Vita - 16 aprile 2004

 

Dopo 28 anni di carcere, ho ritrovato la vita

 

Vita 16 aprile 2004

 

Il carcere insegna prima di tutto una gran cosa… mai dire mai. Neppure il tuo fine pena è lontanissimo, neppure quando la vita pare non riservarti più niente. Ho visto gente che si riteneva "perduta" e che è riuscita a ritrovarsi e a riallacciare i ponti con la vita: questo, in fondo, racconta la testimonianza che segue, di un detenuto che di carcere ne ha fatto tanto, e ancora ne deve fare, eppure, cominciando a intravedere una "normalità" di sentimenti e di relazioni con i primi permessi, ha riscoperto la voglia di smetterla di sopravvivere e di cominciare a vivere.

 

Ornella Favero

 

Descrivere quali emozioni si provano nel tornare liberi, con i primi permessi, dopo tanti anni di carcere è qualcosa di molto complesso, perché si è investiti da tutta una serie di sensazioni e riscoperte che attraversano anche fisicamente il corpo e la mente, tali da renderti per quella prima volta "fulminato" psicologicamente, come se quello che vivi non fosse reale. Poi, dopo le successive uscite, tutto diventa più tranquillo e sereno, anche se si moltiplicano le attese e il desiderio di tornare definitivamente alla vita libera si fa sempre più forte e la sofferenza, anche fisica direi, sembra devastare ogni cosa. Sono una persona che ha scontato quasi 28 anni di carcere, e quindi la mia vita è già profonda gli amori.

Qualcuno però mi ha insegnato a non essere troppo assoluto nelle mie convinzioni. Mi sono allora confrontato con i miei sentimenti scivolando piano piano in una dimensione di totale corrispondenza sentimentale con il mondo me mi circonda, scoprendo aspetti della mia personalità che neppure immaginavo esistessero. Innanzitutto la famiglia, tutte quelle persone che adesso sono tantissime ed erano sconosciute, per me gli anni hanno quintuplicato le figure di riferimento parentali, e la famiglia è diventata l’unico punto fermo dove riversare la necessità di dare e ricevere affetto, di sentirsi nonostante tutto ancora parte integrante di un mondo che oggettivamente non ci apparteneva più. Sarò più chiaro: ero sicuro di non uscire più dal carcere, considerata la condanna iniziale da scontare, e davo tutto per perduto, attaccandomi disperatamente all’unica cosa che rimaneva certa: la famiglia.

Ho trovato l’abbraccio di una donna innamorata, in un rapporto consapevole e maturo, ma non per questo meno importante e profondo. Sono ben consapevole delle difficoltà da affrontare, ma noto che l’impatto è stato veramente decisivo, e adesso mi sento pronto a vivere questa fase della mia vita in modo diverso, non solo perché mi conviene, considerato il fallimento di un’esistenza consumata in carcere, ma perché soprattutto ho ritrovato delle motivazioni, dei valori che credevo non mi appartenessero.

 

Alessandro Pinti - Casa di Reclusione di Padova

 

 

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