Rassegna stampa 7 luglio

 

Giustizia: se la sicurezza è sbilanciata e colpisce "nel mucchio"

di Giovanna Zincone

 

La Stampa, 7 luglio 2009

 

Dichiarazioni forti e chiare di eminenti personalità politiche sono spesso seguite da fulminee smentite. Ci siamo abituati, ma questo comincia a capitare anche alle leggi. Forse perché sempre più spesso vogliono essere soprattutto dichiarazioni forti e chiare, poco consapevoli delle loro conseguenze sulla vita reale. La legge sulla sicurezza costituisce un eccellente esempio di questo stile. Vediamo perché.

Dopo aver presentato il reato di immigrazione clandestina come una terapia d’urto ad ampio raggio, ora si sostiene che la misura non riguarda chi già risiede in Italia, non - ad esempio - le sempre benedette badanti. Ma non è così. Il testo della legge include tra i nuovi rei non solo gli immigrati che passeranno la frontiera di straforo in futuro, ma anche tutti coloro che sono oggi in Italia privi di un permesso valido, quindi anche i clandestini di ieri e anche gli stranieri entrati legalmente il cui permesso è scaduto.

La legge ha volutamente incluso tutti i presenti. Infatti, mentre in una prima versione si riferiva solo a "chi fa ingresso", si è poi aggiunto "ovvero si trattiene", proseguendo poi sempre con "in violazione delle disposizioni del presente testo unico". Ne deriva che tutti gli immigrati oggi irregolari possono essere puniti se non se ne vanno.

E in base al codice penale (articoli 361 e 362), il fatto che l’irregolarità del soggiorno sia divenuto reato obbliga alla denuncia non solo i pubblici ufficiali (quindi le forze dell’ordine), ma anche gli incaricati di pubblico servizio (quindi conducenti di autobus, postini, bidelli). Se non lo fanno rischiano severe sanzioni.

E, se è pur vero che la scuola dell’obbligo è stata indicata tra i servizi pubblici a cui si può accedere senza dimostrare la regolarità del soggiorno, tuttavia - a differenza di quanto accade per le strutture sanitarie - non è stato introdotto un esplicito divieto di denuncia, quindi i temuti presidi-spia di piccoli scolari potrebbero essere ancora lì, e con loro molti altri delatori per obbligo, in quanto operatori nei servizi pubblici.

Certo non è detto che costoro si prestino a fare denuncia. Fino ad ora persino le forze dell’ordine hanno spesso chiuso un occhio quando pescavano irregolari socialmente innocui. In teoria potrebbero continuare, ma ora sono a rischio di trovare un solerte collega che li denuncia. Comunque,

se le forze dell’ordine dovessero mostrarsi tenere, ad attivarle ci penserebbero le ronde? Il coordinatore delle ronde leghiste Max Bastoni ha affermato: "vogliamo fare le cose in regola, le pagliacciate le lasciamo ai balilla". Tuttavia alcuni ricordano il suo slogan "Bastoni contro gli immigrati". L’eurodeputato Borghezio si è detto fiero del reclutamento nelle ronde che va bene al di là dei suoi Volontari verdi. Dello stesso onorevole circola un video in cui invita militanti di estrema destra francesi a seguire il suo esempio: a camuffarsi da regionalisti e federalisti per entrare nelle istituzioni, mantenendo però intatto il proprio credo. Di tali marginali defaillance dei promotori delle ronde pochi sembrano curarsi.

Date tutte queste controindicazioni, si può prospettare una subitanea riforma della riforma? Pare difficile che questo accada ad una legge simbolo appena approvata sotto il maglio del voto di fiducia. È più probabile che in tempi brevi per tamponare il caso badanti si segua la pudica soluzione di un super-decreto flussi invece della regolarizzazione proposta da Giovanardi?

Vedremo. Ancora una volta nell’immigrazione irregolare si evidenzia un nodo pesante e difficile da sciogliere: da una parte, va combattuta perché rompe le regole, perché può nascondere devianza e delinquenza; dall’altra, è difficile reprimerla indiscriminatamente senza pagare alti costi economici ed umani. Ma in politica i nodi difficili è bene non tagliarli con l’accetta. Qualcuno nella maggioranza l’ha capito.

Giustizia: Mantovano (Pdl); la legge Gozzini va razionalizzata

 

Il Tempo, 7 luglio 2009

 

Il fine della pena è rieducare chi ha commesso un reato. E i benefici previsti dalla cosiddetta "legge Gozzini" vanno in questa direzione. Ma può accadere che chi li ottiene non meriti i "premi" ricevuti e che torni a delinquere, rendendo vana la condanna e mettendo in pericolo la società. È quanto accaduto ai tre detenuti arrestati per la fallita rapina a Gaeta. Per questo, secondo il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano, la legge va razionalizzata per evitare che casi del genere si ripetano.

 

Che ne pensa dell’episodio specifico?

"Non conosco i fatti. Non so quando e in base a quali presupposti sia stata concessa la semilibertà a queste persone. Se si è trattato di una concessione generosa o scontata".

 

Non è la prima volta che accade, però...

"No, è già successo. E ha sempre avuto il giusto clamore perché i benefici previsti sono stati strumentalizzati, anche se il tasso di utilizzo improprio è molto limitato. Il fatto è che tanto più se ne abusa e tanto più si torna a commettere rati".

 

La Gozzini va cambiata?

"Non c’è la maggioranza per mettere in discussione la legge. E poi l’impostazione di fondo è condivisibile. Però andrebbe razionalizzata per evitare il cumulo di benefici, altrimenti diventa un gioco dell’oca in cui alla fine si ottiene lo "sconto" della sanzione".

 

Lo spirito della norma, tuttavia, è giusto?

"Il problema non è il singolo istituto legislativo. La semilibertà serve a dare la possibilità al detenuto di riabilitarsi gradualmente, vivendo fuori dal carcere ma restando dentro con un piede. Il fatto è che ciascuno di questi benefici non esclude l’altro. E, quindi, spesso la somma di essi finisce per vanificare totalmente la pena".

 

I cittadini, quando accadono fatti come quello di Gaeta, però si sentono indifesi e maturano la convinzione che lo Stato non riesca a garantire la giustizia. È un problema.

"Certo. La gente ha giustamente da ridire di fronte a fatti di questo genere perché assiste alla reiterazione di reati da parte di persone che non avrebbero più dovuto essere nella condizione di commetterli".

 

Qual è la soluzione, secondo lei?

"Dico no a una difesa acritica della legislazione e no anche a una applicazione altrettanto acritica. E non credo che neppure un colpo di spugna che la cancelli del tutto possa risolvere il problema. L’unica soluzione è una strada equilibrata per evitare i cumuli di benefici".

Giustizia: Berselli (Pdl); il ddl intercettazioni slitta a settembre

 

Asca, 7 luglio 2009

 

"Sono soddisfatto. Non poteva essere che al Senato giungesse un provvedimento da approvare a scatola chiusa direttamente dalla Camera".

Il presidente della commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli sottolinea il suo compiacimento per il colpo di freno al ddl intercettazioni che le recentissime prese di posizione del governo, per voce del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e dello stesso Senato, per tramite del presidente Renato Schifani avevano già ampiamente anticipato.

Un colpo di freno che si traduce in uno slittamento a settembre dell’esame del ddl da parte dell’Aula del Senato e che ha trovato ufficializzazione oggi in commissione Giustizia con l’annunciata apertura a una serie di audizioni di rilievo al fine di superare "i punti che meritano la dovuta attenzione".

Si tratta, secondo lo stesso Berselli, dell’applicabilità delle intercettazioni nei casi di "evidenti indizi di colpevolezza" ("È un non senso - osserva Berselli - se c’è già indizio di colpevolezza a che servono allora?"), ai reati di mafia ma non a quelli minori ("Spesso cono proprio questi la chiave d’accesso per aggredire i mafiosi"), alle sanzioni penali a editori e giornalisti ("Serve una gradualità di responsabilità: una cosa è un pubblico ufficiale che fa uscire le notizie, altro è il giornalista che fa il suo mestiere di informazione").

Berselli è comunque categorico nel sottolineare come il "colpo di freno" non possa e non debba in alcun modo essere interpretato come una volontà, o anche solo un vago annuncio, di insabbiamento del provvedimento. "Il nostro obiettivo non è tirare per le lunghe con il ddl intercettazioni per non approvarlo - dichiara con forza - ma solo quello di migliorarlo. Il tema delle intercettazioni insomma è sentito e reale; che la soluzione sia il testo approvato dalla Camera o un altro è un’altra questione, ma senz’altro è un tema che va affrontato".

Giustizia: per morte di Aldrovandi condannati quattro poliziotti 

 

Aprile on-line, 7 luglio 2009

 

Federico aveva 18 anni e morì sull’asfalto una domenica mattina, dopo aver incontrato ed essersi scontrato con quattro agenti di polizia: Paolo Forlani, 48 anni, di Ferrara, Monica Segatto, 45 anni, di Padova, Enzo Pontani, 44 anni, di Occhiobello (Rovigo) e Luca Pollastri, 39 anni, di Ferrara. Il giudice Francesco Maria Caruso li ha condannati a tre anni e sei mesi. Secondo l’accusa - e il tribunale - i quattro agenti, durante un normale controllo di ordine pubblico, commisero il reato di eccesso colposo in cui causarono la morte del ragazzo, il suo omicidio colposo.

È un pianto liberatorio a chiudere il lungo calvario iniziato la mattina del 25 settembre 2005. Piangono tutti, papà Lino, mamma Patrizia, gli avvocati, gli amici e le centinaia e centinaia di persone che si accalcano in tribunale, quel pezzo di Ferrara e non solo che aveva seguito e supportato la battaglia civile di due genitori per la morte del loro figlio, Federico Aldrovandi. Aveva 18 anni e morì sull’asfalto una domenica mattina, dopo aver incontrato ed essersi scontrato con quattro agenti di polizia: Paolo Forlani, 48 anni, di Ferrara, Monica Segatto, 45 anni, di Padova, Enzo Pontani, 44 anni, di Occhiobello (Rovigo) e Luca Pollastri, 39 anni, di Ferrara.

Tutti e quattro dopo appena cinque ore di camera di consiglio, in cui ha sintetizzato quattro anni di indagini e processo, e le 32 udienze che ha diretto dallo scranno dell’aula penale del tribunale di Ferrara, il giudice Francesco Maria Caruso li ha condannati a tre anni e sei mesi, accogliendo la tesi del pm Nicola Proto (accolte anche provvisionali, di 300mila euro per la famiglia): secondo l’accusa - e il tribunale - i quattro agenti, durante un normale controllo di ordine pubblico commisero il reato di eccesso colposo in cui causarono la morte del ragazzo, il suo omicidio colposo.

Le difese dei poliziotti avevano chiesto l’assoluzione, e nella mattina hanno ribadito come probabile causa di morte la Eds, sindrome da eccitamento, determinata comunque dalla concausalità di assunzioni di droghe. Quello che molti hanno confermato ì che Federico in quell’alba stava male, gridava, si autolesionava, chiedeva aiuto.

Per l’accusa, i poliziotti usarono in modo improprio i manganelli, lo ammanettarono in molto altrettanto imprudente e soprattutto non lo aiutarono mentre chiedeva soccorso, mentre con la faccia a terra sussurrava, rantolando, "aiuto, aiutatemi, basta". Questa la tesi che ha vinto il processo.

Contro quella dei quattro difensori che hanno assistito i quattro agenti, e che dopo, la sentenza lasciano in silenzio il tribunale, lasciandosi dietro le dichiarazioni di circostanza: "Leggeremo le motivazioni proporremo appello, e vedremo cosa accadrà negli altri gradi di giudizio. Una coda lunga".

Enzo Pontani, è l’unico tra gli imputati a commentare la sentenza, sibilando, mentre esce dal tribunale che "stasera non è stata fatta giustizia. Una cosa è certa ed è che io ogni notte dormo e dormirò sonni tranquilli, altri non possono dire di poterlo fare".

In aula ad ascoltare il verdetto, solo lui e Pollastri, mentre sono assenti gli altri due. Uno "giustificato", Paolo Forlani, in servizio di frontiera per il G8. Dopo la sentenza si dovrà decidere il loro futuro, dal punto di vista disciplinare. Si vedrà prossimamente. Dalla questura, interpellata, solo un secco "no comment".

Commentano, tra gli applausi del pubblico, le lacrime e gli abbracci, invece, gli avvocati di parte civile, affermando che questa sentenza è contro chi "ci diceva che volevamo speculare su questo dramma. Contro chi ci ha denunciati per calunnia. Ci è stato tolto tanto, troppo", hanno detto alludendo alla lunga battaglia giudiziaria fatta per arrivare ad una indagine "equa ed equilibrata": i primi mesi che seguirono la morte del ragazzo, le indagini andarono a vuoto.

Poi dall’inverno 2006 e dopo la sostituzione del pm di allora (il pm Maria Emanuela Guerra, che lasciò per motivi famigliari e personali) l’inchiesta decollò. Grazie anche e soprattutto alla mamma Patrizia Moretti. Tutti la abbracciano, in aula, mentre fuori nel cortile del tribunale centinaia di persone, come mai si erano viste in tribunale, attendono la loro uscita. Tutte persone che hanno percorso assieme a loro questi quattro anni di dramma. Dopo che Patrizia Moretti, nel gennaio del 2006, aprì un blog con cui lanciò un suo Sos del tutto personale: per lei, per la sua famiglia per avere una verità sulla morte del figlio Federico.

Dura come suo solito e perentoria, commenta: "Eravamo convinti della colpevolezza dei quattro poliziotti, ora il tribunale lo ha sancito e così doveva essere. Ci sono stati momenti in cui ho avuto paura che se la potessero cavare, ma in fondo ci ho sempre creduto. Ora quei quattro non devono più indossare la divisa".

Papà Lino veste ancora oggi la divisa di ispettore di polizia municipale, pur nell’ombra ha portato avanti la battaglia civile con la moglie: "Oggi nessuno potrà più dire che mio figlio è morto perché drogato" (alludendo alle cause proposte dalla difesa e dalla polizia). E poi aggiunge: "Nessuno comunque potrà restituirmi il mio Federico. E adesso è ora che mi riposi da tutto questo caos, è ora che mi lascino solo con lui".

Giustizia: Polizia Penitenziaria protesta contro il Piano Carceri

 

Redattore Sociale - Dire, 7 luglio 2009

 

Da Milano a Roma, passando per Bologna, Napoli, Bari, Palermo e Cagliari: queste le tappe della protesta della polizia penitenziaria promossa da diverse sigle sindacali contro "il disinteresse del ministro Alfano" e una carenza di organico pari a quasi 5.000 agenti. Le manifestazioni si snoderanno per tutta l’estate, con il clou nazionale nella Capitale il 22 settembre. Inoltre il giorno di ferragosto sarà contrassegnato da visite in diversi penitenziari, un po’ in tutta Italia, dei segretari generali di Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Sappe, Osapp e Sinappe.

Intanto dopodomani i lavoratori della Polizia Penitenziaria di Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche si ritroveranno al carcere bolognese della Dozza per riproporre la protesta partita lo scorso 30 giugno a Milano. Sul tappeto, come segnala l’Ugl dell’Emilia-Romagna in un comunicato, "le annose problematiche degli agenti di Polizia penitenziaria, che ogni giorno devono fronteggiare, tra l’altro, croniche carenze di organico e discutibili spostamenti di baschi azzurri, destinati dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) ad altri uffici, assottigliando ancor di più un organico già di per sé ridotto all’osso. Questi stessi temi sono stati portati all’attenzione del ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano, il quale aveva preso degli impegni in materia di assunzioni di nuovi agenti nel corso della festa per i 192 anni della Polizia Penitenziaria".

Il Guardasigilli, riepiloga l’Ugl, "aveva parlato della costruzione ex novo di 24 istituti penitenziari e di un reclutamento straordinario di nuovi agenti, ma fino a questo momento tali impegni non sono stati suffragati dai fatti, soprattutto in materia di forze fresche tra gli agenti della Pol Pen il cui organico, secondo i dati riferiti al 31 maggio, è di 40.334 unità, contro le 45.109 previste".

Le organizzazioni sindacali affermano che "la soluzione di tutti i problemi non può essere quella di affidarsi solo e soltanto al cosiddetto "piano carceri" e lamentano "l’infruttuosità di un incontro, proprio con il ministro Alfano, all’indomani della festa della Pol Pen".

Le proteste successive sono annunciate per il 21 luglio a Napoli, davanti a Poggioreale, per le guardie penitenziarie di Campania, Calabria e Molise, quindi il 28 luglio a Bari per gli agenti di Puglia, Abruzzo e Basilicata. Le manifestazioni riprenderanno il 7 settembre a Palermo, davanti all’Ucciardone, per gli agenti della Sicilia, e il 16 settembre a Cagliari, davanti al carcere di Buoncammino, fino alla protesta nazionale del 22 settembre a Roma.

Questo il programma delle visite ai penitenziari che i segretari generali dei sindacati effettueranno il 15 agosto, secondo la nota dell’Ugl: Donato Capece (Sappe) a Padova, Leo Beneduci (Osapp) a Secondigliano a Napoli, Eugenio Sarno della Uil a Lecce, Pompeo Mannone della Cisl a Cagliari, Roberto Santini del Sinappe a Brescia, Francesco Quinti della Cgil al carcere romano di Rebibbia e Giuseppe Moretti di Uspp per l’Ugl a Bolzano.

Giustizia: Opg; la riforma "al palo", 1.200 detenuti abbandonati

 

Redattore Sociale - Dire, 7 luglio 2009

 

Desi Bruno, coordinatrice nazionale dei garanti: "Non partono le misure alternative di ricovero per i carcerati con problemi di salute mentale e il progressivo svuotamento degli Opg rimane un’ipotesi". Appello al governo.

"A che punto siamo? Molto indietro. La riforma è al palo, e il progressivo svuotamento degli ospedali psichiatrici giudiziari resta una mera ipotesi. Intanto i 1200 ricoverati nei sei Opg italiani continuano ad essere in sostanza abbandonati. A volte in condizioni paurose di sovraffollamento e disagio". È l’allarme rilanciato oggi dall’avvocato Desi Bruno, appena rieletta coordinatrice nazionale dei Garanti dei diritti delle persone in carcere, durante una giornata di studi a Reggio Emilia che si pone appunto la domanda: "A che punto siamo?" nell’applicazione della riforma che sancisce il passaggio della medicina penitenziaria al Servizio sanitario nazionale.

"Il quadro è molto negativo - spiega Desi Bruno - e restano inapplicate le linee guida del ministero della Giustizia, che prevedevano per le persone negli Opg forme alternative di ricovero in collaborazione con i servizi di salute mentale sul territorio. A questo poi si aggiunge il problema dei detenuti comuni che sviluppano patologie psichiatriche dopo l’ingresso in carcere.

In teoria nelle linee guida sono previsti reparti di assistenza psichiatrica dentro gli istituti di pena: ma nel carcere di Bologna, per fare un esempio, in questo momento non sta funzionando neanche la normale infermeria". Nella sola Emilia-Romagna, ricorda la coordinatrice dei Garanti, il 15% delle persone in carcere ha problemi di disagio mentale, presenti all’origine o sopravvenuti dopo la detenzione. Riguardo agli ospedali psichiatrici giudiziari un nuovo allarme è stato lanciato pochi giorni fa dal Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria, sul sovraffollamento dell’Opg di Reggio Emilia: la struttura è arrivata alla cifra mai raggiunta prima di 335 internati, "in spazi ridotti e non conformi alle loro patologie psichiche".

Per Desi Bruno "le Regioni stanno facendo sforzi, ma la riforma non va avanti. Non aiuta certo il contesto nazionale di carcerizzazione selvaggia: in questo momento il concetto di custodia e sicurezza prevale sulla funzione di cura e controllo". Anche per questo il Coordinamento nazionale dei garanti ha messo in agenda la richiesta di un incontro con il ministro Alfano per discutere sugli orientamenti di politica penitenziaria del governo. E anche di questo parlano oggi a Reggio Emilia i direttori di diversi Opg (Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Barcellona Pozzo di Gotto), con l’assessore regionale alla Salute Giovanni Bissoni ed esperti dei servizi territoriali di salute mentale.

Giustizia: le carceri diventano "verdi" grazie all'energia solare

di Paolo Fantauzzi

 

Terra, 7 luglio 2009

 

Pronti i pannelli che forniranno l’acqua calda nella casa di reclusione di Rebibbia. Il ministero della Giustizia premiato per i progetti per le rinnovabili in 40 istituti.

Il tassello più recente del mosaico è rappresentato dalla casa di reclusione di Rebibbia. È qui, in uno spicchio di terrazzo che dà sui monti Tiburtini, che da qualche giorno sono attivi i pannelli solari termici che forniranno l’acqua calda ad almeno un paio di padiglioni del penitenziario.

Ma quello del complesso romano non è un caso unico né isolato, perché sul fronte delle fonti rinnovabili il Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap) che gestisce le oltre 200 carceri d’Italia ha raggiunto ormai livelli d’avanguardia da Nord a Sud. A sancire questa "supremazia" a marzo è arrivato perfino il premio "Green public procurement 2009", assegnato alle amministrazioni più impegnate nelle politiche di risparmio energetico.

"Per aver saputo coniugare in modo efficace innovazione tecnica, promozione delle fonti rinnovabili, risparmio energetico e formazione dei detenuti in un progetto di elevata innovazione ambientale e grande valore sociale", come recita la motivazione ufficiale. Un approccio ecosostenibile che non è dettato solo da una particolare sensibilità ma da una questione squisitamente economica sempre più stringente: la "bolletta" che il ministero di Giustizia paga ogni anno per le utenze dei penitenziari, che oscilla fra 60 e 70 milioni di euro.

Con l’introduzione e la progressiva entrata a regime dei piani di sviluppo studiati a partire dal 2001, in applicazione delle misure previste dal Protocollo di Kyoto, l’obiettivo è di abbattere i costi del 50%. E per riuscirci il ministero della Giustizia ha anche istituito un apposito gruppo di studio per l’utilizzazione delle energie alternative. Tre le direttrici principali che il Dap ha elaborato, differenti a seconda del contesto geografico di applicazione: pannelli solari termici, fotovoltaici e impianti di cogenerazione.

Accanto a essi c’è poi il progetto di puntare sulla coltivazione di biomasse e sull’eolico, anche se proprio quest’ultima linea di intervento finora ha trovato maggiore difficoltà. Parallelamente, sono state messe a punto linee guida che prevedono che ogni intervento di ristrutturazione miri al risparmio energetico: risalto all’utilizzo di vetro e acciaio, coperture e pavimenti pensati per evitare dispersioni di calore, impiego di materiali isolanti, lampade a basso consumo, caldaie ad alta efficienza termica, tinte a basso impatto ambientale per i muraglioni interni, valvole termostatiche per regolare la temperatura.

Pur con le rispettive differenze di fase realizzativa, al momento sono più di 40 gli istituti coinvolti in almeno uno dei programmi del Dap. Per ovviare alle esigue risorse statali, la formula economica è quasi sempre quella del finanziamento tramite terzi, che impegna l’appaltatore a farsi carico delle spese la realizzazione degli interventi e delle forniture previste dal capitolato in cambio del pagamento di un canone fisso per un periodo limitato di tempo.

Campania: riunito Tavolo tecnico sulla situazione penitenziaria

 

Asca, 7 luglio 2009

 

Si è tenuto ieri presso la sede dell’Assessorato delle Politiche Sociali di Napoli, il tavolo tecnico sulla situazione penitenziaria in Campania, promosso dall’Assessore Alfonsina De Felice. Al tavolo hanno partecipato, oltre i tecnici regionali, rappresentanti del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, dell’Ufficio esecuzione penale esterna, del Garante regionale delle persone prive della libertà e del Centro di Giustizia Minorile.

"Attraversiamo una difficile fase nelle carceri, ha dichiarato l’Assessore De Felice, nelle quali si registra un aumento delle presenze anche negli Istituti per minori e che rischia di aggravarsi nei prossimi mesi".

"Dinanzi alle difficoltà che ci vengono presentate - ha proseguito la De Felice - è necessario assicurare azioni che contribuiscano a migliorare le condizioni tanto delle persone detenute quanto di chi opera all’interno degli istituti di pena e, in tal senso, il Piano sociale regionale prevede specifici interventi per l’area carcere.

Definiremo a breve, assieme ai soggetti istituzionali coinvolti, un programma di interventi immediatamente realizzabili negli istituti di pena. È un nostro preciso impegno istituzionale assicurare progetti individualizzati finalizzati alla tutela sociale delle fasce più deboli della popolazione detenuta, come le donne, i migranti e i sofferenti psichici."

Sicilia: intesa tra il Garante dei detenuti e Cooperative Italiane

 

Comunicato stampa, 7 luglio 2009

 

Fleres, Garante dei diritti dei detenuti: "Il lavoro per i detenuti rappresenta il mezzo per un concreto reinserimento sociale". Questo è quanto ha dichiarato il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia, a seguito della firma del protocollo d’intesa con l’Associazione Generale delle Cooperative italiane, avvenuta lo scorso 30 giugno.

"Il protocollo prevede l’organizzazione di progetti di raccolta, smaltimento e riciclaggio dei rifiuti, con particolare riferimento alla plastica da effettuarsi all’interno degli Istituti penitenziari dell’Isola. Un ringraziamento particolare va rivolto al Dott. Rosario Altieri, Presidente dell’Agci, che ha mostrato una particolare sensibilità verso un mondo troppo spesso dimenticato. Mi auguro, ha concluso il Sen. Fleres, che altri esponenti di associazioni private seguano l’esempio del Dott. Altieri in modo da fornire un ulteriore opportunità a quanti, pur nella consapevolezza di aver sbagliato, mostrano la volontà di condurre, dopo aver scontato la loro pena, una vita normale".

Firenze: morta donna di 28 anni, nuovo dramma a Sollicciano

 

Comunicato stampa, 7 luglio 2009

 

Una giovane detenuta di Pistoia di 28 anni, è morta ieri sera per cause da accertare con precisione. Sono escluse cause di violenze o di aggressioni. La giovane era in carcere per piccoli reati legati alla tossicodipendenza. Questa tragedia conferma che il carcere non può essere la soluzione per coloro che hanno una condizione legata alla tossicodipendenza.

Occorre un impegno straordinario per trovare soluzioni alternative per chi è recluso e potrebbe essere aiutato con pene diverse dalla detenzione e anche valutare l’accettabilità di una legge, quella sulle droghe, che risulta essere la causa principale del sovraffollamento nelle carceri italiane e in quelle di Firenze. A Sollicciano il sovraffollamento colpisce anche la sezione femminile (103 donne e 7 bambini) e incredibilmente l’Amministrazione Penitenziaria lascia vuoto l’istituto di Empoli.

 

Franco Corleone

Garante dei diritti dei detenuti

del Comune di Firenze

Bologna: manifestazione di protesta per la Polizia Penitenziaria

 

Ansa, 7 luglio 2009

 

Nell’ambito delle iniziative di protesta indette dalle OO.SS. rappresentative il Corpo di polizia penitenziaria Uil - Sappe - Osapp - Sinappe - Cisl - Cgil e Uspp si terrà domani davanti al carcere della Dozza un presidio e una manifestazione di protesta degli agenti penitenziari. All’appuntamento saranno presenti delegazioni di poliziotti penitenziari provenienti dall’Emilia Romagna, dalla Toscana e dalle Marche

"Dopo l’indiscutibile successo della manifestazione del 30 giugno scorso a Milano, abbiamo buoni motivi per credere che domani registreremo una presenza significativa alla manifestazione unitaria. Anche se siamo già nel periodo di ferie - sottolinea Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari - la voglia di portare in piazza la rabbia, la delusione, la frustrazione della polizia penitenziaria è altissima. Nonostante che da settimane un Corpo di polizia della Repubblica manifesta e protesta, anche per chiedere maggiori unità e risorse, il Governo e il Ministro Alfano continuano ad essere impassibili, indifferenti ed immobili. Eppure all’interno delle prigioni d’Italia si consuma il dramma della sopraffazione della dignità umana cui si coniugano indegne condizioni di lavoro per tutti gli operatori penitenziari. Bologna, con la Dozza, è un esempio lampante dello scempio del diritto; del degrado incivile; della dignità umana vilipesa".

Domani alle 12.00, contemporaneamente all’inizio della cerimonia funebre in suffragio di Davide Aiello (il poliziotto penitenziario ucciso a Catania da un ispettore in preda ad una crisi depressiva), i manifestanti osserveranno un minuto di silenzio

"Un gesto simbolico per ricordare il nostro collega assurdamente scomparso e per sottolineare, ancora una volta, le responsabilità di un’Amministrazione Penitenziaria infida, incapace, nemica che produce malessere e depressione. Anche per tali ragioni condivido appieno la decisione della Segreteria Provinciale Uil Penitenziari di Bologna di non partecipare alla celebrazione della Festa Provinciale della polizia penitenziaria che si celebrerà a Bologna il prossimo 9 luglio.

Non crediamo ci sia nulla da festeggiare. Il contingente di polizia penitenziaria a Bologna è deficitario di circa 200 unità, nel mentre si registrano preoccupanti punte di sovraffollamento. Ieri alla Dozza, che ha una ricettività di circa 480 posti, erano presenti 1190 detenuti. Non credo - conclude Eugenio Sarno - occorra dire altro per rappresentare una realtà che assume sempre più i contorni di una vera emergenza umanitaria. Purtroppo nel silenzio e nell’indifferenza della politica e della cosiddetta società civile".

 

Coordinamento Garanti territoriali: solidarietà a protesta Polizia penitenziaria

 

Il Coordinamento dei Garanti Territoriali esprime solidarietà nei confronti della protesta dei poliziotti penitenziari delle organizzazioni sindacali nazionali che si terrà a Bologna il giorno 8 luglio 2009. A fronte degli insostenibili numeri del carcere in termini di sovraffollamento le croniche carenze di organico della Polizia penitenziaria hanno drammatiche ricadute sia sulla sicurezza delle strutture carcerarie che sullo svolgimento delle attività trattamentali.

A ciò si aggiunge la più volte segnalata irrazionale distribuzione delle risorse umane sul territorio, con strutture penitenziarie nelle quali, in relazione ad un minore numero di ristretti, il numero degli agenti appare sovradimensionato rispetto ad altre realtà, come per esempio gli istituti dell’Emilia Romagna. Gli appartenenti alla polizia penitenziaria, a cui si chiede di concorrere nell’attuazione dell’art. 27 Cost., devono essere messi in condizione di svolgere il proprio ruolo e non mortificati nella loro dignità di lavoratori.

Il Coordinamento esprime altresì preoccupazione per il recente cd. piano carceri, che graverebbe organici insufficienti della apertura di nuovi edifici e padiglioni per far fronte all’inarrestabile aumento della popolazione detenuta, e a i quali sembra chiedersi una funzione meramente custodiale, con un ritorno al passato che nessuno può ragionevolmente volere, in contrasto con la finalità della pena e con le reali esigenze di sicurezza della collettività, a cui si risponde con un progetto serio di politica penitenziaria che riduca il ricorso al carcere e favorisca le misure alternative, unico vero strumento di abbattimento della recidiva unitamente a serie politiche di prevenzione.

 

Avv. Desi Bruno

Coordinatrice Nazionale Garanti territoriali

Firenze: all’Opg internato aggredisce agenti, uno è all’ospedale

 

La Nazione, 7 luglio 2009

 

Il colloquio periodico con i familiari, nel parlatorio dell’Ospedale psichiatrico di Montelupo, si stava avviando a conclusione quando l’uomo è stato colto da una violenta crisi di nervi. Prima urla e gesti scomposti poi, quando alcuni agenti di custodia si sono avvicinati per calmarlo, l’uomo, come se avesse triplicato le forze, si è lanciato contro gli uomini in divisa colpendo alla cieca.

La peggio è toccata ad un assistente della polizia penitenziaria, P.G., le sue iniziali, che ha ricevuto un violentissimo calcio all’addome. L’agente si è accasciato sul pavimento subito soccorso da altri colleghi mentre altro personale di servizio provvedeva ad immobilizzare l’energumeno.

Per l’agente di custodia, dopo una sosta all’infermeria interna, c’è stato il trasferimento al pronto soccorso dell’ospedale San Giuseppe. Qui gli è stata diagnosticata una forte contusione addominale. Pare che il colpo ricevuto abbia provocato un grosso ematoma interno.

La prognosi è stata di trenta giorni ed l’agente di custodia è stato trattenuto a scopo precauzionale. Non è purtroppo la prima volta che simili episodi accadono all’interno dell’Ospedale Psichiatrico di Montelupo. Anzi, negli ultimi mesi episodi di violenza nei confronti del personale di custodia si sono moltiplicati pur senza arrivare alla gravità di quest’ultimo. E adesso ci si chiede come poter intervenire per evitare che tutto questo accada di nuovo.

Il Sappe, uno dei sindacati che associa gli agenti di custodia, denuncia a questo proposito evidenti "carenze organizzative" e l’assenza di "figure professionali" in grado di fornire adeguata assistenza ai ricoverati. Come è noto l’Ospedale psichiatrico di Montelupo si trova da tempo al centro di polemiche roventi tra quanti ne chiedono se non la chiusura almeno un ridimensionamento e altri che non condividono queste tesi.

Alcuni mesi fa il sindaco della città della cermanica aveva emesso un’ordinanza con la quale imponeva una riduzione (per motivi sanitari) del numero dei ricoverati. Inutile dire che i destinatari dell’ordinanza hanno fatto orecchie da mercante.

Verona: Uil; il carcere di Montorio scoppia... e i vertici tacciono

Chiara Bazzanella

 

DNews, 7 luglio 2009

 

"Non ci arrivano notizie dal carcere di Verona e subiamo una chiusura della direzione nei confronti dei sindacati. E questo mentre il nuovo pacchetto sicurezza prevede reati come quello di clandestinità, che non faranno che aumentare il numero di detenuti e accentuare la già forte carenza di risorse umane". Leonardo Angiulli, coordinatore di Uilpa Penitenziari per il Triveneto, si è rivolto ieri all’onorevole Gianpaolo Fogliardi (Pd) perché valuti se presentare un’interrogazione parlamentare sul carcere.

Già nel dicembre del 2008 la Uilpa denunciava un forte sovraffollamento dei detenuti di Montorio, il cui numero è cresciuto fino a 950uomini e60 donne, a fronte di una capienza prevista di442 detenuti e diuna tollerabilità di 663. È scritto nel documento consegnato a Fogliardi: "Ci troviamo dinanzi a una situazione di ordine pubblico. Il carcere è in uno stato pessimo e ha bisogno di interventi adeguati per mettere a norma gli ambienti e i luoghi di lavoro".

Angiulli descrive poi i turni stressanti degli agenti penitenziari e ruoli ai quali non dovrebbero essere destinati. E aggiunge: "L’organico è di 321 unità mentre ne servirebbero almeno altre 200". Preoccupa inoltre l’apertura di un reparto di osservazione che porterebbe nella struttura veronese detenuti con problemi psichiatrici provenienti da tutte le regioni: "ulteriore aggravio alla già difficile situazione".

Rovigo: il carcere ha capienza di 62 detenuti e ne "ospita" 126

di Franco Pavan

 

Il Gazzettino, 7 luglio 2009

 

Il carcere di via Verdi ha una capienza di 62 detenuti e ne ospita 126. Più del doppio. Il settore maschile ha 32 posti anche se la tolleranza gestionale sposta il tetto a 45 detenuti. A tutt’oggi ne contiene invece 96. Tre volte il normale e ancora più del doppio del massimo consentito. Va appena meglio nel settore femminile dove, per fortuna, la capienza di 30 posti è rispettata. Ma fino a quando visto l’inasprimento di normative come quella sul contrasto alla clandestinità? Già, perché il vero nodo scorsoio intorno al collo della struttura rodigina è proprio questo: la metà dei detenuti maschi è straniera. E per le donne recluse si sale all’80 per cento.

Si può partire da questi dati per fotografare il pianeta detenzione a due giorni dall’annuale appuntamento con "Il carcere in piazza (per non dimenticare)", la serata organizzata dal coordinamento dei volontari della casa circondariale che, come sempre, invita a riflettere sulla condizione carceraria con musica, poesia, racconti e testimonianze.

L’appuntamento diretto da Livio Ferrari, direttore del Centro francescano d’ascolto, si svolgerà in piazza Vittorio Emanule venerdì 10 luglio alle 21. A condurlo è stato invitato il giornalista Rai, Riccardo Tivegna. Le voci narranti saranno Giulia Veronese e Francesco Scolletta, mentre sul palco si esibirà il gruppo The Gang.

Che il sovraffollamento sia la vera piaga del sistema detentivo nazionale lo dimostrano le cifre diffuse da Ferrari alla presentazione della serata in piazza. "Sono attualmente carcerati 63.460 soggetti di cui 39.930 italiani e 23.530 stranieri - ha spiegato Ferrari -. La capienza regolamentare è di 43.177 posti, con 20.283 detenuti in eccesso. Il tasso di sovraffollamento maggiore è in Emilia Romagna con il 198% e la regione che ha più detenuti in sovrannumero è la Lombardia con 8.648 carcerati dove ne potrebbero essere detenuti 5.423. Dire che ogni limite è stato superato è un eufemismo - sottolinea Ferrari -. Manca lo spazio ma non solo: non ci sono risorse per la pulizia e la manutenzione delle strutture, manca il personale per la sorveglianza e il trattamento ma ciò che è più carente è il buon senso".

Dito puntato sullo Stato. "Chi governa parla a slogan - prosegue Ferrari -. No indulto, no amnistie, pene certe e costruire nuove carceri. Ma con quali soldi? Con quale personale?".

Intanto i detenuti crescono in modo allarmante, 39mila nel 2007, 48mila nel 2008, 59mila a gennaio di quest’anno. Oggi sono già 64mila. Uno scenario da incubo in cui si inserisce un altro dramma delle condizioni di vita dei reclusi. "I decessi, i suicidi e le violenze in genere stanno aumentando - aggiunge Ferrari - Sono fatti che pesano sulla coscienza di una classe politica disumana che relega il detenuto a persona priva di diritti".

Ferrari è duro soprattutto con chi adopera l’arma della presunta sicurezza per innescare movimenti d’opinione pro reclusione sempre e comunque. "La vera sicurezza, come dimostrano i dati mondiali, è garantita solo dalle misure alternative alla detenzione. Le uniche che riducono davvero il rischio che una persona ricommetta reati".

Padova: i dolci prodotti nel carcere Due Palazzi arrivano al G8

 

Redattore Sociale - Dire, 7 luglio 2009

 

La scelta di portare questa esperienza al G8 è stata fatta dal "Gambero Rosso", cui è stato affidato il compito di individuare delle produzioni enogastronomiche "sociali" da proporre agli ospiti mondiali.

Sulle tavole dei capi di stato che da domani saranno protagonisti del G8 ci sarà anche una specialità tutta padovana e con una forte valenza sociale. A Obama, Sarkozy, Merkel, Medvedev e agli altri leader presenti nella caserma della Guardia di Finanza di Coppito sarà proposta infatti la degustazione di alcuni dei dolci più richiesti prodotti all’interno del laboratorio di pasticceria del carcere Due Palazzi di Padova. La scelta di portare questa esperienza al G8 è stata fatta dal "Gambero Rosso", cui è stato affidato il compito di individuare delle produzioni enogastronomiche "sociali" da proporre agli ospiti mondiali.

In particolare, a rappresentare il laboratorio padovano in Abruzzo ci saranno una specialità ormai riconosciuta a livello internazionale e una nuova proposta: si tratta rispettivamente del panettone e della Noce del Santo. E a chi crede che il panettone d’estate sia fuori luogo risponde il successo che la scorsa estate ha ottenuto l’iniziativa "Il panettone ad agosto" e la presenza del dolce natalizio al meeting di Rimini, durante il quale ne sono state preparate ben 5 tonnellate.

La Noce del Santo, invece, è un dolce nato solo un mese fa, durante la Tredicina del Santo, in stretta collaborazione con i frati della basilica padovana ed è una riproposizione in chiave moderna dei dolci medievali, con una selezione degli ingredienti basata su una lunga e accurata ricerca storica, per realizzare un omaggio gastronomico a Sant’Antonio, il santo più conosciuto e amato nel mondo.

"Siamo particolarmente lieti di poter essere presenti a questo evento mondiale - commenta Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio Rebus che gestisce il laboratorio di pasticceria padovano - non solo per la vetrina internazionale che viene messa a disposizione dei nostri prodotti, ma proprio per la natura spiccatamente sociale di questo G8. Sono certo che una personalità ad esempio come il presidente Obama, che nei prossimi giorni visiterà anche i siti del terremoto, apprezzerebbe molto l’origine dei nostri dolci e il recupero sociale e umano che attività lavorative quali la pasticceria permettono". Attualmente nei percorsi di inserimento lavorativo gestiti dal Consorzio Rebus sono coinvolti un centinaio di detenuti, di cui 80 all’interno del carcere e 20 all’esterno. "Da notare poi che tutte le attività lavorative comportano un rapporto con il mondo esterno - sottolinea Boscoletto -, non sono mai finalizzate esclusivamente alla sola popolazione carceraria".

Milano: Comune stoppa i "Blue Berets", ronde estrema destra

di Franco Vanni

 

La Repubblica, 7 luglio 2009

 

Il Comune di Milano ritira le ronde azzurre dal cuore nero. Il sindaco Letizia Moratti ha sospeso il contratto con i Blue Berets, associazione pagata da Palazzo Marino che da un anno e mezzo fa vigilanza in città. La decisione arriva dopo le polemiche seguite all’inchiesta di Repubblica Milano sui collegamenti fra i berretti azzurri e il Msi di Gaetano Saya, il partito che organizza "ronde nere" con divise in stile nazista.

Il presidente dei Blue Berets, Vincenzo Scavo, è infatti dirigente della formazione politica di estrema destra che ha per stemma il sole nero, simbolo del misticismo hitleriano. E non è il solo. All’associazione dei rondisti blu è stato iscritto come "colonnello" anche Riccardo Sindoca, pure lui ex Msi, indagato a Genova assieme a Saya con l’accusa di volere costituire un servizio segreto parallelo.

Da lunedì i Blue Berets non potranno più fare ronde in strada, servizio che svolgono dal maggio 2008, e nemmeno in metropolitana, sperimentazione partita il 25 giugno scorso. Da quando è scoppiato il caso, il vicesindaco Riccardo De Corato ripete che "il Comune non poteva sapere dell’appartenenza di Scavo all’Msi, perché l’associazione ha vinto una gara e non si può indagare sul credo politico dei partecipanti".

Quanto alla sospensione del contratto, che ai baschi blu ha fruttato 517mila euro di fondi pubblici, De Corato taglia corto: "Dopo l’estate il prefetto valuterà i requisiti dell’associazione, come prevede la legge". Ma il caso è politico. Solo qualche giorno fa il vicesindaco lodava l’associazione definendola "contributo prezioso per la sicurezza dei più deboli" e ne elencava i successi: dal giugno 2008 1.421 interventi dei 28 rondisti, che segnalavano reati alle forze dell’ordine o immobilizzavano i responsabili in attesa dell’arrivo degli agenti.

L’adesione all’ultradestra del vertice delle ronde azzurre ha sollevato un coro d’indignazione. Emanuele Fiano, parlamentare Pd, ha annunciato un’interrogazione al ministro Maroni. L’Udc chiede che i finanziamenti ai Blue Berets siano dati ai vigili urbani, e anche nel Pdl c’è chi ha visto nell’episodio un campanello d’allarme. La deputata Paola Frassinetti, di An, auspica "più controllo di enti locali e prefetture sull’operato delle associazioni di vigilanza".

E il ministro Ignazio La Russa: "I volontari per la sicurezza non devono mai pesare sulle casse pubbliche". Oltre alla tessera e al modulo di adesione al partito, a provare l’appartenenza di Scavo all’Msi è la conferma di Maria Antonietta Cannizzaro, presidente del movimento che si appresta ad aprire a Milano una sede delle sue ronde nere. "La tessera da dirigente di Scavo scade nel 2013 - dice Cannizzaro - e lui non l’ha mai riconsegnata". Scavo, in una relazione inviata al Comune, sostiene di non avere "alcun rapporto con il partito dal 2003". E aggiunge: "Ero convinto che mancando la presenza attiva l’adesione fosse decaduta".

Roma: le "Assistenti familiari", contro il reato di clandestinità

 

La Repubblica, 7 luglio 2009

 

Riunione in Roma delle Assistenti Familiari per ottenere il profilo professionale e contro il reato di clandestinità. Promossa dal Coordinamento delle assistenti familiari e da Istituto Fernando Santi.

Promossa dal Coordinamento delle assistenti familiari e dall’Istituto Fernando Santi si è svolta sabato scorso in Roma, in via del Porto Fluviale, l’assemblea delle assistenti familiari del quadrante ovest della città.

Kadija a nome del Coordinamento ha illustrato all’affollata assemblea le ragioni alla base della costituzione, nei mesi scorsi, del Coordinamento stesso su iniziativa delle donne che hanno superato i corsi per assistenti familiari promossi da Comune e Provincia di Roma.

" Tutte le oltre 1700 donne che dopo aver frequentato i corsi di 120 ore hanno ottenuto l’attestato del Comune e della Provincia - ha detto Kadija - debbono essere messe nella condizione di poter acquisire il profilo regionale frequentando corsi promossi dagli enti locali, previo riconoscimento delle 120 ore come credito formativo ".

"Il coordinamento - ha proseguito Kadija - chiederà alla Regione Lazio di non lasciare alla iniziativa del singoli la risoluzione di un problema del quale essi non sono responsabili ma di programmare l’adeguamento formativo che non si è voluto prevedere quando nel 2007 venne definito con Dgr il profilo regionale dell’assistente familiare. È interesse anche delle famiglie italiane vedere qualificato il lavoro di cura. Non è possibile che si crei nel Lazio un mercato del lavoro con due tipi di assistenti familiari".

Intervenendo per l’Istituto Fernando Santi Rino Giuliani ha confermato l’apprezzamento ed il sostegno al Coordinamento, autorganizzazione delle assistenti familiari a difesa della propria professionalità.

"Oggi, con l’approvazione del "pacchetto sicurezza" al senato - ha aggiunto Giuliani - anche le assistenti familiari irregolari sarebbero fuorilegge. Non vi è alcuna certezza sulla vantata assenza di effetti retroattivi. Il governo che ha voluto una legge complessivamente inaccettabile che va contro i diritti umani degli immigrati, deve precisare, con un provvedimento specifico, che la legge che ha fatto diventare reato la clandestinità non è retroattiva".

Immigrazione: Barrot (Ue); Italia va contro diritto comunitario

 

Redattore Sociale - Dire, 7 luglio 2009

 

L’annuncio del vicepresidente della Commissione europea: "Il pacchetto sicurezza sarà esaminato per verificare la compatibilità con le norme Ue. Violato il principio della libertà di circolazione".

La Commissione europea intende esaminare il "pacchetto sicurezza" adottato il 2 luglio scorso in Italia per verificare la sua compatibilità con il diritto comunitario, ha annunciato Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione europea e Commissario della giustizia, della sicurezza e delle libertà.

Barrot ha ricordato che l’Unione europea "non accetta misure generali" e che i controlli "devono essere "individuali, determinati e proporzionali". La nuova legislazione adottata dal parlamento italiano introduce invece un generico "reato d’immigrazione clandestina", punito con un’ammenda da 5 mila a 10 mila euro, accompagnata dall’espulsione immediata, rende obbligatoria la presentazione del permesso di soggiorno o del passaporto per dichiarare la nascita di un bambino e prolunga da 2 a 6 mesi il soggiorno degli immigrati irregolari nei Centri di identificazione e espulsione per permettere la loro identificazione in previsione della loro espulsione verso il loro paese d’origine. Secondo il Commissario europeo Jacques Barrot è soprattutto l’introduzione del reato d’immigrazione illegale a non essere compatibile con la normativa comunitaria.

L’elenco delle obiezioni della Commissione nei confronti dell’Italia è lungo. Poiché la nuova legge sull’immigrazione si scontra con un principio fondatore dell’Unione europea che è quello della libertà di circolazione. "Quando il governo italiano fa votare una legge che prevede di introdurre il reato d’immigrazione illegale - ha dichiarato Barrot - e quando questo reato può accompagnarsi ad un’espulsione immediata, allora la legislazione italiana è contro il diritto comunitario".

Perché queste critiche? Semplicemente perché in Italia possono facilmente trovarsi in queste condizioni anche cittadini dell’Unione europea, ad esempio rumeni o bulgari che, per la maggior parte, non hanno diritto di lavorare legalmente in Italia. Lo stesso discorso vale per i rom, che secondo Barrot sono chiaramente nel mirino di questo nuovo apparato legislativo.

È questa la "linea rossa" da non superare secondo il commissario Jacques Barrot, che ieri ha dichiarato che "la Commissione europea aveva già espresso al governo italiano che non può essere applicabile al cittadino comunitario una legge che prevedesse un aumento della pena per l’immigrazione in situazione irregolare. Inoltre abbiamo segnalato al governo italiano che l’espulsione automatica degli stranieri in caso di condanna a oltre due anni di detenzione non è neanche questa applicabile ai cittadini comunitari".

Concludendo, Bruxelles chiede al governo italiano di fare "marcia indietro". Non sarà quindi facile per l’Italia espellere o rinchiudere cittadini dell’Unione europea che si trovano in una situazione irregolare. Resta invece il problema dell’immigrazione illegale in provenienza dall’Africa o dall’Asia, e su questo punto il governo italiano è libero di fare ciò che vuole, o quasi. È questa anche una delle ragioni per le quali la presidenza svedese dell’Unione europea insiste per un’armonizzazione delle politiche d’immigrazione, almeno per quanto riguarda i profughi ed il diritto d’asilo.

Immigrazione: detenzione più lunga, anche per chi già nei Cie

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 7 luglio 2009

 

Gli stranieri già rinchiusi nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) rischiano di rimanerci fino a un periodo massimo di 180 giorni. L’estensione del periodo di permanenza da 2 a 6 mesi non riguarda solo gli stranieri rintracciata dopo l’entrata in vigore del dl sicurezza licenziato dal Senato giovedì scorso.

La norma, infatti, ha effetto retroattivo (come prevede il comma 23 dell’art. 1). Gli esperti sostengono che contro la retroattività di una norma di restrizione della libertà personale - che, invece, non potrebbe avere effetti anche nel passato - rischiano di scattare ricorsi con bune probabilità di essere vinti. La situazione nei Cie per ora sembra stazionaria: ad oggi sono presenti 1200 stranieri su una capienza totale di 1.479 posti.

Non si è dunque al completo, però i problema si porrà presto. La soluzione in realtà è già prevista con la costruzione di altri Cie nelle regioni finora sprovviste . Ma il problema politico di fondo resta quello delle regioni amministrate da Pd dove le resistenze alla costruzione di nuovi impianti per gli irregolari sono state più che evidenti.

Il ministro dell’Interno Maroni allora ha proposta che fossero le stesse regioni interessate a proporre i siti più adatti. Ma lo scoglio non sembra superabile con una scelta tecnica: la contrarietà è soprattutto politica, a maggior ragione dopo l’ok del Parlamento al reato di clandestinità. Una decisione comunque non potrà attendere molto, perché con l’allungamento a 180 giorni della permanenza dei clandestini i centri si riempiranno presto.

Immigrazione: si allarga il fronte pro-sanatoria per le badanti

di Alberto Custodero

 

La Repubblica, 7 luglio 2009

 

"Procedere a una modifica improntata al buon senso" per risolvere il problema delle badanti che, con l’entrata in vigore del reato di clandestinità che punisce anche il "soggiorno" clandestino, rischiano la denuncia. È il ministro delle Politiche Europee, Andrea Ronchi - dopo la proposta di "regolarizzazione degli extracomunitari" avanzata da Carlo Giovanardi, sottosegretario con delega alla Famiglia - a indicare al governo, e, in particolare, al Viminale la linea politica da seguire.

"Non è intenzione di nessuno - spiega Ronchi - procedere a un colpo di spugna o ammorbidire il pacchetto sicurezza approvato con il pieno e convinto consenso di tutta la maggioranza". "È importante sottolineare - precisa il ministro pdl - che non esiste alcuna norma comunitaria che vieti a uno Stato membro di adottare misure di regolarizzazione degli stranieri presenti sul proprio territorio".

Con l’aumento nella maggioranza di chi si accorge dell’urgenza di una regolarizzazione (ma "non di una sanatoria", come precisato da Giovanardi), diventa bipartisan lo schieramento pro-badanti anche se all’interno della Lega e del governo si apre qualche crepa. Al ministro dell’Interno Roberto Maroni che da sempre s’è detto "contrario a sanatorie", ma "possibilista" rispetto a "chi viene in Italia per svolgere un compito sociale importante", si contrappone il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli. "Non condivido la proposta di regolarizzazione delle badanti, tanto sono finte: i due terzi sono prostitute". Perplesso pure il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, secondo cui il problema colf si affronta "innanzitutto consentendo a molte italiane e italiani di svolgere prioritariamente questo lavoro".

Favorevoli alla linea Giovanardi-Ronchi anche altri esponenti del centrodestra. Barbara Saltamartini, deputata e responsabile Pari opportunità pdl, "pur senza colpi di spugna", propone di "valutare la situazione delle collaboratrici domestiche irregolari". Alessandra Mussolini, dopo la "carica dei 101" sul ddl sicurezza (l’appello di un centinaio di onorevoli pdl contro l’obbligo di denuncia dei clandestini da parte dei medici), ne chiede ora un’altra "per un intervento legislativo a favore della regolarizzazione degli immigrati che hanno già un lavoro".

Ma a evidenziare le contraddizioni interne alla maggioranza sul caso badanti è, dall’opposizione, Rosy Bindi. "La destra al governo - commenta la vicepresidente della Camera - non regge alla prova dei fatti. Quando si tratta di passare dai proclami alla realtà scoppiano le contraddizioni. Tra la Lega che nega l’evidenza e il ministro Sacconi che vorrebbe sostituire le colf e le badanti straniere con lavoratori italiani non si capisce chi possa trovare la via d’uscita dal pasticcio giuridico prodotto da un coacervo di norme ideologiche, inapplicabili e pericolose". "La sfida del futuro - conclude Bindi - è l’integrazione dei cittadini immigrati, a cominciare da chi nelle nostre case assicura servizi essenziali e si prende cura di anziani e bambini".

Immigrazione: espulsioni e denunce, ecco i dubbi da risolvere

di Vladimiro Polchi

 

La Repubblica, 7 luglio 2009

 

Reato di clandestinità, sanatoria, nuovo decreto flussi. C’è confusione nel pianeta-badanti. Seicentomila le irregolari a rischio processo. Per questo, tra ministeri dell’Interno e del Welfare si sta ragionando a una soluzione. Una sanatoria? Difficile. Più probabile un nuovo decreto flussi, pronto entro la fine dell’anno. E così l’Italia potrebbe riaprire le sue "quote d’ingresso": 150mila posti, oltre 100mila per colf e badanti. È l’effetto collaterale del reato di clandestinità.

Le nuove norme, nonostante le rassicurazioni del governo, si applicano a tutti i lavoratori irregolari che sono già in Italia. Il reato punisce con l’ammenda da 5mila a 10mila euro non solo l’ingresso, ma anche il soggiorno: "chiunque si trattiene nel territorio dello Stato", in violazione della legge. Per questo, sono a rischio processo ed espulsione le 600mila badanti e colf irregolari che lavorano in Italia (e che prestano la loro opera - secondo l’Aduc - in circa 950mila famiglie). Il sottosegretario Carlo Giovanardi ha proposto una sanatoria, sul modello del 2002, incassando però lo stop della Lega. L’alternativa? Il ministero del Welfare e dell’Interno stanno pensando a un piano B: un nuovo decreto flussi per salvare dai rigori della legge chi ha già fatto domanda d’assunzione.

Da alcuni anni i decreti che fissano le quote di ingresso di extracomunitari in Italia sono diventati l’unica chance per uscire dall’illegalità. Nel 2007, a fronte di 170mila posti, le domande hanno toccato il record di oltre 741mila, di cui 420mila per colf e badanti. Nel 2008, un nuovo decreto ha aperto a 150mila ingressi, ripescando però tra le domande già presentate nel 2007. Poi dalla Lega e dal responsabile del Viminale, Roberto Maroni, è arrivato lo stop: nel 2009 nessun ingresso e nessun decreto flussi. Ora gli effetti del reato di clandestinità rischiano di costringere il ministro a smentire se stesso.

Messa da parte l’opzione sanatoria, i tecnici dei ministeri competenti pensano a un decreto flussi 2009. Potrebbe essere un decreto fotocopia di quello del 2008. Porte aperte a 150mila stranieri, in prevalenza (105mila) colf e badanti. Il decreto ripescherebbe tra le domande già presentate nel 2007 e 2008, dando speranza a tante famiglie e lavoratrici extracomunitarie che chiedono di uscire dall’illegalità.

Immigrazione: Iom; migliorare le condizioni vita nei Centri libici

 

Ansa, 7 luglio 2009

 

Migliorare in Libia le condizioni di vita dei migranti irregolari nei centri di detenzione amministrativa in cui vengono reclusi in attesa di essere espulsi dal Paese, fornendo loro, attraverso personale locale debitamente formato, assistenza materiale, morale, di orientamento legale, sanitaria, psicologica, umana.

Di questo si è occupato negli ultimi 4 mesi, Prometeo, un Progetto pilota dell’Iom, l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, attivato grazie ai fondi della Cooperazione italiana allo Sviluppo, alla disponibilità del Ministero dell’Interno Libico, alla partecipazione della società civile del Paese organizzata in Ong che si occupano di sviluppo e diritti umani e ai religiosi della World Islamic Call Society.

A Tripoli, di questo progetto pilota avviato nel Centro di detenzione di Al Qwaa, che si trova a Garabulli, 45 km a est di Tripoli, si sono tirate le somme nel corso di un seminario conclusivo, al quale hanno partecipato rappresentanti dell’Iom di Tripoli e di Roma, delle Ong coinvolte, membri del governo libico e diplomatici italiani e stranieri. Con le parole di Laurence Hart, capo missione dell’Iom di Tripoli "si tratta di un successo dovuto anche alla partecipazione dei religiosi e alla trasparenza del direttore del centro di detenzione per migranti irregolari di Al Qwaa".

Abdel Basset, il direttore, si dice infatti soddisfatto del lavoro che grazie a Prometeo è stato portato avanti nel suo centro. "Dodici volontari forniti delle Ong libiche coinvolte, la Iopcr (International Organization for Peace Care and Relief), la Al Wafa e la World Islamic Call Society, formati da nostri esperti - spiega Teresa Alfano, dell’Iom di Roma e fra i responsabili del progetto - si sono recati in turni di quattro e per tre volte alla settimana nel centro dove hanno portato, oltre a un pacco con vestiario e beni di prima assistenza, anche un supporto morale e psicologico agli oltre 400 detenuti di origine nigeriana, ghanese, maliana, marocchina, asiatica fra cui ci sono rifugiati, vittime della tratta, minori, quelli che noi chiamiamo soggetti vulnerabili e a cui maggiormente pensiamo quando formiamo personale da mandare per assisterli prima di tutto a ritrovare la dignità di esseri umani".

Dopo Al Qwaa, prossimo obiettivo di Prometeo, spiega la Albano, è il centro di detenzione di Zawia, dove sono rinchiusi donne e bambini. D’altro canto i centri di detenzione amministrativa per migranti irregolari continuano a riempirsi: risale infatti alla notte fra il 4 e il 5 luglio scorsi l’ultimo respingimento di migranti clandestini che, dalle acque a sud di Lampedusa, sono stati riportati in Libia e sbarcati al porto di Zuwara, dove sono di stanza le tre motovedette cedute alla Libia dall’Italia lo scorso 15 maggio. Come gli altri respinti in precedenza, anche i 24 uomini e le 16 donne della scorsa notte sono state smistate nei centri di detenzione del Paese.

Al seminario erano presenti anche rappresentanti di altri soggetti della società civile libica, come la Fondazione Gheddafi, pronti ad approfondire le metodologie di lavoro dell’Iom e ad essere coinvolti più direttamente in questi progetti basati "sulla partecipazione dal basso e su un approccio multidimensionale capace di dare ottimi risultati" conclude Carmela Godeau, direttore dell’Ufficio regionale dell’Iom di Roma.

Droghe: nel 2008, hanno fruttato alle mafie 59 miliardi di euro

 

Notiziario Aduc, 7 luglio 2009

 

Niente di meglio del sano proibizionismo per le mafie, pronte a monopolizzare i mercati neri di tutto il mondo. In Italia il crimine e l’economia irregolare hanno fruttato lo scorso anno oltre 400 miliardi di euro. La stima è del Sole 24 Ore, che in un servizio sul quotidiano di ieri sottolinea come "la maggior parte" sia frutto dell’economia in nero "che lo scorso anno ha incassato 250 miliardi, producendo un mancato gettito fiscale di almeno 100 mld". Mentre "i restanti 170 miliardi sono il bottino dei reati: il più remunerativo nel 2008 è stato il traffico di droga che ha movimentato complessivamente 59 miliardi".

 

 

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