Rassegna stampa 8 luglio

 

Giustizia: sul "pacchetto-sicurezza" il Quirinale prende tempo

di Paolo Cacace

 

Il Messaggero, 8 luglio 2008

 

Il pacchetto sicurezza rischia di incappare nel "non possumus" del Quirinale e quindi in un rinvio alle Camere? L’ipotesi per ora è piuttosto remota, ma è certo che il testo della legge - approdato lunedì scorso sul Colle per la promulgazione - qualche dubbio e qualche perplessità potrebbero provocarla e potrebbero indurre lo stesso Napolitano a manifestarle.

Per ora il Quirinale prende tempo. Ci si limita a precisare che l’intero pacchetto è "sotto attento esame" del capo dello Stato e del suo staff giuridico e che qualunque decisione è rinviata alla conclusione del G8 dell’Aquila.

Napolitano - come suo diritto e dovere - vuole verificare se nel testo esistono palesi profili d’incostituzionalità e se i rilievi e le raccomandazioni a suo tempo formulati personalmente al ministro Maroni (si ricordi, ad esempio, la questione delle ronde) hanno trovato un accettabile punto di equilibrio.

L’impressione è che se - come appare probabile - Napolitano non dovesse arrivare al passo estremo del rinvio della legge alle Camere potrebbe trovare comunque il modo di esprimere - nel momento della promulgazione - le sue perplessità, su alcuni punti critici riguardanti ad esempio, l’immigrazione clandestina.

Ma per ora - va sottolineato - si tratta di ipotesi e congetture. In queste ore, il pensiero dominante sul Colle è quello di evitare qualsiasi polemica che possa turbare un sereno e proficuo svolgimento del G-8 dell’Aquila e per il quale lo stesso Napolitano aveva sollecitato qualche giorno fa "una tregua" da parte delle forze politiche dei media.

Inoltre, nelle valutazioni del Quirinale ai fini della decisione definitiva peserà anche la pressoché contemporanea vexata quaestio del ddl sulle intercettazioni, già oggetto nei giorni scorsi della moral suasion quirinalizia per alcune modifiche da parte del governo; un pressing che finora si è tradotto in uno slittamento a settembre del voto al Senato e quindi nella possibilità di un dibattito più ampio in sede parlamentare.

Tuttavia, un chiarimento definitivo sull’atteggiamento del Quirinale sul "pacchetto sicurezza" sarà possibile soltanto alla fine di questa settimana o all’inizio della prossima, quando i riflettori internazionali si saranno spenti all’Aquila e si potrà affrontare con maggiore serenità l’intera questione.

Giustizia: "wanted", le foto degli stupratori sui muri delle città

di Maria Novella De Luca

 

La Repubblica, 8 luglio 2008

 

Wanted: il volto dello stupratore sarà affisso ovunque, autobus, mezzi pubblici, supermercati, muri cittadini, affinché chiunque lo riconosca possa denunciarlo. Wanted, ricercato, la foto segnaletica in formato gigante dei violentatori e dei pedofili apparirà nei corridoi del metrò, sulle buste di latte, sui pali della luce.

È questa una delle maggiori novità del disegno di legge sulla violenza sessuale in discussione alla Camera, un punto controverso, due volte respinto dal "pacchetto sicurezza", approdato invece tra le nuove norme contro i crimini sessuali. Lo ha presentato una deputata del Pdl, Mariarosaria Rossi, che nonostante le critiche sia del Governo che dell’opposizione ha riproposto con tenacia il suo testo. Così adesso la pratica del "wanted" è diventata l’articolo 6 del nuovo testo, seppure con una serie di correzioni e cautele.

"In effetti l’affissione dei manifesti con la fotografia o l’identikit dei ricercati dovrà essere autorizzata dai prefetti - ammette Marirosaria Rossi - che a loro volta dovranno avere il via libera dall’autorità giudiziaria. La misura è drastica, inusuale per il nostro paese, e il dibattito è aperto. La boccia con un amaro "segno dei tempi folli in cui viviamo" Livia Turco, deputata del Pd, che partecipò alla stesura del testo di legge che tredici anni fa rivoluzionò il concetto di violenza sessuale, da reato contro la morale a reato contro la persona.

"Sono uscite demagogiche nella scia giustizialista delle ronde e del tutto inefficaci nella vera lotta alla violenza sessuale. Una battaglia che prevede la repressione certo, ma soprattutto la diffusione di una cultura sull’inviolabilità del corpo delle donne. Purtroppo è proprio questa cultura che oggi mi sembra dimenticata, e le donne stesse mi sembra che abbiano perso la voce". Difende invece il provvedimento Stefania Prestigiacomo, oggi ministro dell’Ambiente, anche lei firmataria della legge del 1996.

"A sensazione dico che è un provvedimento giusto, se si riconosce il volto di un criminale si può chiamare la polizia, il 113, evitare che ci siano altre vittime, fermare lo stupratore prima che colpisca ancora. No, non credo che si possa scatenare una caccia all’uomo, ritengo anzi che cittadini si possano sentire più tutelati". Pensa invece che il rischio di linciaggio o quantomeno di aggressione verso persone del tutto innocenti sia serio e grave Donatella Ferranti, capogruppo del Pd in commissione Giustizia alla Camera.

"Il testo attuale - spiega - è profondamente diverso da quello originario che prevedeva l’uso dei manifesti già in presenza di sospetti e senza alcuna autorizzazione da parte di giudici. Grazie alle nostre proposte correttive l’affissione dovrà essere conseguente a una valutazione del giudice e ad una riconosciuta ed effettiva pericolosità sociale. La norma continua tuttavia a non convincerci perché sembra voler introdurre nel nostro ordinamento sistemi primordiali di giustizia più vicini a quelli del "far west" che a quelli di una società moderna".

Giustizia: lo strano rapporto tra Berlusconi e le intercettazioni

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 8 luglio 2008

 

Che le intercettazioni debbano essere oggetto di una seria e rigorosa riforma è un fatto acclarato. Non a caso diversi partiti politici lo hanno affermato nei loro programmi elettorali. Una riforma non solo necessaria, ma anche importante viste le sue notevoli implicazioni. Migliorare il ricorso a uno strumento investigativo così utile, proteggere il diritto costituzionale alla riservatezza nelle comunicazioni.

Una riforma che andava fatta subito e bene. Ed invece, Berlusconi si è occupato di intercettazioni in modo altalenante. Una altalenanza tra indifferenza e attenzione. Una altalenanza un po’ strana. Mai credere alle coincidenze. È vero. Ma i fatti dicono altro. Dicono che Berlusconi ha iniziato a minacciare una riforma delle intercettazioni, in coincidenza con l’inchiesta Napoletana. Stranamente, da quell’indagine nessuna imbarazzante intercettazione è finita sui giornali, e stranamente la riforma delle intercettazioni è caduta nel dimenticatoio. Passano i mesi e accade che la Procura di Bari ascolta le frequentatrici di Palazzo Grazioli. Apriti cielo! Il Governo presenta un maxi emendamento e pone la fiducia. Il 10 giugno, la Camera approva.

Poi, a una settimana dalla discussione in Senato, un nuovo misterioso stop alle intercettazioni. Berlusconi, forse per il timore di un’ulteriore inchiesta giudiziaria, si è convinto di nuovo a fermarsi. La domanda sorge spontanea: è questo il modo di governare? Non sembra. E non sembra questo il modo per affrontare un tema così serio come le intercettazioni. Subito una riforma giusta. Questo fa un Governo.

Giustizia: Dap; affollamento e caldo, in carceri "rischio conflitti"

 

Redattore Sociale - Dire, 8 luglio 2008

 

Il sovraffollamento e il caldo aumentano il rischio di conflitti e problemi interni. I suggerimenti fanno riferimento a provvedimenti "qualitativi" per evitare atti di autolesionismo e non sopprimere le misure di inclusione.

Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ha emanato una circolare per i provveditori regionali concernente le difficoltà derivanti, nella stagione estiva, dalle condizioni di sovraffollamento delle carceri italiane. Nella circolare, il dipartimento segnala iniziative e provvedimenti da adottare per la tutela della salute e della vita delle persone detenute o internate.

"Gli istituti penitenziari - si legge - stanno attraversando una fase altamente critica in cui gli aspetti di maggiore preoccupazione attengono, oltre che alla capacità di tenuta del sistema - che ricomprende il mantenimento dell’ordine e della sicurezza - anche all’adeguatezza delle risposte e degli strumenti di cui si dispone per garantire la prevenzione dei rischi per la salute e la vita dei ristretti".

Crescono dunque i fattori di criticità. Nella circolare si fa riferimento, "in chiave esemplicativa", al nodo delle carenze di organico della polizia penitenziaria, alla riduzione delle risorse finanziarie nella gestione dei bilanci degli istituti e degli Uepe, nonché le problematiche relative al processo di transito della medicina penitenziaria al servizio sanitario nazionale.

Ma, si rileva, non tutti gli elementi di vulnerabilità dipendono da fattori di natura "quantitativa". L’efficacia e l’efficienza dipendono anche da fattori "qualitativi", le cui eventuali inadeguatezze "non possono essere dissimulate dietro la carenza degli organici".

Capienza. La circolare sottolinea come "la condizione di generalizzato sovraffollamento sta determinando l’esaurimento degli spazi allocativi". Insomma, è stato vanificato l’effetto dell’indulto e per fronteggiare l’emergenza il Dap ritiene necessario l’intervento dei provveditori per individuare spazi detentivi a gestione "aperta", a cui assegnare i detenuti di minore pericolosità. Con questa manovra sarebbe così possibile, dopo avere individuato le strutture idonee, compensare nelle stesse i minori spazi destinati alle camere di detenzione - da convertire in camere di solo pernottamento - con la permanenza all’aperto protratta nel corso della giornata e con una "offerta trattamentale più robusta" (aumento dei colloqui, maggiori occasioni di trattamento e di intrattenimento).

Per quanto riguarda l’avvento dei mesi più caldi, il Dap ritiene opportuno che i provveditori sensibilizzino le direzioni degli istituti "affinché non sia trascurato ogni intervento realisticamente attuabile per migliorare la qualità e l’efficacia delle strategie indirizzate al conseguimento degli obiettivi istituzionali, primo fra tutti la tutela della vita e della salute delle persone detenute".

Ed allora, in sintesi: accertare che tutte le direzioni degli istituti abbiamo regolamentato il "servizio di accoglienza" e l’operatività dello staff multidisciplinare (gruppo di lavoro per i nuovi giunti dalla libertà ed esteso a qualsiasi detenuto o internato a rischio auto-etero lesivo o suicida). A tal proposito viene chiesto uno screening scrupoloso che eviti un livellamento verso l’alto del grado di pericolosità dei detenuti. Poi viene ritenuto necessario che le direzioni abbiamo disciplinato i cosiddetti "regimi di sorveglianza intensificata", per gestire dal di dentro i fenomeni di pericolosità.

I disagi della stagione estiva possono produrre poi un aumento del rischio di atti autolesionistici. Si chiede dunque di verificare che tutti gli istituti abbiano recepito le direttive in materia di generi di cui è consentito il possesso, l’acquisto o la ricezione, etc.

Per i detenuti tossicodipendenti, si chiede attenzione per l’assunzione di eccessive quantità di farmaci o psicofarmaci accumulati arbitrariamente o trafficati. Ed è ritenuta fondamentale l’azione di agenti e operatori per reprimere condotte che mirano a ottenere con insistenza sovradosaggi. Si chiede anche che venga verificata la presenza di una disciplina per la distribuzione di terapie, compresi i farmaci sostitutivi (metadone) ai soggetti in carico ai Sert.

Conflitti. Poiché in estate "è prevedibile un innalzamento delle situazioni conflittuali", il Dap chiede che le direzioni impartiscano le disposizioni "per evitare che i ristretti possano convogliare le tensioni in forme di protesta derivanti da eventuali carenze nella soddisfazione dei bisogni primari" (es: assenza di acqua).

In chiave strategica, si chiede poi massima attenzione per "non comprimere quegli spazi vitali (attività di intrattenimento, percorsi formativi, colloqui con i volontari, etc.) che concorrono ad alleviare le tensioni nei mesi più caldi".

Chiesto, inoltre, che trovino regolare corso le iniziative incluse nel "Progetto pedagogico". Particolare impegno si chiede poi per il problema della razionalizzazione dei posti e dei tempi di durata delle attività lavorative penitenziarie, di tipo domestico, industriale o agricolo. "In chiave di opportunità - si legge - appare preferibile che le direzioni orientino le proprie scelte verso formule di lavoro part-time che, attraverso una rotazione periodica dei lavoranti, seguano la filosofia dell’impiegare il maggior numero di ristretti". Insomma, lavorare meno, lavorare tutti.

Ed ancora: nella ripartizione delle risorse, privilegiare quelle direzioni che abbiano optato per l’organizzazione di servizi in economia con manodopera detenuta. E maggiore impulso, per il Dap, andrà dato le convenzioni attuative della legge Smuraglia, "trattandosi di iniziative che di fatto prevedono la creazione di posti di lavoro con oneri retributivi a carico delle imprese pubbliche e private e, in particolar modo, delle cooperative sociali".

Su questo versante, viene ritenuto di fondamentale importanza la politica di assegnazione dei detenuti comuni in ambito intra-regionale in modo che tutte le strutture abbiano pareri positivi per la fruizione di permessi premiali, quale presupposto per programmi di trattamento di inserimento lavorativo esterno.

Giustizia: troppi detenuti, il carcere "apre" le porte (sul cortile)

di Niccolò Zancan

 

La Stampa, 8 luglio 2008

 

Sovraffollamento, caldo, rivolte, quattro agenti aggrediti in media al giorno, 34 suicidi fra i detenuti dall’inizio dell’anno. L’indulto è un ricordo lontano, le carceri scoppiano.

Il capo del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta, ha scritto una circolare per fronteggiare la situazione. Oggetto: "Iniziative e proposte afferenti al sovraffollamento e all’emergenza conseguente all’imminente stagione estiva". È un piano operativo indirizzato a tutti i provveditori regionali. Non ha un titolo, ma potrebbe essere "carceri aperte".

In tutti i sensi. Le porte blindate, ad esempio: "Saranno adottati tutti i provvedimenti che si renderanno indispensabili, di volta in volta, per evitare l’eccessivo riscaldamento delle celle. Anche l’apertura dei blindati, se necessario oltre l’orario normalmente consentito". Oppure l’ora d’aria: "Sarà particolarmente curato e potenziato il servizio di fruizione dell’aria e dei "passeggi", dovrà essere operato ogni sforzo al fine di aumentare, per quanto possibile, il tempo di permanenza dei detenuti e degli internati nelle aree e nei luoghi destinati ad attività sportive e ricreative". Ma sembra, più un generale, una nuova filosofia che si affaccia all’orizzonte. Quella degli "spazi detentivi a gestione aperta". Carceri morbide, con meno controlli, meno agenti di guardia, per detenuti "di minore pericolosità sociale".

Tutto nasce da un ragionamento: "Gli istituti penitenziari stanno attraversando una fase altamente critica - scrive Ionta - gli aspetti di maggiore preoccupazione attengono, oltre che alla capacità di tenuta del sistema, anche la prevenzione dei rischi per la salute e la vita dei ristretti". Parole pesantissime.

Oggi nelle carceri ci sono 64 mila detenuti, nell’estate dell’indulto erano 39 mila. Ogni mese il saldo fra entrate ed uscite è più mille. A fronteggiare l’onda di ingressi ci sono 41 mila agenti. Solo ventimila a stretto contatto con i detenuti. Considerati turni e riposi, il rapporto è di una guardia ogni quindici carcerati. Aprire gli istituti, in modo letterale e con un diverso approccio di gestione, vuole essere anche un modo per cercare di fronteggiare lo squilibrio. Scrive Ionta: "Si prospetta quanto mai necessario un intervento dei signori provveditori teso ad individuare degli spazi detentivi a gestione "aperta", con limitate ricadute sul contingente da impiegare per il controllo e la sicurezza".

Tutto questo non piace ai sindacati della polizia penitenziaria. Qualcuno parla addirittura di "resa dello Stato". Il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, dice: "È un sistema che sta esplodendo. Non ci sono più celle, non c’è più spazio abitativo all’interno delle carceri italiane. Ecco perché la ricerca di soluzioni alternative, ed esterne. Ma noi crediamo che sia sbagliato, oltreché pericoloso. È un tentativo inefficace di chiudere la stalla a buoi già scappati". I buoi, si capisce, sono i diritti di tutti.

Degli agenti e dei detenuti: "Il sistema carcerario italiano si è rivelato fallimentare sotto il profilo della sicurezza e del trattamento - dice Beneduci - non rieduca, è una "scuola criminis". E in questa nuova gestione, con più zone di collettività e maggiore promiscuità, si mischieranno ulteriormente i detenuti pericolosi agli altri. Con conseguente aumento dei problemi".

Anche il caldo è molto temuto. Scrive Ionta: "I disagi che le alte temperature producono all’interno delle sezioni detentive possono causare un aumento del rischio di atti autolesionistici e autosoppressivi". I fornelletti a gas si possono portare in cella, solo se il detenuto firma una specie di liberatoria. Il cibo può marcire: "Particolare attenzione ai controlli sull’igiene del vitto allo scopo di prevenire situazioni critiche".

Persino l’acqua potrebbe mancare: "Evitare che i ristretti possano convogliare le tensioni in forme di protesta derivanti da eventuali carenze dei bisogni primari". Gli agenti minacciano nuove mobilitazioni. Sul tavolo c’è anche la questione delle indennità non pagate. Mancano soldi, non nuovi clienti. E Beneduci non è ottimista: "Il nuovo decreto sicurezza porterà altri disperati nell’inferno delle carceri italiane".

Giustizia: Casellati; 18mila nuove assunzioni agenti? mai detto 

 

Ansa, 8 luglio 2008

 

Non ho mai assicurato 18mila nuove assunzioni in Polizia penitenziaria, ma ho detto in maniera chiara che di 18mila nuovi posti potrà essere aumentata la capienza degli istituti penitenziari entro il 2012". Lo afferma il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Alberta Casellati, escludendo di aver pronunciato le frasi che le sono state attribuite da un sindacato.

"In linea con le esigenze correlate al nuovo Piano carceri - precisa Casellati - ho fatto riferimento a un piano di reclutamento straordinario di agenti della Polizia penitenziaria, di cui non ho fornito numeri di sorta. Il sovraffollamento penitenziario è un’emergenza sociale, che l’esecutivo sta affrontando in modo serio. Siamo al governo da un anno e stiamo programmando interventi capaci di dare risposte concrete a una pesante situazione, che non abbiamo creato noi, ma abbiamo ereditato".

Il sottosegretario sottolinea: "L’indulto ha fallito e ora ci troviamo di nuovo con le carceri piene: il nostro Piano straordinario punta a dare respiro agli istituti penitenziari in tempi ragionevoli e l’auspicio è che su questa strada si proceda con l’aiuto di tutti, mettendo da parte sterili polemiche e inutili polveroni, confondendo numeri e soluzioni".

Giustizia: protesta degli agenti penitenziari; "Alfano ascoltaci"

 

Redattore Sociale - Dire, 8 luglio 2008

 

Bandiere, fischietti e trombe da stadio per lanciare l’ennesimo grido di allarme dal mondo del carcere, con una litania: "Ascoltaci, Alfano". Dopo la tappa di Milano del 30 giugno, i sindacati di Polizia penitenziaria (Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Sappe, Osapp e Sinappe) si sono dati appuntamento a Bologna per un sit-in sotto la casa circondariale della Dozza. Una manifestazione interregionale che ha chiamato sotto le Due Torri agenti provenienti da Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria: 150 i partecipanti, tre volte tanto secondo i sindacati. Nel mirino della protesta il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Francesco Ionta.

"Con i Governi di Prodi e Berlusconi non è cambiato niente - spiega il segretario nazionale della Cisl-Fns, Mattia D’Ambrosio - manca il personale, mancano i mezzi, mancano le risorse e tutti gli istituti penitenziari d’Italia risalgono all’Ottocento". Si parla dell’ipotesi di costruire nuove carceri "e siamo d’accordo - continua D’Ambrosio - ma servono le risorse e l’adeguamento delle strutture esistenti". Con l’indulto la popolazione carceraria è passata da 60.000 a 38.000 detenuti, ricorda D’Ambrosio, ma oggi sono di nuovo 64.000 ed "entro la fine dell’anno si tornerà ad oltre 70.000", a fronte di una capienza tra i 40.000 e i 42.000 posti. "Serve una politica di misure alternative al carcere - manda a dire D’Ambrosio - il cui onere spetta al Governo e alla Magistratura". Altrimenti, aggiunge, continuando così "serviranno 300.000 posti". Altra richiesta è quella relativa ad accordi bilaterali verso l’estero perché "oltre il 40% dei detenuti sono stranieri".

Infine, la Cisl-Fns chiede di utilizzare "le camere di sicurezza di tutte le forze di polizia", perché "è incomprensibile che si debbano impegnare uomini e risorse per delle convalide di arresto, con gente che dopo 48 ore esce dal carcere".

Francesco Quinti, coordinatore nazionale della Polizia penitenziaria per la Fp-Cgil, mette l’accento sulle "pessime condizioni lavorative a cui sono costretti gli operatori", che a livello nazionale soffrono di una carenza di organico che si aggira intorno ai 6.000 agenti. A causa soprattutto del "sovraffollamento inumano delle strutture penitenziarie", sottolinea Quinto, con il dato dei 64.000 detenuti che non veniva toccato dal 1946. Mentre il Governo, attacca Quinti, ripone "la soluzione dell’emergenza in un piano carceri che se va bene avrà qualche effetto tra quattro o cinque anni".

Un piano che per Donato Capece, segretario generale del Sappe, non può dirsi del Governo ma "del dottor Ionta". Per Capece, in ogni caso, il piano carceri "non vedrà mai la luce perché non c’è un minimo di risorse da investire". Per nuovi padiglioni e nuovi penitenziari "servirebbero 1,5 miliardi di euro - continua - ma non c’è un centesimo". Quindi, "se non troviamo un modo per deflazionare la popolazione carceraria, il rischio è di superare i 70.000 detenuti - dichiara il segretario del Sappe - e le principali incombenze ricadrebbero solo sulla Polizia penitenziaria". Il dato sull’incidenza dei detenuti stranieri forniti da Capece è dell’80%, il doppio di quello della Cisl, con la richiesta secca al Governo di fare in modo di "restituire gli stranieri ai loro Paesi".

Altra proposta del Sappe è quella di trasferire agli arresti domiciliari gli oltre 19.000 detenuti, oggi nelle carceri, con pena definitiva inferiore ai tre anni: un modo per ridurre l’affollamento e garantire "un risparmio economico di cinque milioni di euro al giorno".

Ad ospitare la manifestazione di oggi è Bologna e Capece fornisce alcuni dati sulla situazione dell’Emilia-Romagna: 4.650 detenuti (di cui 2.344 stranieri) a fronte di una capienza regolamentare di 2.308, quindi meno della metà, e una capienza tollerabile di 3.796 posti. Per quanto riguarda il personale, le stime di Quinti parlano di una carenza di 500 agenti di cui 179 solo a Bologna.

Il calendario delle mobilitazioni estive stilato dai sindacati di Polizia penitenziaria si concluderà a Roma il 22 settembre. Gli agenti, intanto, perfezionano gli slogan. Il più gettonato è "Basta promesse, la guardia si dimette, Ionta e Alfano con le chiavi in mano". Ma c’è anche chi si affida alla preghiera laica: "Le carceri cadono a pezzi, ascoltaci Alfano, gli straordinari non vengono pagati, ascoltaci Alfano...".

Giustizia: dal Pd l'appoggio a protesta degli agenti penitenziari

 

Redattore Sociale - Dire, 8 luglio 2008

 

Arriva il sostegno di due parlamentari bolognesi del Pd, Donata Lenzi e Rita Ghedini, alla protesta di carattere interregionale che i sindacati di Polizia penitenziaria hanno inscenato questa mattina sotto al carcere di Bologna. "La situazione al carcere della Dozza è drammatica", scrivono Lenzi e Ghedini, che in passato dopo due visite alla casa circondariale di via del Gomito hanno presentato altrettante interrogazioni al Governo.

"Si parla di 384 agenti di Polizia penitenziaria contro un organico previsto di 567 unità", si ricorda nella nota. "Sono donne e uomini - sottolineano le due parlamentari - che fanno un mestiere delicato e durissimo, assai poco riconosciuto istituzionalmente e socialmente".

Circa la metà del personale, continuano Lenzi e Ghedini, vive all’interno del carcere e "i loro alloggi sono composti di stanze piccole, arredi inadeguati e per lo più fatiscenti, mentre gli spazi comuni sono caratterizzati da problemi di aerazione, scarico e generale fatiscenza delle attrezzature".

Per quanto riguarda i detenuti, continua la nota, "la situazione è ancora più grave" visto che "ce ne sono 1.160 per una capienza di 483" e "solamente 113 di questi possono svolgere attività lavorative dentro il carcere, a causa dell’assoluta carenza di fondi".

E la situazione, segnalano le due esponenti del Pd, può anche peggiorare: "Il mantenimento dell’impiego di un numero così modesto di detenuti porterà la struttura ad avere a fine anno, su questa sola voce, un deficit di 111.000 euro". Allo stesso tempo, però, "è assolutamente evidente come il lavoro per i detenuti - concludono Lenzi e Ghedini - sia la condizione minima per accedere all’obiettivo di recupero sociale cui il carcere è destinato", con vantaggi anche in termini di conflittualità e manutenzione.

Lettere: l'art. 27 della Costituzione è da difendere tutti insieme

 

Ristretti Orizzonti, 8 luglio 2008

 

Sì difendiamolo, perché nella sua lapidaria formulazione è l’espressione di un alto grado di civiltà, rivendicato già nel 1947 dai nostri costituenti. Non pesano per nulla i suoi sessantadue anni, pesano casomai le omissioni più o meno colpevoli, i disconoscimenti palesi, le infinite variazioni sul tema della pena inflitta, sulla sua umanità e sui contenuti rieducativi.

Se il suo valore intrinseco fosse stato realmente compreso e l’impegno a difenderlo fosse stato generalmente condiviso sin dal suo nascere, l’art. 27 avrebbe potuto ispirare un Ordinamento penitenziario ben diverso, senza gli inutili travagli delle varie riforme susseguitesi, ma arricchito dalle diverse leggi ad esso ispirate, come la Gozzini e la Simeone-Saraceni.

Si è preferito invece - sia da parte della politica che del comune sentire - insistere su un cieco giustizialismo, poco o nulla rispondente al pur reale bisogno di sicurezza, barattandolo per giustizia, usando una bilancia quanto mai starata per pesare reati e diritti. In tempi recenti si è addirittura cercato di eliminare dall’Ordinamento penitenziario tutte le norme più qualificanti, quelle relative alle modalità di accesso ai benefici e alle misure alternative alla detenzione, cioè il vero punto di forza della rieducazione e del reinserimento sociale, dimostrato nei fatti dai successi ottenuti. I vari allarmi criminalità, spesso montati ad arte, qualche clamorosa evasione, episodi isolati di recidiva hanno determinato chiusure nella già scarsa propensione della magistratura di sorveglianza a concedere benefici, come se l’accanimento punitivo potesse sortire effetti migliori e non già distruggere percorsi positivi avviati con fatica. In carcere non c’è più lo spazio vitale neppure per i corpi di chi vi è ristretto e di chi vi lavora, saltano le attività e le garanzie normative senza che vi sia un piano efficace per porvi rimedio.

Oggi, quell’art. 27, ha l’aspetto di una di quelle iscrizioni scolpite su lapidi marmoree, sottoposte alle ingiurie del tempo e quindi bisognose di restauri, semplicemente per renderle nuovamente leggibili, per rivalutarle. Nuovi scalpellini si affannano invece a incidere i loro deliri, fieri di tracciare il corso della storia nel solco dell’intolleranza e della discriminazione. Condizioni esistenziali che diventano reati, povertà che si moltiplicano e scivolano nella devianza, diritti umani senza copertura di garanzia, disperati respinti nei loro inferni o trattenuti nei gironi delle nostre carceri e dei nostri Cie.

Sì, l’art. 27 della Costituzione ha più che mai senso, ora che la ragione si fa da parte, che l’istinto repressivo prevale ed è legittimato, complice la paura, talvolta l’opportunismo e la malafede.

Difendiamolo energicamente affinché non sia riscritto con i caratteri di una cultura reazionaria, stantia, che non ci appartiene più. Ma soprattutto vigiliamo affinché i diritti non siano svenduti con i saldi di fine stagione, bensì apprezzati e rivalutati come beni durevoli, tanto più essenziali laddove zone d’ombra e ingiustizie rubano spazi alla legalità.

 

Claudio Messina

assistente volontario penitenziario

Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 8 luglio 2008

 

Rebibbia è nel caos. Caro Riccardo, sono detenuto in una cella del reparto G9 del carcere di Rebibbia, dove la condizione del sovraffollamento si sta facendo veramente seria. Pensa che nella nostra cella siamo in 6 detenuti. Troppi per il poco spazio che abbiamo a disposizione. Non sappiamo dove mettere quei pochi vestiti che abbiamo. Gli armadietti non ci sono e dobbiamo lasciare i vestiti ammucchiati uno su l’altro.

Così siamo costretti a vivere ammassati in questa cella per 21 ore al giorno. Inoltre il vitto qui a Rebibbia fa schivo e capita pure che troviamo qualche insetto nelle verdure.

Anche il diritto alla salute ci viene di fatto negato. Qui a Rebibbia infatti le medicine scarseggiano, mancano semplici antidolorifici figurati il resto. Per quanto mi riguarda, devi sapere che 2 mesi e mezzo fa mi hanno operato alla spalla e mi hanno messo una vite, poi si sono accorti che la vite dentro la spalla era stata messa male, ma di fatto non sono intervenuti per rimediare all’errore. Ora la vite, con il passare dei giorni, mi sta quasi per uscire dalla spalla. E il mio caso è solo uno dei tanti! Il fatto è che noi siamo disperati, e vorremo che i politici facessero qualcosa di serio per noi detenuti, anche una piccola amnistia in attesa delle carceri nuove che vogliono costruire, sarebbe un gesto di interesse e di buona volontà da parte di questa apolitica.

 

Cesare, dal carcere Rebibbia di Roma

 

Quei detenuti pendolari. Carissimo Riccardo, prima ero detenuto nel carcere Pagliarelli di Palermo e ho visto gli sfollamenti dei detenuti dalle carceri del nord a quelle del sud. Ti dico che il giorno in cui mi portarono all’aeroporto per essere trasferito qui nel carcere di Vigevano, dall’aereo che ci doveva portare al Nord ho visto scendere molti detenuti.

Quel giorno, mi è venuto spontaneo domandarmi quale fosse il criterio usato dal Dap per decidere in quale carcere dovesse essere detenuta una persona. La cosa che mi stupisce è vedere qui nel carcere di Vigevano, tanti detenuti costretti a fare i pendolari, proprio perché hanno il processo nella città dove risiedono. Qui ci sono detenuti che partono ogni 15 o 20 giorni e vengono trattati proprio come dei pacchi postali. È una cosa assurda.

A questo proposito due cose vorrei dire. La prima di carattere economico. Infatti credo che, se si riducessero all’essenziale questi trasferimenti, si risparmierebbero non solo tanti soldi, ma si renderebbe più razionale l’uso degli agenti di custodia. La seconda considerazione è umana, nel senso che l’allontanamento del detenuto dalla propria famiglia crea di fatto enormi problemi. Sono tanti infatti i detenuti in Italia che non sono in grado di fare i colloqui con i propri familiari, a causa della lontananza. Una sofferenza ingiusta che subiamo noi detenuti e i nostri parenti. Con grande stima.

 

Tonino, dal carcere di Vigevano

 

Io, detenuto col soprannome di avvocato. Caro Arena, sono ormai 4 anni che sto in carcere e ne ho girate diverse. Beh devi sapere che ovunque sia stato il soprannome che mi veniva dato è quello di avvocato. Così mi chiamano i miei compagni detenuti.

Questo perché ho sempre dato una mano ai detenuti a compilare ricorsi o altre istante. Un aiuto indispensabile proprio perché molti detenuti vengono di fatto abbandonati dai loro legali. La causa è semplice: chi ha pochi soldi non ha l’avvocato. Una costante in carcere. Ci tengo pure adirti che la mia attività volontaria per fornire una minima assistenza legale ai detenuti, è stata spesso vista male in carcere. Più volte sono stato richiamato in un angolo e mi è stato detto di non impicciarmi e questo perché le mie istanze, forse fatte troppo bene, creavano troppo lavoro all’ufficio matricola. Posso anche affermare che se i signori giudici venissero in carcere per parlare con i detenuti si accorgerebbero di quante ingiustizie vengono compiute ogni giorno nei tribunali.

Né ho visti tanti di ragazzi che tornati in cella dopo il processo mi raccontavano la verità e si mettevano a piangere per non essere riusciti a dimostrarla davanti al giudice. E questo dovrebbe farci riflettere. Ti saluto con una richiesta. Avreste da inviarmi codici penali e di procedura penale aggiornati?

 

Marcello, dal carcere di Prato

 

Quale futuro per noi carcerati? Caro Riccardo, ti scriviamo per dirti prima di tutto che ringraziamo il direttore del Riformista e te per l’informazione che fate. Per quanto riguarda il carcere di Piacenza, devi sapere che si tratta di un carcere che potrebbe ospitare solo 180 detenuti, ma che oggi ne contiene più di 400! È facile immaginare le difficili condizioni di vita a cui siamo costretti.

Le nostre celle sono piccole. Non sono più grandi di 3 metri per 3. Hanno tutte il soffitto molto basso e l’aria è davvero irrespirabile. Inoltre dentro queste piccole celle hanno messo ben tre brande e tre detenuti. Lo spazio per muoverci non c’è e così facciamo a turno per muoverci, tra chi deve alzarsi dalla branda e chi deve andare in bagno. In questo modo passiamo le nostre giornate. Vedi, al di là delle condizioni in cui siamo costretti a vivere la nostra detenzione, la cosa che ci preoccupa di più non è il presente, ma il futuro.

I direttori delle carceri devono continuare ad accogliere i detenuti arrestati e la politica del Governo non sa dire altro che bisogna costruire nuove carceri. Carceri nuove che saranno pronte tra 10 anni. E nel frattempo noi cosa faremo? Come potremo continuare a sopravvivere? Ti salutiamo con affetto e stima.

 

Claudio e Antonio, dal carcere di Piacenza

Lazio: Cgil scrive alle amministrazioni; le carceri sono al collasso

 

Ansa, 8 luglio 2008

 

La Funzione Pubblica Cgil di Roma e del Lazio ha inviato una lettera a tutti gli amministratori (Regione, Province e Comune di Roma) per chiedere "iniziative concrete circa le responsabilità istituzionali affidate loro dalla Carta Costituzionale" e "per pretendere dal governo nazionale una chiara e netta inversione di tendenza nelle politiche penitenziarie del paese". Lo afferma il segretario regionale della sigla categoria Gianni Nigro.

Il sistema penitenziario regionale, dice il sindacalista, "ha ormai travalicato il limite dell’allarme. Rischia, nel silenzio generale del governo nazionale, di esplodere in una vera e propria crisi concreta. Nel Lazio i detenuti reclusi sono 5.681 a fronte di una capienza regolamentare di 4.449 posti. Percentuali di sovraffollamento come quelle che si registrano nei 14 istituti di pena della regione, dal 150% al 200%, rispetto alla capienza regolamentare".

Secondo Nigro "c’è il concreto rischio di recrudescenza di patologie infettive quali la tubercolosi e l’epatite C, oltre che quelle trasmissibili per via epidermica come la scabbia. Questa situazione drammatica è non solo un problema di tenuta dell’ordine pubblico, ma può trasformarsi in una vera e propria crisi del sistema di assistenza sanitaria regionale. Infatti, in base alla legge, le Regioni, hanno assunto la responsabilità nella gestione dell’assistenza sanitaria in carcere e il governo avrebbe dovuto trasferire 157 milioni di euro per il 2008 e 163 milioni per l’anno 2009".

Le Regioni e le Asl, osserva ancora il dirigente della Fp Cgil, "hanno anticipato le risorse, dai loro bilanci aziendali, e continuano a fronteggiare l’emergenza sanitaria nel completo disinteresse e mancanza di collaborazione con l’amministrazione della Giustizia. Per questo abbiamo chiesto la convocazione di una conferenza straordinaria con la partecipazione di tutti i soggetti pubblici, con il garante regionale dei diritti dei detenuti, con il forum regionale della salute in carcere, con il mondo dell’associazionismo e del volontariato che operano nel sistema penitenziario".

La Fp ha anche chiesto ai sindaci e agli altri amministratori locali di valutare l’eventualità di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria nelle carceri a causa del fenomeno del sovraffollamento, visto che l’attuazione decreto sicurezza rischia di aggravare ulteriormente la già drammatica situazione delle carceri".

Emilia Romagna: Pdci; nelle carceri la sicurezza è "traballante"

 

Adnkronos, 8 luglio 2008

 

"Il sovraffollamento nelle carceri della nostra regione e nell’Opg di Reggio Emilia rende traballante la sicurezza sia per i lavoratori sia per i detenuti". Lo osserva il capogruppo del Pdci in Regione Emilia Romagna, Donatella Bortolazzi, che avanza la richiesta di un "intervento urgente da parte del Governo affinché tutti gli operatori penitenziari possano lavorare in condizione di totale sicurezza" e l’invito rivolto a "tutti gli organi competenti, ad attivare misure di prevenzione e sicurezza, attraverso l’accertamento delle attuali condizioni di emergenza, nonché seri provvedimenti atti a tutelare l’incolumità psico-fisica di tutte le persone detenute".

Guardando alla situazione delle nostre carceri, viene da pensare che un paese normale sia un lontano miraggio. In Italia sono ormai 20 mila i detenuti in più del limite di "tollerabilità" previsto per le carceri della penisola. In questo preoccupante contesto l’Emilia-Romagna vanta il record di un sovraffollamento del 193%.

Dal 17 al 24 giugno i detenuti del carcere della Dozza di Bologna hanno attuato uno sciopero della fame per protestare pacificamente contro il sovraffollamento delle celle, la scarsa igiene e la mancanza di interventi atti a migliorare le condizioni di vita dei detenuti, per richiedere un maggior numero di educatori, per un’adeguata assistenza sanitaria.

Al tempo stesso, per domani mattina è prevista una manifestazione dei sindacati della polizia penitenziaria, organizzata per denunciare condizioni di lavoro assurde e inefficaci del personale: turni massacranti, ferie e riposi che saltano, stipendi che sembrano oboli, difficoltà a garantire lo svolgimento del trattamento rieducativo ai fini della risocializzazione, carenza di risorse economiche.

Si tratta di una stranezza che dovrebbe risultare bizzarra, insieme a molte altre, agli elettori annebbiati dal governo Berlusconi che sbandiera la sicurezza dei cittadini come priorità ineludibile.

Il sovraffollamento nelle carceri della nostra Regione e nell’Opg. di Reggio Emilia, rende "traballante" la sicurezza sia per i lavoratori che per i detenuti, pertanto, il Pdci chiede l’intervento urgente da parte del Governo affinché tutti gli operatori penitenziari possano lavorare in condizione di totale sicurezza e invita tutti gli organi competenti, ad attivare misure di prevenzione e sicurezza, attraverso l’accertamento delle attuali condizioni di emergenza, nonché seri provvedimenti atti a tutelare l’incolumità psico-fisica di tutte le persone detenute.

La Capogruppo del Pdci all’Assemblea Legislativa Regionale, Donatella Bortolazzi, riafferma la sua disponibilità e quella del suo Partito a monitorare andando anche di persona, a visitare i luoghi di detenzione in Emilia - Romagna, denunciare e sollevare presso l’opinione pubblica e gli organismi competenti, i vari problemi che verranno riscontrati.

La consigliera Bortolazzi esprime preoccupazioni per l’aumento intollerabile delle presenze in carcere, e auspica un ricorso alle misure alternative alla detenzione, che al momento attuale hanno subito una contrazione, soprattutto in presenza di pene brevi, in modo da produrre effetti deflattivi sul sovraffollamento, valorizzando la finalità rieducativa della pena, che nella situazione attuale appare difficile ritenere esistente.

Firenze: detenuta di 28 anni forse uccisa dal gas del fornellino

 

La Nazione, 8 luglio 2008

 

La ragazza, che aveva alle spalle un passato da tossicodipendente, è stata trovata priva di vita martedì sera, all’interno di una cella della sezione femminile. Secondo quanto emerso, il decesso potrebbe essere stato provocato dal gas di un fornellino

È morta in carcere, a Sollicciano, a soli 28 anni, mentre scontava una pena diventata definitiva per evasione dai domiciliari. B.L., di Pistoia, una bimba piccola e in attesa di processo per spaccio, sarebbe uscita nel 2012. Non si è trattato né di una morte violenta, né di un suicidio. Il referto medico parla di arresto cardiaco. B.L. sarebbe morta per cause naturali, ma restano ancora alcuni dubbi che potranno essere chiariti solo dopo l’autopsia disposta dal pm Andrea Cusani.

La ragazza, che aveva alle spalle un passato da tossicodipendente, è stata trovata priva di vita martedì sera, all’interno di una cella della sezione femminile. Secondo quanto emerso, il decesso potrebbe essere stato provocato dal gas di un fornellino da campeggio che tutti i detenuti sono autorizzati a tenere in cella per cucinare un pasto caldo. Non una fuga, ovviamente, quanto il tentativo di stordirsi e mettere da parte le proprie angosce "sniffando" il contenuto del fornellino.

Si tratterebbe di una pratica piuttosto diffusa, il tentativo di estraniarsi dalla realtà del carcere o di allontanare per qualche ore una crisi di astinenza. B.L. aveva molti problemi. Forse, ma si tratta sempre di un’ipotesi, la giovane pistoiese è stata uccisa proprio dal tentativo di "ubriacarsi" e di allontanare per qualche ora i propri problemi, da un fornellino a gas che si è trasformato in un’effimera via di fuga che non le ha lasciato scampo. Secondo Franco Corleone, garante per i diritti dei detenuti del comune di Firenze, "una tragedia come questa conferma ancora una volta che il carcere non può essere la soluzione più adatta per coloro che hanno una condizione legata alla tossicodipendenza".

Viterbo: la Consulta inter-istituzionale per i problemi del carcere

 

Viterbo News, 8 luglio 2008

 

"Tutto il territorio deve farsi carico delle problematiche del carcere di Viterbo. Per questo, chiediamo l’istituzione di una consulta a cui partecipino, oltre alla Provincia, il Comune, la Prefettura, la Questura, il direttore del Mammagialla, il Garante dei detenuti, le organizzazioni sindacali e le associazioni che svolgono volontariato nell’istituto".

La proposta arriva dall’assessore alle Politiche sociali, Giuseppe Picchiarelli, che il 30 giugno ha partecipato alla cerimonia per i festeggiamenti del corpo di polizia penitenziaria all’interno della casa circondariale.

"I dati appresi sulla situazione del carcere - afferma Picchiarelli - sono allarmanti: oltre 140 le unità di polizia penitenziaria mancanti e circa trenta quelle distaccate in altra sede. A fronte di questa carenza d’organico, il numero dei detenuti ha raggiunto livelli mai toccati in precedenza: più di 670 carcerati, tra cui la maggioranza sono extracomunitari e tossicodipendenti, molti con problemi psichiatrici. Inoltre, una cospicua parte è a regime penitenziario 41 bis e 416 bis, quello per associazioni mafiose".

"Una tale realtà - continua l’assessore - significa che vivere all’interno del carcere si sta facendo sempre più duro, sia per i detenuti i quali rischiano di non giovare delle finalità rieducative dell’istituto, sia per gli agenti non più garantiti nella loro incolumità sul posto di lavoro. Un disagio che, diversamente da quanto si potrebbe pensare, non interessa solo il personale e i carcerati, ma investe la tenuta sociale di tutto il territorio".

"Il nostro auspicio - conclude - è che gli enti locali, insieme a tutte le parti coinvolte, riescano a collaborare per verificare la compatibilità del sistema e rivendicare da parte del Governo centrale l’adozione di quelle politiche indispensabili a scongiurare che la situazione degeneri".

Imperia: Sappe; quarta evasione, chiediamo lo stato di calamità

 

Secolo XIX, 8 luglio 2008

 

Ennesima evasione (la quarta e dalla solita finestra) dal carcere di Imperia. Protagonista un giovane detenuto straniero che stava scontando una condanna a dieci anni di reclusione. La denuncia arriva dal Sappe. il sindacato autonomo e maggioritario della polizia penitenziaria.

"La polizia penitenziaria è ormai allo stremo e nessuno pare che interessi tale condizione - denuncia il Sappe - c’è un disinteresse generale. Poi c’è il fatto eclatante ma nessuno si chiede perché e successo e se si poteva evitare. Basta dare sempre la colpa al collega di turno reo di fare il suo dovere senza mezzi e solo con stress causato da un super aggravio di lavoro". La proposta "ironica" del Sappe è quella di richiedere "se il caso, lo stato di calamità. È impensabile quello che in Liguria sta accadendo nelle carceri".

Un detenuto straniero è riuscito con estrema abilità a fuggire dal carcere di Imperia, usando come via di fuga la stessa finestra usata già in una precedente evasione. Michele Lorenzo segretario regionale del Sappe Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria spiega: "un disastro già preventivato quello di Imperia. L’istituto penitenziario versa in condizioni disastrate, pochissimo personale di Polizia, sotto stress dai turni interminabili, ferie e straordinari ridotti se non negati, aumento vertiginoso della popolazione detenuta. Un cocktail velenoso per la sicurezza dell’istituto. Innumerevoli interventi ha fatto il Sappe per attirare l’attenzione dei vertici dell’amministrazione su Imperia senza nessun risultato".

Il giorno 15 luglio il carcere di Imperia sarà visitato dal Capo del dipartimento Franco Ionta nonché commissario straordinario per le carceri "ma di straordinario ha fatto veramente poco. La sua visita non è tesa a verificare lo stato di disagio in cui versa la Polizia Penitenziaria ma è collegata alle attività dei detenuti. Eviti il capo del Dap di venire ad Imperia - continua Lorenzo - perché lo aspetterà un personale particolarmente arrabbiato e sarà organizzato, non un picchetto in suo onore ma una manifestazione. Ora sicuramente ci sarà l’ennesima inchiesta che dovrà appurare chi è il colpevole, ma nessuna inchiesta sarà fatta per appurare perché è successo".

La denuncia del Sappe evidenzia che un solo agente deve controllare anche tre o quattro posti di servizio e vigilare su decine e decine di detenuti, quattro evasioni non sono bastate all’amministrazione per adottare interventi straordinari, non serve approntare una moderna sala controllo se non c’è personale che la presidi.

A settembre usciranno dalle Scuole del Corpo circa 200 neo agenti, speriamo che l’Amministrazione assegni ad Imperia un numero sufficiente di personale e che faccia immediatamente rientrare gli agenti che sono stati inviati a prestare servizio negli istituti del Sud. Imperia ospita ben 125 detenuti a fronte di una capienza di 78, l’organico della polizia penitenziaria è di 50 unità: un dato che, per il Sappe, evidenzia le difficoltà esistenti.

Teramo: Sinappe; sempre emergenza, nel carcere di Castrogno

 

Il Centro, 8 luglio 2008

 

È sempre emergenza nel carcere di Castrogno per la carenza di personale. A lanciare nuovamente l’allarme è il sindacato Sinappe, che in una nota denuncia alcuni progetti che potrebbero diventare realtà proprio per recuperare personale.

"La prima è l’eventualità di mettere una terza branda nelle celle", si legge in una nota del segretario regionale Giampiero Cordoni, "se ogni semisezione può contenere un massimo di 50 detenuti, con la terza branda arriveremo a 75. La seconda è ancora più drammaticamente comica. Riguarda l’ennesimo ipotetico recupero di personale: in una o due sezioni i detenuti verrebbero tenuti aperti dalla mattina al tardo pomeriggio.

Comunque si voglia strutturare la cosa vorremmo sapere chi e come si occuperà di far rientrare i detenuti nelle celle quando dovranno rientrare". Il sindacato si augura che queste possibilità circolate nei giorni scorsi rimangano tali. "Più passano i giorni e più registriamo uno scollamento di tutta l’organizzazione del lavoro", continua la nota del sindacato, "una difficoltà sempre maggiore a gestire i reparti, una stanchezza che comincia a diventare patologica per chi è costretto a lavorare in sofferenza e che si vede raddoppiare il carico di lavoro dovendo garantire due servizi contemporaneamente. Su tutto questo tralasciamo l’aspetto sicurezza, sia per quanto riguarda l’istituto ma soprattutto per i rischi sempre maggiori che il personale interno corre". Il Sinappe conclude sollecitando nuovamente l’arrivo di nuove personale a Castrogno.

Trento: apre nel 2010 il nuovo carcere costruito dalla Provincia

 

L’Adige, 8 luglio 2008

 

La tabella di marcia è pienamente rispettata ed entro il primo trimestre del prossimo anno la Provincia potrà consegnare al Ministero della giustizia il nuovo carcere di Trento. L’alto muraglione esterno color "grigio porfido" ormai è terminato ed è nettamente visibile anche da lontano. Una barriera alta poco meno di una ventina di metri e particolarmente spessa che dovrebbe scoraggiare qualsiasi tentativo di intrusione dall’esterno o di evasione dall’esterno. I piloni con i grandi gruppi ottici svettano ancora più in alto e danno l’idea che, se rivolti verso l’alto, saprebbero illuminare addirittura la cima della Paganella.

L’interno del carcere è già off limits. Chi si presenta all’ingresso del cantiere viene fermato dagli uomini della sicurezza che cortesemente invitano a fare dietro front. Impossibile dare una sbirciatina, men che meno fotografare. Del resto i progetti interni della struttura sono top secret . Pochi, pochissimi tecnici hanno avuto la possibilità di visionarli e pure la commissione urbanistica del Comune a suo tempo poté avere soltanto una vaga idea su ingombro e dimensioni.

Pur non essendo un carcere di massima sicurezza è chiaro infatti che il Ministero cerca di tenere "coperto" il progetto per evitare che la pianta della futura cittadella carceraria sia conosciuta negli ambienti di quelli che potenzialmente potrebbero essere i suoi futuri abitanti. Stupisce - ma forse solo per la poca conoscenza del tema - la vicinanza del carcere con i capannoni Lapiana. Il muraglione del carcere si trova infatti soltanto qualche metro distante dal parcheggio della ditta.

C’è per altro da dire che chi osasse varcare l’inferriata si troverebbe poi davanti ad una parete verticale impossibile da superare (o almeno così dovrebbe essere, si spera) con le guardie pronte a sparare dalle guardiole. Se il vero e proprio carcere è in dirittura finale, con gli operai impegnati ormai soprattutto nelle finiture interne e nelle sistemazioni esterne, sono già ultimate da diverso tempo le palazzine di servizio. Si tratta di un complesso di abitazioni civili, erette un centinaio di metri a sud rispetto al carcere, e che ospiteranno la settantina di guardie carcerarie e le loro famiglie.

Gli appartamenti per i dipendenti sono una novità nel sistema penitenziario italiano, portata avanti proprio per favorire il ricongiungimento familiare delle guardie carcerarie, per la maggior parte proveniente da fuori provincia. Per offrire un’accoglienza migliore alla nuova comunità sarà anche realizzata un’area per l’attività sportiva di 7.500 metri quadrati, che in futuro potrà essere utilizzata pure dagli abitanti di Spini e delle Ghiaie.

Nelle scorse settimane il Progetto speciale grandi opere civili della Provincia guidato dall’ingegner Alessandro Zanoni ha autorizzato la spesa di 150mila euro per il sub appalto dei lavori di opere da fabbro, segno che ormai siamo alla fase dei ritocchi. Se vi è la quasi completa certezza sul fatto che la Provincia consegnerà il carcere al Ministero entro la primavera del prossimo anno, non c’è ancora una data precisa sulla data di apertura della struttura. Probabile che il trasferimento dei detenuti avvenga in fasi differenziate ed è logico supporre che non sarà pubblicizzato per evidenti motivi di sicurezza.

Napoli: detenuti dell’Ipm di Nisida, fanno sceneggiatura di un film

 

La Repubblica, 8 luglio 2008

 

I giovani detenuti di Nisida sceneggiatori di un film il cui tema è la libertà. L’idea è della regista campana Maria Pia Cerulo, già assistente di Lina Wertmuller, e della psicoterapeuta Margherita Spagnuolo Lobb. Titolo della pellicola, "L’orchestra di pettini".

Verrà realizzata nei prossimi mesi prevalentemente in Campania. "È la storia di un artista, una persona ricca e importante", racconta Maria Pia Cerulo. "Chiamato a Berlino per costruire un monumento per celebrare l’abbattimento del muro che fino a vent’anni fa divideva in due la città, l’uomo scopre di non essere poi così libero e appagato come crede. Ritroverà serenità e libertà nel recupero di una spontaneità corporale e di pensiero che gli permetterà di riscoprire sentimenti forti e positivi". Nella vicenda principale narrata dal film si inserisce la storia d’amore tra due diciottenni. Ed è qui che entrano in gioco i minori detenuti a Nisida e in altri istituti di pena.

"Partendo dall’idea che la devianza, in generale e nello specifico giovanile, sia una psicopatologia e non una mera forma di cattiveria - spiegano Maria Pia Cerulo e Margherita Spagnuolo Lobb si è pensato di far scrivere ai ragazzi in stato di detenzione e semilibertà, tra cui alcuni che scontano pene anche per abusi sessuali, le scene del film imperniate sui due protagonisti diciottenni. Dopo aver loro impartito, nei locali del tribunale per i minori di Napoli, alcune nozioni di base su come si scrive una sceneggiatura".

Con quali risultati? "Gli elaborati che i ragazzi ci hanno presentato erano pieni di sentimenti puri e forti. Sostenuti con affetto dalle assistenti sociali, i minori in stato di detenzione si sono mostrati contenti, entusiasti dell’opportunità di esprimere le loro emozioni. Eravamo d’accordo che la scena d’amore più bella tra quelle scritte dai ragazzi sarebbe stata inserita nel film. E abbiamo scelto quella di Diego D’Onofrio, che ha pienamente centrato il tema.

Come se fosse riuscito a racchiudere in una sola scena, per di più d’amore, il significato dell’intero film. Vista però la forza dei sentimenti positivi che pervadono tutti gli elaborati, nella sceneggiatura saranno inseriti pezzetti di ognuno. E tutti i ragazzi saranno impegnati in piccoli ruoli sul set".

Milano: iscrizioni aperte per l'edizione 2010 di Sprigioniamoci!

 

Ristretti Orizzonti, 8 luglio 2008

 

Aperte le iscrizioni per l’edizione 2010 di Sprigioniamoci! - alla scoperta dell’economia carceraria - a Fà la cosa giusta! Sconto del 20% fino al 31 Agosto.

Si sono aperte le iscrizioni per l’edizione 2010 di Sprigioniamoci! - alla scoperta dell’economia carceraria - presso Fà la cosa giusta!, fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili.

La prossima edizione si terrà dal 12 al 14 marzo 2010, presso i padiglioni 1 e 2 di Fieramilanocity. Sprigioniamoci! è la sezione espositiva dedicata alla promozione e valorizzazione di tutte le realtà di lavoro carcerario, siano esse cooperative, singoli progetti, associazioni di promozione culturale e di volontariato.

Il suo scopo è guidare il visitatore nella scoperta del lavoro di qualità svolto in carcere. La sezione è un’esperienza unica nel suo genere, senza analoghi a livello nazionale. È, dunque, un’ottima opportunità per le realtà del mondo carcere che intendono presentare i propri prodotti, progetti o servizi ad un pubblico attento e consapevole.

Accanto alla parte espositiva Sprigioniamoci! prevede una serie di incontri e di eventi dedicati al tema, nonché percorsi pensati per le scuole. La prima edizione di Sprigioniamoci!, svoltasi nel marzo 2009, ha visto la presenza di una ventina di espositori, dalla Lombardia alla Puglia, ed è stata apprezzata dai 50.000 visitatori che hanno fatto il loro ingresso in fiera. Le iscrizioni per la prossima edizione sono già aperte. Per le cooperative o associazioni che si iscriveranno entro il 31 Agosto vi è la possibilità di usufruire dello sconto del 20% sullo spazio espositivo. Per saperne di più visitate il sito www.falacosagiusta.org, nella sezione di Milano, oppure contattate le referenti del progetto Chiara Santese chiarasantese@falacosagiusta.org o Sabina Eleonori sabinaeleonori@terre.it, 02.87365602.

 

Sabina Eleonori

Pistoia: edizione di "FilmVideo" dedicata al mondo penitenziario

 

Redattore Sociale - Dire, 8 luglio 2008

 

Il Festival di corti, in programma dall’8 all’11 luglio a Montecatini Terme (Pt), premierà il regista Davide Ferrario perché, spiega il direttore, "si occupa con grande attenzione di tematiche sociali".

Sarà il carcere uno dei temi che farà da filo conduttore alla 60esima edizione di FilmVideo, il festival più antico d’Italia (dopo Venezia) dedicato ai cortometraggi in programma dall’8 all’11 luglio al Cinema Imperiale di Montecatini Terme (Pistoia). Il prestigioso Premio Airone d’oro - che negli anni passati ha visto premiati Massimo Ghini, Maurizio Nichetti e Rutger Hauer - sarà assegnato a Davide Ferrario, il regista impegnato nel sociale e autore del recente "Tutta colpa di Giuda", il film che si svolge all’interno del penitenziario delle Vallette a Torino.

"Abbiamo voluto premiare Ferrario - ha spiegato il direttore del Festival Giancarlo Zappoli (critico cinematografico e direttore del portale Mymovies) - perché è un regista davvero indipendente e, visto che il festival si occupa di tematiche sociali, non poteva non rivolgere particolare attenzione ad un regista che si è occupato con grande attenzione di problemi legati al carcere".

L’edizione 2009 di FilmVideo presenta 100 opere da 23 paesi su 1.000 arrivate da 50 nazioni, 20 ospiti italiani e internazionali, 11 premi (tra cui una targa del Presidente della Repubblica), una giuria e un convegno internazionale. "Oltre le sbarre" sarà una delle sezioni che rappresentano una novità per la kermesse e presenterà cortometraggi dedicato al mondo del carcere. Per informazioni visitare il sito www.filmvideomontecatini.com.

Immigrazione: Maroni chiude sulle badanti, "niente sanatorie"

di Alberto Custodero

 

La Repubblica, 8 luglio 2009

 

Le badanti senza permesso di soggiorno sono clandestine a tutti gli effetti, svolgono un lavoro nero senza diritti e tutele che comporta, da parte di chi le sfrutta, l’evasione dei contributi. E se la polizia le ferma, le mette nei Cie e le espelle.

Roberto Maroni, ministro dell’Interno che a tutti i costi ha voluto nel ddl sicurezza il reato di clandestinità, ammette per la prima volta che le badanti rischiano di essere cacciate, in qualche modo smentendo quanto da lui stesso dichiarato a Libero qualche giorno fa. E cioè, che "le colf già nel nostro Paese, anche se entrate irregolarmente, non corrono alcun rischio di essere espulse".

Il titolare del Viminale, ieri, di fronte alle richieste di regolarizzazione delle colf provenienti dalla sua stessa coalizione (dal sottosegretario alla Famiglia Carlo Giovanardi al ministro delle Politiche europee Andrea Ronchi), cambia strategia. Dopo aver ribadito la "convinzione" e la "consapevolezza" che "i principi dell’ordinamento giuridico consentono di applicare il reato solo da quando è in vigore", senza effetto retroattivo, dice che "sulle badanti s’è fatta una gran polemica sul nulla" visto che "già oggi, con le attuali leggi, una domestica irregolare, se fermata dalla polizia, può essere rispedita al suo Paese".

Quando entrerà in vigore il ddl sicurezza, precisa poi il titolare del Viminale, ci sarà in più il reato che "non contempla il carcere", ma prevede, "come sanzione accessoria, la possibilità immediata dell’espulsione con provvedimento del giudice di pace che si somma alla possibilità che oggi ha il questore di emanare un analogo provvedimento amministrativo".

Ieri, al partito di centrodestra per la regolarizzazione delle badanti, s’è aggiunto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, con la proposta di "restringere il campo alle sole immigrate che si occupano di anziani ultrasettantenni e disabili".

Maroni, però, tiene duro: "sono tutte clandestine, vanno espulse, nessuna sanatoria", risponde a La Russa, e a tutti gli altri. Su questa stessa linea anche il ministro degli Esteri Franco Frattini, secondo cui "non ci saranno sanatorie che consentano la regolarizzazione di badanti extracomunitarie".

A dar man forte a Maroni arriva anche il ministro delle Riforme, Umberto Bossi, padre (con Gianfranco Fini), dell’attuale legge sull’immigrazione. "La sanatoria la escludo - taglia corto il leader del Carroccio - 500mila regolarizzazioni non sono mica una barzelletta". Poi, con la solita ironia, dice che "Giovanardi ha sempre chiesto queste cose. Sospetto che gli piacciano le badanti dell’Est".

Sul tema dell’immigrazione - provocati anche dalle parole della nuova Enciclica di papa Benedetto XVI Caritas in veritate - intervengono, preoccupati, anche i 10 Vescovi lombardi. "Il consenso ad alcune parti del ddl sicurezza emerso anche nelle comunità cristiane - scrivono i prelati - fa nascere interrogativi e suscita preoccupazione.

Sembra che la paura troppo spesso amplificata artificialmente, spinga ad una reazione emotiva che non aiuta a leggere in verità il fenomeno della migrazione e ostacola la considerazione della dignità umana di cui ogni persona - anche quando migrante - è portatrice. Straniero non è sinonimo di pericolo o di delinquente: la maggior parte degli immigrati che vivono e lavorano tra noi lo fanno in modo onesto e responsabile a tal punto da costituire una presenza fondamentale e insostituibile per molte attività produttive e per la vita di molte famiglie".

Immigrazione: Udc; serve sanatoria, per 2 milioni di lavoratori

 

Ansa, 8 luglio 2009

 

"Serve una sanatoria dei lavoratori stranieri irregolari, una sanatoria che non può riguardare solo le badanti ma che deve riguardare tutta l’area produttiva, ne ha fatto cenno anche l’onorevole Bonino. Stiamo parlando di almeno 2-2,4 milioni di lavoratori extracomunitari". Lo dice a Radio Radicale il parlamentare dell’Udc Bruno Tabacci. "Altrimenti - spiega Tabacci - creeremmo una condizione di lavoro ancora più sommerso dalla quale deriveranno delle conseguenze di gestione ancora più delicate. Le organizzazioni datoriali che fino ad ora hanno giocato di rimessa, utilizzando l’arma della furbizia di fronte all’affermazione legislativa dell’esistenza di un reato di permanenza di lavoratori extracomunitari, - aggiunge il parlamentare Udc - farebbero bene a rendersene conto rapidamente e a premere sul governo. Stiamo parlando di lavoratori che onestamente stanno supportando il processo economico del nostro Paese. È un processo che deve essere governato".

Immigrazione: Fortress Europe; 459 morti nei primi 6 mesi 2009

 

Ansa, 8 luglio 2009

 

"La strage continua: 459 morti nei primi sei mesi del 2009". Sono gli ultimi dati del bollettino di Fortress Europe, l’osservatorio on-line sulle vittime della emigrazione, che lascia comunque una speranza: "il dato è in diminuzione. Per la prima volta negli ultimi tre anni. Nei primi mesi del 2008 le vittime erano state 985".

La maggior parte dei migranti - denuncia un reportage di Gabriele Del Grande pubblicato dall’osservatorio mediatico - perdono la vita nel Sahara: "un passaggio obbligato - precisa - Più pericoloso del mare". In questo deserto, secondo un censimento compiuto attraverso la stampa internazionale, sono morte, dal 1996 ad oggi, 1.691 persone.

Nel suo viaggio sugli itinerari dei migranti, Del Grande fa tappa ad Agadez, in Niger, crocevia per quanti attraverso il Sahara vogliono raggiungere l’Algeria o la Libia con meta finale in Spagna e Italia, nonostante la politica di espulsioni e respingimenti adottate nei due Paesi. Fra i documenti proposti da Fortress Europe, anche un video di un giornalista senegalese filmato il 16 giugno all’aeroporto di Barajas a Madrid, che denuncia le violenze su un suo connazionale: "legato mani e piedi come una bestia - spiega la nota sul sito - mentre un agente in borghese lo blocca a terra, sotto l’aereo in partenza per Dakar".

In un’inchiesta sui respingimenti in corso a Lampedusa da diverse settimane si legge inoltre che "erano eritrei i passeggeri dell’imbarcazione respinta al largo di Lampedusa lo scorso primo luglio. Rifugiati eritrei. Che adesso rischiano il rimpatrio. O la detenzione a tempo indeterminato nelle carceri libiche, dove già sono stati tratti in arresto".

Fortress Europe fa anche notare che l’Italia conosce la situazione eritrea "talmente bene che lo scorso anno ha concesso un permesso di soggiorno alla maggior parte dei 2.739 eritrei sbarcati sulle coste siciliane".

Droghe: per il Governo "riduzione del danno" non è prevenzione

 

Redattore Sociale - Dire, 8 luglio 2008

 

Stanze del buco, pill testing e distribuzione dell’eroina: azioni "da escludere dai programmi di prevenzione delle patologie correlate". L’addendum del Dipartimento delle politiche antidroga parla alle regioni.

Riduzione del danno: si combatte su questo terreno la battaglia tra governo e le associazioni che da sempre credono e operano nelle strutture a bassa soglia. Un conflitto che trova solo in parte una composizione nel documento "Misure ed azioni concrete per la prevenzione delle patologie correlate all’uso di sostanze stupefacenti (prevenzione e riduzione dei rischi e dei danni)" scritto dal Dipartimento per le politiche antidroga insieme ad un gruppo di associazioni.

Nel documento si riconosce che "il trattamento della dipendenza con terapie farmacologiche deve essere considerato un vero e proprio "trattamento medico" e quindi come tale finalizzato principalmente alla cura della patologia di base e non una semplice misura di riduzione del danno". In sostanza si accetta che i trattamenti farmacologici possono avere effetto sulla riduzione del danno, ma allo stesso tempo si dichiara che se "vengono considerati come esclusive ‘misure di riduzione del dannò perdono nella percezione dei pazienti il loro significato e valore primario di utilizzo come cura e terapia", fino a determinare il rischio di "cronicizzazione" per il paziente.

Il documento chiarisce inoltre che esse non vanno "confuse o parificate con i trattamenti o i percorsi terapeutici", che per definizione mirano alla risoluzione del problema, ovvero alla cura ("affrancamento dall’uso delle sostanze") e alla riabilitazione del paziente. La riduzione del danno non può essere utilizzata negli interventi di prevenzione primaria, ovvero quelli rivolti a giovani e giovanissimi che non hanno ancora fatto uso di sostanze stupefacenti: "potrebbero ricavarne un messaggio permissivo e possibilista verso l’uso gestito di sostanze stupefacenti e psicoattive, cosa chiaramente inaccettabile e pericolosa". Fin qui quanto condiviso con le associazioni.

È invece un addendum in calce al documento a spiegare come la pensa il governo in materia di stanze del buco, pill testing e distribuzione controllata dell’eroina: tre azioni "fortemente sconsigliate" e "da escludere dai programmi di prevenzione delle patologie correlate". Si tratta di una parte del documento, chiarisce lo stesso Dap, per cui "non è stata richiesta alcuna condivisione formale da parte del gruppo consultivo", e che è stata voluta e curata soltanto dal Dipartimento per "sgomberare il campo da malintesi con le amministrazioni regionali relativamente alla legittimità, fattibilità organizzativa e opportunità terapeutica e preventiva".

"Stanze del buco". Meglio "privilegiare l’investimento delle risorse in attività parallele e l’individuazione di attività di primo contatto mediante unità mobili, drop-in center, centri di pronta accoglienza e l’offerta di terapie farmacologiche a bassa soglia". Il Dipartimento si dice fortemente preoccupato. "L’apertura di tali stanze potrebbe comportare lo spostamento dell’attenzione e degli investimenti verso soluzioni meno costose che, invece di essere aggiuntive, potrebbero, per mere ragioni di budget, correre un forte rischio di diventare sostitutive (dei servizi esistenti, ndr), creando sacche di pazienti solo controllati ma non gestiti correttamente da un punto di vista terapeutico".

Pill testing. Serve ad analizzare i contenuti delle pastiglie, nei luoghi dove queste si consumano, dando informazioni sulla "qualità della sostanza" o sulla sua presunta pericolosità. Secondo il Dpa "non esistono test di laboratorio on site attendibili nel rilevamento delle caratteristiche tossicologiche delle sostanze"; a sconsigliare l’adozione di questa misura anche la risposta individuale alla sostanza, che non è non prevedibile, e il numero di nuove sostanze immesse sul mercato, non rintracciabili. Inoltre "una risposta rassicurante potrebbe indurre false sicurezze nel consumatore che spesso abusa anche di alcool in maniera associata ed imprevedibile". C’è poi l’incognita sul destino che hanno le sostanze considerate "non di qualità" al pill testing: "Con buona probabilità non verranno smaltite ma cedute da parte del consumatore ad altri consumatori ignari del risultato del test, affinché si possa rientrare con le spese sostenute ed acquistare nuove sostanze".

Distribuzione controllata dell’eroina. Lo proibisce la legge italiana e lo sconsigliano le esperienze di altri paesi, dove "questo tipo di terapie, che necessitano di 4 somministrazioni endovenose al giorno, vengono abbandonate da 20 pazienti spontaneamente nella arco di 4 - 6 mesi", spiga il Dipartimento. Inoltre prevedere la consegna di eroina presso strutture dedicate ha un costo ritenuto eccessivamente alto, rispetto al numero di persone che potrebbero accedere al servizio che il Dpa valuta in un 3%. (Vedi il documento completo - in pdf).

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

Precedente Home Su Successiva