Rassegna stampa 11 luglio

 

Giustizia: Mancino; affollamento ostacola percorso rieducativo

 

Corriere della Sera, 11 luglio 2009

 

"La rapida adozione di misure di adeguamento di carattere logistico che, in attesa di soluzioni organiche, possano attenuare l’attuale situazione di disagio dovuta al sovraffollamento delle carceri" è stata auspicata dal vice presidente del Csm Nicola Mancino che ha portato il suo saluto alla riunione del Coordinamento Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza.

Dopo aver richiamato i principi costituzionali che presiedono all’esecuzione della pena Mancino ha sostenuto che "in tale prospettiva risulta ancora più evidente la gravità dell’attuale sovraffollamento delle carceri, che, di fatto, si traduce in un ostacolo all’attuazione del percorso rieducativo dei detenuti e, più in generale, alla realizzazione dei loro diritti fondamentali e, segnatamente, del diritto alla salute".

Mancino ha quindi richiamato il programma di interventi necessari per conseguire la realizzazione di nuove infrastrutture penitenziarie e l’aumento della capienza di quelle esistenti presentato recentemente dal direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e ha sostenuto che "nell’attesa dell’adeguamento delle strutture detentive, rimane alto l’impegno per assicurare la piena attuazione della normativa vigente anche in tema di misure premiali e di regime di detenzione differenziato previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario".

Soffermandosi infine sull’applicazione dell’art. 41 bis dell’ordinamento che prevede l’adozione di un regime carcerario più duro in funzione di una più efficace lotta alla criminalità organizzata, il vice presidente del Csm ha ricordato la delibera del 10 giugno scorso approvata dal Consiglio che, pur esprimendo parere favorevole alle norme del "pacchetto sicurezza" in tema di regime carcerario duro, ha evidenziato l’obbligo di "dare attuazione ai principi affermati dalla Corte costituzionale e, dunque, a consentire che il regime in oggetto venga applicato conformemente alla Costituzione".

Giustizia: Tenaglia (Pd); il governo ascolti l’allarme di Mancino

 

Asca, 11 luglio 2009

 

"Il governo ascolti l’allarme lanciato dal presidente Mancino e agisca con urgenza per far fronte all’emergenza carceraria. Il Partito Democratico ha denunciato da tempo la gravissima situazione di sovraffollamento delle carceri italiane e il grave disagio in cui versa il personale della polizia penitenziaria". È quanto afferma Lanfranco Tenaglia, responsabile Giustizia del Pd, che prosegue: "Basta con gli annunci del ministro Alfano. Per costruire nuove carceri ci vogliono soldi veri subito e un aiuto concreto alla polizia penitenziaria, con l’aumento degli organici e la dotazione di mezzi maggiori. Stiamo ancora aspettando il piano carceri annunciato nell’aprile scorso e mai presentato dal guardasigilli. E intanto le carceri scoppiano e nulla cambia".

 

Calipari (Pd): no ad uso di militari nelle carceri

 

Rosa Calipari, capogruppo del Pd in commissione Difesa, sostiene "la ferma contrarietà all’uso dei militari nelle carceri con compiti di vigilanza". Calipari aggiunge che "il governo deve dare risposte concrete ed immediate agli enormi problemi del mondo carcerario, innanzitutto assumendo più agenti. Ma la drammatica emergenza nelle carceri non può trovare una soluzione nell’uso improprio del personale delle Forze Armate".

Giustizia: Rao (Udc); situazione di carceri è davvero esplosiva

 

Il Velino, 11 luglio 2009

 

"La situazione nelle carceri italiane è davvero esplosiva. Lo aveva rilevato qualche giorno fa il rapporto dell’Associazione Antigone, dal quale emerge che i detenuti hanno oramai raggiunto quota 63.460, ben 20 mila in più rispetto alla capienza e ben al di là della cosiddetta capienza tollerabile".

Lo dichiara in una nota Roberto Rao (Udc), componente commissione Giustizia della camera dei deputati. "Di questi - continua - oltre il 52 per cento sono persone sottoposte a custodia cautelare in attesa di giudizio e ciò rappresenta una vera e propria anomalia, una situazione insostenibile sia per i detenuti che per il personale di vigilanza. Per le carceri è necessario evitare la strada dei facili slogan e annunci poi smentiti, che rischiano di innescare forti tensioni, tipo l’ipotesi di utilizzo dei militari nei penitenziari.

È invece utile, come indica anche oggi il presidente Mancino, agire sul versante della normativa per ridurre i tempi di custodia cautelare, valutare l’utilizzo delle misure alternative al carcere e la riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità".

"La Camera dei deputati - continua Rao - e in particolare la commissione Giustizia per dimostrare forte sensibilità istituzionale e vicinanza a questa emergenza potrebbe ricostituire come fatto più volte in passato il Comitato Carceri strumento conoscitivo, di indagine ed approfondimento del problema. Avanzeremo questa proposta nei prossimi giorni convinti che non cadrà nel vuoto e fiduciosi di una comune sensibilità al problema da parte della presidente e dei colleghi della commissione".

Giustizia: Sappe; affidamento ai 19mila con pene sotto 3 anni

 

Il Velino, 11 luglio 2009

 

"Ha certamente ragione il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura Nicola Mancino quando, come ha fatto oggi intervenendo alla riunione del coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza che si è tenuta nella sala conferenze del Csm, auspica la rapida adozione di misure di adeguamento di carattere logistico che, in attesa di soluzioni organiche, possano attenuare l’attuale situazione di disagio dovuta al sovraffollamento delle carceri".

Lo evidenzia una nota Donato Capece, segretario generale del sindacato della polizia penitenziaria Sappe, che continua: "È vero che questo si traduce in un ostacolo all’attuazione del percorso rieducativo dei detenuti ma è altrettanto vero e fondamentale mettere in evidenza che l’allarmante situazione delle carceri italiane sta determinando in molti istituti penitenziari tensioni tra i detenuti e inevitabili problemi di sicurezza interna che ricadono sulle donne e gli uomini della polizia penitenziaria. Non a caso da molti istituti di pena ci pervengono segnali preoccupanti di manifestazioni di protesta di detenuti".

"La situazione - insiste - rischia di degenerare. Non si può perdere ulteriore tempo. Servono dunque provvedimenti urgenti e concreti. Non c’è tempo di attendere il fantomatico e sconosciuto Piano carceri del commissario straordinario Franco Ionta (non del governo Berlusconi), che nella originaria veste di capo dipartimento penitenziaria sta a guardare dimostrando irresponsabilità.

Il governo abbia allora il coraggio di far scontare in affidamento ai servizi sociali, che è detenzione a tutti gli effetti, prevedendo l’impiego in lavori socialmente utili - il residuo pena agli oltre 19 mila detenuti con pene inferiori ai tre anni oggi presenti nelle nostre carceri. Avremmo così celle meno affollate ed anche un risparmio di circa 4 milioni di euro al giorno, costando un detenuto in media circa 200 euro al giorno, soldi che potrebbero essere destinati alla riorganizzazione del sistema carcere del Paese".

"Serve una nuova politica della pena, necessaria e indifferibile - continua Capece -. È necessario un ripensamento organico del carcere e dell’istituzione penitenziaria, prevedendo un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) che hanno finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva.

E se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la polizia penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno e sull’adozione del braccialetto elettronico, oltre che qualificare il ruolo della polizia penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene".

Giustizia: trasformare detenzione in multa costa 6 volte di più

di Andrea Maria Candidi

 

Il Sole 24 Ore, 11 luglio 2009

 

Duecentocinquanta euro per un giorno di carcere, come una camera in un buon albergo. Con una decisiva differenza: in hotel si paga per entrarci, nel caso del carcere per starne fuori.

La curiosa equivalenza arriva dal pacchetto sicurezza, definitivamente approvato settimana scorsa. Quando le sue norme entreranno in vigore - per il momento, non sono ancora state pubblicate in Gazzetta - il costo di una giornata dietro le sbarre aumenterà di oltre sei volte rispetto ai 38 euro attuali, tradotti pari pari e senza ritocchi dalle lire all’euro.

Quindi sarà molto più costoso far trasformare la detenzione in pena pecuniaria, (sfruttando una possibilità potenzialmente offerta a tutti i tipi di reati): tre mesi di carcere diventeranno non più un costo di 3 mila euro, ma di 22.500. L’unico vantaggio del rincaro sarà che, aumentando il valore, diventerà più accessibile la condizionale. A potersela permettere.

Un giorno di carcere costerà sette volte di più. Non per le casse dello stato, dalle quali continueranno a uscire 200 o 300 euro al giorno per ogni detenuto, ma per chi intende convertire la condanna a una pena detentiva con una più comoda misura pecuniaria. La legge sulla sicurezza, modificando l’articolo 135 del Codice penale, ha infatti spostato il "ragguaglio" tra pena detentiva e pena pecuniaria dagli attuali 38 euro a 250.

Un aumento di sei volte e mezzo per l’importo che costituisce la base di calcolo per la trasformazione delle condanne più lievi al carcere con una somma di denaro. Se oggi, ad esempio dopo una condanna a tre mesi, si può evitare l’ingresso nel circuito penitenziario con poco più di 3mila euro, con le nuove norme ce ne vorranno 22.500. Il rischio è quello di dividere i condannati in due categorie, quelli che possono pagare e quelli che non hanno alternativa.

"Una pietra tombale su un efficace meccanismo di deflazione del circuito carcerario", secondo Paolo Auriemma, sostituto procuratore a Roma e presidente della sezione capitolina di Anm. "Le ricadute sul sistema saranno gravi, perché non si perverrà a una maggiore severità nella pena irrogata ma, poiché le conversioni sono indirizzate a soggetti privi di spessore delinquenziale e per fatti di scarsa pericolosità, potremo prevedere l’aumento dei procedimenti trattati in sede dibattimentale che si concluderanno con pene detentive in cui il condannato potrà usufruire della sospensione condizionale".

Quella della conversione è un’idea che risale alla legge di depenalizzazione del 1981 che puntava alla deflazione del sistema (allora l’importo era 25 mila lire, aumentato nel 1993 a 75 mila lire). Per il ragguaglio tra pene detentive e pene pecuniarie si deve fare riferimento all’importo indicato considerando alcune circostanze. Innanzitutto non è possibile convertire qualsiasi pena carceraria, ma solo quelle che non superano i sei mesi. Mentre nessun tipo di reato è astrattamente escluso. In teoria, dunque, la trasformazione riguarda anche i crimini più gravi, sebbene difficilmente possano portare a condanne lievi.

Di fatto, le uniche eccezioni riguardano le condizioni soggettive del condannato: di sicuro non potrà accedere al beneficio chi fa del crimine un’abitudine. "In ogni caso - spiega Renato Bricchetti, magistrato di Cassazione - l’impossibilità di sostenere i nuovi costi della conversione non comporta l’automatico trasferimento al carcere. Perché il giudice dell’esecuzione potrebbe sempre decidere di applicare una delle misure alternative esterne".

Dal punto di vista del condannato, poi, non tutto va letto in negativo. Ad esempio, quando il giudice debba decidere sulla sospensione condizionale della pena. Specifica l’articolo 163 del Codice penale che la condizionale può essere concessa nel caso di condanna a pena detentiva fino a due anni, o a pena pecuniaria (sola o congiunta al carcere) che attraverso il meccanismo del ragguaglio non superi il tetto dei due anni.

Supponiamo che l’imputato sia condannato a 18 mesi di reclusione e 10mila euro di multa. Con l’attuale tasso di conversione (38 euro) i 10mila euro diventano 263 giorni (poco meno di 9 mesi) e quindi la pena totale è di 18 mesi più 9, vale a dire 27 mesi. Quindi, nessuna possibilità di accedere alla sospensione condizionale della pena. Lo stesso ragionamento con il tasso di conversione aggiornato (250 euro) porta a un risultato diametralmente opposto: i 10mila euro, infatti, diventano 40 giorni e quindi la pena complessiva sarà di 19 mesi e 10 giorni. E dunque il condannato potrà beneficiare della condizionale.

 

La norma

 

La legge sulla sicurezza (la cui entrata in vigore attende solo la pubblicazione in Gazzetta) ha modificato L’articolo 135 del codice penale aumentando a 250 euro (dai 38 attuali) l’importo per la conversione per ogni giorno di pena detentiva cui si è condannati.

 

Quando si usa

 

È possibile evitare la condanna al carcere e trasformarla in misura pecuniaria quando la pena concretamente applicata dal giudice non è superiore a sei mesi. Questo vuol dire che la conversione è sempre possibile a prescindere dal tipo di reato per cui si viene condannati. Tuttavia, la sua applicazione peri crimini più gravi è da ritenersi puramente teorica: in questi casi, infatti, difficilmente la condanna effettiva può essere inferiore al tetto massimo di sei mesi al di sopra del quale non è più ammessa la conversione.

 

Le eccezioni

 

La conversione in pena pecuniaria è invece esclusa quando ricorrano alcune condizioni soggettive del condannato. Ad esempio con i delinquenti abituali.

 

La condizionale

 

L’effetto del nuovo importo è però positivo nelle ipotesi in cui si applica la sospensione condizionale della pena che scatta per condanne - anche come somma di pena detentiva e pena pecuniaria ragguagliata - fino a due anni. L’aumento dell’importo, infatti, riduce il peso della pena detentiva complessiva e allarga il campo di applicazione della sospensione.

Giustizia: Osce; detenuti stranieri processati in paese origine

di Alessandro Carlini e Simona Verrazzo

 

Libero, 11 luglio 2009

 

Le carceri europee sono sovraffollate di detenuti che arrivano da altri continenti. È un problema che riguarda non soltanto l’Italia, ma anche Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna. Ogni paese prova a trovare a modo suo una soluzione per liberare le prigioni dagli stranieri e mettere dentro i delinquenti di casa propria. In questi giorni ha destato non poche polemiche in Gran Bretagna la decisione di finanziare un carcere in Nigeria, dove mandare 400 detenuti nigeriani che - causa numero - non possono più rimanere dietro le sbarre britanniche.

Ecco quindi l’annuncio del governo del premier laburista Gordon Brown di contribuire con un milione di sterline alla costruzione di una prigione in Nigeria. L’iniziativa era necessaria perché ogni tentativo di far tornare a casa i 400 è fallito, visto che le condizioni nei penitenziari del paese africano sono talmente cattive che se il Regno Unito li rimpatriasse violerebbe le proprie leggi sui diritti umani. Il piano è stato presentato al comitato parlamentare ristretto per gli Affari interni da Lin Homer, responsabile della UK Border Agency, l’agenzia che si occupa delle dogane.

 

Costi insostenibili

 

"Stiamo trattando con la Nigeria per migliorare le condizioni di detenzione - ha dichiarato - lì ci sarà una nuova prigione". I costi per Londra, infatti, sono diventati insostenibili. Il mantenimento di un detenuto in Inghilterra e in Galles è di 27.700 sterline l’anno (pari a circa 32.000 euro). Alla fine di marzo si contavano 11.283 detenuti stranieri nelle carceri britanniche: il gruppo più nutrito è quello dei giamaicani (1.099), dopo vengono i nigeriani (855).

È dal 2005 che Londra cerca di porre rimedio a questo problema, ma i risultati finora non sono stati soddisfacenti. La prima iniziativa in questo senso ha riguardato i detenuti giamaicani, ma non ha avuto successo. Nel caso nigeriano, grazie ad un accordo bilaterale, sarà possibile rinviare in patria i detenuti senza il loro consenso. La decisione del governo Brown è interessante anche per l’Italia, perché pure da noi il sovraffollamento delle carceri è un grave problema, sociale ma anche finanziario. "Al momento la nostra popolazione carceraria è di 64.000 persone, ma la cosa più preoccupante è che abbiamo delle stime di aumento di 800 persone al mese", spiega a Libero Maria Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia.

 

Il caso italiano

 

"Il governo, sul problema, sta lavorando a 360 gradi, ampliando le strutture già esistenti e costruendone di nuove. L’obiettivo è creare altri 18.000 posti entro il 2012. Ma fondamentali sono anche gli accordi bilaterali con i paesi di origine dei detenuti stranieri perché il 40 per cento della nostra popolazione carceraria non è italiana. Gli accordi bilaterali, però, richiedono molto tempo". E infatti la Gran Bretagna è dal 2005 che tenta questa strada e nel caso della Giamaica il progetto non è andato in porto.

Il problema è internazionale e proprio dalla scena internazionale è arrivata un’importante vittoria per il governo italiano. "All’inizio di luglio, l’assemblea plenaria dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) ha approvato una risoluzione dell’Italia per quanto riguarda i crimini commessi da cittadini stranieri", ha dichiarato a Libero il deputato della Lega Nord Claudio D’Amico, delegato italiano presso l’assemblea dell’Osce.

"La risoluzione prevede, attraverso degli accordi bilaterali, il riconoscimento dei reati commessi all’estero. Quindi, se un cittadino commette un crimine in Italia a giudicarlo dovrà essere il tribunale del suo paese d’origine, quello stesso tribunale dovrà infliggerli la pena e quella stessa pena dovrà essere scontata in una prigione che si trova in loco. In questo modo si risparmia sui processi e sulle carceri".

La risoluzione del deputato leghista D’Amico è stata approvata prima dalla commissione Diritti umani dell’Osce e poi dall’assemblea in seduta plenaria, che riunisce 320 parlamentari provenienti da 56 paesi. Non è vincolante, ma se è stata votata a favore vuol dire che l’idea di fondo piace. Un successo internazionale che conferma che la linea del governo italiano in materia di giustizia e immigrazione sta andando nella strada giusta.

"E a conferma che la nostra politica non viola i diritti umani dei migranti - precisa infine D’Amico - va segnalato che l’assemblea dell’Osce ha approvato anche una seconda risoluzione presentata dall’Italia. Il testo prevede che quanti fanno richiesta dello status di rifugiato politico debbano essere accolti nel paese geograficamente più vicino dal quale il cittadino scappa e non da quelli al di là del Mediterraneo. Perché l’aiuto più utile è quello dato sul posto".

Giustizia: "Patto per Riforma" tra avvocati, giudici e sindacati

 

Corriere della Sera, 11 luglio 2009

 

Un "Patto per la giustizia" tra avvocati, magistrati (ordinari e della Corte dei Conti) e sindacati dei dipendenti e dei dirigenti amministrativi del Ministero di via Arenula, è stato firmato ieri in Cassazione. La maggioranza degli operatori del settore si mettono insieme per cercare di affrontare il nodo del "servizio giustizia".

"Che è il vero problema e adesso non lo diciamo più solo noi" afferma Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati. "Bisogna garantire ai cittadini la ragionevole durata dei processi", afferma. "L’inefficienza è un costo e uno spreco di risorse. Non investire sulla giustizia costa molto a tutti i cittadini ed in particolare - sostiene Palamara - alle imprese".

"Uno dei fattori di non competitività e di non attrattività degli investimenti esteri in Italia è rappresentato dai tempi lunghissimi della giustizia civile", ha commentato il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia. "Ci sono oltre 5 milioni di cause inevase e questo è un problema enorme", ha evidenziato, sottolineando che "nel Mezzogiorno, per una decisione di primo grado sono necessari 1.200 giorni in media. Una cosa incredibile".

Per questo, secondo Marcegaglia, "il Patto è importante: basta tempi lunghi". Il presidente dell’Oua, l’organismo unitario dell’avvocatura, Maurizio De Lilla ha spiegato che a luglio del 2008, dopo i sostanziosi tagli al settore, decisi dalla finanziaria, è "scattata" la decisione di mettersi insieme per ottenere qualcosa. "L’ultimo passo - dice De Lilla - è stato compiuto il 5 maggio scorso quando è stata indetta con la Giornata della Giustizia dove sono intervenuti anche la Marcegaglia e il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani".

"Lo afferma anche il Papa nella sua ultima enciclica - continua - che bisogna rendere giustizia: e questo cosa vuol dire se non proteggere le persone nei loro diritti? E farlo in tempi certi?", n Patto è un’"inutile propaganda", invece, secondo Oreste Dominioni, presidente l’Unione delle Camere Penali Italiane e "rappresenta purtroppo un esempio di improvvida iniziativa al ribasso con cui si evadono fragorosamente i temi di una seria e reale riforma della giustizia penale, rischiando di autorizzare la lettura di un’avvocatura appiattita sulle istanze di conservazione della magistratura associata".

Sono nove i punti del documento, che verrà portato all’attenzione del Guardasigilli Alfano e dei Presidenti di Camera e Senato. Innanzitutto la domanda di ammodernamento della "macchina", come di recente avvenuto per la giustizia amministrativa. Un altro nodo riguarda l’assetto della "geografia giudiziaria" visto che adesso il servizio - dice de Tilla - "è veramente fornito a macchia di leopardo con delle regioni oltre il limite del collasso come il Lazio e la Campania".

Giustizia: Alfano; per il Csm, una riforma contro le "correnti"

 

Corriere della Sera, 11 luglio 2009

 

L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre, se non azzerare, il peso delle correnti, definite "portatrici esclusive della formazione della rappresentanza e amministrataci di fatto, in forme lottizzatone, delle carriere di tutti i magistrati". Il mezzo per raggiungerlo è la riforma del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura, che l’esecutivo vorrebbe riuscire a far approvare in tempi brevi, visto che l’organo di autogoverno dei giudici dovrà essere rinnovato tra un anno.

Al ministero della Giustizia circolano almeno un paio di bozze di modifica del metodo per scegliere i rappresentanti del Csm, da realizzare senza modificare la Costituzione che impone la composizione di due terzi di "togati", cioè magistrati eletti da magistrati, e un terzo di "laici" designati dal Parlamento. La novità più significativa e dirompente, contenuta in entrambe, è l’addio alle liste che oggi rispondono alle diverse correnti (e politicamente orientate, o così percepite) per introdurre l’estrazione a sorte dei candidati.

Il numero dei "togati" da eleggere, ridotto nella precedente legislatura a maggioranza di centrodestra a 16 membri, viene riportato a 20. Di questi, 12 dovranno essere giudici di merito, 5 pubblici ministeri, e 3 rappresentanti della Corte di cassazione.

I candidati saranno disseminati in diversi collegi elettorali (12 per i giudici, 5 per i pm e uno per la Cassazione), in ognuno dei quali i magistrati potranno scegliere tra cinque candidati sorteggiati fra tutti coloro che hanno diritto al voto. Se uno dei designati rinuncia alla candidatura, si procederà all’estrazione del sostituto, finché non si arriva alla composizione della cinquina. In questo modo, secondo la proposta, le correnti perderebbero "ogni potere di designazione preventiva".

Nella proposta redatta dal professor Mazzamuto, uno dei consiglieri giuridici del ministro Alfano, si prevede un’ulteriore limitazione rispetto al sistema attuale, altrettanto dirompente: ogni magistrato può votare solo per i rappresentanti appartenenti alla propria funzione, distinta tra magistrati di Cassazione, giudici e pubblici ministeri, "costituendo in tal modo un passaggio ulteriore in vista di una separazione delle carriere".

Nell’altra bozza che circola al ministero invece - indicata come quella che dovrebbe trasformarsi nel definitivo disegno di legge - tutti i magistrati possono votare tutti i candidati, senza distinzione di funzioni. L’altra importante novità riguarda la Sezione disciplinare del Csm, ampliata e articolata in due diversi collegi, in modo da consentire ai suoi componenti di non intervenire e votare nelle altre decisioni del Consiglio sui magistrati giudicati, come l’attribuzione di incarichi direttivi o i trasferimenti.

In gestazione e annunciata da tempo, la riforma del sistema elettorale dell’organo di autogoverno dei giudici attraverso l’estrazione a sorte dei candidati viene bocciata dall’Associazione nazionale magistrati, che considera questo criterio "incostituzionale", perché limita il diritto di chiunque voglia candidarsi a farlo. Ma in un documento approvato l’altro giorno la Giunta dell’Anm riconosce che l’attuale sistema legato alle decisioni delle correnti provoca un "disagio tra i colleghi e rischia di trasformarsi in crisi di rappresentatività". Di qui la proposta di individuare "un modello di partecipazione in cui la legittimazione alla rappresentanza provenga da tutti i magistrati e dagli uffici giudiziari". Tradotto, significa che un metodo per scegliere i candidati - contrapposto al sorteggio voluto dal governo - potrebbe essere quello delle "primarie", già in voga in una parte dello schieramento politico.

Puglia: Sappe; nelle carceri situazione sanitaria preoccupante

 

Comunicato stampa, 11 luglio 2009

 

La Segreteria Regionale del Sappe da tempo sta monitorando con preoccupazione, la situazione igienico sanitaria esistente nelle carceri pugliesi, che ultimamente si è aggravata ancora di più a seguito del sovraffollamento di detenuti.

Dobbiamo purtroppo notare che mentre la situazione ha ormai raggiunto e forse superato i livelli di guardia, le Direzioni degli Istituti non si sarebbero attrezzate in maniera adeguata per adottare le precauzioni necessarie atte a contrastare eventuali infezioni che potrebbero colpire gli operatori penitenziari che lavorano a stretto contatto con i detenuti affetti da patologie infettive.

Il Sappe prende atto dell’attenta valutazione del fenomeno da parte di codesto Ufficio, ma non può sottacere che nulla o quasi viene fatto per prevenire infezioni.

La dimostrazione di quanto affermato ci viene da ciò che è accaduto in alcuni Istituti dove è stata constatata la presenza di detenuti affetti da Tbc (da Lecce a Turi, da Bari a Foggia ultimamente) a cui non sarebbero seguiti i protocolli trattamentali previsti per tali evenienze.

La Direzione di Lecce, per esempio ad una sollecitazione del Sappe sulla materia, avrebbe risposto che aveva previsto la disinfezione di una cella, senza sottoporre tutti i Poliziotti Penitenziari che sono stati a stretto contatto con il detenuti malati a nessun controllo di carattere sanitario.

Il Sappe è rimasto sorpreso da tali affermazioni poiché avendo reperito informazioni sulla materia(che chiunque potrebbe reperire) è venuto a conoscenza che "Quando persone che soffrono di Tbc polmonare attiva tossiscono, starnutiscono, parlano o sputano, espellono goccioline di aerosol da 0.5 a 5 µm di diametro. Un singolo starnuto, per esempio, può rilasciare fino a 40.000 particelle. Ognuna di queste gocce può trasmettere la malattia, poiché la dose infettiva di tubercolosi è molto piccola e l’inalazione di solamente un singolo batterio può creare una nuova infezione. Persone con contatti prolungati, frequenti o intensi sono a particolare rischio di infezione, con una percentuale del 22% circa di contagio. Una persona con tubercolosi attiva ma non trattata può infettare 10-15 persone all’anno.

Ciò per quanto riguarda la Tbc, ma ormai sono tanti e tali i pericoli di infezione per le diverse patologie (hiv, epatite, ecc.) che si ritiene non più procrastinabile un programma di screening completo ed accurato per il personale di Polizia Penitenziaria impiegato nella vigilanza dei detenuti a rischio, sia all’interno delle sezioni detentive che presso i nuclei traduzione.

Qualora ciò non dovesse accadere questa O.S. sarà costretta a denunciare il tutto alle autorità sanitarie locali e regionali a tutela della salute dei Poliziotti Penitenziari e delle loro famiglie.

In attesa di ricevere con urgenza notizie in merito, si ringrazia per l’attenzione e si porgono distinti saluti.

 

Il Segretario Regionale Sappe

Federico Pilagatti

Modena: Maisto; oramai detenuti dormono anche nella cappella

 

Ansa, 11 luglio 2009

 

L’allarme sul carcere modenese arriva oggi dal Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna. "A Modena - ha detto - i detenuti dormono anche nella cappella".

A Modena i detenuti dormono anche nella cappella del carcere. Questa volta la denuncia non arriva dai sindacati degli agenti di polizia penitenziaria, ma dal presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, Francesco Maisto. La situazione delle carcere italiane è stata descritta, con toni accorati, dai magistrati di sorveglianza presenti oggi a Roma, nella sede del Csm, alla riunione del coordinamento nazionale. Maisto, in particolare, ha parlato di polizia penitenziaria allo stremo delle forze e sfiduciata, di assistenti sociali in via di estinzione, perché pochi e ormai anziani, di risorse che mancano. Infine un dato: il sovraffollamento in Emilia Romagna - ha detto Maisto - ha raggiunto il 198%; è la regione con il più alto tasso di presenza in carcere.

Ferrara: il carcere "esplode" ci sono 545 detenuti in 235 posti

 

La Nuova Ferrara, 11 luglio 2009

 

La situazione del carcere di via Arginone è critica, come denunciato più volte dai sindacati di polizia penitenziaria. Chi vive tutto il giorno all’interno della struttura svolgendo il proprio lavoro con grande impegno e serietà, sta concretamente valutando le condizioni di vita sia dei reclusi che del personale operativo, trovandole inadeguate.

Secondo gli ultimi dati, attualmente i detenuti sono 545 contro una capienza di 235 posti o di 440 "tollerati" in quanto in una cella invece di una persona si è autorizzati a ospitarne due. Fra ispettori, sovrintendenti, agenti e assistenti invece, svolgono il proprio ruolo 160 dipendenti che in questo periodo, come del resto in quasi tutte le case circondariali d’Italia, stanno veramente dando di più di quanto previsto dalla normativa vigente.

Turni che dalle sei ore previste, arrivano sicuramente ad 8 - 10 al giorno per coprire le necessità della struttura e degli ospiti in un superlavoro che non rientra certamente nella normalità. "Ci vorrebbero 20 agenti in più - sono le richieste ufficiali - e più fondi per gestire al meglio la presenza dei reclusi. Mancano infatti le docce e in un periodo caldo come l’estate l’esigenza non è solo logistica ma di ordine igienico; tante altre sono poi le problematiche che si aggiungono, molte delle quali proprio relative all’elevato numero delle presenze".

Da parte dei sindacati dei detenuti il rispetto degli accordi è ovviamente tassativo. Le tabelle di chi lavora all’interno svolgendo diverse mansioni e ricevendo un compenso da parte dell’Amministrazione sono chiare; il budget previsto prevede l’utilizzo di 240 persone in varie mansioni: in cucina, per le pulizie ed altro, ma un conto è affrontare la preparazione di una mensa per 235 persone ed un altro è per 545, e lo stesso vale per i servizi relativi alle pulizie.

Anche i consumi di acqua, gas e luce aumentano in relazione al numero mentre i fondi rimanendo sempre gli stessi, creano i disagi che attualmente stanno vivendo tutti. Ed inoltre con l’approvazione del decreto sicurezza che prevede il reato di clandestinità, le prospettive del futuro più immediato non sono certamente rosee, in quanto se si procederà con gli arresti degli irregolari, il numero dei reclusi sarà destinato a crescere. Difficoltà e problemi che, in mancanza di soluzioni adeguate e di risorse, sono destinati a rimanere inalterati nonostante l’impegno e l’abnegazione degli operatori penitenziari.

Cagliari: Cgil denuncia; i detenuti trattati peggio degli animali

 

Ansa, 11 luglio 2009

 

Ventimila lavoratori in piazza a Cagliari per lo sciopero generale della Sardegna per il lavoro indetto da Cgil, Cisl e Uil. Tra di loro anche una cinquantina di agenti della polizia penitenziaria: da mesi protestano contro i limiti all’organico e il sovraffollamento delle carceri: "Nei giorni scorsi sono arrivati 34 detenuti dall’Emilia Romagna - denuncia Efisio Concas, Coordinatore regionale della Cgil - sono stati tenuti dentro i pullman senza aria condizionata: non si trattano neppure gli animali, così".

Pesaro: Giovanelli (Pd); protesta di agenti arriverà al Ministero

 

www.viverefano.com, 11 luglio 2009

 

"La situazione dell’organico degli agenti penitenziari è allarmante. Ringrazio il Sap, il Sindacato autonomo di polizia, per avermi invitato a prenderne direttamente visione e ancor più ringrazio il personale per la forma responsabile e civile della protesta".

È il commento dell’onorevole Oriano Giovanelli (Pd) a conclusione dell’incontro che venerdì mattina ha avuto con gli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Villa Fastiggi da alcuni giorni in stato di agitazione per protestare contro la carenza di personale. "Ho avuto anche occasione di verificare il buon rapporto che si è stabilito con la direzione del carcere - ha aggiunto il deputato -, ma lo spirito di servizio e la serietà dei singoli non possono certo sopperire a una situazione a dir poco preoccupante.

I numeri parlano da soli: 119 addetti di polizia penitenziaria rispetto a una pianta organica che ne prevede 169. E, per ragioni di organizzazione interna, gli agenti impegnati nei servizi di sezione risultano ancora meno. Tutto questo a fronte di un sovraffollamento sensibile: almeno 60 detenuti in più rispetto alla capienza del carcere. Ci sono celle per una sola persona con tre detenuti, celle da cinque che ospitano dieci reclusi.

Il quadro si aggrava ancora di più se si tiene conto del contesto politico nazionale che spinge verso la carcerazione, una soluzione spesso demagogicamente invocata. Penso ad esempio all’introduzione del reato di clandestinità. Non oso neppure immaginare l’impatto di scelte del genere in un conteso già così grave come quello di Pesaro". L’onorevole Oriano Giovanelli si è quindi impegnato per cercare una via di uscita alla situazione, diventata ormai insostenibile: "Insieme ai colleghi parlamentari e ai rappresentanti delle istituzioni - ha assicurato - faremo sentire la voce dei lavoratori di polizia penitenziaria nelle sedi ministeriali opportune".

Perugia: pronta nuova sezione carcere, in arrivo 200 detenuti

 

Asca, 11 luglio 2009

 

Una nuova Sezione è pronta ad entrare in servizio nel carcere di Capanne-Perugia, ma la previsione di nuovi arrivi per circa 200 detenuti, determinerebbe un ulteriore sovraffollamento. Ada Girolamini la consigliere regionale di Uniti nell’Ulivo-Sdi, che ha visitato il carcere di Capanne ha spiegato che "le problematiche degli istituti di pena sono sempre più all’ordine del giorno delle forze politiche e istituzionali, a causa del rischio di "esplosione" legato al sovraffollamento dei detenuti.

Ho verificato in maniera diretta - ha detto - questa situazione di precarietà, peraltro affrontata con grande equilibrio e senso di responsabilità, sia da parte dei detenuti, che da parte degli operatori, con sullo sfondo la prospettiva dell’imminente apertura della nuova sezione, finalizzata in primis a ristabilire la capienza regolamentare. Ma se, come si dice, si prevedono altri 200 ingressi di detenuti a Perugia, ciò significherà un nuovo sovraffollamento ed una nuova inosservanza degli 8 metri cubi cui avrebbe diritto ciascun detenuto secondo i parametri Ue".

Inoltre c’è il problema del personale "sia allo stato attuale che in previsione dell’ampliamento dell’organico pari a 40 unità, fortemente sottodimensionato. L’impegno del governo deve essere richiamato, - ha aggiunto Girolamini - e lo proporrò in Consiglio regionale, al rispetto delle regole: forse la nomina del Garante dei detenuti sarebbe stata utile".

Il consigliere dello Sdi si è soffermato sulle "molte attività positive" che si svolgono all’interno dell’Istituto; tra queste anche uno spettacolo di jazz per i detenuti, molto apprezzato. "Infine - ha concluso Girolamini - c’è pure il tema del servizio sanitario nelle carceri, trasferito alle Regioni e Asl di competenza. Il Tar ha sospeso il provvedimento della Giunta regionale che non teneva conto né della esperienza particolare dei medici dentro le carceri, né del tempo necessario per attuare gradualmente la decisione assunta".

Gorizia: Regione disposta a stanziare fondi per nuovo carcere

 

Messaggero Veneto, 11 luglio 2009

 

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, si occuperà in tempi brevi della questione del carcere di Gorizia, mentre il governatore Tondo ha dichiarato la disponibilità della Regione a contribuire economicamente all’eventuale soluzione che sarà individuata. La questione è stata affrontata ieri, a Roma, dove Tondo e Alfano hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per il miglioramento dei servizi giudiziari in Friuli Venezia Giulia.

Proprio in previsione di questo incontro, il sindaco Romoli aveva preparato un dossier in accordo con il procuratore e il presidente del Tribunale, riguardante il potenziamento sia del personale amministrativo della Procura della repubblica di Gorizia sia di quello dei giudici del tribunale del capoluogo. Inoltre, ovviamente, aveva posto anche la questione del carcere di via Barzellini, sulla cui inadeguatezza tutti sono concordi.

A questo proposito, il ministro Alfano "si è impegnato con Tondo a promuovere una riunione immediata con il capodipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta e a riferirne subito allo stesso presidente, nell’ambito del più generale ragionamento riguardante il piano carceri in fase di predisposizione da parte del governo".

In questo contesto, nel ringraziare il ministro Alfano per gli impegni assunti, Tondo ha confermato che sulla soluzione per il carcere di Gorizia la Regione potrà fare la sua parte anche in termini di investimenti economici, in sinergia con il Comune e gli altri enti coinvolti. Sulle prospettive del carcere di Gorizia, dunque, ci si sta muovendo a tutti i livelli, anche se deve ancora essere sciolto il nodo di fondo, ovvero le caratteristiche dell’alternativa alla struttura di via Barzellini.

Va ricordato, infatti, che mentre il responsabile delle carceri del Nord-Est, Felice Bocchino, è favorevole alla costruzione di un nuovo carcere, da realizzare attraverso il recupero di una caserma dismessa, il sindaco Romoli ritiene che la via più semplice, veloce e meno dispendiosa sia quella della ristrutturazione della prigione di via Barzellini, ampliando il complesso anche all’ex scuola Pitteri che il Comune sarebbe disponibile a mettere a disposizione dietro pagamento del suo valore.

Padova: carcere è sovraffollato, situazione ormai insostenibile

 

Il Mattino di Padova, 11 luglio 2009

 

"Una situazione insostenibile. Sicuramente peggiore di quella pre-indulto". Il consigliere regionale Gianfranco Bettin, accompagnato dal consigliere comunale di Venezia Giuseppe Caccia ieri mattina ha visitato il carcere Due Palazzi per registrare le condizioni dei reclusi.

"Attualmente sono rinchiusi 231 detenuti - mastica amaro Bettin - avvero più del doppio rispetto alla capienza regolamentare. Così non si può andare avanti. Nei giorni scorsi c’è stato anche un "alleggerimento" nel senso che una ventina di persone è stata trasferita in altri istituti di pena. Ma non basta. La fortuna, se si può dire così, è che, come ha sottolineato anche la direzione, a Padova che una solida rete di volontari che si prodigano. Ma la situazione resta comunque drammatica".

Gianfranco Bettin, con l’occasione, ieri mattina è andato a far visita anche a Max Gallob e a Benjamin Bondean, i due arrestati dalla Digos lunedì scorso. "Li ho trovati bene - chiude il consigliere regionale - Max l’ho visto impressionato e molto attento alla condizione dei detenuti.

D’altra parte ci sono situazione incredibili: otto, nove persone in celle da sei. Celle dove non c’è nemmeno lo spazio per stare in piedi tutti insieme e i reclusi devono farlo a turno. Ma anche il personale non sta meglio: gli agenti sono pochi e costretti a turni molto pesanti. Dire che tutto questo è intollerabile non basta più".

Imperia: dopo evasioni e suicidi il penitenziario è sotto accusa

 

Il Secolo XIX, 11 luglio 2009

 

Seconda giornata di ispezioni e sopralluoghi presso la Casa Circondariale di Imperia finita sotto accusa dopo l’evasione di un detenuto tunisino, trafficante di eroina che avrebbe dovuto scontare una pena sino 2025.

Alla visita dei carabinieri eseguita dal reparto investigativo incaricato di svolgere le indagini, ieri ha fatto seguito quella di due ispettori del provveditorato all’amministrazione penitenziaria di Genova. L’inchiesta interna (anche sotto il profilo disciplinare), così come è accaduto per quella giudiziaria, ha seguito la procedura d’urgenza nel tentativo di verificare nell’immediatezza dei fatti tutte le condizioni che hanno determinato la possibilità di fuga.

È stata condotta a quanto pare con grande scrupolo, assieme al direttore Vito Mangraviti e al personale, ed è durata alcune ore. I due ispettori inviati da Genova si sono trattenuti nel piccolo penitenziario imperiese anche per accertare le cause e la dinamica del tentativo di suicidio dell’altra notte. La visita si è conclusa nelle prime ore del pomeriggio. Contemporaneamente a palazzo di giustizia e negli ambienti giudiziari hanno preso a circolare le prime voci incontrollate riguardanti probabili indagati. Né conferme, né smentite hanno fatto seguito. "È presto per dirlo ma potrebbero esserci iscrizioni - ha dichiarato il procuratore capo Bernardo Di Mattei - Per il momento sono in corso tutti gli accertamenti".

Quasi identici i commenti del capitano Sergio Pizziconi. "Abbiamo tracciato tutto il percorso che è stato seguito dall’evaso all’interno e all’esterno della casa circondariale - ha detto - Così pure sono state verificate le condizioni di operatività del personale, il numero dei presenti e le mansioni ricoperte nel corso della giornata di martedì. Riferiremo quanto prima all’autorità giudiziaria".

È certo, almeno stando agli atti presentati, che quel giorno, così come accadde nel 2006, il direttore del penitenziario, Vito Mangraviti non fosse presente a Imperia. Era in giornata di permesso-riposo.

Sulla vicenda gli accertamenti proseguono. Tra pochi giorni si terrà un’altra visita, questa volta decisamente importante per il futuro del penitenziario. Era già fissata ed è stata confermata ieri per il 15 luglio l’ispezione amministrativa da parte del capo del Dipartimento, Franco Ionta. La missione imperiese pare abbia il duplice scopo di constatare sia le condizioni della struttura che quelle dei detenuti e del personale in servizio. In proposito, gli agenti della polizia penitenziaria, sostenuti dalle organizzazioni sindacali, hanno proseguito nel loro sciopero bianco disertando la sala mensa.

"L’Amministrazione penitenziaria deve adottare urgenti misure per arginare e fronteggiare l’emergenza del carcere di Imperia e dei penitenziari liguri più in generale - ha fatto presente il segretario regionale del Sappe, Michele Lorenzo - Preventiviamo una serie di manifestazioni". Nei giorni scorsi Lorenzo aveva chiesto l’intervento anche del ministro alle attività produttive, Claudio Scajola. Ieri la questione gli è stata prospettata.

Il pm Marrali nel frattempo ha emesso un mandato di cattura nei confronti di Farah Ben Faical Trabelsi, il detenuto di origini tunisine autore della clamorosa fuga. Le ricerche sono state estese anche alla Spezia dove risulta residente e dove, stando alle indagini che l’hanno riguardato, aveva centrato le sue attività di spaccio e traffico di stupefacenti.

Imperia: il detenuto suicida, condannato dalla legge Bossi-Fini

 

Il Secolo XIX, 11 luglio 2009

 

È sempre in coma profondo Salah Rachid Dibe, 35 anni, di origine algerina, il detenuto che ha tentato il suicidio l’altra notte in carcere. L’uomo, recluso per aver contravvenuto ad un’espulsione, condannato a 10 mesi, a quanto pare sposato e padre di famiglia, è sempre ricoverato nel reparto di cure intensive dell’ospedale di Imperia. È mantenuto in vita artificialmente. Per il momento, nonostante le autorità sanitarie stiano cercando di rintracciare i parenti per avvisarli dell’accaduto e per richiedere l’eventuale autorizzazione ad espiantare gli organi, non è stato possibile reperire nessuna informazione utile. Per cui resta in vita grazie all’intervento delle apparecchiature.

Il tentativo di suicidio, che ha gettato un’altra ombra sulle condizioni di vita presso la casa circondariale di Imperia, è stato messo a segno la notte tra mercoledì e giovedì. L’algerino, all’interno della sua cella, si è stretto intorno al collo il cavo della tv. Gli agenti della polizia penitenziaria hanno potuto rendersi conto di quanto stava accadendo solo quando hanno avvertito un tonfo. Sono accorsi e hanno dato l’allarme, ma le condizioni erano già gravissime.

Salerno: agente aggredito da detenuto, prognosi è di 15 giorni

 

Apcom, 11 luglio 2009

 

Ieri sera nel carcere di Salerno un assistente della polizia penitenziaria è stato aggredito da un detenuto della sezione "alta sicurezza", riportando una prognosi di quindici giorni. Lo fa sapere il segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), Donato Capece, in una nota, sottolineando che "il grave, ennesimo episodio dimostra, se ancora ve n’era bisogno, l’allarmante situazione delle carceri italiane, che per effetto della miscela esplosiva determinata dal sovraffollamento delle celle (64mila detenuti per 42mila posti letto) e dalle endemica carenza di personale di Polizia (ben 5mila unità in meno rispetto agli organici previsti)".

"Quello di Salerno - prosegue Capece - dove per altro meno di un mese fa era avvenuta un’altra aggressione ad un poliziotto penitenziario da parte di un detenuto, è l’ultimo inquietante episodio, in ordine di temo, di ciò che si sta verificando in molti istituti penitenziari, con tensioni tra i detenuti e inevitabili problemi di sicurezza interna che ricadono sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Servono dunque - sottolinea - provvedimenti urgenti e concreti, altro che il fantomatico e sconosciuto piano carceri del commissario straordinario Franco Ionta".

"A Salerno - prosegue il segretario del Sappe - la capienza regolamentare è 430 detenuti: ce ne sono 500 e in più mancano 30 agenti. L’Amministrazione penitenziaria guidata da Franco Ionta dimostra di non essere in grado di gestire la grave emergenza. Basti pensare alle linee guida diramate ai provveditori regionali per contenere proprio l’emergenza nel periodo estivo: in estrema sintesi, il concetto di base di Ionta è sostanzialmente quello di fare di tutto per fare stare bravi i detenuti e quindi evitare problemi. Tanto - conclude - nelle sezioni detentive 24 ore su 24 ci stanno gli agenti di Polizia penitenziaria, certo non lui, i provveditori regionali o i direttori".

Belluno: agente abusò di detenuto trans? confronto in carcere

 

Ansa, 11 luglio 2009

 

Due tappe probatorie fondamentali per l’agente penitenziario di Belluno accusato da un detenuto transessuale, rinchiuso nell’apposita sessione di Baldenich, di averlo costretto ad un rapporto orale. Ieri il magistrato titolare dell’inchiesta ha affidato l’incarico ad un professionista di eseguire l’esame del Dna per stabilire se il liquido seminale raccolto dal trans dopo il rapporto orale appartenga realmente all’indagato. Nel pomeriggio, in carcere, si è svolto invece un confronto tra le parti, alla presenza dell’avvocato difensore (Paolo Patelmo) e del pubblico ministero, per raccogliere le testimonianze di tutti i soggetti coinvolti.

Massimo il riserbo sull’esito del confronto che, tra l’altro, è stato anche videoregistrato. Servirà come prova. Ma sarà il risultato del Dna a scrivere la parola decisiva, senza possibilità di errore. L’indagato non si è sottratto all’esame, affermando di essere stato accusato ingiustamente.

Diversa la versione che sarebbe stata resa da altri detenuti, secondo la quale l’uomo avrebbe più volte abusato della sua posizione, costringendo i trans a soddisfare le sue voglie, forte del potere che la divisa e il ruolo gli conferiscono. Ma, in questo caso, la vittima ha fatto scattare la trappola. Dopo il rapporto orale, infatti, il trans ha infilato in un sacchettino il liquido seminale, consegnandolo ad altri agenti. Ora l’agente è indagato ufficialmente per violenza sessuale commessa con abuso di potere. Reato pesantissimo per il quale rischia davvero di passare dall’altra parte delle sbarre.

Bologna: i "Mondiali di calcio antirazzisti", nel carcere minorile

 

Redattore Sociale - Dire, 11 luglio 2009

 

Sarà una rappresentativa di 12 calciatori calabresi e andalusi a sfidare alle 17 di oggi, all’interno del carcere minorile di via del Pratello, una squadra formata dai giovanissimi detenuti della struttura bolognese. Così i Mondiali antirazzisti "aprono" le porte delle prigioni a suon di goal: "Porteremo ai ragazzi lo striscione ufficiale dei Mondiali e lo appenderemo all’interno della struttura - riferiscono gli organizzatori dei Mondiali antirazzisti - sarà un modo per essere con loro".

Ma non è l’unica iniziativa che lega i giovani detenuti al Pratello con la manifestazione sportiva in corso a Casalecchio di Reno. Infatti prenderà parte al torneo una squadra di educatori del Pratello: "Se sarà possibile avere un permesso per farli uscire, faremo giocare anche due ragazzi del carcere sui campo dei mondiali".

Volterra: Compagnia Fortezza a 23° edizione "Volterrateatro"

di Roberto Incerti

 

La Repubblica, 11 luglio 2009

 

È il festival che grazie alla Compagnia della Fortezza di detenuti-attori diretta dal regista Armando Punzo ha creato il fenomeno del teatro in carcere. La XXIII edizione di Volterrateatro. I teatri dell’impossibile conferma il festival di Punzo come uno dei più importanti ed eccentrici d’Italia (13-26 luglio, info 0588/80392, www.volterrateatro.it).

S’inizia con tre belle mostre dedicate alle "Esperienze e immagini del teatro in carcere" (Spazio Espositivo di via Turrazza e Logge di Palazzo Pretorio). Come sempre lo spettacolo più atteso è quello che la Compagnia della Fortezza metterà in scena sotto il sole della Casa Penale di Volterra: Alice nel paese delle meraviglie (21-25 luglio ore 15).

Così Punzo parla di questo lavoro: "Spazieremo da Amleto ad Alice nel paese delle meraviglie, dalla tragedia del potere alla gioiosa anarchia di Carrol. In questo primo studio l’immagine di partenza è la trasformazione, la possibilità di sottrarsi al proprio ruolo. Agli spiriti pensanti che verranno a vedere il nostro spettacolo è dedicato tutto il nostro lavoro e in loro riponiamola nostra speranza". La gioiosa follia di Alice farà capire che gli attori-detenuti quando recitano riescono ad evadere dal ruolo di prigionieri, a volare altrove grazie alla magia del teatro. "Volterrateatro" mostra altre compagnie cult del teatro di ricerca. Fra luci stupende, corpi che un po’ sono cadaveri un po’ immagini di Caravaggio si svolge Lo spazio della quiete, storico spettacolo del Teatro Valdoca (Teatro Persio Flacco, 21 luglio ore 21). Un’opera di forte impatto visivo.

Ma bisogna che il discorso si faccia! di Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa: siamo in bilico fra Beckett ed E. T, fra fiaba e fantascienza, fra cartoon ed incubo (Persio Flacco, 25 luglio ore 21). Gli altri gruppi presenti a Volterrateatro sono: Teatro delle Briciole, Lemming, Teatro delle Albe, Isole Comprese teatro del regista fiorentino Alessandro Fantechi e la compagnia Cinzia Delorenzi.

Immigrazione: famiglie potranno regolarizzare colf e badanti

di Paolo Foschi

 

Corriere della Sera, 11 luglio 2009

 

Due pagine e mezza per un articolo di legge diviso in tredici commi. È questo il testo provvisorio del provvedimento per la "regolarizzazione selettiva" di colf e badanti, che sarà presentato in Parlamento come emendamento al decreto anticrisi. Ecco cosa prevede la bozza, che nell’iter legislativo potrà comunque subire correzioni, e quello che devono fare le famiglie.

L’intervento concordato dai ministri Roberto Maroni e Maurizio Sacconi tecnicamente è una "regolarizzazione contributiva ". I datori di lavoro italiani, comunitari o anche extracomunitari (ma regolarmente presenti in Italia da almeno 5 anni, i cosiddetti "lungo-soggiornanti"), potranno regolarizzare colf e badanti che lavorano alle proprie dipendenze in nero. Per farlo, dovranno denunciare la "sussistenza del rapporto di lavoro", versando un contributo forfettario che per ora è stato fissato in 500 euro, cifra che corrisponde a tre mensilità di contributi. Una sorta di tassa di emersione. L’autodenuncia esclude le "sanzioni penali, civili e amministrative connesse al rapporto di lavoro irregolare". Viene quindi sanato il pregresso.

Per i lavoratori comunitari, la domanda va presentata all’Inps, che incasserà il contributo forfettario. Per gli extracomunitari, invece, la domanda va inoltrata allo sportello unico per l’immigrazione competente per territorio, che prima di dare il via libera deve acquisire il parere della questura. La regolarizzazione anche in questo caso sana il pregresso, escludendo così le sanzioni penali, civili e amministrative legate al rapporto di lavoro e al soggiorno illegale. E riguarda solo ed esclusivamente "attività di assistenza al datore di lavoro stesso o ai componenti della propria famiglia affetti da patologie o handicap che ne limitano l’autosufficienza, ovvero lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare ". Cioè appunto badanti e colf. Ogni famiglia potrà regolarizzare al massimo una colf e due badanti. La regolarizzazione prevede la formalizzazione del rapporto di lavoro, con il pagamento, a favore del dipendente, di contributi previdenziali, ferie e Tfr e tutte le altre voci previste dai contratti di categoria, disponibili presso l’Inps. Le domande, secondo la bozza provvisoria del testo, andranno presentate fra il 1° e il 30 settembre di quest’anno (salvo slittamenti legati ad eventuali intoppi dell’iter parlamentare).

Sono ammessi alla regolarizzazione colf e badanti in servizio prima del 30 giugno 2009 (la norma in questo senso ha un effetto retroattivo). Il datore di lavoro dovrà dichiarare, sotto la propria responsabilità, la data di inizio del rapporto. Non sono dunque richieste "prove" particolari dell’effettiva sussistenza del vincolo di lavoro, basta la dichiarazione del datore. Il testo fissa però alcuni paletti. Eccoli. Non sono ammessi alla regolarizzazione i cittadini extracomunitari colpiti da provvedimento di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno; sono esclusi quelli che hanno segnalazioni, in base agli accordi internazionali, che ne impediscano l’ingresso sul territorio dello Stato (quelli che nel gergo delle questure sono indicati come "indesiderati" e "inammissibili "); e ancora tutti quelli che hanno riportato condanne per uno qualsiasi dei reati previsti negli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale per i quali è previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza (dal furto alla violenza sessuale, dal saccheggio alla rapina, dalla pedopornografia ai reati di terrorismo ed eversione, dalla corruzione alla truffa e altri ancora).

A oggi risultano in sospeso oltre 300 mila domande di assunzione di colf e badanti extracomunitari presentate dalle famiglie per via telematica (nei cosiddetti "click day"). La procedura, precisano dal ministero dell’Interno, è indipendente rispetto alla regolarizzazione selettiva. I datori di lavoro che ancora aspettano una risposta alla domanda inviata per via telematica possono quindi decidere di continuare ad attendere, perché la procedura - assicurano dal ministero del Welfare - continuerà ad andare avanti.

Altrimenti, se il lavoratore da assumere possiede i requisiti e se, come succede nella maggioranza dei casi, è già in Italia come irregolare, i datori potranno procedere con la "regolarizzazione selettiva", pagando il contributo previsto. Il ministero dell’Interno addirittura auspica che più persone possibile optino per la "regolarizzazione selettiva", per decongestionare la procedura del click day, che riguarda non solo colf e badanti, ma anche lavoratori di altri settori. Inoltre i tempi di attesa per le domande presentate con il click day allo stato attuale restano molto incerti, mentre la regolarizzazione selettiva, almeno nelle intenzioni del governo, dovrebbe procedere più velocemente. Ovviamente dovranno aspettare la risposta dalla prefettura tutti i datori di lavoro regolari, ovvero coloro che hanno fatto domanda di assunzione di uno straniero che ancora non è in Italia.

Secondo stime non ufficiali dei ministeri competenti, la regolarizzazione potrebbe riguardare almeno 300 mila persone, ma sindacati e associazioni di assistenza agli immigrati parlano di una platea di destinatari di almeno 500 mila persone. Tutta l’operazione dovrebbe portare nelle casse dell’Inps almeno 150 milioni di euro, anche se il costo amministrativo, fra personale, adeguamento software e spese varie, dovrebbe assorbire buona parte di questo "tesoretto". A regime, la regolarizzazione avrà comunque effetti benefici per Inps e fisco: ogni mese saranno versati solo di contributi previdenziali oltre 45 milioni di euro, mentre il gettito fiscale annuale è stimato intorno a 400 milioni di euro all’anno.

Quanto tempo ci vorrà per ottenere la regolarizzazione? Secondo i ministeri competenti, nel caso dei lavoratori italiani o comunitari, "sarà questione di pochi giorni". Tecnicamente sarebbe possibile anche a vista, "ma difficilmente accadrà". Per i lavoratori extracomunitari i tempi invece sono più lunghi, perché su ogni singola domanda le questure dovranno fornire "il parere sull’insussistenza di motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno ". In ogni caso, una volta presentata la domanda, datore e lavoratore devono attendere la convocazione presso lo sportello unico dell’immigrazione "per la stipula del contratto di soggiorno e per la presentazione della richiesta del permesso di soggiorno per lavoro subordinato". Tempo totale? "La stima è impossibile, varierà da città a città", dicono dal Viminale. Il testo stesso dell’articolo di legge, almeno nella stesura attuale, non fissa dei termini obbligatori per ultimare le procedure.

Per ammissione degli stessi tecnici dei ministeri, la regolarizzazione presenta ancora degli aspetti problematici. A cominciare dalla questione dei controlli sull’effettiva sussistenza dei rapporti di lavoro al 30 giugno 2009. In teoria, il datore di lavoro, dichiarando il falso, potrebbe regolarizzare persone entrate successivamente in Italia. "Ma non abbiamo strumenti di verifica ", alzano le mani dalla questura di Roma.

Immigrazione: Maroni; fare luce sul lavoro domestico in nero

di Lorenzo Fuccaro

 

Corriere della Sera, 11 luglio 2009

 

No a sanatorie per le badanti, sì all’emersione del lavoro domestico in nero. Sulla misura che il governo si appresta a proporre in parlamento si è cominciato a discutere sin dalla prima riunione del Consiglio dei ministri nel maggio del 2008 a Napoli. Roberto Maroni, responsabile dell’Interno, illustra il provvedimento dopo l’intesa raggiunta con il collega del Welfare Maurizio Sacconi.

 

Può spiegare i termini dell’intesa?

"Se ne parla da più di un anno. Al primo Consiglio dei ministri si affrontò l’argomento badanti quando approvammo il pacchetto sicurezza. E decidemmo su mia proposta che prima di prendere qualsiasi provvedimento su regolarizzazioni, sanatorie e questioni del genere bisognava chiudere il pacchetto sicurezza nella sua interezza".

 

Il pacchetto è stato approvato e il resto?

"Fissati rigore e regole per il contrasto all’immigrazione clandestina adesso ci apprestiamo ad adottare gli altri provvedimenti. Quando Carlo Giovanardi è uscito con quella dichiarazione, un’ora prima io e Sacconi c’eravamo sentiti dicendo: domani i nostri si vedono e cominciano ad affrontare la questione badanti. È insomma una cosa meditata e non deriva da qualche improvvida dichiarazione fatta tizio, caio e sempronio. E poi va dato a Cesare quel che è di Cesare. Questa è un’iniziativa che ha fortemente voluto Sacconi. Solo la propaganda politica ha oscurato il suo ruolo. Ma è un’iniziativa che era nel suo cassetto e che io ho sempre condiviso. Mai si è parlato di sanatoria".

 

A chi è rivolta?

"Alle famiglie con badanti o con colf, a prescindere della nazionalità della persona. Quindi non un provvedimento rivolto agli extracomunitari ma a coloro che svolgono questo lavoro e che non sono in regola. Vale per italiani, comunitari ed extracomunitari. Gli italiani e i comunitari si iscrivono all’Inps, mentre gli extracomunitari oltre a fare questo otterranno la concessione del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, a certe condizioni. Insisto: il provvedimento è rivolto a tutti e ha la finalità di regolarizzare il lavoro domestico irregolare".

 

Gli irregolari di cui parla lei appartengono al gruppo di quelli hanno fatto richiesta ma non è stata accolta?

"No. Il datore di lavoro denuncia la situazione, paga un contributo all’Inps corrispondente a tre mesi pregressi, andando a ritroso dal 30 giugno, sottoscrive un contratto di colf o di badante e, se si tratta di un cittadino extracomunitario, presenta anche la dichiarazione allo sportello unico dell’immigrazione. Così alla persona viene dato il permesso di soggiorno per motivi di lavoro".

 

Quando entrerà in vigore questa nuova normativa?

"Dipende dal Parlamento, penso che verrà proposta nel decreto anticrisi".

 

Chi la proporrà?

"Il relatore o il governo la prossima settimana. Si stanno definendo gli ultimi dettagli dal punto di vista delle coperture con il ministero dell’Economia. È un intervento a sostegno delle famiglie perché riteniamo che questo tipo di lavoro abbia una forte valenza sociale e per questo meriti un provvedimento specifico. Per evitare trucchi e per evitare di dare lavoro a chi non fa la badante e non fa la colf i datori di lavoro non cittadini italiani devono avere il requisito della permanenza in Italia di almeno cinque anni".

 

Dalle sue parole sembra si sia trattato di una tempesta in bicchiere d’acqua, possibile che tutti da Giovanardi alla Chiesa abbiano preso un abbaglio?

"Certo è stata una tempesta in un bicchiere d’acqua".

 

L’Udc commenta l’accordo con un "il governo ha fatto marcia indietro"

"Non mi perdo dietro a questo tipo di commenti. L’unico contributo che l’Udc ha dato in questi anni alla lotta all’immigrazione clandestina è stato quando, qualche anno fa, Casini propose di prendere a mitragliate i barconi che arrivano in Italia. Che io mi ricordi l’unica proposta è stata questa. Quindi non mi pare particolarmente significativo il commento dell’Udc su questo tema".

 

La Cgil sostiene che occorre regolarizzare tutti.

"Noi invece vogliamo fare emergere il lavoro nero domestico e siamo contrari alle sanatorie generalizzate perché il patto europeo su immigrazione e asilo prevede che non se ne facciano più. E il nostro provvedimento è coerente con le norme europee".

 

Il rigore sopra ogni altra considerazione.

"L’ha detto benissimo Sacconi: chiuso il capitolo del rigore accompagniamo il pacchetto sicurezza con una misura eccezionale che riguarda le famiglia. Insomma l’esatto contrario di una retromarcia".

 

Quanti sono le colf e le badanti?

"Abbiamo delle stime che sono diverse da quei dati che sono diffusi a casaccio dalla Cgil, perché ci mettono dentro rumene e polacche che non sono più extracomunitarie. I dati significativi saranno quelli che verranno forniti dall’Inps".

 

Ci sono alcuni parlamentari del Pdl alla Camera e al Senato che invocano una regolarizzazione per quanti non sono riusciti ad ottenerla facendo la domanda all’epoca del decreto flussi 2008.

"Questa è una sanatoria e il governo è contrario. E poi proposte di questa fatta contrastano con il programma del Pdl più Lega dove c’è scritto: no a sanatorie".

Afghanistan: 1.500 detenuti talebani, uccisi dalla Cia, nel 2001

 

Ansa, 11 luglio 2009

 

L’organizzazione Physicians for Human Rights (Phr), ha chiesto l’apertura di una inchiesta sulla morte dei prigionieri talebani nel 2001. Riguarda le rivelazioni del New York Times sulla strage dei prigionieri talebani a Shibergan, in Afghanistan, "insabbiata" dall’amministrazione Bush. Nel 2001 "almeno 1.500 prigionieri talebani vennero uccisi dagli uomini di Dostum, un signore della guerra sul libro paga della Cia", ha rivelato il Nyt.

 

 

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