Rassegna stampa 14 luglio

 

Giustizia: a grandi passi verso il nuovo record, 70.000 detenuti!

 

Il Velino, 14 luglio 2009

 

A grandi passi le carceri italiane si avvicinano verso il record di occupazione: quota settantamila è ormai alle viste. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano anche oggi, a Milano, ha ribadito che il governo entro il 2012 completerà nuovi istituti penitenziari o aggiungerà nuovi padiglioni a quelli esistenti per una spesa di oltre un miliardo e mezzo di euro per aumentare la capienza di altri 17 mila posti, ma il "piano carceri" preparato dal direttore del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, e pubblicato due mesi fa ricevendo molte critiche dei sindacati della polizia penitenziaria, non ha ancora ottenuto il via libera del governo che, anzi, si appresterebbe a commissionarne un altro.

Il ministro della Giustizia ha però assicurato che il nuovo carcere di Noto sarà aperto la prossima settimana (potrà ospitare 250 persone) ed, entro la fine di luglio, un nuovo padiglione a Regina Coeli e a Cassino (50 nuovi posti).

Per i sindacati più rappresentativi della polizia penitenziaria la situazione è arrivata al collasso se si aggiunge anche la mancanza di personale. Hanno per questo chiesto al Guardasigilli di inserire subito negli istituti di pena il personale, pari a quasi 300 agenti su 800, che ha già superato buona parte del corso di formazione. In attesa delle risposte di Alfano, i vertici del Sappe, il maggior sindacato, domani incontreranno il presidente della Camera Gianfranco Fini per spiegare l’urgenza di un intervento che ritengono improcrastinabile e sollecitare il suo intervento.

Il settore avrebbe bisogno di almeno 900 milioni di euro (più 600 da trovare fra i privati) per superare l’emergenza, ma le disponibilità sono di gran lunga inferiori, fatto sta che ormai in alcuni istituti di pena non sono disponibili neppure le brande e non ci sono iniziative, almeno fino ad ora, per aprire una decina di strutture carcerarie pronte in poche settimane, ma mai utilizzate per mancanza di personale e per problemi legati al contenzioso fra i comuni e il ministero della Giustizia.

La situazione, comunque, è attentamente monitorata al Dap, dove si prevede che qualche miglioramento, e su questo farebbe conto anche il ministro, potrebbe aversi a fine anno, quando, si raggiungeranno le 70mila presenze: si conta che gli arresti dei recidivi dovrebbero calare, consentendo così un notevole deflusso di detenuti, superiore ai nuovi ingressi in carcere.

Giustizia: ad agosto i parlamentari visiteranno tutte le carceri

 

Agi, 14 luglio 2009

 

"Nella seconda metà di agosto parlamentari di tutti gli schieramenti dedicheranno tre giornate a visitare le 205 carceri italiane. In questi giorni stiamo preparando un questionario da distribuire ai detenuti per valutare la situazione a livello nazionale".

L’ha annunciato la parlamentare radicale eletta nel Pd Rita Bernardini, componente della commissione Giustizia della Camera, a Cagliari al termine di due giorni di visite negli istituti di pena di Buoncammino e Macomer e nel centro di prima accoglienza per immigrati di Elmas, allestito l’anno scorso nell’aeroporto militare del capoluogo sardo.

"Martedì prossimo nella sala stampa di Montecitorio assieme a Luigi Manconi forniremo in una conferenza stampa i dati sull’indulto, quelli veri", ha preannunciato Bernardini. "E dimostreremo che le campagne anti indulto sono menzognere, soprattutto quelle che si basano su dati delle recidive".

La deputata, inoltre, ha lamentato che nel sito istituzionale del ministero della Giustizia non siano piu’ fornite informazioni sugli istituti di pena e criticato il piano carceri predisposto dal capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta: "Sono soluzioni inadeguate, considerando che i detenuti sono circa 64.000, aumentano in media di un migliaio al mese e che nuove fattispecie di reato, come quella di immigrazione clandestina, sono destinate a incrementare il numero di reclusioni", ha osservato Bernardini.

"Il piano Ionta è ridicolo: nella sua completezza manca di finanziamenti, previsti sono per alcune parti. Le nuove carceri, se va bene, saranno costruite fra tre anni. Inoltre, mancano 5.000 agenti in tutta Italia, di cui 300 nella sola Sardegna. Chi assicurerà la vigilanza nei nuovi istituti? Le carceri italiane sono incostituzionali, come ammesso dallo stesso ministro della Giustizia, perché non sono in grado di favorire il recupero e il reinserimento sociale dei detenuti. Nell’80% dei casi i reclusi passano in cella 21 ore al giorno. Bisogna, invece, puntare su misure di decarcerizzazione, visto che il carcere non può essere la soluzione a tutti i problemi", ha concluso la deputata. "Inoltre, i processi da noi durano troppo, non si può stare anni in attesa di giudizio né lasciare che i reati si prescrivano, com’è accaduto in 140.000 casi. Una specie di amnistia".

Giustizia: Alfano; il sistema carcerario deve avere 60mila posti

 

Agi, 14 luglio 2009

 

Diciassettemila nuovi posti nelle carceri, per arrivare a un totale di 60mila, un miliardo e mezzo di euro da spendere in questo progetto, i due terzi dei quali dovrebbero essere messi a disposizione dai privati. "Entro la prossima settimana apriremo il carcere di Noto ed entro fine mese un padiglione nuovo a Regina Coeli e verranno inaugurati 50 nuovi posti a Cassino".

Lo ha annunciato il ministro della Giustizia Angelino Alfano intervenendo a un convegno per la presentazione di un libro, nell’aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano. Proseguendo sul tema delle carceri, Alfano ha detto che "un uomo di governo deve pensare ai 60mila detenuti, ma anche alle centinaia di migliaia di familiari delle vittime. Bisogna pensare a chi sta fuori che non ha motivo di vedere scarcerazioni con l’indulto solo perché non c’è spazio nelle carceri".

Il ministro ha voluto ribadire di non aver mai asserito che "si deve depenalizzare", aggiungendo che "occorre fare una seria riflessione sulle misure alternative perché espiare la pena non significa farla pagare". In particolare, è particolarmente importante per il ministro il lavoro nelle carceri per "offrire al detenuto un’altra via anche per far venire meno le recidive, in un’ottica di sicurezza nazionale". Infine, il ministro ha espresso l’auspicio che "non ci debbano essere mai più bimbi nelle carceri" e che si individuino delle strutture in cui madri e figli possano incontrarsi fuori dalle sbarre. Infine Alfano ha annunciato anche che il Governo si sta muovendo per garantire 17 mila nuovi posti nelle carceri per arrivare a un totale di 70mila, un miliardo e mezzo di euro da spendere in questo progetto, i due terzi dei quali dovrebbero essere messi a disposizione dai privati.

Sì alla proposta di impiegare centinaia di detenuti, in regime di assoluta sicurezza nell’Expo 2015. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, oggi presente al Tribunale di Milano, ha accolto con favore la richiesta avanzata da Luigi Pagano, direttore regionale dell’amministrazione penitenziaria, di trovar lavoro a "diverse centinaia di detenuti" in occasione della grande manifestazione che si aprirà a Milano nel 2015. Su questa ipotesi "c’è il mio impegno - ha detto Alfano - e immediatamente coinvolgerà gli organismi preposti all’Expo affinché venga convocato un tavolo tecnico per lavorare a questa ipotesi".

Giustizia: Alfano; serve seria riflessione su misure alternative

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

"Sostengo che bisogna fare una seria riflessione sulle misure alternative perché l’espiazione non è una vendetta dello Stato nei confronti del detenuto, perché espiare la pena non vuol dire fargliela pagare ma riparare a un torto che le democrazie liberali riconoscono possa essere riparato attraverso la detenzione".

Lo ha dichiarato il ministro della giustizia Angelino Alfano durante il convegno sulle carceri che si è tenuto a Milano in occasione della presentazione del libro Diritti e castighi scritto da Donatella Stasio, giornalista de Il Sole 24 ore, e Lucia Castellano, direttore del carcere di Bollate, Il guardasigilli, parlando nell’aula magna del palazzo di Giustizia, ha aggiunto che "noi pensiamo che occorra coniugare il bisogno di sicurezza del Paese con l’articolo 27 della costituzione che dice non solo che le pene devono avere una funzione rieducativa, ma anche che non ci può essere una pena contraria al senso di umanità".

Il ministro, in un altro passaggio, sottolineando che dal 1946 al 2002, ci sono stati 30 provvedimenti tra amnistia e indulto e che quindi il problema del sovraffollamento delle carceri ha avuto una "soluzione monodirezionale", ha sostenuto che non bisogna "né decarcerizzare, né depenalizzare". Secondo Alfano "questo non è il terreno in cui il governo deve muoversi. Occorre invece, costruire nuovi istituti, con logiche più moderne, in cui vengano agevolate le funzioni educative e il rispetto del senso di umanità nel trattamento dei detenuti".

Giustizia: Magistrati Sorveglianza; ok a più misure alternative

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

Contro il sovraffollamento che in queste settimane ha toccato livelli insopportabili la strada da seguire passa attraverso le sanzioni alternative al carcere. Lo ha ribadito il Coordinamento nazionale dei Magistrati di Sorveglianza nell’incontro di venerdì al Csm.

"Abbiamo pensato a soluzioni trovando anche una comunicazione franca con il Dap che era rappresentato ai massimi livelli - ha detto il presidente del Coordinamento, Giovanni Tamburino, giudice di sorveglianza a Venezia - e abbiamo indicato come ancora una volta in relazione alle situazioni di scarsa pericolosità e di pene detentive brevi, si debba pensare a sanzioni alternative al carcere". Sulla questione del sovraffollamento, i magistrati di sorveglianza hanno espresso "grandi preoccupazioni per una situazione che in alcuni istituti rischia di trasformarsi in una violazione dell’articolo 3 della convenzione europea sui diritti dell’uomo, contrario ai trattamenti penali degradanti". "Abbiamo anche indicato - ha spiegato Tamburino - una serie di aggiustamenti normativi che possono consentire una adeguata flessibilità senza in alcun modo compromettere le esigenze di sicurezza. Infine, abbiamo ancora una volta sottolineato come il settore penitenziario abbia visto la sovrapposizione di una serie di interventi normativi spesso disordinati e anche contraddittori sicché appare urgente una sua razionalizzazione complessiva".

Giustizia: Antigone; eccesso di carcerazioni, modificare le leggi

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

"Dal vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Mancino, è arrivato un chiaro invito al legislatore perché, contro l’emergenza carceri, ponga mano a leggi che oggi producono eccessi di carcerazione". Così Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri, commenta l’intervento di Nicola Mancino ala riunione della magistratura di sorveglianza che si è tenuta oggi a Roma.

"Penso, ad esempio, alle norme della ex Cirielli - spiega Gonnella - che, prevedendo un aumento di pena e la negazione dei benefici penitenziari in caso di recidiva, incide pesantemente sul sovraffollamento delle carceri. È di pochi giorni fa - ricorda Gonnella - il caso di un tossicodipendente condannato a 3 anni di detenzione per aver rubato un pacco di biscotti".

"Una legge, dunque, - dice Gonnella - palesemente non funzionale alla sicurezza di questo paese. Le parole di Mancino, inoltre - prosegue - fanno sì che i giudici di sorveglianza si sentano confortati, e meno intimiditi dal governo, nello svolgere il loro ruolo giurisdizionale diretto ad assicurare percorsi di espiazione della pena alternativi al carcere e allo stesso tempo a garantire il controllo della legalità".

Giustizia: Osapp; la situazione delle carceri oramai è "pietosa"

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

Il sovraffollamento nelle carceri e la conseguente emergenza sanitaria saranno al centro del Consiglio Nazionale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) che si apre domani a Roma. "Ormai denunciamo da mesi una condizione carceraria pietosa - rileva il segretario generale Leo Beneduci - arrivata a contare più di 64 mila detenuti, quando gli istituti ne possono contenere solo 43 mila".

"Davanti ad un’emergenza come questa - spiega il sindacalista - che assume tutti i contorni del disastro umano, il presidente del Consiglio si permette di guardare ai problemi mondiali con l’occhio dello statista d’esperienza, trascurando invece i reali problemi che tormentano il Paese".

"Domani il Consiglio Nazionale dell’Osapp - prosegue - rilancerà l’iniziativa che questo sindacato ha assunto già da qualche tempo, cioè quella di portare la questione davanti alle istituzioni parlamentari e governative. Proporremmo manifestazioni in ogni sede governativa della Capitale, con un programma nei prossimi giorni che porterà il nostro sindacato, insieme alle maggiori sigle della categoria, alla grande iniziativa che si terrà a Roma il 22 settembre".

Giustizia: Cgil; il Governo si faccia carico di questa emergenza

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

"Le parole pronunciate dal vice presidente del Csm Nicola Mancino a margine della riunione del Coordinamento Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza sull’emergenza sovraffollamento carceri sono responsabili e condivisibili". È quanto affermano Mauro Beschi e Francesco Quinti della Fp Cgil Nazionale.

Per i due sindacalisti "l’aver potuto finalmente registrare e condividere le parole di un così alto esponente della magistratura italiana sull’esigenza di dare piena attuazione ai principi affermati dalla Corte Costituzionale e, dunque, consentire che il regime penitenziario venga applicato conformemente alla Costituzione, è motivo di soddisfazione per chi, come la Fp Cgil, fino ad oggi nel silenzio assordante di pressoché tutte le istituzioni del Paese, ha continuato a denunciare l’anomalia di un Governo che rifiuta di agire per porre rimedio all’emergenza carcere e al fortissimo disagio in cui attualmente versa il personale di Polizia Penitenziaria".

"Sono mesi, ormai - continuano gli esponenti sindacali - che la Fp Cgil lancia gridi di allarme sulla gravità della situazione, sull’assenza di reali misure di contrasto al gravissimo sovraffollamento delle strutture penitenziarie, che presto supererà le 64.000 presenze (dato mai raggiunto dal 1946 ad oggi), sull’esigenza di superare alcuni recenti interventi normativi che stanno contribuendo ad affondare il sistema delle misure alternative alla detenzione per i reati meno gravi, l’unica alternativa al sovraffollamento percorribile e compatibile con le finalità della pena e i valori espressi dalla Carta Costituzionale".

"Il Governo si faccia carico dell’emergenza carcere - sostengono Beschi e Quinti - e, nelle more del fumoso piano di adeguamento delle strutture detentive, peraltro non ancora presentato dal Ministro Alfano, pianifichi con la massima sollecitudine gli interventi necessari a ridurre già oggi le presenze in carcere per i reati di minor allarme sociale, ad aumentare di almeno 8.000 unità il Corpo di Polizia Penitenziaria e a migliorare le attuali, pesantissime condizioni di lavoro imposte agli operatori della Polizia penitenziaria".

Giustizia: Uil; le parole di Alfano, fanno sperare in una svolta

 

Il Velino, 14 luglio 2009

 

"Prendiamo atto con estremo favore e interesse delle parole pronunciate ieri a Milano dal Guardasigilli. Dopo tanto silenzio, finalmente dichiarazioni sensate. Il percorso individuato dal Ministro Alfano ci trova pienamente concordi e sul quale la Uil non può non riconoscersi". Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, commenta favorevolmente quanto detto da Alfano sulla possibilità di un maggior ricorso a misure alternative quale strumento deflattivo del sovraffollamento in atto negli istituti penitenziari.

"Sia ben chiaro - continua Sarno - ciò non significa minimante incidere sul concetto di certezza della pena. Significa piuttosto affermare la civiltà giuridica del nostro ordinamento per cui la pena non è solo, comunque e in ogni caso, una pena detentiva. Per questo un maggior ricorso alla misure alternative può essere, come da noi sostenuto, una delle soluzioni.

Anche un maggior impiego dei detenuti in attività di pubblica utilità potrebbe essere funzionale allo scopo. Sempreché si accompagni a tale disegno un servizio di sorveglianza adeguato, svolto dalla polizia penitenziaria. Sono d’accordo con il Ministro anche quando sostiene che non occorre né decarcerizzare, né depenalizzare. È evidente, però, che occorre trovare una soluzione al dramma che quotidianamente si vive nelle nostre prigioni. Luoghi che attentano alla dignità umana". Sulla necessità di costruire nuove carceri la Uil obietta che occorre rendere, innanzitutto, disponibili quelle già efficienti. " Il piano carceri, però, è ancora un progetto indefinito. Può senz’altro generare effetti positivi sul sistema, ma a medio - lungo termine. Intanto deve essere finanziato e su questo mi pare che non ci siano certezze.

In ogni caso per recuperare nuovi posti sarebbe logico rendere disponibili le strutture già efficienti. Mi chiedo quali siano le ragioni che inducono il Dap a tenere chiusa la casa circondariale de L’Aquila, la cui efficienza è stata dimostrata dalla disponibilità in occasione del recente G8. Non possiamo, comunque, non sottolineare come ancora una volta si procede ad aprire nuove sezioni senza che a ciò corrisponda l’assunzione di una sola unità di polizia penitenziaria.

Su questo non smetteremo di sollecitare il ministro. Il Corpo - ricorda il segretario della Uil Pa Penitenziari - sconta un deficit di 5.000 unità rispetto agli organici fissati quando i detenuti erano poco meno di 40mila. È il momento che Alfano rivendichi ciò che per anni hanno ottenuto i ministri dell’Interno e della Difesa, ovvero reali implementazioni delle dotazioni organiche. Anche per questo il 21 luglio manifesteremo, dopo Milano e Bologna, a Napoli".

Il ministro Alfano a Milano ha riproposto il problema dei bambini in carcere. Un problema che la Uil Pa Penitenziari ha sempre denunciato chiedendo soluzioni adeguate. "Continuiamo a credere che detenere bambini sia una barbarie. Occorre trovare soluzioni diligenti e rispondenti. Il progetto di Milano può essere, è, un valido punto di riferimento da prendere a modello.

Occorre però individuare e rendere disponibili le strutture detentive alternative più consone ad accogliere le detenute con i propri bambini. E quando sono disponibili come a Favara (Ag) non si può dare corso all’attivazione perché manca il personale. Emerge, quindi, la necessità di dare risposte concrete a 360°. Mi pare - chiude Sarno - che negli ultimi giorni si stia affermando una maggiore sensibilità alla questione penitenziaria anche da parte della politica. È una opportunità che va colta. Se Alfano vuole siamo disponibili ad un confronto per offrire il nostro contributo di idee, proposte derivanti da un incredibile patrimonio di sensibilità e competenze".

Giustizia: dal Veneto alla Sicilia… ecco il "paese delle ronde"

di Davide Carlucci e Piero Colaprico

 

La Repubblica, 14 luglio 2009

 

Ci sono anche quelle ecologiche e quelle che aiutano gli anziani. Quelle per l’ordine pubblico e quelle che ripuliscono i muri dai graffiti. In Italia le squadre di volontari che controllano le città sono già un centinaio. Alcune famose come i City Angels, altre meno. Tra paura, populismo, sicurezza e pericolosi ideologismi, ecco la mappa regione per regione.

Via Padova, Milano. Poche centinaia di metri. Metri certamente multietnici, ma dove i reati più gravi risalgono a più di qualche anno fa, quando si contarono nove morti in nove giorni, e i responsabili erano dei tossici italiani, con il cervello devastato dagli abusi e dalla malattia. Nelle vecchie case di ringhiera della zona resistono ancora le indicazioni della seconda guerra mondiale. Si vedono le frecce rosse e stinte che puntano le botole delle cantine dove i milanesi si rifugiavano sotto i bombardamenti. L’altra sera sui marciapiedi spiccavano le pattuglie miste della polizia, con la scorta dei soldati in mimetica; poi i Blue Berets, e cioè la ronda finita in mezzo alle polemiche per le contiguità con l’estrema destra; ecco i baschi rossi dei City Angels, i più antichi volontari della città e i Volontari verdi, i leghisti con la fascia padana e la doppia "V". Una passerella o una necessità, tutti questi "lavoratori della sicurezza"? La mappa delle ronde italiane, quando si esce dalla retorica e dalla propaganda, può rivelare qualche sorpresa.

È negli anni Novanta che il Nord scopre di essere più vulnerabile di quanto credeva. Le rapine nelle ville, gli assalti alle case isolate, interi paesini "narcotizzati" e derubati hanno piano piano spinto i politici a improvvisarsi sceriffi. E tra i primi a impegnarsi sono i leghisti, che tra il ‘98 e il ‘99 fanno nascere da una costola della cosiddetta Guardia nazionale padana i Volontari verdi. Ora sono affidati a Max Bastoni, un leghista noto per essersi fatto pubblicità elettorale, anni fa, con questo slogan: "Bastoni contro gli immigrati". Ma i leghisti, spesso, predicano male e razzolano bene: nel senso che usano slogan feroci e razzisti e poi, quando sono nelle amministrazioni locali, lavorano cercando di migliorarne l’efficienza. "Abbiamo rilanciato il reclutamento a Pontida - spiega Bastoni - raccogliendo un migliaio di adesioni. Non vogliamo divise, ma la fascia verde, e quello che facciamo sono passeggiate di gruppo. Al massimo, sappiamo come difenderci. E siamo davvero volontari, ci unisce la politica, mentre oggi vedo un certo interesse verso fantomatici finanziamenti che non si sa se ci saranno. Se qualche Comune si rivolgerà a noi bene, se no va bene lo stesso".

La sigla lombarda "Guardia nazionale padana" sembra l’origine, però, della scelta che più ha fatto discutere in questi giorni: e cioè l’invenzione della "Guardia nazionale italiana", comandata da Gaetano Saya, un non giovane estremista di destra, con tanto di divise brune e simboli da libro di storia. A sentirlo parlare (Youtube trabocca dei suoi filmati, da notare i baffetti radi) sembra una versione stentorea e stentata dei già impresentabili "nazisti dell’Illinois" derisi dal film The Bluès Brothers.

Saya ce l’ha moltissimo con il magistrato milanese Armando Spataro, che definisce "sovversivo e comunista", ma come "capo-ronda" sembra piuttosto isolato. Nella realtà non si può mai sapere, raccontano alla Digos e ai nuclei Informativi dei carabinieri, dove temono l’incremento di numero e del potenziale pericolo dei giovani neonazisti, spesso legati alle tifoserie, ventenni e trentenni che negano l’Olocausto e odiano sempre più ebrei, neri e globalizzazione.

Dietro la nascita dei tanti "comitati per la sicurezza" c’è dunque di tutto. Da un primo, necessariamente sommario, censimento sono emersi sinora un centinaio di gruppi organizzati. L’ipotetico premio per il più fantasioso spetta a Follonica, in Toscana. Nel paese di mare stanno nascendo varie associazioni per la sicurezza e un ristoratore s’è organizzato con un gruppo intitolato: "Volontari per le mogli dei componenti delle ronde". La stragrande maggioranza però non ride affatto, anzi si prende (e fa) sul serio. E sono l’incarnazione di quanto aveva scoperto, molti anni fa, il sociologo Slavoj Zizek, che ha usato termini come biopolitica e postpolitica: "La postpolitica - spiegava - sostiene di lasciare dietro di sé le vecchie lotte ideologiche per concentrarsi su una gestione e un’amministrazione competenti... mentre la biopolitica designa come proprio obiettivo principale la regolamentazione della sicurezza e del benessere delle vite umane". Il risultato è già scritto, e cioè che l’unico modo per farci appassionare a queste politica post e bio e "per mobilitare attivamente la gente, è la paura, costituente fondamentale... Per questa ragione la biopolitica è in definitiva una politica della paura, incentrata sulla difesa contro potenziali persecuzioni o molestie... La paura - prosegue sempre Zizek - come ultima risorsa di mobilitazione: paura degli immigrati, del crimine, dell’empia depravazione sessuale, di un eccesso di Stato, con il suo fardello di tasse pesanti, delle catastrofi ecologiche, paura delle molestie".

La nuova politica investe sulla paura dei cittadini e forse non è un caso che il maggior numero di "combattenti" spunti dove ci si sente più estranei gli uni agli altri, e cioè tra la Lombardia (almeno quindici) e il Veneto (una decina). Il municipio di San Genesio e Uniti, case e cascine nella provincia campagnola di Pavia, aveva organizzato ronde già dal 2001, ma anche tra i palazzoni di Cinisello Balsamo da sette anni lavora l’associazione carabinieri in congedo. All’associazione paracadutisti in congedo il Comune di Brescia affiderà qualche ronda sui bus. Se a Milano Varese e Como già lavorano i City Angels, nascono in questi giorni gli "Angeli di Sesto", a Sesto San Giovanni, l’ex Stalingrado Rossa.

In Veneto, stessa situazione. Le ronde sono nate a Chiarano, Treviso, nel 2006, ma si sono diffuse in tutta la Marca, dov’è anche nata l’unica associazione regionale rondista, "Veneto sicuro". Le divisioni sociali, culturali, politiche sono molto vistose. A Padova, al quartiere della Stanga, c’erano le ronde leghiste e le controronde di sinistra, ben presenti sul territorio. E poco distante, a Spinea, provincia di Venezia, esiste l’unica ronda online, che si chiama Pronto soccorso civico. Se Jesolo è stato uno dei primi Comuni a organizzare le ronde, soprattutto contro le prostitute, sempre in zona sono nate le prime ronde formate anche da immigrati, e chiamate "Presidi per la legalità".

A Verona, dopo uno stupro, è nato il comitato "Viviamo corso Milano" e a Vittorio Veneto i cittadini si stanno organizzando contro i motociclisti che "piegano" troppo sui tornanti. Insomma, nascono ronde, o pseudo ronde, a seconda delle necessità iper-locali. A Grugliasco, in Piemonte, esistono "ronde ecologiche" che cercano di stanare chi non fa la raccolta differenziata dei rifiuti. E, sempre in Piemonte, se il sindaco di Ozegna è un ex rondista pentito, a Mombello Monferrato il primo cittadino ha istituito ronde notturne contro i furti in Val Cerrina.

Il Friuli Venezia Giulia ha approvato una legge - la prima - che prevede un albo e giornate di formazione e informazione per le ronde. E mentre a Trieste spunta anche il sorriso sulle labbra di un’associazione di pescatori, che si è inventata la ronda per la sicurezza alimentare e gira per le pescherie, a Udine è nata l’associazione "Udine città sicura": recluta agenti in pensione ed è stata fondata da Diego Volpe Pasini, già creatore di Sos Italia (il movimento che candidò Roberto Sandalo, ex terrorista rosso finito in cella per aver "bombardato" con le molotov obiettivi legati all’Islam). Non sfuggono neppure l’Emilia e la Toscana.

Ma l’unica anomalia fin qui segnalata è a Massa: già battezzata Sss, acronimo per Soccorso sociale sicurezza, è legata alla destra ed è composta da poliziotti in pensione, ex guardie giurate, militari ancora in servizio. Lo spirito toscano non manca. A Lucca si sono scomodati i sindacati per prendersela contro il fenomeno dei curiosi "portinai-ronda". E in totale controtendenza, i giovani del Pd a Perugia hanno organizzato a marzo una "ronda della Cultura", con tour nel nottambulo centro storico. Al Sud, il fenomeno ronde stenta a decollare. E l’ambito degli interventi si riduce, si assottiglia.

A Casola, provincia di Napoli, il sindaco dell’Idv promuove ronde a difesa della statua del Santo Patrono, ad Agropoli (Salerno) il sindaco ha proposto ronde contro i furti dei contenitori dei rifiuti, ad Acireale (Catania) combattono le affissioni illegali, a Bari il sindaco Emiliano (ex magistrato, indipendente Pd) rivendica le ronde di pensionati che sorvegliano i bambini all’uscita dalle scuole. Da notare - e forse lo dovrebbe notare anche il ministro dell’interno Roberto Maroni - che in Calabria di ronde non si parla proprio: in effetti, nella regione della ‘ndrangheta, è difficile che qualcuno, in nome della sicurezza, rischi di sbagliare a interpellare qualcuno di notte. Potrebbe essere l’ultimo errore, quello fatale.

Giustizia: Maroni; nell’ultimo anno le rapine sono calate del 25%

 

Asca, 14 luglio 2009

 

La lotta alla criminalità diffusa messa in atto dal Viminale sta ottenendo importanti risultati e ne è prova il calo del 25% delle rapine nell’ultimo anno. Lo ha detto il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni che stamane ha siglato, insieme al presidente di Confcommercio Carlo Sangalli e a quello di Confesercenti Marco Venturi, un Protocollo di intesa sulla videosorveglianza nei locali commerciali.

Nella lotta alla criminalità diffusa, il responsabile del Viminale ha parlato di "importantissimi successi" citando proprio il caso delle rapine passate dalle 3.198 da gennaio ad aprile del 2008 a 2.419 nello stesso periodo di quest’anno.

Giustizia: Al Molky; sparito nel nulla, con la complicità dell'Italia

di Susanna Marietti

 

www.linkontro.info, 14 luglio 2009

 

Maged Al Molky, il capo del commando palestinese che nel 1985 dirottò la nave Achille Lauro, è sparito nel nulla. La moglie, Carla Biano, non sa più dove cercarlo. Non sa più se sia vivo o sia morto. Non ha notizie di lui dalle tre meno un quarto della mattina di domenica 28 giugno, quando le ha telefonato dall’aeroporto di Damasco, dove era da poco sbarcato in compagnia di due poliziotti italiani. Ha detto a Carla che quella sarebbe stata l’ultima telefonata per il momento consentita, e che l’avrebbe richiamata appena possibile.

Ha raccontato che un poliziotto dell’ufficio aeroportuale gli aveva chiesto chi fosse e perché fosse stato espulso, annunciandogli che verso le otto o le nove del mattino sarebbero venuti i funzionari preposti per prelevarlo e valutare la sua situazione. Da allora il suo cellulare è sempre spento e di Maged Al Molky non si hanno notizie. Ironia della sorte, il giorno seguente, lunedì 29 giugno, Khalid Hussein, anche lui condannato per il sequestro dell’Achille Lauro, si è ucciso a 79 anni nel carcere di Benevento. Lo scorso 27 aprile Maged Al Molky era stato scarcerato dopo 23 anni e otto mesi di detenzione.

Sperava di trovare un lavoro e rifarsi una vita insieme alla moglie. L’uscita dal carcere dell’Ucciardone di Palermo, dove aveva trascorso gli ultimi due anni e mezzo, ha coinciso invece con l’inizio dell’incubo. È stato portato in questura dove gli è stata notificata l’espulsione in quanto clandestino. Maged ha spiegato di non essere clandestino, di essere sposato con una cittadina italiana, di dover scontare ancora tre anni di libertà vigilata come previsto dalla sentenza. Niente è valso.

È stato portato al Centro di Identificazione ed Espulsione di Trapani. Tramite il suo avvocato ha potuto presentare ricorso contro l’espulsione e l’udienza si è tenuta il 16 giugno. Il magistrato ha comunicato in quell’occasione che avrebbe reso nota la propria decisione entro una decina di giorni. Alla mezzanotte del 28 giugno sarebbe scaduto il termine per il possibile trattenimento all’interno del Cie.

I funzionari del Centro hanno spiegato a Maged che, qualora il magistrato non avesse risposto per tempo, gli sarebbe stato notificato un ordine di espulsione a seguito del quale avrebbe dovuto lasciare l’Italia entro cinque giorni. Gli hanno detto anche che la Siria aveva risposto per l’ennesima volta che Maged Al Molky non era cittadino siriano e che dunque non poteva entrare nel paese. È quanto andava accadendo da dieci anni in qua a ogni richiesta, perfino quella relativa al nulla osta per il matrimonio.

Alle autorità italiane (magistrati, direttori di carcere, assistenti sociali, Ministero della Giustizia), la Siria ha sempre risposto che Maged non era suo cittadino. E lo ha sempre fatto ufficiosamente, senza alcunché di scritto. "Perché", si chiede Carla Biano, "nel giro di pochi giorni ha cambiato idea? Cosa le è stato promesso in cambio?".

La rappresentanza palestinese a Roma si è data da fare per trovare una soluzione. Ha offerto a Maged la possibilità di andare in Algeria, ma lui ha rifiutato. Voleva restare in Italia e lavorare accanto a sua moglie. Alle tre del pomeriggio di sabato 27 giugno, Maged è stato prelevato e portato all’aeroporto di Palermo. Pare che tutto sia avvenuto nel silenzio più totale, così da lasciare esterrefatti gli stessi funzionari del Cie. Il sabato gli uffici sono chiusi, neanche la rappresentanza palestinese può venire informata.

Da Palermo è volato a Fiumicino. Una giornalista, avvisata di quanto stava accadendo, pare abbia telefonato al Ministero per chiedere notizie. E pare le sia stato risposto con la menzogna che si trattava solo di un cambio di Centro e che Maged sarebbe stato portato al Cie di Ponte Galeria a Roma. Alle sette di sera Maged ha telefonato dall’aeroporto di Fiumicino alla moglie. Le ha detto che da quel momento gli sarebbe stato sottratto il cellulare e che l’avrebbe richiamata appena ne sarebbe tornato in possesso.

L’aereo di Maged è decollato verso le dieci di sera. Arrivato a Damasco alcune ore dopo, l’ultima telefonata alla moglie Carla. Carla Biano accusa oggi il Governo italiano per aver espulso il marito - senza aspettare la sentenza del magistrato e violando quella di una Corte d’Assise per la quale c’erano ancora da scontare tre anni di libertà vigilata - verso un paese dove, essendo alcuni reati commessi sull’Achille Lauro avvenuti in acque territoriali siriane, Maged può venire processato nuovamente, nonostante abbia passato in carcere oltre 23 anni.

E dove può venire condannato alla pena di morte. "Quali garanzie ha dato la Siria all’Italia sull’incolumità di Maged?", si chiede. "E l’Italia gliele ha chieste? Posso pensare di tutto: che sia stato incarcerato, sequestrato, ammazzato. L’unica cosa certa è che Maged appena arrivato in Siria è stato fatto sparire. Maged aveva ragione: è stato usato come merce di scambio". Matteo Mecacci, deputato radicale e membro della Commissione Esteri, ha presentato sulla vicenda un’interrogazione urgente al ministro degli Esteri. L’associazione Antigone, cui Carla Biano si è rivolta, sta valutando la possibilità di intraprendere azioni contro il Governo italiano sia in Italia che a Strasburgo. Un uomo è sparito nel nulla. Era in custodia presso lo Stato italiano.

Alghero: muore suicida in cella, detenuto calabrese di 34 anni

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

È stato trovato morto questa mattina nella sua cella del carcere di Alghero, Eugenio La Ferla, calabrese di Vibo Valentia, 34 anni, detenuto perché coinvolto in un traffico di droga tra la Sardegna, l’Olanda e la Calabria. Secondo quanto si è appreso, l’uomo si è impiccato alle sbarre della cella nella prima mattina di oggi ed è stato trovato morto da una guardia carceraria.

La direzione del carcere ha avviato un’indagine interna per fare piena luce sull’accaduto. Eugenio La Ferla era stato arrestato alla fine dello scorso maggio mentre, secondo quanto emerso dalle indagini, portava a termine il trasporto di un carico di droga, col fratello Salvatore, in carcere a Sassari per la stessa vicenda. Secondo gli inquirenti rappresentava il canale calabrese di approvvigionamento di droga di un’organizzazione guidata dal sassarese Leonardo Ibba e dal turco con passaporto olandese Seyfettin Tuzer.

Imperia: morto il detenuto algerino che s’era impiccato in cella

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

La notte scorsa è morto in ospedale il detenuto algerino Dibe Rachid Salah, 35 anni. Giovedì scorso aveva tentato il suicidio, cercando di impiccarsi con un lenzuolo. Era stato soccorso in extremis da alcuni agenti ma, ricoverato nel reparto di Rianimazione, le sue condizioni erano state considerate sin da subito disperate.

I medici avevano cercato di mettersi in contatto con qualcuno della famiglia per chiedere l’autorizzazione all’espianto degli organi. Il pubblico ministero Maria Paola Marrali ha disposto l’autopsia, aprendo nello stesso tempo un’inchiesta. Il magistrato vuole capire se ci siano stati comportamenti omissivi da parte di chi doveva vigilare. La vittima aveva dato in passato alcuni segnali di insofferenza. Pare fosse un tipo dal carattere difficile, scontroso. Parlava solo francese. Era stato condannato a dieci mesi per questioni legate all’immigrazione.

Como: Provveditore; carcere del Bassone affollato, ma sicuro

di Paola Pioppi

 

Il Giorno, 14 luglio 2009

 

Direttore storico del carcere di San Vittore di Milano, profondo conoscitore della realtà penitenziaria, delle dinamiche comportamentali e delle problematiche generate dalla costrizione a vivere in gran numero in condizioni di privazione della libertà, Luigi Pagano è ora a capo dell’Amministrazione Penitenziaria della Lombardia.

Recentemente, in occasione della festa della Polizia Penitenziaria, ha fatto visita al carcere Bassone di Como: "Una presenza - ha detto - per ringraziare gli uomini della Polizia penitenziaria che reggono uno degli istituti più complessi della Lombardia. Abbiamo una grave situazione di sovraffollamento con indici in aumento. Nonostante questo i livelli di sicurezza sono garantiti e c’è la volontà di andare oltre, lavorando sul reinserimento del detenuto. Il futuro non è roseo: sono però sicuro che faremo fino in fondo, che lavoreremo sempre al meglio. Credo che se si vuole un carcere che continui a funzionare, occorre che la società gli sia vicina. Solo in questo modo, capendo il lavoro che viene fatto e la realtà che si vive all’interno delle strutture penitenziarie, si può arrivare ad avere un carcere che toglie criminalità".

 

Qual è, da suo punto di vista, la situazione del Bassone?

"Ritengo che sia un carcere con una professionalità elevatissima. I 39 detenuti usciti in affidamento in prova nell’ultimo anno, sono un numero importante, e deve essere letto come un successo rieducativo".

 

La struttura di Como ha sempre avuto un grosso problema: il numero di suicidi. È ancora così?

"Abbiamo avuto una notevole riduzione sia dei suicidi che degli atti di autolesionismo, nonostante l’aumento degli ingressi. Como ha un livello di sicurezza alto, unito a un’attività trattamentale di buon livello, e questo fa la differenza".

 

Il sovraffollamento in carcere è direttamente collegato all’aumento dei suicidi, o comunque può essere considerato un fattore scatenante?

"Il sovraffollamento crea una dispersione di energie e l’impossibilità di dedicarsi con attenzione alle singole situazioni. Per esempio lo psicologo: il numero di professionisti che operano all’interno di una struttura è sempre lo stesso, e l’aumento dei detenuti porta anche un aumento delle situazioni che hanno bisogno di assistenza specialistica, ma una dilatazione dei tempi dei colloqui. Non è una questione di personale, che può essere in grado di creare un clima comunque positivo, ma di condizioni oggettive".

 

Rispetto alle altre carceri lombarde, a livello di sovraffollamento il Bassone come si colloca?

"Meno peggio di altre. È un problema comune, ma abbiamo condizioni molto più disagiate a Brescia o San Vittore, istituti vecchi dove la struttura non aiuta. Qui a Como è anche prevista la ristrutturazione di una sezione che porterà a guadagnare qualche spazio".

Imperia: il carcere come un colabrodo, troppo facili le evasioni

 

Secolo XIX, 14 luglio 2009

 

C’erano tutti in servizio, tutti gli agenti della polizia penitenziaria previsti. Tutti secondo i loro ruoli e le loro mansioni, cioè quelle che erano state assegnate martedì scorso dal comandante. E c’era anche il comandante. Eppure Farah Ben Faical Trabelsi, trentacinque anni, il detenuto di origini tunisine autore della clamorosa fuga dalla casa circondariale di Imperia, nell’arco di meno di 10 minuti, saltando come un canguro da un muro alla rete di recinzione, arrampicandosi e mantenendosi miracolosamente in equilibrio su un cornicione, camminando sui tetti, attivando incurante gli allarmi e transitando altrettanto incurante davanti agli obiettivi delle telecamere, ce l’ha fatta ad evadere. Ed era preparato nel mettere in atto quell’evasione.

Aveva persino una corda chissà dove recuperata. Non ne ha avuto bisogno. È riuscito a fare tutto da solo. Certo che Trabelsi doveva essere stato bene informato del fatto che dalla casa circondariale di Imperia è facile trovare la via per fuggire. La stessa, più o meno, della volta scorsa, Ferragosto del 2006. Infatti, non voleva essere trasferito a Marassi, carcere a lui destinato. Probabilmente aveva già progettato di evadere da Imperia: una volta domiciliato nel rigido penitenziario genovese non avrebbe più avuto le stesse opportunità.

Gli agenti di custodia avevano denunciato le situazioni di crisi: "Meglio chiedere lo stato di calamità così qualcuno si interesserà di noi" era stata la sintesi del documento del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria.

Sono queste alcune delle prime conclusioni alle quali sono giunti i carabinieri del nucleo investigativo. Nel frattempo il tunisino che nei giorni scorsi ha tentato il suicidio in carcere è deceduto. E un’altra indagine è stata aperta dalla procura della Repubblica.

Riguardo all’evasione i militari hanno consegnato ieri i rapporti dei primi sopralluoghi al sostituto procuratore Maria Paola Marrali, titolare dell’inchiesta. E poco dopo hanno relazionato al procuratore capo, Bernardo Di Mattei, che sta seguendo il caso con la massima attenzione. "Non ci sono al momento indagati, ma è stata un’evasione troppo facile, si configurano probabili responsabilità - ha detto Di Mattei - Abbiamo chiesto ai carabinieri di eseguire altri importati atti di indagine, raccogliendo precise informazioni.

A conclusione di ciò, trarremo le somme. Inoltre siamo in contatto con Genova e in attesa di conoscere le conclusioni alle quali sono giunti gli ispettori del Provveditorato. Per quanto la relazione e gli eventuali provvedimenti disciplinari non siano propedeutici all’indagine, di quel rapporto riteniamo interessante conoscerne il contenuto".

L’inchiesta interna è stata condotta a quanto pare con grande scrupolo, assieme al direttore Nicolò Mangraviti e con la collaborazione del personale. Domani si terrà un’altra visita, questa volta decisamente importante, anche per il futuro del penitenziario. Già fissata in calendario, è stata confermata la tappa imperiese del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. La missione imperiese giunge a conclusione del progetto "Hansel & Gretel", recupero ambientale che ha permesso di impiegare i detenuti in due aree verdi individuate nei Comuni di Imperia e Sanremo. Ma pare abbia - l’occasione sarebbe propizia - il duplice scopo di constatare sia le condizioni della struttura che quelle dei detenuti e del personale in servizio.

Forlì: Cgil-Fp; da tempo denunciamo la mancanza di personale

 

Asca, 14 luglio 2009

 

In un nuovo comunicato il sindacato afferma di avere più volte chiesto aiuto, senza risposta, a Ministero della giustizia e Provveditore regionale a fronte della "grave crisi della Casa Circondariale di Forlì". "Noi lo avevamo detto".

Comincia così il comunicato sindacale della Cgil Funzione pubblica, in seguito alla vicenda dell’evaso di questa mattina. Daniela Avvantaggiato, referente delle segreterie forlivesi della Fp e Fsa continua sottolineando "la giustezza delle nostre capacità d’analisi di una situazione, quale quella esistente presso la Casa Circondariale di Forlì, sull’orlo di una grave crisi sfociata nell’evasione di un detenuto.

Abbiamo più volte segnalato ai vertici del Ministero della Giustizia e al Provveditore regionale la grave carenza d’organico della Polizia penitenziaria esistente. Abbiamo più volte segnalato il grave sovraffollamento della popolazione detenuta; abbiamo più volte chiesto aiuto e ora che il problema è diventato visibile anche all’esterno del muro di cinta della casa circondariale non vorremmo che le colpe venissero scaricate sui lavoratori della polizia penitenziaria che di colpa hanno solo quella di cercare di fare al meglio il proprio lavoro anche a discapito di coloro, preposti a trovare soluzioni organizzative e d’intervento, che sino ad ora hanno ignorato".

Roma: detenute di Rebibbia; carceri sono diventate discariche

 

Il Tempo, 14 luglio 2009

 

Lo abbiamo più volte ribadito: le carceri sono diventate discariche dove rinchiudere esseri umani indesiderati. Adesso si aggiungono anche i così detti clandestini colpevoli a dire del governo di essere privi di documenti. Sicurezza non è garanzia di lavoro, garanzia di assistenza sanitaria, di educazione scolastica, diritto a una vita dignitosa e non pura sopravvivenza. Adesso con il così detto "pacchetto sicurezza", con il reato di clandestinità, limitando la possibilità di usufruire dei benefici o di misure alternative alla custodia cautelare, le carceri sono rigonfie di persone sempre più stipate". Lo comunicano, in una nota, le detenute della sezione Alta Sicurezza del carcere di Rebibbia.

Napoli: arrestato docente prese 120mila euro per falsa perizia

 

Il Mattino, 14 luglio 2009

 

Ha fornito perizie false in un processo, facendosi pagare centinaia di migliaia di euro. È stato arrestato a Napoli il professore universitario Alberto Alfio Natale Fichera con l’accusa di corruzione. Il professore universitario, docente di Ingegneria a Catania, venne nominato perito da una Corte d’assise nell’ambito di un processo in primo grado per un duplice omicidio di camorra. Secondo l’accusa avrebbe prodotto una falsa perizia in cambio di 120mila euro, facendo scagionare il mandante dell’esecuzione.

La vicenda riguarda uno scambio di favori tra Aniello Bidognetti, uno dei boss della fazione dei Casalesi, e Antonio Cimmino, boss del clan Egemone nel quartiere napoletano dell’Arenella. I due, diventati amici in carcere, si sono scambiati sicari. Nell’aprile 1999, Aniello Bidognetti ha mandato il figlio e un altro suo uomo per tendere un agguato mortale a due detenuti in semilibertà che Cimmino voleva uccidere.

Bidognetti però, era sotto controllo attraverso intercettazioni telefoniche così come Cimmino, e le conversazioni con gli affiliati in merito a questo duplice omicidio sono state ascoltate dalle forze dell’ordine. Poco dopo sono partiti gli arresti. Nel processo di primo grado Fichera avrebbe prodotto una perizia nella quale ha sottolineato che la voce verbalizzata come quella di Bidognetti, per gli inquirenti inconfondibile perché gutturale, non gli apparteneva. Mandanti e sicari vengono assolti. La polizia ha accertato che il professore è stato pagato 120mila euro per produrre la falsa perizia, in un’indagine partita grazie alla testimonianza di tre pentiti.

Livorno: orate della Gorgona, si comperano nei supermercati

 

Agi, 14 luglio 2009

 

Orate allevate a mare aperto dai detenuti dell’Isola di Gorgona (Li). Da oggi si potranno acquistare nei supermercati di Follonica (Gr), Piombino, Venturina, Livorno, Rosignano, Cecina, San Vincenzo e Portoferraio (Li).

Il mare dell’Isola di Gorgona è un mare illibato. La più settentrionale delle isole dell’arcipelago toscano (due chilometri quadrati e mezzo di superficie, distante 18 miglia dal porto di Livorno) è una colonia penitenziaria maschile dal 1869. In media, durante l’anno, vi abitano duecento persone, per lo più legate al carcere. L’isola inoltre fa parte del Parco dell’Arcipelago Toscana per cui le sue acque sono interdette alla navigazione che è ammessa solo alle motovedette della polizia e alla nave Toremar (che però si ferma a debita distanza). In queste acque nel 2001 è partito un esperimento unico al mondo: un impianto di acquacoltura interamente gestito dai carcerati.

A pochi metri dalla costa cinque grandi reti sommerse racchiudono orate che arrivano come avannotti e vengono alimentate con mangimi biologici, di origine non animale, no Ogm e privi di antibiotici, fino a quando, all’età di 16 - 18 mesi, sono pronte per essere pescate. È un progetto unico nel suo genere, nato con la collaborazione del Comune di Livorno e del dipartimento di biologia marina.

In un anno si arrivano a pescare circa 40 tonnellate di orate: pescato che finora è stato consumato all’interno del carcere o distribuito nell’ambito dell’amministrazione penitenziaria. L’accordo con Unicoop Tirreno permette oggi a questo ottimo pesce di allevamento, ma con tutte le caratteristiche di un pescato di altura, di arrivare sui banchi di dieci supermercati dotati di pescheria delle province di Livorno e Grosseto: un’esclusiva che permette di valorizzare un prodotto di alto livello, arricchendolo di contenuto sociale, volto a ridare dignità e opportunità di lavoro ai detenuti. Il progetto delle orate di Gorgona si affianca a quello dei vini prodotti all’interno del carcere di Velletri (Roma) e presenti in Unicoop Tirreno dal 2004 con l’etichetta "Il Fuggiasco".

Genova: domani convegno, su lavoro penitenziario e imprese

 

Secolo XIX, 14 luglio 2009

 

Convegno per la sensibilizzazione del mondo economico locale sul lavoro penitenziario inteso come opportunità. Mercoledì 15 luglio, alle 9.30 nel Salone del Consiglio della Camera di Commercio di Genova, il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria di Genova propone alle forze economiche liguri - nell’ambito di una giornata di sensibilizzazione - un incontro sul lavoro penitenziario, illustrandone vantaggi e opportunità.

Il convegno, patrocinato dalla Camera di Commercio di Genova, si rivolge ad associazioni di categoria, imprese e cooperative presenti sul territorio. Nel corso dell’incontro saranno fornite informazioni sulla possibilità di avviare attività lavorative all’interno degli istituti penitenziari e saranno esposti i benefici fiscali e gli sgravi contributivi previsti dalla "legge Smuraglia": legge n. 193/200 - Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti.

Apriranno i lavori Paolo Odone, Presidente della Camera di Commercio di Genova; Claudio Burlando, Presidente della Regione Liguria; Alessandro Repetto, Presidente della Provincia di Genova e Giovanni Vassallo, Assessore del Comune di Genova. Seguiranno gli interventi - coordinati da Giovanni Salamone, Provveditore dell’Amministrazione penitenziaria di Genova - di Franco Ionta, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e di Catia Taraschi, Dirigente del Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria di Genova.

A seguire, un rappresentante del consorzio nazionale CGM e due imprenditori daranno testimonianza di esperienze rilevanti nell’ambito della sperimentazione proposta. Si tratta di un incontro particolarmente significativo, di interesse non solo locale, che la Camera di Commercio ha scelto di patrocinare ritenendo la proposta del lavoro penitenziario di grande valore sociale ed economico. "Noi lo avevamo detto, ed ora?". Così si chiude il nuovo grido d’allarme dei sindacati.

Immigrazione: così la "sanatoria" si allarga... a tutti lavoratori

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2009

 

La sanatoria di colf e badanti nasconde la possibilità di mettersi in regola per chiunque, o quasi. Almeno nella formulazione attuale della norma, probabilmente all’esame del Consiglio dei ministri di mercoledì per l’ok alla presentazione come emendamento al disegno di legge anti crisi.

Tutti gli esponenti del Governo hanno detto finora che si tratta di una regolarizzazione selettiva, circoscritta alle sole figure del lavoro domestico e dell’assistenza alla persona. In realtà il meccanismo, per come è stato congegnato finora, si presta a un’elusione neanche troppo complicata.

Prendiamo il caso di un ipotetico Said, muratore tunisino, lavoratore in nero e immigrato irregolare. D’intesa con il suo datore di lavoro, può fare in modo che un altro soggetto si autodenunci per aver fatto lavorare Said presso di sé come collaboratore familiare. Tranne casi eccezionali - precedenti penali o decreti di espulsione - lo straniero, proprio perché clandestino e in nero, non avrà lasciato traccia né della propria presenza, né dell’attività sommersa: lo Stato, perciò, dovrà prendere per buona la dichiarazione (falsa) del suo sedicente datore di lavoro.

Certo, il punto 14 del testo finora formulato prevede la condanna da uno a sei anni (e da tre a 10 anni, in caso di atto denunciabile con querela di falso) se ci sono dichiarazioni mendaci. Ma controlli in un caso del genere - e potrebbero essere tanti - sembrano molto difficili.

Ironia della sorte, i soli lavoratori - non colf e badanti - a rischiare sarebbero le altre categorie di stranieri che attendono l’ok alle quote flussi 2007 e 2008: le loro generalità, come quelle degli imprenditori che li hanno assunti, sono registrate nella banca dati del Viminale e sarebbe assurdo se facessero dichiarazioni difformi da quelle già presentate.

Per loro, dunque, non c’è regolarizzazione che tenga: potranno soltanto aspettare e, fino al momento dell’assegnazione della quota -possono passare ancora molti mesi - c’è il rischio di incappare in un controllo di polizia, con la conseguente denuncia all’autorità giudiziaria per reato di clandestinità e la doppia procedura (amministrativa e penale) di espulsione.

Il nostro Said, invece, ottenuto il nulla o sta dal Viminale dopo la domanda presentata tra il 1 ° e 0 31 settembre, seguirà la solita trafila: presenterà il contratto di soggiorno allo sportello unico per l’immigrazione e poi avrà dalla questura il permesso di soggiorno.

A quel punto sarà un immigrato regolare e potrà, anche dopo un solo giorno, dimettersi dal proprio lavoro di collaboratore familiare e riprendere a fare il muratore, stavolta con un regolare contratto. È uno scenario che fa comprendere perché ci sono stime minime di 300mila interessati alla regolarizzazione che arrivano però fino a 500mila. Ieri sono proseguiti gli incontri tecnici per le ultime limature sulle norme. Resta confermata la quota di 500 euro, forfait identico per italiani, comunitari ed extracomunitari. Questi ultimi dovrebbero aggiungere da 80 fino a 200 euro in più di tassa di soggiorno, ma se il Ddl sicurezza entrerà in vigore dopo la sanatoria dovrebbe rimanere il costo attuale, circa 70 euro. E rimane da definire l’assegnazione tra le amministrazioni interessate - Interno, Welfare, Economia e Inps - dei proventi del condono.

Immigrazione: permesso di soggiorno, a chi lavora stabilmente

di Benedetto Della Vedova (Deputato Pdl)

 

Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2009

 

Nel dibattito che ha portato all’approvazione del "pacchetto sicurezza" si è ribadito come sull’immigrazione le misure sull’immigrazione fossero finalizzate al contrasto della clandestinità e dei fenomeni criminali connessi. E che nessuno poteva invece interpretarle come un atto di ostilità nei confronti degli immigrati onesti venuti in Italia per lavorare. Con questo spirito, pugno d’acciaio contro la criminalità e integrazione per i lavoratori stranieri, ho convintamente sostenuto e votato il decreto sulla sicurezza.

Ora che ingresso e soggiorno clandestino nel nostro paese sono divenuti reato, però, si pone il problema delle centinaia di migliaia di persone extracomunitarie che lavorano stabilmente in famiglie ed imprese contribuendo, ancorché da irregolari, a sostenere l’economia italiana. È ragionevole fare di loro, e di chi li occupa, dei fuorilegge da perseguire secondo l’obbligatorietà dell’azione penale?

Sgombriamo il campo dall’obiezione che nella temperie economica che attraversiamo il ritorno in patria degli stranieri libererebbe posti di lavoro per gli italiani. Come ha scritto di recente Giuliano Cazzola, dopo un’analisi dettagliata sui numeri della crisi, "la conclusione è una sola: ci sono dei posti di lavoro che, anche in tempi di crisi violenta come l’attuale, gli italiani si ostinano a rifiutare. Se anche chiudessimo le frontiere con una nuova Muraglia cinese, quei posti resterebbero scoperti (nei servizi alla persona, nelle costruzioni, nell’agricoltura, nel turismo, ma anche nell’industria manifatturiera e nel commercio al dettaglio)".

Ciò significa che se "loro" se ne andassero saremmo tutti più poveri. "Chiudere un occhio" sui lavoratori avrebbe inficiato la credibilità delle nuove norme. Per questo, con sano realismo, il Governo si appresta a consentire la regolarizzazione di colf e badanti, le persone che si occupano di chi abbiamo più caro, anziani e bambini, e per le quali la condizione di "criminali" sarebbe difficilmente compresa dall’opinione pubblica.

Bene, ma non può bastare. Al di là delle considerazioni umanitarie e perfino di quelle di carattere giuridico costituzionale, infatti, la razionalità economica e il buon senso vogliono che lo stesso trattamento riservato alle badanti venga esteso anche ai mungitori, ai pizzaioli, ai carpentieri, ai magazzinieri.

Una sanatoria? Io preferisco chiamarlo "piano straordinario di regolarizzazione dei lavoratori stabili provenienti da paesi extracomunitari". Alla fine avremmo di sicuro meno clandestini da perseguire, un mercato del lavoro non viziato dalla concorrenza sleale nei confronti dei lavoratori regolari e un aumento delle entrate fiscali e contributive. Non mi pare un risultato disprezzabile.

Dobbiamo avere coraggio nell’azione di governo. La regolarizzazione non sarebbe debolezza ma pragmatismo e ci consentirebbe di concentrarci sull’obiettivo: sconfiggere la clandestinità e i suoi aspetti criminali per regolare, anche con una migliore selezione, i futuri flussi migratori.

"Siamo un paese di immigrati e siamo il paese della Legge: bilanciamo le esigenze". L’ha detto Obama per gli Usa, ma potrebbe valere, mutatis mutandis, anche per l’Italia.

Immigrazione: la storia; uscito dal "tunnel della clandestinità"

di Giovanni Carbone

 

www.ilmezzogiorno.net, 14 luglio 2009

 

Raggiungo il posto di lavoro servendomi del trasporto pubblico. La vettura inquina, impoverisce, impigrisce, abbrutisce. Dalla Stazione centrale di Napoli arrivo a piedi al Centro Direzionale dove ho incontrato un giovane sedicente ghanese con il berretto teso per raccogliere moneta. Un paese civile contrasta l’accattonaggio. A Napoli c’è un mendicante ad ogni angolo, fuori ciascuna Chiesa o ciascun supermercato o ciascun cimitero. Di solito, i caporali li sbarcano dal loro furgone e li collocano nei posti più strategici in cambio del trenta percento del ricavato.

Da dove vieni? Dal Ghana. Da quanto tempo sei qui in Italia? Nove mesi. Come ti chiami? Mathew, ovvero Matteo. Non parli italiano? No. Domani mattina ti ritroverò qui? Sì. Ti darò una serie d’informazioni.

L’indomani mattina l’ho ritrovato al solito posto. Gli ho dato un manuale utile a conoscere i luoghi dove mangiare, dormire, lavarsi, ricevere indumenti. Io stesso l’ho accompagnato alla mensa dei Carmelitani di Piazza Mercato. Qui ha avuto istruzioni di come utilizzare il servizio mensa. Di buonora può godere della prima colazione e ritirare il ticket che gli consente di mangiare un pasto in uno dei due turni di mezzogiorno. Il giovane, che ho conosciuto con gli occhi della disperazione, appariva ossigenato dall’interessamento nei suoi riguardi ma anche diffidente perché incredulo, dopo tante sofferenze patite, della gratuità del mio impegno.

 

Le associazioni umanitarie

 

L’ho poi accompagnato alla Gesco Sociale, un’agenzia di promozione sociale e di sviluppo senza perseguire fine di lucro, ubicata nel palazzo dell’Inpdap di Poggioreale. Si rivolga a Dedalus due piani più su, sono meglio organizzati per questo tipo di esigenza. Dedalus ci ha inviati invece ad un’altra associazione sita in Corso Garibaldi. Ahinoi, c’interessiamo soprattutto di minori. Per questo caso sarà risolutivo rivolgersi all’associazione che si trova in Santa Maria la Nova. Qui incontriamo Marco, un addetto dell’Onlus, che grazie ad un progetto legalmente riconosciuto, ha dichiarato Matteo residente presso la sua associazione. Marco lo ha pure identificato compilando i dati in un’apposita scheda.

 

La storia del nigeriano "ghanese" venuto da Lampedusa

 

Dal colloquio in inglese è venuto fuori che Matteo di 25 anni ha raggiunto, in un classico barcone e solito calvario, Lampedusa, dove gli è stato rilasciato un permesso di soggiorno come rifugiato che gli scade a dicembre. Entro tale data, Matteo, se vorrà beneficiare di un ulteriore permesso di soggiorno, dovrà provare alla Commissione presso la Questura di Caserta le difficoltà che lo hanno costretto a espatriare e che gli rendono difficile il rientro.

La sua storia continua. La madre, del Ghana, sembra sia stata uccisa. Anche il padre, nigeriano, è deceduto. Ha delle sorelle, una convivente ed una bambina che ha visto fino a pochi mesi. Attualmente di un anno, la bambina è gravemente malata per ignota causa, come gli è stato comunicato in questi giorni. Di fatto Matteo viene dalla Nigeria, anche se sente di appartenere di più alla cultura del Ghana dove pare abbia vissuto alcuni periodi.

 

I clan nigeriani

 

D’altra parte, dire di essere nigeriano non l’aiuta: i pregiudizi aumentano vorticosamente e, a torto o a ragione, anche l’ostilità. Ha poi raccontato di aver trovato a nero, nei pressi di Forcella, un posto letto in una stanza occupata già da altri due nigeriani per la cifra di € 250 mensili. Per tanto è obbligato a raccogliere molte monetine nel mese, indispensabili a far fronte alle varie necessità. Matteo termina il colloquio raccontando i fatti che gli sono accaduti proprio di recente.

Un gruppo di connazionali, provenienti da Castelvolturno e in giro per Napoli, lo avrebbero individuato e assaltato. Lo stesso gruppo qualche tempo prima pretendeva che lui Matteo facesse parte della loro gang. Sembra che gli avessero dato anche dei soldi. Pur di non far parte del clan Matteo gli avrebbe però reso l’importo. Di qui l’atto intimidatorio dei nigeriani e la volontà del giovane di volerli denunciare. Marco gli ha fissato, a questo punto, un appuntamento con un legale disponibile a seguirlo convenientemente. A colloquio concluso, chiedevo a Marco di inserire Matteo in qualche corso di recupero scolastico e/o un corso di lingua italiana. Il periodo estivo ha rinviato la richiesta.

 

Il percorso di regolarizzazione

 

Intanto con la residenza è stato possibile ottenere, il giorno dopo, il codice fiscale e avviare la procedura per procurarsi la tessera sanitaria. Il lunedì mattina ho condotto Matteo all’ASL di via De Gasperi che si è detta incompetente. Quella interna all’ospedale Gesù e Maria rilascia la tessera a chi è privo di permesso di soggiorno. Quella di Piazza Nazionale ci ha mandati in Via Cesare Battisti presso la ASL, finalmente giusta al caso. Dopo una prima fila, siamo scesi per provvederci della copia del Codice Fiscale, della residenza e del permesso di soggiorno. Fatta una seconda fila gli è stata rilasciata la tessera incompleta del timbro che viene apposto nella sede di Via De Gasperi. Un iter burocratico incomprensibile e che lascia senza parole. Da italiano ho trovato complicato percorrere le varie tappe dell’assurdo labirinto!

Il medico di base nominato fa studio in Piazza Mercato nei pressi della mensa dei Carmelitani. Qui abbiamo incontrato il carmelitano don Domenico della Tanzania. Mi ha raccomandato di accompagnare Matteo alla Curia dove incontrare un sacerdote che s’interessa dei nigeriani. Mi ha pure suggerito di interpellare le suore di Madre Teresa di Calcutta che ospitano chi è senza fissa dimora.

 

Gli immigrati conoscono solo piazza Garibaldi e il centro Direzionale

 

Mercoledì, intorno alla mezza, per una serie di casualità, ho rivisto Matteo, il giovane migrante, uscire dalla mensa dove aveva appena pranzato e che nel primo pomeriggio, come d’accordo, aveva l’appuntamento con l’avvocato a Santa Maria la Nova. Ho colto l’occasione per fargli conoscere, nello spacco, un po’ la città. Siamo arrivati a San Martino servendoci del trasporto pubblico. In questa circostanza, ho avuto prova che Matteo conosceva di Napoli Piazza Garibaldi e il Centro Direzionale. Di fronte alla funicolare è rimasto esterrefatto. Al Vomero ha avuto l’impressione di stare in un altro mondo. Gli si è mozzato il fiato al cospetto del golfo di Napoli visto da San Martino. Avrebbe voluto scattare foto a iosa.

Ahimè, impreparato, non avevo l’apparecchio fotografico. Siamo quindi ritornati alla funicolare per scendere in Piazza del Largo Palazzo (p.zza Plebiscito). Una breve tappa e via per Santa Maria la Nova. Intorno alle quattro pomeridiane Matteo è stato ricevuto dal legale che si è riservato. Intanto informavo Marco sull’opportunità di un eventuale appoggio di Matteo presso le suore di Madre Teresa di Calcutta. Prima prova presso questo indirizzo - mi ha detto. Cosa che abbiamo fatto il giorno successivo.

 

La gratitudine

 

In questa strada del vasto e al secondo piano dello stabile indicato, sulla porta c’era affissa la tabella del Comune di Napoli. All’accettazione ci è stato riferito: troverete a giorni un posto letto nella nostra struttura di una traversa di via Duomo. Sono stato anche lì. 12 posti letto per quelli senza dimora, due o tre per stanza, sala televisione e servizi igienici. Insomma, una bella fortuna. Trovandoci in Via Duomo, ci siamo recati alla Curia dal sacerdote indicatoci dal carmelitano. Non l’abbiamo trovato. Su ulteriori indicazioni abbiamo invece raggiunto in un ufficio distaccato della Curia e negli stessi paraggi, una suora abile a dialogare in inglese che previo l’esibizione dei documenti originali prometteva a Matteo il suo sostegno nella ricerca di un posto di lavoro. All’uscita Matteo ha finalmente esternato la sua gioia oramai non più comprimibile: Signor Giovanni, mi hai cambiato la vita! Chiaramente l’ho spronato a rivolgere i suoi ringraziamenti al buon Dio.

I miei amici Nella e Mario, titolari di un affermato negozio di oggettistica nei dintorni di Piazza Garibaldi, hanno potuto costatare giorno per giorno l’evoluzione del caso. Hanno sicuramente inneggiato al successo ottenuto con tenacia e competenza. Matteo ha forse recuperato speranza e soprattutto dignità. La dignità di essere un soggetto capace di scrivere la propria storia e non un oggetto vagante tra una sventura e l’altra! Una considerazione unanime e spontanea! Oggi Matteo può contare su una rete di affetti, su trasparenti punti di riferimento. Può contare su se stesso divenuto un po’ più padrone della città e delle sue risorse. Può contare sull’amore e su un Dio che gli ha aperto la porta in un momento di profondo scoramento.

 

I clandestini in carcere costano più che aiutarli umanamente

 

Alcune considerazioni sono d’obbligo. Perché l’esistenza di tanti labirinti? Per evitare il superaffollamento nei vari servizi e strutture? O perché a beneficiare dei servizi devono essere i soliti pochi fortunati? Perché la mancanza di accessibili informazioni? È la strategia idonea a scoraggiare la numerosa utenza? Perché incoraggiare l’accattonaggio? La perdita della dignità, che porta ad atti inconsulti, non è tanto grave rispetto al guadagno realizzato? Perché lasciar sviluppare vertiginosamente il volontariato? Non sarebbe più utile riorganizzare gli stessi volontari delle innumerevoli associazioni, spesso accattone, in centri meglio rispondenti con maggiori garanzie? Apparentemente il volontariato nasconde la disoccupazione, rende possibile il precariato, libera dalle responsabilità l’autorità che delega ai privati, ma quanta ingiustizia foraggia, quell’ingiustizia che degenera e fa danni superiori. Il volontariato concepisce figli e figliastri. Gratifica chi? Quanti? A conti fatti, rimpiazzando ciascuno al proprio posto verrebbe fuori un’organizzazione meglio produttiva e più giusta a beneficio dei più. Il volontario autentico dà direttamente il suo contributo allo svantaggiato. Non si serve dell’intermediario. Il benefattore che ama se stesso, ama anche il suo prossimo, chi gli sta nel cuore. Sa che lo svantaggiato non ha solo bisogno di denaro. Né si sciacqua la coscienza con un euro da regalare oggi ad una domani ad un’altra delle 230.000 associazioni.

 

Una volta fuori dal carcere i clandestini diventano latitanti e forza lavoro per i clan

 

Una notizia dell’ultima ora riferisce sulla volontà del governo a costruire carceri nuove! Dove lo svantaggiato costa alla collettività oltre € 300 al giorno!

Stati Uniti: tre detenuti evadono da carcere massima sicurezza

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

L’Indiana State Prison è un carcere di massima sicurezza nell’omonimo stato americano, ma questo non ha impedito a Lance Battreal, 45 anni, Charles Smith, 48, e Mark Booher di evadere usando la rete di tunnel e condutture sotto la prigione. L’allarme è scattato domenica mattina e la caccia all’uomo è scattata immediatamente. Cosa li ha spinti ad evadere è piuttosto semplice: i tre avrebbero potuto avanzare la richiesta per la libertà condizionale soltanto nel 2045. Battreal era stato condannato a scontare, nel 1998, 70 anni di carcere per stupro, stalking e fermo illegale di persona, Smith, invece, aveva ucciso una persona e per questo stava scontando 95 anni di carcere. Booher, per omicidio e rapina a mano armata, era stato condannato, nel 1999, a ben 85 anni di carcere. Uno di loro, Charles Smith, è stato già preso mentre si aggirava nei pressi della villa estiva del sindaco di Chicago, non è chiaro con quali intenzioni. Degli altri due, invece, ancora nessuna traccia.

Brasile: "Ala dos viados"; creata una Sezione per omosessuali

 

Ansa, 14 luglio 2009

 

Il carcere brasiliano di Sao Joaquim de Bicas, alla periferia di Belo Horizonte, ha inaugurato oggi un braccio riservato unicamente a transessuali, travestiti e gay. "L’ala dos viados", come è stata soprannominata, ospita attualmente venti detenuti in dieci celle. Gli omosessuali avevano chiesto ripetutamente in passato di esservi trasferiti. Gli ospiti dell’ala speciale godono di alcuni privilegi, come quello di poter lasciarsi crescere i capelli. Il braccio del penitenziario è stato creato a titolo sperimentale su richiesta della segreteria di diritti umani del governo di Minas Gerais, e la formula potrebbe estesa ad altre prigioni brasiliane se avrà successo.

Stati Uniti: e per Madoff nessun carcere di massima sicurezza

 

Agi, 14 luglio 2009

 

Bernard Madoff, il finanziere condannato a 150 anni di carcere lo scorso 29 giugno per aver architettato la più grande truffa della storia di Wall Street, non finirà i suoi giorni, come temeva, in un carcere di massima sicurezza, ma sarà recluso nel penitenziario di Butner, North Carolina, fiore all’occhiello del sistema penitenziario americano. Lo riporta la rete televisiva Abc.

Persone vicine a Ruth Madoff, la moglie del 71enne truffatore, hanno riferito che la donna sarà "molto sollevata" dalla notizia. Madoff, autore di una frode basata sullo "Schema Ponzi" valutata tra i 50 e i 65 miliardi di dollari, avrebbe inoltre confidato ai suoi amici di vedere la sua detenzione come una "nuova avventura", simile alla sua esperienza di sottotenente nell’esercito Usa a Fort Bragg, negli anni 60. Ironicamente, Fort Bragg si trova non lontano dalla prigione dove l’ex presidente del Nasdaq trascorrerà quel che gli resta da vivere.

 

 

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