Rassegna stampa 13 luglio

 

Giustizia: pacchetto-sicurezza; Napolitano per "sì" con riserva

di Paolo Cacace

 

Il Messaggero, 13 luglio 2009

 

I nodi del "pacchetto sicurezza" stanno venendo al pettine. Archiviato il "G8", Giorgio Napolitano si accinge a decidere sulla promulgazione della legge approvata i primi di luglio in via definitiva dal Senato. Il verdetto è atteso "in settimana", ma la previsione sull’esito è difficile. "Il testo del provvedimento viene vagliato con scrupolosa attenzione" si limitano a sottolineare sul Colle.

Questo significa che il capo dello Stato non ha ancora ultimato la verifica sui possibili, palesi, profili di costituzionalità del "pacchetto" anche se alcune indicazioni provenienti dal "nucleo di valutazione" del Quirinale sono già arrivate sul tavolo presidenziale. L’impressione è che allo stato attuale l’ipotesi di un "no" secco del Colle alla legge e quindi di un rinvio alle Camere sia piuttosto improbabile; ma permanendo molti dubbi e perplessità su alcuni punti dell’intero "pacchetto "Napolitano sarebbe intenzionato a renderli pubblici con alcune "considerazioni" critiche contestualmente alla promulgazione della legge.

È difficile addentrarsi nel merito delle norme attualmente sotto la lente d’ingrandimento dello staff giuridico del Colle. Sembra accantonato o perlomeno smorzato il problema delle ronde a suo tempo sollevato da Napolitano e oggetto, di un vero e proprio braccio dì ferro che portò a vistose correzioni nel corso del dibattito dopo il trasferimento della norma dal decreto al disegno dì legge.

L’attenzione del Quirinale appare ora concentrata anche sulla definizione della questione delle badanti, oggetto proprio in queste ore di una riflessione all’interno del governo con un testo di sanatoria predisposto dal ministri Maroni e Sacconi.

Nei giorni scorsi il Colle ha fatto sentire discretamente ma con fermezza la propria voce ed è verosimile che le aperture dell’esecutivo per una soluzione del problema badanti-colf che rischiavano d’incappare nel reato d’immigrazione clandestina, siano anche il risultato di un pressing e di un’influenza indiretta quirinalizia.

Dunque: si tratta di un’analisi in itinere quella degli esperti giuridici del Colle (Sechi e D’Ambrosio) che consentirà al capo dello Stato di tirare le somme per verificare - com’è suo diritto-dovere - l’esistenza o meno di qualche vulnus di carattere costituzionale. Era stato lo stesso Napolitano - giova ricordarlo - a prendere tempo e a riservarsi una decisione sulla promulgazione del "pacchetto" a conclusione dei lavori del G8, per evitare di turbare le assisi internazionali con problemi di politica interna.

Giustizia: l’appello; Napolitano non firmi una "legge-vergogna"

 

Apcom, 13 luglio 2009

 

C’è chi si preoccupa per la propria collaboratrice familiare: sono più di mezzo milione colf e badanti senza permesso di soggiorno e senza di loro come si fa? C’è chi pensa alla deriva sanitaria: è vicino a noi il caso di quel malato arrestato al pronto soccorso; quale "irregolare" si fiderà più del medico o dell’ospedale? E se ci si terrà lontano dalle strutture sanitarie, quale sarà il prezzo che pagheremo tutti con il diffondersi di malattie non controllate?

Se il capofamiglia a cui si sta affittando un appartamento resta senza permesso di soggiorno, dovremo denunciarlo e mettere sulla strada lui e i suoi figli, sapendo di rischiare altrimenti fino a tre anni di carcere e la confisca dell’immobile? Il reato di clandestinità non potrà che intasare uffici giudiziari e carceri. Come si fronteggerà quanto la nuova legge richiede di mettere in opera?

L’allungamento della permanenza nei "Centri di identificazione e espulsione" comporterà un pesante aumento dei costi di gestione, affollamento, peggioramento generale delle condizioni di vita, inevitabile violenza (nascosta a noi). Come tutto questo ci porterà sicurezza? Se quanto ha a che fare con lo stato viene identificato come forza di repressione ed espulsione, chi si avvicinerà a qualunque ambiente istituzionale?

A partire dalla scuola, luogo privilegiato per la tanto richiesta "integrazione". I nati da madre non "in regola" non saranno registrati; quale futuro per queste vite, private di identità fin dall’inizio? E quale futuro per un’intera società che pensava di essere tutelata da quel documento di avanzata civiltà che è la nostra Costituzione?

Il cosiddetto "pacchetto - sicurezza" sta provocando reazioni forti in gran parte della società civile. Ne sono stati sottolineati gli aspetti di impraticabilità e quelli di inefficacia. Ma da condannare è soprattutto il suo carattere regressivo, la violazione della dignità umana che ne deriva.

E questo vale non solo per chi è colpito direttamente da queste misure, ma anche per tutta una nazione trasformata da un clima di sospetto, dalla pratica della delazione, dal ritorno ad uno stato barbarico che spoglia persone (nostri vicini, bambini delle nostre scuole) dei diritti fondamentali. Il fatto che il governo stia ora pensando a escamotage legislativi per tranquillizzare le famiglie che si reggono su lavoratrici non in regola appare come un’aggravante: si discriminano ulteriormente le persone in base alla loro utilità immediata.

Tutti questi provvedimenti vanno a colpire una gran parte di nostri concittadini; per effetto mediatico si pensa solo a chi sbarca senza un visto regolare. Ma il permesso di soggiorno si può perdere anche dopo anni di permanenza regolarissima. Basta un licenziamento e si diventa delinquenti. Quale genere di diritto consente che si possa essere colpevoli non per le azioni, ma per lo stato amministrativo?

L’ulteriore precarizzazione del lavoratore immigrato avrà come immediato risvolto l’aumento della ricattabilità, dello sfruttamento, degli infortuni. E come non vedere che questo è un passo di cui tutti i lavoratori subiranno le conseguenze? Qualcuno forse si illude che il tacco schiacciato sui corpi altrui si traduca in vantaggi per gli "italiani doc".

Ma questo non è un gioco a somma zero: erodere i diritti di una parte è come incrinare una diga comune. Invitiamo perciò ad indirizzare al Presidente Napolitano l’adesione a questo appello, con la richiesta di non firmare una legge che calpesta la dignità e i diritti fondamentali della persona.

 

Comitato delle Associazioni

per la Pace e i Diritti Umani

Giustizia: il Cappellano Opg; "nel nome della sicurezza… amen"

 

www.viaemilianet.it, 13 luglio 2009

 

C’è chi governa greggi di fedeli, i preti, e chi governa greggi di cittadini, i sindaci. Questi ultimi hanno la vita più difficile. Se n’è discusso alla festa del Pd di Correggio.

Paure e sicurezza. Fino a che punto sono fondate le prime e in che modo garantire la protezione dei cittadini. Se n’è discusso alla festa del Pd di Correggio in un dibattito che ha visto coinvolti il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, il cappellano dell’Opg di Reggio Emilia don Daniele Simonazzi e il sindaco di Correggio Marzio Iotti.

Un incontro in cui l’approccio cattolico al problema è risultato prevalente, rafforzato anche dalla conduzione della serata da parte di un esponente locale dell’Azione Cattolica. Ma, si sa, le feste dell’Unità è già da un po’ che non ci sono più. Nemmeno a Correggio, uno dei comuni che continua a restare tra i più rossi in Emilia-Romagna. L’hanno notato subito anche gli spettatori, in buona parte pensionati del posto, alcuni dei quali con tutta probabilità un tempo si sarebbero definiti senza problemi e senza offese dei "mangiapreti".

Il momento della predica è arrivato quando don Simonazzi, microfono alla mano, si è levato in piedi per leggere un passo del Vangelo. Un parabola per portare al centro del dibattito, sul tema della sicurezza, non tanto i risultati elettorali conseguiti dalla Lega nord, quanto la diffusione trasversale, anche tra i non leghisti, della tendenza a dare maggiore priorità alle cose piuttosto che alle persone. "Al sicuro dobbiamo starci noi, oppure i nostri beni? Per i nostri beni siamo disposti a sacrificare anche i nostri fratelli?

E col nostro rapporto col denaro come siamo messi?", sono state le domande poste da don Simonazzi. Stando a come la vede lui, il concetto di proprietà che c’è nel Vangelo è lo stesso delle teorie di Proudhon che la vedevano come un furto. Secondo la parola di Gesù, infatti, ogni cosa che non è condivisa è come se fosse rubata.

A riportare la discussione a un livello più terreno ci ha pensato Marzio Iotti. "Per quello che vedo io il Vangelo non è stato digerito ancora nemmeno in casa cattolica", ha replicato il sindaco di Correggio a don Simonazzi. Il gregge con cui hanno a che fare gli amministratori locali è diverso da quello a cui si rivolgono i sacerdoti. I sindaci devono tenere conto del fatto che i loro cittadini sono persone egoiste, le cui paure, non tutte, sono fondate.

"Fino ad oggi il sistema del welfare locale ha retto con un 10% di popolazione immigrata che si è formata nel giro di 15 anni. Se in poco tempo si passa al 20% gli stessi servizi non siamo più in grado di offrirli allo stesso modo. E questo mettendoci anche tutto l’amore che vogliamo". ha spiegato Iotti.

E qui ci si scontra con sentimenti "leghisti" riguardo ai diritti. A chi è italiano, più nel particolare reggiano, da più tempo deve essere riservato un trattamento qualitativamente superiore a quello ricevuto dai nuovi italiani. "Un modo di vedere le cose che va pari passo col pensare che i "nativi" siano più virtuosi degli immigrati i quali sono tutti tendenzialmente dei delinquenti", ha detto Graziano Delrio nel suo intervento. Il sindaco di Reggio ha tenuto a sottolineare, invece, che nella sua città il tasso di criminalità degli stranieri regolari, è di molto inferire a quello dei reggiani.

Più risorse alle forze di polizia, una legge più giusta, una giustizia più rapida e carceri meno affollate sono la ricetta per la sicurezza che deve seguire il centro sinistra secondo Delrio. Una bella lista di cose da fare, ma prima di realizzarla bisogna tornare al governo.

Giustizia: Calderoli; la castrazione chimica, per gli stupratori

di Maria Elena Vincenzi

 

La Repubblica, 14 luglio 2009

 

Il telefonino rubato alla vittima dello stupro della Bufalotta trovato in un autogrill sul raccordo dove si incontrano coppie di scambisti e gay. Un doppiofondo dell’armadio in cui Bianchini nascondeva lacci, filmati porno, un coltello avvolto nello scotch argentato e persino una pistola elettrica per immobilizzare le vittime.

Le indagini sul caso Bianchini proseguono. Ma intanto scoppia la polemica. E il ministro Calderoli rilancia l’ipotesi della castrazione chimica: "Quando lo dissi io, sembravo pazzo. Oggi - ha detto - leggo con soddisfazione che anche dal mondo scientifico arrivano proposte in questo senso. Se l’uomo arrestato a Roma si fosse sottoposto alle cure adeguate fin da quando, tanti anni fa, venne coinvolto in una vicenda di questo tipo, non si sarebbe arrivati alle conseguenze odierne".

Calderoli non è solo. Il Movimento per l’Italia di Daniela Santanchè ha annunciato una petizione popolare per chiedere al sindaco Alemanno di "attivarsi con il governo a favore dell’introduzione della castrazione chimica". Proposta avanzata anche su Facebook dove, in poche ore, i gruppi che chiedono pene esemplari e castrazione per Bianchini hanno superato i 600 iscritti.

E mentre la politica si agita, emergono nuovi dettagli sull’inchiesta. Particolari sulle perversioni sessuali del "ragioniere stupratore" che, dopo la violenza alla giornalista della Bufalotta, il 4 giugno, ha lasciato il telefonino della vittima in un autogrill sul raccordo. Un posto segnalato in tutti i siti per scambisti e gay. Non solo. Gli inquirenti sono al lavoro per trovare altre aggressioni con la stessa firma. Quattordici i casi al vaglio, cinque dei quali risalirebbero a prima del 2000.

Tra questi anche due episodi per i quali Joe Codino, altro stupratore seriale romano, fu assolto: gli erano stati attribuiti erroneamente. Ma è ancora da stabilire se siano riconducibili a Bianchini. Al vaglio della squadra mobile anche altri dieci casi che avrebbero lo stesso modus operandi. Tentate violenze che arrivano fino ai giorni nostri e si fanno più frequenti tra il 2005 e il 2009. Periodo in cui, secondo gli inquirenti, Bianchini migliorava la sua "tecnica".

Elementi, come il finto fondo dell’armadio, ai quali Bianchini dovrà dare una spiegazione oggi nell’udienza di convalida dell’arresto e dell’interrogatorio di garanzia con il gip, Roberto Amoroso e il pm, Antonella Nespola. Bianchini potrebbe essere giudicato con il rito abbreviato entro la fine dell’anno.

Giustizia: Bruno; ma la terapia dev’essere sempre "volontaria"

di Maurizio Gallo

 

Il Tempo, 14 luglio 2009

 

Per il criminologo Francesco Bruno la terapia, però, deve essere sempre volontaria. "In questi casi - spiega Bruno - serve la castrazione chimica". Come un tossicodipendente che si aggira nella notte alla ricerca di una dose. E, in questo, caso la "dose" è la violenza sessuale. Come un drogato a cui va tolta la dipendenza fisica dalla droga. E, se per il consumo di stupefacenti c’è il metadone, per uno stupratore c’è la castrazione chimica, cioè medicinali che spengano l’impulso, che frenino il bisogno apparentemente insopprimibile di possedere con la forza ciò che si dovrebbe conquistare con l’amore.

Il professor Francesco Bruno lo sapeva. Aveva già tracciato un "profilo comportamentale" del "mostro del garage". "Avevo capito che non era un delinquente abituale ma una persona comune, che aveva un lavoro fisso, regolare, tranquillo, che era un insospettabile e ho pensato anche, data l’età, che potesse aver cominciato anni fa. Un tipico caso di stupratore seriale patologico con personalità multipla, insomma", spiega il criminologo.

 

Un dottor Jekyll e un mister Hide. Ne è sorpreso?

"No. La doppia personalità è un tratto fondamentale. Tutte e due sono vere. Solo che il soggetto non è riuscito ad identificarsi pienamente nella sua parte "buona". Ha incistata in sé la parte negativa, invece, che emerge durante la notte, quando i suoi pensieri diventano compulsivi. E quando si comportava come un tossicodipendente che va in cerca della sua dose".

 

Quindi sapeva quello che faceva?

"Certo. Scriveva i suoi propositi, leggeva testi specialistici. Se ne rendeva conto e cercava di capire chi era veramente. Questo implica un conflitto profondo, che però lui non era riuscito a risolvere". E, infatti, si proponeva di "guarire", di "essere sereno la sera" quando tornava a casa e di avere "tanti rapporti con donne grandi e stare tranquillo senza impulsi a breve".

 

Come interpreta queste parole?

"Voleva liberarsi dai suoi pensieri ossessivi e compulsivi, rivelava una relazione difficile con le donne in generale, con le quali era molto gentile, perfino servile, ed era perfettamente consapevole di essere malato". Perché, allora, non ha cercato di curarsi? "Vede, io sono consapevole di essere obeso e tuttavia non riesco ad osservare una dieta...".

 

Qual è la cura per queste patologie, secondo lei?

"In questi casi sono favorevole alla castrazione chimica volontaria. Se lui avesse saputo che poteva risolvere i suoi problemi con tre pasticchette al giorno sono sicuro che lo avrebbe fatto. Ma in Italia di questa terapia se ne parla poco e male. Nessun medico prende l’iniziativa. Nessun paziente è al corrente dei suoi effetti. Se e quando lo diventano, vogliono essere curati".

 

Quali medicine si usano?

"In genere il ciproterone acetato, che è un antagonista del testosterone e neutralizza gli stimoli sessuali e quelli aggressivi. Ma, oltre a questo, è necessaria una psicoterapia complessa. Bisogna far capire al soggetto la radice del suo comportamento, stimolarlo a un’empatia verso le sue vittime, per fargli comprendere che cosa provano. E dargli altre motivazioni di vita che sostituiscano queste".

 

Qualcuno punta l’indice sui periti che, tredici anni fa, quando Bianchini fu arrestato mente tentava di stuprare la vicina di casa armato di coltello, lo dichiararono "incapace di intendere e di volere". La sua opinione?

"Non so come sia stata fatta la perizia ma, di solito, c’è molta difficoltà a far passare questo discorso in tribunale. Infatti le nostre carceri sono piene di schizofrenici non riconosciuti tali. Lui è stato curato in questi anni? Probabilmente no, altrimenti non sarebbe tornato in azione".

 

Ce ne possono essere altri come lui in circolazione?

"Persone così ce ne sono tante, purtroppo. Molte sono solo stupratori potenziali. Altre, magari, stanno agendo adesso, mentre io e lei parliamo. La deviazione sessuale nota come parafilia, il bisogno di violenza per raggiungere l’eccitazione, può portare a una dissociazione della personalità".

 

Quindi, quando lui, prima di essere preso, parlava dello stupratore come un "porco e un figlio di p..." era sincero?

"Sì, lo diceva con convinzione. Come nel caso della Franzoni, non è che non sai. È come se non l’avessi fatto tu. È qui che sta la patologia".

Giustizia: Giulini; i farmaci? solo come supporto a psicoterapia

di Gabriela Jacomella

 

Corriere della Sera, 14 luglio 2009

 

"Nei casi con disturbi psicotici o gravi disturbi dissociativi, il trattamento farmacologico può servire. Ma un conto è usarlo come supporto, un altro concepirlo come intervento punitivo supplementare". Paolo Giulini, criminologo, è il responsabile di un progetto unico in Italia (e che dall’estero ci invidiano): quello che nel carcere milanese di Bollate mira ad abbattere la recidiva dei condannati per reati sessuali, attraverso un trattamento psicologico intensificato.

"Nell’unità di Bollate abbiamo una minima parte di detenuti che si sta sottoponendo anche alla terapia farmacologica. Non di antiandrogeni (a tutt’oggi non previsti dal prontuario farmacologico con l’indicazione della castrazione chimica), ma con altri farmaci: neurolettici, stabilizzatori dell’umore, ansiolitici e antidepressivi, per controllare l’impulsività e trattare i sintomi correlati. Affiancati, sempre, dall’intervento psicoterapeutico; la cui tenuta, se c’è il farmaco, può essere più efficace e duratura".

Anche nei recidivi come Bianchini, con quel tentativo di violenza che portò al suo arresto nel 1996? "Non escludo che in questo caso ci possano essere stati esordi nell’adolescenza. Forse le pulsioni sono state gestite con atti esibizionistici: episodi non visti, minimizzati dalla famiglia".

Per cui, sintetizza il criminologo, "invece di pensare agli antiandrogeni, sarebbe più efficace costruire un "controllo benevolo" sul territorio, una cultura di intervento di prevenzione più consapevole. Anche il sistema sanitario deve intervenire, con soldi e risorse. In Gran Bretagna ad esempio è al lavoro una Commissione guidata dal neuropsichiatra Don Grubin e finanziata dal Ministero della Sanità: per un anno sperimenterà la cura con antiandrogeni nelle carceri".

Giustizia: giornali e cronaca; Meredith "tira" più di Aldrovandi

di Roberto Natale (Presidente Fnsi)

 

L’Unità, 14 luglio 2009

 

Il processo di primo grado per la morte di Federico Aldrovandi è arrivato a conclusione. Il Tribunale di Ferrara ha condannato quattro agenti di polizia a tre anni e sei mesi per "eccesso colposo", giudicandoli responsabili di aver infierito sul ragazzo. Ma la sentenza deve essere arrivata come una sorta di fulmine a del sereno per la gran parte dell’opinione pubblica italiana.

Il processo, infatti, è andato avanti per mesi nel quasi totale disinteresse dell’informazione nazionale: bastano le dita di una mano per contare i quotidiani, i telegiornali e gli spazi di approfondimento televisivo (Chi l’ha visto?) che l’hanno seguito con continuità. Eppure la passione dell’informazione per la ricostruzione dei processi negli studi tv è così accentuata che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha ottenuto in materia l’adozione di un Codice di autoregolamentazione. Non si può non mettere a confronto questo silenzio con il clamore mediatico che circonda il processo di Perugia. Una semplicissima ricerca di parole-chiave sulle principali agenzie di stampa, negli ultimi 30 giorni, dà questo risultato: "Meredith" compare in 156 lanci, "Aldrovandi" in 6 (inclusa la sentenza).

Difficile sostenere che a Ferrara si sia esaminato un fatto di minore rilevanza rispetto al delitto Kercher. Ma ci sono una cosa in più e una cosa in meno, nella storia di Federico. In più c’è il coinvolgimento di alcuni agenti di polizia. In teoria questo elemento avrebbe dovuto accrescere l’interesse. In pratica sembra aver funzionato da freno, spingendoci all’autocensura. Ma c’è anche una cosa in meno: a Ferrara non c’è sesso. Nessuna possibilità di raccontare tracce di Dna, reggiseni, ipotesi sulle relazioni tra i giovani coinvolti. Sarà mica per questo che Perugia ci interessa tanto e Ferrara quasi per niente? È un dubbio che fa male, soprattutto adesso che il giornalismo italiano sta combattendo una sacrosanta battaglia contro il disegno di legge sulle intercettazioni.

La stiamo conducendo in nome del diritto dei cittadini di continuare a conoscere vicende di indubbio rilevo pubblico. Rifiutiamo di essere raffigurati come una corporazione di guardoni, interessati alle intercettazioni soprattutto perché vogliosi di mettere in pagina i particolari più pruriginosi. Difendiamo un’idea di cronaca che misura gli eventi in base alla loro rilevanza sociale, più che al loro potenziale erogeno. La difendiamo contro chi, dall’esterno della professione, vuole metterci il bavaglio. Ma forse gli avversari non sono solo fuori di noi."

Giustizia: agenti; ci manca tutto, i veri carcerati ora siamo noi

di Raphaël Zanotti

 

La Stampa, 14 luglio 2009

 

Quando l’agente scelto Pici Pasquale è stato premiato, lo scorso 19 giugno, sudava. Non era emozione. Nella canicola dell’aula magna del tribunale di Torino, Pici aveva indosso la divisa invernale. "Non sono riuscito a mettere insieme una divisa estiva" ha spiegato imbarazzato.

Non è il solo. Le scarpe da picchetto prese da Giovanni, la camicia chiesta a Santino, le mostrine prestate da Carmelo: nei giorni che precedono la Festa della Polizia Penitenziaria è tutto un rabberciare, aggiustare, barattare tra colleghi. Il ministero non paga, e allora ci si arrangia per arrivare decorosi all’appuntamento. Ma non sempre ci si riesce. Perlomeno, a guardare Pasquale, erano in pochi. I colleghi iscritti al suo sindacato, il Sappe, non c’erano. "Non abbiamo partecipato perché la polizia penitenziaria non ha proprio niente da festeggiare" dice Nicola Sette, responsabile piemontese del sindacato.

 

Tasche vuote

 

La polizia penitenziaria vive uno dei momenti più critici della sua storia che ormai dura da 192 anni. Non c’è più un soldo e a livello centrale regna la confusione. L’ultima beffa: il ministero l’anno scorso ha speso 15 milioni di euro per le nuove mimetiche. Peccato abbia sbagliato le taglie dei cinturoni. Risultato: quelle divise sono importabili. "Tre mesi fa in un servizio di scorta per un detenuto da Torino a Reggio Calabria - racconta Sette - il mezzo è rimasto a secco. All’altezza di Santa Maria Capua Vetere, gli agenti hanno cercato di far carburante ma l’addetto della Q8 si è rifiutato: lo Stato da tempo non li paga, quindi niente benzina. I sei della scorta han dovuto fare una colletta e metterci i soldi di tasca loro per riuscire a tornare a casa".

 

Stipendi non straordinari

 

Un agente di polizia penitenziaria prende in media 1.450 euro. Sono gli straordinari a fare la parte cospicua della busta paga. E vista la carenza cronica (la media è del 30% in meno rispetto alla pianta organica), lo straordinario è diventata una regola. I vertici lo ordinano, ma a fine mese non viene pagato. Si lavora gratis. Dieci giorni fa tre agenti hanno ricevuto lo straordinario e hanno festeggiato. Era quello di gennaio.

 

Scorte a go go

Dei circa 39 mila uomini della polizia penitenziaria in Italia, solo la metà è a diretto contatto con i detenuti, il cui numero ha ormai superato la soglia di sopportabilità indicata a quota 64.000. Gli altri svolgono compiti amministrativi, oppure servizi di supporto. "La vera piaga è il clientelismo - denuncia ancora il Sappe piemontese - l’ex ministro della Giustizia Mastella ha ancora la scorta. Trentadue nostri uomini proteggono la sua abitazione a Ceppaloni, sono quasi tutti di Benevento. Altri 40 sono stati di recente distolti dai loro compiti per fare da scorta all’attuale ministro della Giustizia Alfano". Poi ci sono i servizi "anomali", come i due poliziotti che fanno i portaborracce dell’Astrea, la squadra del Corpo che milita in serie D. Oppure quelli in servizio nei bar degli istituti di pena.

 

"Distacchi clientelari"

Altra piaga è quella dei distacchi, un istituto del contratto di lavoro che prevede il trasferimento dell’agente in altra provincia per comprovati motivi di salute dei familiari. Dovrebbe avere carattere temporaneo, ma così non è. "Il fenomeno è tanto ampio che bisognerebbe che un magistrato ci mettesse il naso" denuncia senza peli sulla lingua Leo Beneduci, segretario nazionale dell’Osapp, altro sindacato autonomo. "Si tratta soprattutto di colleghi provenienti dal Sud, che poi chiedono di tornare al loro paese o vicino" spiega Beneduci. Il che aumenta i problemi di organico al Nord. Al carcere di Torino, per esempio, lavorano 13 unità distaccate da fuori. Quelli che invece vanno in altri istituti sono 121, nove volte di più.

 

Stress e ansia

I turni massacranti e il senso di abbandono da parte dei vertici cominciano a creare anche problemi di salute negli agenti. Il 2 marzo scorso Danilo Ciccarino, originario di Varese ma in servizio a Torino, è stato trovato carbonizzato nella sua auto in una strada provinciale di Latina. Si era suicidato. Dal 2008 a oggi venti poliziotti della Penitenziaria sono stati congedati, solo in Piemonte, per problemi psichici legati a stress e ansia. "È normale - dichiara il Sappe - Turni massacranti, senso di abbandono, mancanza dei più elementari strumenti di lavoro, aggressioni da parte dei detenuti: i veri carcerati ormai, sembriamo diventati noi". E senza nemmeno la divisa a posto.

Giustizia: "record" all’Ipm di Torino, in servizio 23 ore di fila

di Raphaël Zanotti

 

La Stampa, 14 luglio 2009

 

Ventitre ore di lavoro in un giorno, con una sola ora per tornare a casa, farsi una doccia, e poi tornare a sorvegliare i detenuti.

Lo Stakanov della polizia penitenziaria è un agente in servizio al carcere minorile di Torino "Ferrante Aporti". Lui e sua moglie, a dir la verità, avrebbero fatto volentieri a meno di questo titolo. Ma quando il comandante ordina, si obbedisce. È così nella polizia penitenziaria, come in qualunque altro Corpo.

L’episodio è però talmente grave, che la voce è arrivata anche ai sindacati. E ora l’Osapp chiede a Roma di muoversi inviando ispettori ministeriali che verifichino cosa sta succedendo all’istituto di pena torinese. "Sono stati violati i più elementari diritti dei lavoratori e anche gli accordi sindacali tra le parti, è uno scandalo" tuona Gerardo Romano, responsabile regionale del sindacato.

Cosa ancora più paradossale, il super turno di 23 ore è stato svolto sotto gli occhi delle più alte cariche cittadine. È successo infatti l’8 luglio quando al "Ferrante Aporti", ironia della sorte, il prefetto di Torino Paolo Padoin e il procuratore capo del tribunale dei minori Emilio Tomaselli erano invitati a partecipare alla "Cena della Legalità" organizzata dal carcere minorile e dall’associazione Libera.

Il racconto dell’odissea dell’Agente Stakanov lo fa un suo collega di lavoro, che però preferisce mantenere l’anonimato. "Il collega era in servizio dalle 7 alle 15 - racconta - su ordine del vicecomandante del Ferrante Aporti, perché il comandante da febbraio è distaccato all’istituto minorile di Bologna". Già così, nei turni, l’agente parte quindi con due ore di straordinario in tabella. L’orario della polizia penitenziaria è infatti di 36 ore settimanali, ovvero sei ore al giorno.

"Il vicecomandante ha chiesto a chi era di turno di fare uno sforzo e di arrivare fino alle 16.30 visto che per la giornata della legalità era stato organizzato nel pomeriggio un torneo di calcio tra squadre dei detenuti e una squadra di avvocati e magistrati proveniente dall’esterno. A seguire ci sarebbe stata la cena".

Problema: il vicecomandante, finito il suo turno, stacca. Gli subentra il comandante in arrivo da Bologna per partecipare alla giornata. "A quel punto gli ordini sono cambiati - continua l’agente narratore - vista la folta presenza di persone provenienti dall’esterno, c’era bisogno di vigilanza. Così il comandante ha chiesto a tre agenti di restare per un secondo turno". Tra questi anche l’Agente Stakanov. Il quale, dopo aver già svolto il turno 7-15, si carica anche di quello 15-22. Non basta. Perché quando i due colleghi, dopo il doppio turno, se ne vanno giustamente a casa, lui è costretto a restare. Nei servizi ordinari predisposti dal vicecomandante, infatti, è di nuovo di turno: dalle 23 alle 7 del mattino successivo. Risultato: 23 ore lavorate.

"Sembra che all’interno del Ferrante Aporti ci sia una forte conflittualità tra le figure apicali del Corpo - spiega Romano dell’Osapp - prova ne sia che a dieci giorni dall’inizio di luglio, ancora una delle tre unità operative non sa quale sarà il suo periodo di ferie. Ci chiediamo cosa sta accadendo in quell’istituto e come si possa andare avanti così. Per questo chiediamo che il capo del dipartimento giustizia minorile, Bruno Brattoli, invii immediatamente un’ispezione per verificare cosa sta accadendo".

Giustizia: Osapp; governo ci ha abbandonato al nostro destino

 

Apcom, 14 luglio 2009

 

Nelle carceri italiane è ancora allarme sovraffollamento: "Ormai denunciamo da mesi una condizione carceraria pietosa arrivata a contare più di 64 mila detenuti, quando gli istituti ne possono contenere solo 43 mila. Una condizione che consideriamo nazionale, ma che poco interessa al Governo". Così il segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria, Leo Beneduci, scrive ai propri delegati in occasione del consiglio nazionale del sindacato che si terrà domani a Roma, presso la sede dell’Istituto superiore di studi penitenziari.

"Che si inizi a manifestare autonomamente, che i colleghi inizino a manifestare da soli senza nemmeno rivolgersi ai sindacati e assieme ai detenuti - spiega Beneduci - quale segno tangibile di un malessere che sta dilagando e che ad oggi mai si era verificato, dovrebbe far riflettere tanti". "Davanti ad un’emergenza come questa - continua il sindacalista - che assume tutti i contorni del disastro umano, il Presidente del Consiglio si permette di guardare ai problemi mondiali con l’occhio dello statista d’esperienza, trascurando invece i reali problemi che tormentano il Paese".

"Che il Governo abbia lasciato al proprio destino più nero le sue stesse istituzioni è un fatto incontrovertibile ormai. Domani il Consiglio Nazionale dell’Osapp interverrà proprio su queste problematiche e rilancerà l’iniziativa che questo sindacato ha assunto già da qualche tempo, cioè quella di portare la questione davanti le istituzioni parlamentari e governative".

"Proporremmo manifestazioni in ogni sede governativa di Roma, con un programma nei prossimi giorni che porterà il nostro sindacato, insieme alle maggiori sigle della categoria, alla grande iniziativa che si terrà a Roma il 22 settembre. Davanti al Ministero della Salute, a quello della Difesa e dell’Interno, oltre che davanti la sede del Ministero della Giustizia. Perché la nostra, oltre che essere una questione di giustizia è anche questione di sicurezza nazionale e - conclude Beneduci - è un’emergenza sanitaria".

Giustizia: Osapp; mobilitazione generale... assieme ai detenuti

 

Il Velino, 14 luglio 2009

 

"In questi mesi ho potuto e soprattutto ho dovuto riflette a lungo sull’evoluzione del Corpo e sul futuro dell’amministrazione". A sostenerlo, in una lunga lettera, è il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), Leo Beneduci, che ha esortato e ha inviato i propri iscritti ad una mobilitazione generale che potrebbe, a sostegno delle manifestazioni indette in tutta Italia, prevedere presidi permanenti davanti al ministero della Giustizia, dell’Interno e della Difesa.

"Che s’inizi a manifestare autonomamente, che i colleghi inizino a manifestare da soli, senza nemmeno rivolgersi ai sindacati, e assieme ai detenuti, quale segno tangibile di un malessere che sta dilagando che ad oggi mai si era verificato, dovrebbe far riflettere tanti. Dovrebbe far riflettere anche quel ministro della Difesa che ancora due giorni fa smentiva la possibilità di un impiego dell’esercito nelle strutture penitenziarie".

"Di una questione che noi reputiamo "nazionale" non interessa niente a nessuno e di qui il bilancio triste che denunciamo. Siamo arrivati - ha continuato Beneduci - a superare i 64 mila detenuti; i posti letto scarseggiano e i reclusi dormono per terra; di nuove strutture non si parla mai e quelle poche, inaugurate quest’anno, non si possono aprire perché manca il personale per gestire perfino i servizi essenziali; sono mesi che le prestazioni straordinarie, pari al 30 per cento della retribuzione ordinaria, non vengono pagate agli agenti; le condizioni degli istituti, per tutti i penitenziari, sono peggiorate persino nel rispetto delle regole minime di convivenza; le aggressioni aumentano di giorno in giorno; le faide tra clan sono agevolate dal livello di promiscuità che impera nelle sezioni; persino le mense hanno ridotto il vitto e modificato in peggio le condizioni alimentari del detenuto e dell’agente".

"Davanti ad un bilancio come questo, con un personale agenti arrivato a soffrire una carenza di cinquemila uomini, su un totale previsto quando invece i detenuti erano 35 mila, c’è ragione di sostenere come il governo abbia lasciato al proprio destino più nero le sue stesse istituzioni, senza che vi sia il minimo accenno ad un trend di miglioramento o predisposizione a discuterne insieme.

Rilanciamo - ha concluso Beneduci - l’iniziativa di manifestare davanti a ogni sede governativa della Capitale, con un programma nei prossimi giorni che porterà il nostro sindacato, insieme alle maggiori sigle della categoria, alla grande manifestazione che si terrà a Roma il 22 settembre. È un grido di dolore quello che esprimiamo, all’insegna del rispetto dei diritti del cittadino, all’insegna del fatto che come tutte le altre questione anche la nostra è una questione primaria d’importanza nazionale".

Sardegna: Radicali e Sindacati; carceri regionali in emergenza

di Alessandra Sallemi

 

La Nuova Sardegna, 14 luglio 2009

 

I detenuti islamici rinchiusi nell’istituto di Macomer sono in attesa di giudizio perché accusati di reati connessi col terrorismo, ma sopportano un carcere che è già di punizione. Non vengono da Guantanamo, bensì dalle carceri sovraffollate del nord Italia, mangiano appena a causa dell’impossibilità di reperire carni macellate secondo la prescrizione islamica.

Un carcere costruito per 47 persone ne ospita 87 (dati di Antonella Casu, Segretaria Nazionale Radicali italiani): nessuno sardo, i detenuti soffrono la lontananza delle famiglie quando una norma prevede che la pena debba essere scontata in istituti vicini alla zona d’origine.

Buoncammino di Cagliari dimensionato per 325 detenuti ne accoglie 514, fra questi un bimbo di 10 mesi che cresce fra le sbarre perché non c’è un’organizzazione che porti fuori il bambino almeno durante il giorno e non c’è abbastanza personale perché si rimedi portando fuori la madre. Questo e molto altro è emerso nella visita promossa dal gruppo 5 Novembre (animata da Roberto Loddo) nel carcere di Macomer, in quello cagliaritano e al Cspa, centro di soccorso e prima accoglienza dei clandestini a Elmas.

Il diritto costituzionale a scontare la pena in condizioni che rieduchino il detenuto viene calpestato ogni giorno dal primo problema: manca il personale di custodia che accompagni i detenuti ammessi alle attenuazioni della restrizione carceraria. Gli agenti di custodia (Roberto Picchedda Uil penitenziari) in Sardegna sono 300 di meno ed entro la fine dell’anno altri 100 andranno in pensione. In tutta Italia mancano 5 mila agenti.

Lo stesso ministro Angelino Alfano aveva detto: mai più bambini in carcere. E invece ce ne sono 70 negli istituti italiani. Sul sito del ministero sono scomparsi dati sulla situazione carceraria: ad agosto, Rita Bernardini (Radicali) ha annunciato che i 205 istituti italiani verranno visitati dai parlamentari di tutti i gruppi politici e "si sta predisponendo un questionario da distribuire a tutti i detenuti".

Ma già martedì in Parlamento si farà qualcosa per rompere il fronte del silenzio: assieme al deputato Luigi Manconi, Bernardini terrà una conferenza stampa per presentare i veri dati sull’indulto e denunciare le menzogne circolate a proposito delle "tante" recidive. "Le risposte del ministro sono inadeguate - diceva Bernardini - ci sono 64 mila detenuti, ogni mese aumentano di mille, con la nuova legge sui clandestini saranno di più. Il piano per le nuove carceri presentato dal direttore Ionta è ridicolo: non ha dotazione finanziaria. In ogni caso il carcere non può essere la risposta a tutti i problemi di giustizia".

Come i Centri di espulsione e i respingimenti non sono la risposta ai popoli affamati che ci guardano per sottrarsi a miseria e morte: a Elmas ("Centro molto ben gestito"), il gruppo ha trovato 100 ospiti, molti già venuti in Italia e rimpatriati. Quella del Cspa di fatto è una detenzione, anche se non ci sono sbarre. I 100 dovevano stare qui 48 ore, ci sono da 7 giorni: il G8 ha assorbito tutte le forze di polizia.

Firenze: Garante scrive al Sindaco; venga a visitare Sollicciano

 

La Repubblica, 14 luglio 2009

 

Caro Sindaco, ho particolarmente apprezzato l’attenzione da Lei riservata ai detenuti in occasione dello scambio di consegne con Leonardo Domenici. Poiché sono convinto che non sia stato un fatto né rituale né di circostanza, mi permetto di rivolgerLe un invito pressante per una visita al carcere di Sollicciano alla vigilia del Consiglio Comunale che segnerà l’inizio dell’attività della nuova amministrazione Le carceri italiane sono sull’orlo del collasso mentre il Governo e l’Amministrazione Penitenziaria danno una prova di irresponsabilità preoccupante di fronte al sovraffollamento abnorme che provoca condizioni di assoluta invivibilità particolarmente nel periodo estivo. Il caldo, la promiscuità, l’assenza di attività scolastiche e lavorative, addirittura la riduzione dei colloqui con i familiari, mettono a rischio la convivenza oltre che violare le norme dell’ordinamento penitenziario.

In Italia siamo vicini a 65.000 detenuti, a Firenze la cifra è stabilizzata intorno alle 950 unità: siamo al doppio della capienza regolamentare e nessuna misura, anche solo di razionalizzazione, viene ipotizzata. Il carcere è parte della città. Firenze ha dato un grande contributo alla riflessione sulla giustizia e sulla cultura della pena legata ai principi della Costituzione con il pensiero di Mario Gozzini, di Ernesto Balducci e di Giovanni Michelucci.

Questo patrimonio intellettuale deve spingere il Comune a farsi protagonista contro il degrado. Un gesto di attenzione da parte sua all’inizio del mandato avrebbe un significato simbolico, per testimoniare la sensibilità delle istituzioni verso un grave problema di emergenza civile che non riceve l’attenzione dovuta da parte di un’opinione pubblica spesso distratta e ripiegata su se stessa. La sua presenza, sono sicuro, darebbe fiducia ai detenuti, un incoraggiamento a tutto il personale e una spinta all’amministrazione penitenziaria per non assistere inerte al disastro annunciato.

 

Con cordialità,

Franco Corleone

Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze

Bollate: scuole catering e teatro, il carcere dove si vive "liberi"

di Cinzia Sasso

 

La Repubblica, 14 luglio 2009

 

Puntuale come l’estate ecco rimbalzare sui giornali l’allarme che arriva dalle carceri. I detenuti sono troppi, le prigioni scoppiano: quasi 63mila, quasi il 37 per cento stranieri, quasi 20mila in più di quanti possono avere una branda dentro una cella. Oppure, è l’altra faccia della medaglia, le carceri sono troppo poche e anche se il ministro della Giustizia Angelo Alfano ha annunciato la costruzione di 22 nuovi istituti, non saranno pronti prima del 2012. Ma poi: il carcere è un luogo con la porta girevole, e quasi 7 detenuti su 10, dopo che hanno finito di scontare una condanna, rientrano.

Dappertutto, fuorché in una prigione alle porte di Milano, la casa di reclusione di Bollate, il carcere che è diventato il modello di un altro modo possibile, il luogo dove la recidiva è stata abbattuta al 16 per cento. Di quei 10 che escono, insomma, più di 8 hanno imparato a vivere nella società rispettandone le regole. Si chiama "Diritti e castighi" (edizioni Il Saggiatore, 15 euro, presentato oggi alle 17 a palazzo di giustizia dal ministro Alfano), il libro che racconta un mondo di 100 mila persone tra carcerati e

carcerieri, che basta che stiano là dentro, "lontano dalla nostra vista e dalla nostra coscienza", come dice Gherardo Colombo; e non importa che siano privati di tutto - dell’acqua per la doccia, di un abbraccio dei figli, di un’occupazione -perché "in fondo- aggiunge Luigi Pagano, il provveditore agli istituti di pena della Lombardia - la gente pensa ancora alla legge del taglione e non si rende conto che non serve a nessuno". Dietro quello che raccontano Donatella Stasio, giornalista del Sole-24 ore e Lucia Castellano, direttore del carcere di Bollate, non c’è buonismo. C’è quello che perfino il presidente della Camera Gianfranco Fini, al battesimo solenne nella sala della Regina a Montecitorio, ha ricordato: la pena non è una vendetta, "il carcere deve avere una finalità rieducativa". Non solo perché lo affermala Costituzione: anche perché "un carcere impostato sui criteri della risocializzazione è molto più vantaggioso per la sicurezza collettiva". Vantaggioso anche, e lo ricorda l’economista Salvatore Bragantini, dal punto di vista economico: "Un solo punto percentuale in meno nella recidiva corrisponde a un risparmio per la collettività di circa 51 milioni l’anno".

Il progetto Bollate nasce nel 2001 e non è la ricerca dell’utopia, solo la realizzazione concreta di quello che due riforme fondamentali - quella del 1975 sul trattamento carcerario e quella del 1990 del corpo di polizia penitenziaria - hanno stabilito come l’unica strada possibile. "Noi - minimizza Lucia Castellano - non abbiamo inventato niente". E però. A Bollate si studia: licenza elementare, scuola media, un istituto tecnico commerciale per le lingue estere, corsi di informatica, lezioni di inglese. Ci si diverte: c’è una cooperativa teatrale che ospita compagnie e fa tournée; una biblioteca di 16 mila volumi; due sale musicali, tornei di calcio e di tennis; le pareti sono colorate, si può giocare coi figli in una ludoteca; c’è uno sportello giuridico al quale collabora anche un ex presidente della Corte Costituzionale, Valerio Onida. Soprattutto, si lavora.

La percentuale dei detenuti che hanno un’occupazione supera il 55 per cento. Grazie al sostegno del Fondo Sociale Europeo e degli enti locali, ci sono corsi per carpentiere, elettricista, aiuto-cuoco, falegname, operatori informatici, grafici multimediali. Alla gestione del carcere (pulizie, spese) pensano i detenuti-dipendenti dell’amministrazione; 150 lavorano a un call center, 82, quelli che hanno il permesso accordato dall’articolo 21, escono la mattina e vanno regolarmente in ufficio; altri sono occupati nelle cooperative sociali.

Una rete impensabile di volontari ha portato la nozione di business dentro il carcere: Abc fa lussuosi catering, Alice è la sartoria, Freedom Coop si occupa di grafica e legatoria, un maneggio (ci sono anche i cavalli, certo) prepara maniscalchi, Cascina Bollate si dedica al giardinaggio e ha messo a dimora un vivaio di piante di eccellenza.

Il programma di "trattamento avanzato", che prevede celle aperte e formazione, si basa soprattutto sul lavoro, che vuol dire molte cose: la conquista del rispetto di sé, di un’etica sociale, di una speranza di futuro. Come racconta Franco, già tossicodipendente e rapinatore, che dopo una vita in galera oggi fa il falegname: "Non sapevo fare niente, ho imparato; a Bollate sembrava di stare in collegio". Peccato che di "collegi" come questo ce ne sia uno solo nonostante nel 2007, così ricorda Stefano Anastasia, ex presidente di Antigone, fosse stato deciso di estendere l’esperienza di Bollate ad almeno un carcere per ogni regione.

Ravenna: carcere sovraffollato, 160 detenuti e la capienza è 62

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

I sindacati provano a dare man forte al sindaco Matteucci nel suo appello per fronteggiare sovraffollamento e degrado nel carcere di Ravenna (160 detenuti per una capienza di 62 posti). Lunedì 20 luglio si terrà un presidio di fronte alla Prefettura in piazza del Popolo dalle 11 alle 12.

Cgil, Cisl e Uil si rivolgono al ministro della Giustizia Angelino Alfano per criticare la decisione di non inserire il penitenziario romagnolo nel piano nazionale carceri del governo. Con l’estate poi la capienza - stimano le sigle - potrebbe crescere fino "a superare le 170 presenze". "Attualmente i detenuti sono costretti a dormire per terra su materassi poiché mancano i letti - scrivono ancora i sindacati - in uno stanzone che dovrebbe essere adibito a spazio per la socialità, senza adeguati servizi igienici. Molte celle non sono più grandi di 7-7.5 metri quadri ma, nonostante questo, contengono ben tre letti a castello".

Dei 49 agenti disponibili nella casa circondariale di Ravenna poi, solo 25 possono essere destinati al servizio a turno alle celle "con un massimo quindi di 4 poliziotti per turno e il servizio notturno coperto solo da 2 o 3 unità. Ogni poliziotto - chiosano emblematicamente Cgil, Cisl e Uil - svolge almeno 60 ore di straordinario mensile. I sindacati chiedono quindi al "governo e al ministro Alfano di intervenire al più presto, per impedire che nella casa circondariale di Ravenna permanga una situazione di emergenza umanitaria e di sicurezza".

Bologna: niente arresti domiciliari, senza reddito "significativo"

di Paola Cascella

 

La Repubblica, 14 luglio 2009

 

Niente arresti domiciliari, senza la denuncia dei redditi: non del detenuto, ma di chi è disposto ad ospitarlo. La sua capacità economica deve essere "significativa", altrimenti il candidato ospite se ne resta in carcere. Ergo: per ambire a scontare la pena fuori della cella, bisogna avere un amico, un parente e persino una convivente ricca.

Sono le recenti decisioni del Tribunale del Riesame che per questi motivi, in almeno tre casi, ma ce ne sarebbero altri, ha respinto la richiesta del detenuto, addirittura "in via preliminare", senza neanche entrare nel merito dei suoi requisiti. Lo raccontano gli avvocati Raffaele Miraglia e Elisabetta D’Errico presidente della Camera penale che cita i dati: "A Bologna i due terzi dei detenuti scontano la pena in carcere, in Italia sono il 52 per cento".

Mentre Miraglia parla di "interpretazioni della legge assurde e classista".

Era difeso proprio da Raffaele Miraglia il detenuto che nei giorni scorsi si è sentito rispondere no alla richiesta di finire di scontare la pena a casa di un’amica operatrice sociale. L’istanza, scrive la giudice Eleonora Frangini "non può essere presa in considerazione .. perché nulla è stato addotto e tantomeno provato in ordine alla capacità reddituale dell’ospitante. L’omissione di prova... comporta un giudizio di impraticabilità della misura domiciliare che rende superfluo qualsiasi apprezzamento sull’idoneità" del detenuto.

Stesso rifiuto per l’uomo condannato a cinque mesi per aver tentato di rubare una Golf al Centro Borgo. I giudici Alberto Albiani e Angelo Cerulo osservano "preliminarmente" che lo donna disposta ad ospitarlo "non offre elementi di prova" sui suoi redditi. E pur pagando l’affitto, "non ha il consenso scritto del locatore". Di nuovo Albiani nega a un detenuto modenese, condannato per furto, i domiciliari dalla convivente colpevole di non aver provato di avere il reddito per "provvedere alle sue necessità materiali".

Livorno: un presidio per ricordare la morte di Marcello Lonzi

 

Il Tirreno, 14 luglio 2009

 

Presidio davanti alle Sughere ieri pomeriggio per ricordare la morte di Marcello Lonzi, che sei anni fa fu trovato senza vita in una cella del carcere. "Siamo qui come ogni anno per chiedere sempre la stessa cosa: giustizia" - ha dichiarato Maria Ciuffi, madre del giovane. Sono stati deposti dei fiori e lette ad un altoparlante le lettere dei detenuti di diverse carceri. La madre di Marcello Lonzi, Maria Ciuffi ha rivolto, tramite il sito di controinformazione indymedia, un appello affinché la partecipazione al presidio possa essere, in qualche modo, di stimolo perché l’indagine della Procura sulla morte del figlio possa fare luce su quanto accadde.

Forlì: all’ospedale con scorta e manette, ma riesce ad evadere

 

Ansa, 13 luglio 2009

 

Un bulgaro di 32 anni, Ventislav Tsvetkov, detenuto nel carcere di Forlì, in mattinata è evaso dopo essere stato condotto nell’ospedale cittadino per accertamenti medici. L’uomo, scortato dalle guardie carcerarie al "Morgagni", arrivato al parcheggio dell’ospedale è sceso dal cellulare e improvvisamente è fuggito riuscendo a scavalcare una cancellata nonostante le manette ai polsi. Inutile l’inseguimento a piedi delle guardie carcerarie, "seminate" dal fuggitivo. Immediatamente è scattata una caccia all’uomo tuttora in corso. L’evaso è stato segnalato a San Varano, una località tra Forlì e Castrocaro a poca distanza dall’ospedale. Una ciclista ha raccontato di avere visto un uomo con le mani legate dalle manette salire su una Golf "Volkswagen" di colore grigio che si è allontanata a tutta velocità. Segno, se l’avvistamento sarà confermato, di una evasione non improvvisata, ma preparata con un preciso piano di fuga.

Reggio Calabria: l'attore-cantastorie Racco al carcere di Locri

 

www.strill.it, 14 luglio 2009

 

Intenso incontro tra i detenuti del carcere di Locri e l’attore Nino Racco che ha rappresentato per l’occasione il suo cavallo di battaglia: Storia di Salvatore Giuliano, spettacolo che ha superato le mille repliche in Italia e in Europa.

Impegnativa la scelta drammaturgica: "Raccontando del bandito Giuliano - ci ha detto il neocantastorie - ho voluto un po’ provocatoriamente mettere il dito nella piaga: infatti i cantastorie tradizionali se da una parte "giustificavano" Salvatore Giuliano nella sua prima fase ribellistica in una Sicilia attanagliata dalla fame, dall’altra unanimemente lo condannano quando Turiddu Giuliano si allea con i poteri forti e la Mafia compiendo la strage di Portella della Ginestra il primo maggio del 1947".

Allo spettacolo teatrale - che fa parte di una cornice di eventi culturali all’interno della casa circondariale coordinati dal commissario Domenico Paino - s’è accompagnata una viva discussione tra i detenuti e Nino Racco nella quale è stata messa in evidenza l’importanza artistica ma soprattutto esistenziale del raccontare storie: il racconto di una storia è di fatti un rituale sacro, attraverso la storia si vogliono trasmettere emozioni e gradi di consapevolezza che hanno come fine supremo la trasformazione o quanto meno il miglioramento della condizione esistenziale dello spettatore e di colui che racconta.

Attraverso la vita e gli errori del bandito Giuliano (lu Cantastori in finali dici: non cunveni fari lu briganti, perchì lu briganti cù destinu è persu) comprendere i nostri errori e ritrovare un senso di pace dentro di noi e nel rapporto con gli altri. Fine etico del Cantastorie! E questo è il nobile obiettivo che Nino Racco porta avanti da molti anni nelle piazze e nei luoghi più reconditi.

A conclusione dell’incontro abbracci tutt’altro che retorici o di convenzione: la giornata è stata di quelle profonde e significative ed a suggello dell’evento la Dottoressa Patrizia Delfino, direttrice del carcere locrese, ha consegnato a Nino Racco un piccolo crocefisso in ferro battuto realizzato da un detenuto.

Immigrazione: il sindaco di Verona, condannato per "razzismo"

di Paola Bonatelli

 

Il Manifesto, 14 luglio 2009

 

Definitivamente colpevoli. Il "paladino della sicurezza" del Nordest, il sindaco leghista Flavio Tosi, e altri cinque esponenti del Carroccio sono stati condannati venerdì per propaganda razzista. La IV Sezione Penale della Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di appello, appioppando al primo cittadino scaligero e ai suoi soci due mesi di reclusione, con la sanzione accessoria del divieto di partecipare per tre anni a qualsiasi forma di propaganda elettorale (pene sospese).

La sentenza arriva otto anni dopo la campagna scatenata dalla Lega Nord scaligera contro gli zingari. All’epoca, era l’estate del 2001, l’assessore aennino Fabio Gamba (giunta Sironi, Forza Italia) aveva rispolverato un’ordinanza contro i "saccopelisti" per cacciare la comunità sinta veronese dall’area, nei pressi dello stadio comunale, in cui le famiglie vivevano da decenni.

I sinti, con donne e bambini, vagarono per tutta l’estate di quell’anno da spiazzo a spiazzo finché l’allora presidente della Circoscrizione est Luigi Fresco (centrosinistra) non si offerse di ospitarli in un parcheggio del suo quartiere. In quei drammatici giorni la Lega pensò bene di avviare una campagna per manda-

re via gli zingari dalla città, allestendo banchetti nei mercati per raccogliere le firme dei cittadini. L’iniziativa, violenta nei toni sia delle interviste che del materiale stampato, "Via gli zingari da casa nostra" - si leggeva a caratteri cubitali sui manifesti di propaganda - fu contrastata in vario modo dalle associazioni antirazziste scaligere raccolte nel cartello "Nella mia città nessuno è straniero", fino ad arrivare alla presentazione di un esposto alla Procura della Repubblica. L’inchiesta, condotta dal procuratore Guido Papalia, approdò in aula l’8 maggio del 2003 e fu subito chiaro che gli sviluppi della vicenda sarebbero stati piuttosto interessanti.

Il collegio, presieduto dal giudice Mario Sannite, accolse la costituzione di parte civile dell’Opera Nomadi e di alcuni componenti della comunità sinta dello stadio, nel frattempo ritornati nell’area originaria grazie all’impegno dell’amministrazione comunale di centrosinistra (giunta Zanotto). Il processo entrò formalmente nella storia di una certa giurisprudenza quando fu teatro dell’audizione della storica e studiosa torinese Marcella Filippa, consulente del pubblico ministero.

Nella sua dettagliatissima relazione la Filippa dimostrò come atteggiamenti, linguaggio, uso di frasi fatte e modi di dire possano, ancor prima degli atti razzisti veri e propri, costruire immagini e stereotipi discriminatori molto pericolosi. Entrati nel pensiero comune, questi stereotipi – come accadde nel periodo delle dittature naziste e fasciste - potrebbero portare a giustificare, se non la partecipazione, l’accettazione passiva o la complicità con azioni e/o comportamenti fortemente discriminatori.

Una tesi che ha accompagnato il procedimento in tutte le sue fasi. Con la sentenza di primo grado - pronunciata dal tribunale scaligero il 2 dicembre 2004 - i leghisti furono riconosciuti colpevoli di incitamento alla commissione di atti di discriminazione, in riferimento all’invito fatto ai pubblici amministratori perché cacciassero gli zingari da Verona, e di propaganda razzista. Condannati a sei mesi di reclusione, con la sanzione accessoria del divieto di partecipare per tre anni a qualsiasi forma di propaganda elettorale, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento delle parti civili, con il ricorso in appello si videro ridurre l’imputazione alla sola propaganda razzista, per cui furono condannati a due mesi. Una sentenza che non convinse la Cassazione, cui gli imputati - difesi fra gli altri da uno degli avvocati del Cavaliere, il padovano Piero Longo - erano ricorsi. Ma nell’ottobre dello scorso anno la Corte d’Appello veneta ribadisce la condanna e la spiega. Evidentemente con successo, visto che la Cassazione la conferma in tutto e per tutto.

Ora, per Flavio Tosi, per la sorella Barbara, capogruppo del Carroccio in consiglio comunale, per Matteo Bragantini, oggi deputato, per il neo-eletto vicepresidente della Provincia Luca Coletto, per l’assessore comunale alla Viabilità Enrico Corsi e per Maurizio Filippi, rappresentante nel Consiglio d’amministrazione del Consorzio Zai, si aprono scenari imprevedibili. "Ingiustizia è fatta" ha detto il sindaco, ma sono di tutt’altro avviso i segretari provinciali di Prc e Pdci, che invitano i condannati che ricoprono cariche pubbliche a dare le dimissioni.

Immigrazione: reato se un "irregolare" firma contratto affitto

di Antonio Nucera (Ufficio studi Confedelizia)

 

Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2009

 

Nella locazione c’è reato solo se lo straniero è irregolare al momento della stipula o del rinnovo del contratto. La situazione di irregolarità dell’inquilino deve sussistere al momento della stipula o del rinnovo del contratto. Diversamente, non si può configurare a carico del proprietario di un immobile il reato di locazione a straniero privo di titolo di soggiorno.

È quanto prevede la nuova legge in materia di sicurezza (di prossima pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale") che modifica la norma introdotta circa un anno fa, la cui formulazione aveva dato luogo a forti incertezze interpretative, anche in giurisprudenza, al punto da rendere problematico locare agli stessi immigrati regolari.

Il testo sinora vigente, infatti, prevedeva la reclusione da sei mesi a tre anni (oltre alla sanzione della confi-spa del bene, a meno che questo non fosse appartenuto a persona estranea al reato),

per chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre un ingiusto profitto, avesse dato alloggio ad uno straniero (intendendosi per tale il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea o l’apolide), privo di titolo di soggiorno, in un immobile di cui avesse avuto la disponibilità, ovvero lo avesse ceduto allo stesso, anche in locazione.

Il problema che si poneva era quello del rapporto fra durata dei contratti di locazione e durata deipermessi (e dei visti) di soggiorno. Avendo questi una durata massima - salvo rinnovo - di due anni, ci si chiedeva in quali conseguenze sarebbe incorso un proprietario che avesse concesso in locazione un immobile per un periodo superiore. E, in caso positivo, quali strumenti avesse avuto a disposizione per non subire sanzioni qualora il permesso del suo inquilino fosse stato revocato, oppure non fosse stato rinnovato.

L’attuale formulazione dell’articolo 12, comma 5-bis, Dlgs 286/98 (Testo unico sull’immigrazione) chiarisce, invece, che con la medesima pena della reclusione da sei mesi a tre anni (oltreché con la medesima sanzione della confisca) sarà punito "chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione". Allo stato, dunque, il reato si configura esclusivamente qualora l’inquilino straniero sia in una situazione di irregolarità all’atto della stipula o del rinnovo del contratto di locazione. Nel caso in cui, invece, lo straniero sia provvisto di regolare titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione, eventuali revoche o mancati rinnovi di tale titolo in corso di locazione non determinano nel proprietario alcuna responsabilità.

L’espressione "rinnovo" pone peraltro problemi interpretativi, nel senso di stabilire se nella stessa siano inclusi anche i rinnovi automatici o taciti ovvero solo gli altri, che si concretizzano quindi nella formale stipula di un nuovo contratto. La logica sottostante al provvedimento fa ritenere che si sia inteso riferirsi, da parte del legislatore, solo a questi ultimi, atteso che per il diniego di rinnovo (o di disdetta, nei contratti agevolati) occorre ricorra una delle ipotesi fissate - nei diversi casi - dalla vigente normativa (fra le quali non rientra la perdita di validità del titolo di soggiorno dei conduttori).

Ciò, anche per un’ulteriore (concorrente, e pur separatamente valida) ragione: che il titolo di soggiorno del conduttore potrebbe perdere di validità nel periodo (un anno o sei mesi, a seconda che si tratti di locazione a uso diverso o abitativo) successivo al termine obbligatorio di preavviso di diniego (o di disdetta dopo il periodo di proroga biennale, nei contratti agevolati) e cioè in un momento nel quale il locatore non ha più la possibilità di far cessare il contratto.

Droghe: bambino di 2 anni beve il metadone del padre e muore

 

Asca, 14 luglio 2009

 

Ancora una tragica morte di un minore, questa volta una bambina di 2 anni, causata dall’ingerimento di metadone. Vicenda che non mancherà di sollevare le solite grida polemiche contro i Sert.

La sostanza si trovava nella casa in quanto il padre della bambina, tossicodipendente da alcuni anni, era in cura al Sert. È accaduto la scorsa notte nel biellese, a Zumaglia, un paesino di mille anime, sulle colline, distante una decina di chilometri da Biella. La famigliola vi si era trasferita da due anni.

La piccola era stata lasciata sola in casa dai genitori - ora denunciati per abbandono - in custodia alle due sorelline di 10 e 12 anni. Le due bambine non si sarebbero accorte di cosa stava facendo la sorellina, né sapevano che si trattava di una sostanza che non andava toccata. Pare che la piccola abbia aperto un armadietto trovandovi dentro la famigerata fiala.

Al momento dell’incidente, la mamma era fuori per lavoro e il papà era uscito per alcune commissioni. L’allarme, secondo quanto si è appreso, sarebbe stato dato da una vicina di casa a cui le due ragazzine si sono rivolte vedendo che la sorella stava male. Quando però la bambina è giunta al pronto soccorso dell’ospedale di Biella la situazione era già molto grave.

I medici si sono subito resi conto che si trattava di intossicazione senza la possibilità di intervenire per salvarle la vita. È morta circa un’ora dopo il suo arrivo al pronto soccorso, subito dopo l’arrivo al suo capezzale del padre, intanto rintracciato dagli agenti della Squadra Mobile di Biella che indaga sulla vicenda. Un campione di sangue è stato mandato al centro antiveleni di Pavia per accertamenti, mentre sono in corso le indagini autoptiche per conoscere esattamente la natura della sostanza ingerita.

Purtroppo si tratta dell’ennesima morte per metadone di un bambino piccolo. Nei diversi casi registrati negli ultimi anni, le vittime sono tutte figli di tossicodipendenti curati dai Sert che consegnano loro il metadone necessario per la disintossicazione. Solo nell’ottobre dello scorso anno era morto nel viterbese un bimbo di 14 mesi che aveva ingerito accidentalmente la stessa sostanza in uso al padre. Su quella vicenda era anche intervenuto Andrea Muccioli, coordinatore della comunità di recupero di San Patrignano (Rimini). "È ora di dire basta a queste tragedie", aveva detto Muccioli puntando il dito contro la leggerezza di alcuni enti nel consegnare il metadone nelle mani di soggetti spesso non in grado di badare a loro stessi e tanto più ai famigliari e ai figli. Sempre nel 2008 tragedie analoghe si erano verificate a marzo a Campobasso e a maggio a Palermo.

Francia: morte in carcere di un giovane, infiamma la banlieue

di Anna Maria Merlo

 

Internazionale, 14 luglio 2009

 

Un centro commerciale è andato a fuoco, nella notte tra giovedì e venerdì a Firminy, una cittadina della periferia di saint-Etienne, a sud di Lione. E ancora, una decina di auto date alle fiamme e scontri tra gruppi di giovani e poliziotti andati avanti per ore. Ormai siamo alla terza notte di disordini. L’episodio all’origine di questa nuova crisi in una periferia francese è la morte di un giovane, Mohamed (Momo) Benmouna, 21 anni, deceduto mercoledì mentre era in stato di fermo. La versione ufficiale, confermata dall’autopsia, secondo il Procuratore della repubblica, è che si sia trattato di un suicidio. Ma i giovani non ci credono, e puntano l’indice contro la polizia.

Mohamed Benmouna, secondo la versione delle autorità, si sarebbe impiccato in cella, utilizzando delle strisce di stoffa strappate da un materasso sfondato. "Sono i poliziotti che l’hanno massacrato - è convinto Sam, un amico del giovane - Momo aveva appena preso la patente, aveva trovato un lavoretto. Non ci sia suicida a 21 anni". L’autopsia parla di "morte per soffocamento" e assicura che non ci sono tracce di violenza sul corpo. La famiglia, che lanciato appelli alla calma, nello stesso tempo ha sporto denuncia contro ignoti, perché "sia fatta luce su questo caso". I parenti di Benmouna reclamano una seconda autopsia e il ministero della giustizia ha promesso che sarà effettuata.

Secondo la versione ufficiale fornita dal ministro degli interni, Brice Hortefeux, "un giovane era stato fermato nell’ambito di una procedura per estorsione di fondi. È stato posto in stato di fermo, nel corso del quale ha voluto suicidarsi e, sfortunatamente, ci è riuscito". Il ministro ha aggiunto che "il procuratore ha indicato che non c’è stata violenza da parte della polizia". Hortefeux ha ricordato che "ieri c’è stata una manifestazione, all’inizio molto tranquilla, che poi però alla fine è degenerata". Il sindaco di Firminy ha chiesto al ministero degli interni un dispiegamento eccezionale di forze dell’ordine, per evitare il ripetersi delle violenze. Oggi pomeriggio ci sarà una marcia silenziosa a Firminy.

Sette giovani sono stati fermati nella notte tra giovedì e venerdì ai quali ne vanno aggiunti altri tre, arrestati la vigilia, e ieri ancora in stato di fermo. "Non c’è più la farmacia, non c’è più la panetteria, né il tabacchino, né il parrucchiere e neppure il bar" si lamenta una persona anziana. Solo il piccolo supermercato non è stato danneggiato dalle fiamme, ma ieri era chiuso. Il centro commerciale, che sorge in un edificio a forma di mezza luna al centro del quartiere "Le Corbusier" - così chiamato perché ospita una chiesa del grande architetto e urbanista che l’Unesco sta pensando di classificare come "patrimonio mondiale dell’umanità" - era stato rinnovato due anni e mezzo fa. Il quartiere Le Corbusier ha la reputazione di essere un luogo calmo. Ma qui la disoccupazione è forte e colpisce il 35% degli abitanti (contro il 18% di Saint-Etienne).

Come ormai è usuale in casi del genere, i media sono messi sotto accusa. I giovani accusano la tv di aver aver "accreditato troppo in fretta la tesi ufficiale del suicidio". Degli abitanti accusano la televisione di fomentare le violenze: "La tv deve andarsene - protesta un abitante - ieri erano qui come se assistessero a uno spettacolo".

Il Procuratore ha ammesso che la registrazione della videocamera, obbligatoria in caso di interrogatorio, è "sfuocata". Ha anche ammesso che la cella dove è stato rinchiuso Momo non rispettava le norme regolamentari. I suicidi sono una piaga delle carceri francesi, l’anno scorso ce ne sono stati più di un centinaio e gli organismi internazionali di controllo dei luoghi di privazione della libertà non cessano di mettere sotto accusa la Francia per le cattive condizioni delle carceri.

L’avvicinarsi dei festeggiamenti del 14 luglio, notte tradizionale di auto bruciate (come Capodanno) e l’imminenza della sentenza del processo a dieci giovani, che rischiano fino a sette anni di carcere con l’accusa di violenze nella notte tra il 25 e il 26 novembre del 2007 a Villiers-le-Bel (periferia parigina), in seguito alla morte di due giovani, deceduti in uno scontro con un’auto della polizia, fanno temere una nuova fiammata nelle banlieues quest’estate.

Afghanistan: Obama; un'inchiesta su prigionieri talebani uccisi

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

Il presidente degli Usa, Obama, ha rivelato di aver ordinato al suo team di raccogliere tutte le notizie su una strage di detenuti talebani. L’inchiesta sulla strage, avvenuta in Afghanistan nel 2001, sarebbe stata ostacolata dall’amministrazione Bush. A pochi giorni dalla conquista di Kabul "almeno 1.500 prigionieri talebani vennero uccisi dagli uomini di Abdul Rashid Dostum, un signore della guerra sul libro paga della Cia", ha scritto due giorni fa il New York Times.

Iran: 41 sono in carcere, tra blogger, giornalisti e fotoreporter

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

Quarantuno. Blogger, giornalisti e fotoreporter iraniani in prigione. Ad un mese dall’inizio delle proteste post elezioni, Reporter senza frontiere esprime tutta la sua preoccupazione, affermando che "quattro degli ultimi cinque arrestati sono nascosti in un posto segreto e, come succede agli altri, i familiari non hanno alcuna notizia sulle loro condizioni. In molti di questi casi, ai prigionieri non è concessa nessuna visita e gli avvocati non possono accedere ai loro fascicoli". Tra gli ultimi arrestati c’è il fotografo Tohid Bighi del sito Mashroteh (che alle presidenziali supportava il candidato riformista Mehedi Karoubi), detenuto da sabato senza alcun motivo apparente. Il giorno prima è toccato, fermato davanti casa, al suo collega Majid Saeedi, che nel 2001 aveva fatto un reportage dall’Afghanistan per il Time. Simili circostanze per le giornaliste Henghameh Shahidi, autore del blog d’ispirazione riformista Paineveste, attestata il 29 giugno e Somaieh Nosrati, redattrice delle pagine parlamentari di Teheran Emoroz e Hayat No, arrestata il 21 giugno. I quattro sono stati portati in un posto segreto. Anche Said Matinpour, del settimanale in lingua azera Yarpagh, è detenuto da sabato dopo essere stato processato dalla Corte rivoluzionaria di Teheran. Un mese fa è stato condannato a otto anni di detenzione perché imputato di "avere collegamenti con stranieri" e "propaganda anti-regime".

Usa: la Procura è pronta a riaprire il processo di Carlo Parlanti

 

Il Tirreno, 14 luglio 2009

 

Uno spiraglio per il caso di Carlo Parlanti, il manager informatico di Montecatini di 45 anni, detenuto dal giugno 2005 in un carcere della California dove sta scontando una condanna a 9 anni per violenza sessuale ai danni della sua ex fidanzata. La missione negli Usa della compagna dell’uomo, Katia Anedda, ha portato a un primo risultato che lascia ben sperare nel riesame del caso che presenta forti contraddizioni a livello di prove documentali e credibilità della parte offesa.

"Se effettivamente ci sono incongruenze è nostro dovere indagare e punire chi ha fornito prove false" è stata la risposta della Procura della contea di Ventura alla richiesta presenta da Katia Anedda che danni si batte per dimostrare l’innocenza di Parlanti. La donna ha prodotto dossier e consulenze, anche ricorrendo a detective privati, dalle quali emergerebbero delle incongruenze nelle accuse mosse dall’accusatrice del manager montecatinese. Soprattutto le foto presentate da Rebecca White, la donna che ha messo nei guai Carlo, mostrerebbero dei segni sul volto incompatibili con le lesioni evidenziate nella denuncia alla polizia. La lunga battaglia di Katia e dei familiari di Parlanti per far uscire dal carcere Carlo da innocente potrebbe essere a una svolta.

 

 

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