficace alla cittadinanza, alle persone che si prostituiscono, alle vittime di tratta e sfruttamento.

Droghe: incontro Governo - Regioni, dedicato alla prevenzione

 

Redattore Sociale - Dire, 9 luglio 2009

 

Giovanardi: "Il Piano non sarà un libro dei sogni, ma dovrà essere vicino alle esigenze dei territori". Serpelloni: "Auspicabile l’istituzione di un punto di coordinamento per la comunicazione, per campagne di informazione".

Si è svolta ieri mattina a Palazzo Chigi la seconda riunione per l’elaborazione del Piano d’Azione Nazionale 2009-2012, organizzata dal Dipartimento politiche antidroga.

L’incontro è stato dedicato al tema della prevenzione, "riguardo al quale - si legge in una nota del Dipartimento - si rende necessario prevedere nel Piano d’Azione: una maggior attenzione alle fasi precoci dell’uso di droghe da parte dei giovanissimi, un più puntuale supporto alle famiglie e agli educatori, la realizzazione di campagne di prevenzione nei luoghi di lavoro, da associare ai test sui lavoratori con mansioni a rischio già in corso; migliorare le rete dei servizi di assistenza e il riorientamento dei Sert non più soltanto come agenzie di cura ma anche come agenzie di educazione e prevenzione, così che il loro messaggio e la loro presenza arrivino ai giovani e alle famiglie e non più soltanto a una minoranza della popolazione; attrezzare inoltre i servizi a trattare i consumatori non ancora tossicodipendenti ma con uso periodico e ritualizzato di droghe, ad effettuare quindi una prevenzione dell’evoluzione verso forme di dipendenza vera e propria".

Nel corso della riunione è stata rappresentata anche l’urgenza di segnalare come sostanze pericolose gli stimolanti utilizzati in ambito sportivo o alcuni farmaci assunti non a scopo terapeutico; la necessità di intervenire non solo sui giovani, con campagne di informazione e prevenzione, ma anche sugli adulti che consumano sostanze, sui media e sul mondo dello spettacolo. L’importanza, infine, di migliorare la vigilanza da parte delle scuole e i controlli nei luoghi di ritrovo e divertimento.

"Il Piano d’Azione - ha sottolineato il senatore Carlo Giovanardi, sottosegretario alla Presidenza del Consigli dei Ministri - deve avere un respiro nazionale ma non vuole essere il libro dei sogni, un elenco di soluzioni universali. Gli interventi che esso conterrà dovranno essere poi declinati in programmi regionali che tengano conto delle esigenze e delle potenzialità finanziarie delle singole amministrazioni".

"Anche questa volta - ha affermato Giovanni Serpelloni, Capo del Dipartimento politiche antidroga - dobbiamo rilevare purtroppo, nonostante i pressanti e continui inviti, la ridotta presenza di alcune Regioni al dibattito. Nell’ottica della collaborazione e del coordinamento delle azioni sarebbe auspicabile l’istituzione di una punto di coordinamento per la comunicazione, come ne esistono all’estero, che elabori campagne di informazione e prevenzione le quali, a loro volta, possono essere utilizzate a tutti i livelli istituzionali".

Droghe: Lila; in "Linee guida" ideologia e mancata innovazione

 

Redattore Sociale - Dire, 9 luglio 2009

 

L’associazione critica il documento del Dpa e attacca l’addendum: "Pill test e le sale di aiuto somministrazione raccomandate e supportate sia da importanti agenzie internazionali, sia da società scientifiche e associazioni".

"Un documento che avrebbe dovuto essere esclusivamente di taglio tecnico, in realtà contiene posizioni che ci sembrano apertamente di natura ideologica": è il commento della Lila sulle linee guide diffuse dal Dipartimento politiche antidroga, "Misure e azioni concrete per la prevenzione delle patologie correlate all’uso di sostanze stupefacenti (prevenzione riduzione dei rischi e dei danni)". La Lega ha scritto una lettera aperta al Capo del Dpa Serpelloni; sotto accusa "l’addendum" al documento (in cui si parla di stanze del buco, pill testing e distribuzione controllata dell’eroina) che "conferma il taglio ideologico e la mancata innovazione".

"In ambito internazionale - e non solo legato all’universo Hiv/Aids - il pill test sulle sostanze e le sale di aiuto somministrazione sono ascritte tra gli interventi di riduzione del danno, raccomandate e supportate sia da importanti agenzie internazionali, sia da società scientifiche e associazioni", commenta la Lila. Analoga la posizione della Lila sulla diffusione controllata dell’eroina, "che dovrebbe essere inclusa più opportunamente tra i trattamenti farmacologici". "Dove sono stati avviati programmi di sostituzione con eroina - commenta - l’obiettivo del contrasto alle overdose e alle infezioni acquisibili con pratiche iniettive ha prodotto risultati e evidenze che in un documento tecnico andrebbero a nostro avviso riportate".

Sulla questione della riduzione del danno la discussione tra governo e associazioni è ancora totalmente aperta. La Lila sottolinea che la riduzione del danno "non può e non deve essere l’unico modello di intervento preventivo" ma giudica "eccessiva e non pertinente l’enfasi data alla differenziazione di tali interventi".

"Crediamo - prosegue la lettera - che il non aver incluso tra gli strumenti di profilassi i materiali per l’inalazione e il consumo non iniettivo di sostanze in funzione del contenimento del virus Hcv e della tubercolosi sia una scelta irresponsabile vista la diffusione di tali infezioni tra i consumatori non iniettivi, anche alla luce delle evidenze scientifiche. Infatti, benché queste modalità di consumo siano ben note al DPA e segnalate nella "Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia nel 2008" da voi presentata in questi giorni, si è scelto "paradossalmente" di ignorarle nonostante la nostra incalzante richiesta".

Droghe: se il narco-test diventa un "alibi", per il licenziamento

di Stefano Vecchio (Direttore Dipartimento Dipendenze, Asl Napoli 1)

 

Il Manifesto, 9 luglio 2009

 

Dal novembre 2007 i dipendenti di aziende pubbliche e private dei trasporti, ed altre categorie specifiche di lavoratori, sono considerati, in base a norme concordate tra lo Stato e le Regioni (con un primo provvedimento varato dal centro-sinistra e un secondo provvedimento, più recente, varato dall’attuale governo Berlusconi nel 2008), a rischio "per la sicurezza, l’incolumità propria e di terzi, anche in riferimento ad un’assunzione sporadica di sostanze stupefacenti".

Si tratta di una misura che coinvolge centinaia di migliaia di persone. In sostanza si stabilisce che tutti i lavoratori di queste aziende dovranno essere sottoposti a test tossicologici da parte dei medici competenti (del lavoro). I lavoratori che risulteranno positivi saranno temporaneamente sospesi e dovranno successivamente recarsi al Ser.T. di riferimento territoriale, che avrà il compito di valutare se il soggetto è o meno tossicodipendente. Solo nel caso di una diagnosi di tossicodipendenza espressa con chiarezza dall’equipe del Ser.T. il lavoratore sarà sospeso dal lavoro per sottoporsi a un trattamento specifico, come previsto dai contratti nazionali di lavoro, in seguito al quale sarà reintegrato nel posto di lavoro.

Le norme, soprattutto per effetto del secondo provvedimento, si prestano a interpretazioni diverse e creano una realtà di pericolosa incertezza nella loro applicazione sul piano ad esempio della tutela della privacy del lavoratore. Ad esempio, come è noto, un test tossicologico non ci dice se la persona ha usato la sostanza nel corso del lavoro ma solo se l’ha fatto nelle ultime quarantotto ore per la cocaina e l’eroina, o negli ultimi trenta giorni per la cannabis. Quindi i test possono servire solo a orientare verso un ulteriore approfondimento diagnostico.

Invece, si indaga di fatto sulla vita quotidiana e infatti, sempre con la scusa di approfondire gli elementi diagnostici, si è reso obbligatorio il discusso test del capello che, in realtà, avrà la funzione di svelare quante sostanze ha consumato il soggetto negli ultimi mesi senza precisare altro. Cioè una vera e propria schedatura chimica!

Anche se quel lavoratore non sarà risultato tossicodipendente, la sua immagine e la sua affidabilità saranno compromesse nell’azienda, incomberà su di lui il "ragionevole dubbio" indicato dal secondo atto, quello del centro-destra, in un clima da sospetto e da inquisizione!

Ci si chiede come mai, inoltre, sia stato escluso l’alcol dalle sostanze incriminate, quando è risaputo che gli studi e le statistiche collegano prevalentemente gli incidenti d’auto al consumo di sostanze alcoliche anche quando sono implicate altre droghe. Evidentemente le logiche di mercato sono prioritarie rispetto alla sicurezza e ai diritti.

In realtà vi sono forti sospetti che i due Atti di indirizzo rispondano poco alla normativa sulla sicurezza sul lavoro ma che tendano a divenire una ulteriore articolazione della legge Fini-Giovanardi e cioè rappresentino uno strumento per intercettare comportamenti da stigmatizzare, riprovare, e se necessario punire con un licenziamento. In questa situazione il medico competente e gli operatori dei Ser.T. rischiano di stravolgere la loro mission da agenti di salute e di cura a strumenti brutali di controllo sociale.

In realtà ritengo che il problema sicurezza nel mondo dei trasporti non vada eluso, ma andrebbe affrontato con una logica diametralmente opposta a quella dei controlli ossessivi e punitivi. Bisognerebbe orientare l’azione sulla informazione consapevole dei lavoratori e puntare a rinforzare il senso di responsabilità di questi con azioni mirate al controllo e al contenimento dei rischi che in altri contesti (ad esempio, nei luoghi del divertimento) sono state già validamente sperimentate.

Solo seguendo una logica del genere è possibile organizzare un sistema di verifiche che coinvolga medici competenti e Ser.T., con il consenso dei lavoratori, tutelando la privacy di questi in modo rigoroso, e soprattutto limitando i controlli esclusivamente alla realtà lavorativa senza alcuna incursione nella vita privata dei soggetti interessati. Le Regioni, nei loro provvedimenti attuativi, dovrebbero seguire questa logica e riaprire insieme con i sindacati un confronto con il Governo per modificare i due atti in questo senso.

Droghe: modifiche al codice stradale; sono in arrivo i narco-test

di Carlo Mercuri

 

Il Messaggero, 9 luglio 2009

 

È in dirittura d’arrivo l’approvazione del testo unificato sulla sicurezza stradale, all’esame della Commissione Trasporti della Camera in sede legislativa. Ieri i lavori si sono momentaneamente incagliati su un emendamento della Lega che ha inteso modificare le regole sulla somministrazione di alcolici nelle discoteche dopo le 2 di notte dando potere ai sindaci di valutare e di emanare ordinanze secondo bisogna.

Il narco-test. La novità più grossa che è stata inserita nel testo riguarda il narco-test. Vuol dire che le pattuglie della Polizia stradale potranno fare le verifiche, a carico dei guidatori, per vedere se sono sotto l’effetto di sostanze stupefacenti oppure no. Finora si era parlato soprattutto di etilometro e di verifiche sull’uso di alcol da parte del guidatore. D’ora in avanti il concetto di "tolleranza zero" per frenare la strage sulle strade sarà esteso "fattivamente" anche all’uso di droghe. Come faranno le pattuglie della Polstrada ad eseguire anche quest’altra verifica? Con una macchinetta in grado di analizzare saliva e sudore del guidatore e che segnala immediatamente se l’automobilista è sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

Il motorino. L’altra grande novità del testo sulla sicurezza stradale è quella che prevede il superamento di un esame pratico e teorico anche per i quattordicenni che vorranno guidare un motorino. L’aspirante ciclomotorista dovrà affrontare l’esame di patente pratica oltre a un’ora di lezione teorica. La lezione di teoria serve "ad acquisire - si legge nel testo - elementari conoscenze sul funzionamento dei ciclomotori in caso di emergenza. Ai fini del conseguimento del certificato - già previsto dalla legge attuale - gli aspiranti sono tenuti a superare previa idonea attività di formazione una nuova pratica del ciclomotore".

Altre novità. Un altro emendamento stabilisce multe da 389 a 1559 euro per chi, in caso di "incidente con danno a uno o più animali domestici, da lavoro o protetti, non ottempera all’obbligo di fermarsi". Previste multe (da 155 a 624 euro) anche per coloro che non rispettano l’ambiente: "Chiunque - recita il nuovo emendamento - circola con veicoli appartenenti relativamente alle emissioni inquinanti a categorie inferiori a quelle prescritte è soggetto a una sanzione amministrativa" che può arrivare a superare appunto i 600 euro.

Le misure principali. Sono quelle su cui la Commissione Trasporti della Camera si è già espressa, e cioè: tasso alcolico zero per i più giovani e per tutti i neopatentati, che non potranno bere neppure un sorso di birra prima di mettersi alla guida; carcere fino a 15 anni se si è al volante in stato di ebbrezza con un tasso alcolemico superiore a 1,5 o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e si è responsabili di un incidente mortale che coinvolge più persone.

La certezza della pena. È uno dei capisaldi su cui si basa l’intero provvedimento. Non ci sarà più il "congelamento" delle sanzioni: chi incapperà in una sanzione e farà ricorso al giudice di pace non potrà più sfruttare la cosiddetta "sospensione" della sanzione stessa. Si dimezzeranno invece i tempi per la comunicazione dell’infrazione : si passerà dagli attuali 150 giorni a 90 giorni.

Multe più salate. Chi pigia sull’acceleratore e supera i limiti di velocità tra i 40 e i 60 chilometri all’ora pagherà tra 500 e 2.000 euro ma vedrà i punti ridursi di sei unità e non più di dieci, mentre chi supera di 60 chilometri all’ora il tetto pagherà tra gli 800 e i 3200 euro.

Usa: Guantanamo; alcuni innocenti restano comunque in carcere

 

Ansa, 9 luglio 2009

 

Per i detenuti di Guantanamo considerati pericolosi l’amministrazione Obama sta seguendo gli stessi criteri che seguiva l’amministrazione Bush, e non esclude che i detenuti riconosciuti non-colpevoli dalle commissioni militari possano comunque restare in carcere per un tempo indefinito.

Lo rileva oggi il Wall Street Journal, che riporta quanto presentato dai legali del Pentagono ad un’audizione davanti alla Commissione Forze Armate del Senato, dedicata interamente ai problemi legali riguardanti i detenuti non americani accusati di terrorismo.

I casi sono così complessi che rappresentano una vera e propria sfida giuridica per l’amministrazione Obama e la sua volontà di chiudere Guantanamo entro l’anno. Per questo gli esperti di diritto incaricati dal governo americano di seguire la revisione stanno procedendo con grande cautela nel rivedere le procedure riguardanti la detenzione dei prigionieri di Guantanamo e, più in generale, dei detenuti accusati di terrorismo.

Tra i tanti aspetti legali che l’amministrazione Obama sta affrontando, vi è anche questa: un detenuto non americano considerato pericoloso deve restare in carcere anche se già giudicato non-colpevole. Gli esperti di diritto incaricati dalla nuova amministrazione americana di trovare una via giuridicamente compatibile per la chiusura di Guantanamo hanno precisato che, nel caso specifico, si rifanno a questo principio: deve essere facoltà del governo, come previsto dalle leggi di guerra, mantenere indefinitamente in carcere un terrorista il cui rilascio possa essere legittimamente considerato una minaccia. Anche nel caso in cui lui nel frattempo sia stato assolto per i reati specifici per cui era stato a suo tempo incarcerato.

L’avvocato Jeh Johnson, il responsabile dell’Ufficio legale del Pentagono, ha precisato che questi prigionieri dovrebbero ricevere "saltuariamente" una verifica della loro posizione, in vista di un eventuale rilascio.

Questa linea di condotta nei confronti dei detenuti pericolosi è stata accolta favorevolmente dalla Commissione del Senato. "Alcuni di loro potranno uscire, perché nel frattempo si sono riabilitati; altri no, potrebbero restare in carcere per sempre - ha commentato il repubblicano Lindsey Graham, senatore del South Carolina -. Ma non è certo mia intenzione mettere la gente in un buco nero solo perché lo dice Dick Cheney". Sono equilibrate ragioni di sicurezza che lo impongono.

Questo è peraltro solo uno degli aspetti giuridici che il Congresso è chiamato ad affrontare circa il trattamento dei prigionieri di Guantanamo. Tra gli altri, il più delicato è quello relativo agli interrogatori: se possano cioè essere utilizzate o meno al processo le informazioni ottenute sotto tortura.

Francia: detenuto impiccato e nuova notte di violenze a Firminy

 

Ansa, 8 luglio 2009

 

Dopo la morte ufficializzata ieri di Mohamed Benmouna, 21 anni, che lunedì aveva tentato di suicidarsi con una corda al collo nel commissariato dove si trovava in stato di fermo, a Firminy (banlieue di Saint-Etienne nel sud-est della Francia) si è scatenata una nuova notte di violenza urbana con diversi incendi.

Gli amici di Mohamed, che accusano i poliziotti di essere responsabili della morte del giovane, hanno incendiato un edificio, almeno cinque macchine e diversi cestini della spazzatura. Non c’é stato invece nessuno scontro con le forze dell’ordine.

L’autopsia ha rivelato che il giovane è morto per asfissia a causa della corda legata intorno al collo. I sindacati di polizia hanno respinto ogni responsabilità sottolineando che "lo stato di degrado delle celle è spesso causato da coloro che le occupano".

 

 

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