Vita - 23 aprile 2004

 

La condanna di mia figlia e la sua sincerità

 

Tra una madre in carcere e una figlia fuori c’è un delicato rapporto, che fa testimonianza che segue, di una donna detenuta a Venezia, mette a nudo in tutta fa sua complessità: le madri sanno che le figlie le giudicano, e accettano la loro severità, accettano di essere "messe in riga" dalle loro giovanissime figlie, e sanno che di fronte a loro non possono cercare giustificazioni. Le attenuanti, in questo caso, non sono ammesse, meglio la sincerità e la forza di assumersi le proprie responsabilità.

 

Ornella Favero

 

Quando mi anno arrestata in Germania, a casa mia non sapevano niente, per fortuna ho trovato un avvocato bravo che ha telefonato a mia sorella e le ha detto cosa mi era successo. Per i primi due mesi solo lei e il mio compagno hanno saputo che ero in carcere; dopo un po’ ai miei genitori il mio silenzio ha iniziato a sembrare strano, perché comunque di solito, quando andavo in giro per il mondo, gli telefonavo sempre. Quindi hanno capito che c’era qualcosa che non andava. Mia figlia invece non ha mai fatto domande, mia figlia ha un sesto senso per le cose. È molto discreta come ragazzina, si fa gli affari suoi però capisce bene le cose senza bisogno di dirle niente.

Io l’ho vista dopo un anno che sono stata arrestata, perché non ho voluto che venissero in carcere a Norimberga. Era troppo squallido e c’era il vetro in mezzo ai colloqui. Invece nel secondo carcere dove sono stata era una cosa già più umana. Ho fatto due ore di colloquio dopo un anno che non vedevo la mia famiglia, ed è stata una cosa toccante, perché mia figlia aveva voglia di vedermi e si capiva, ma poi a fasi alterne abbiamo litigato pesantemente per lettera, anche perché lo scorso anno si è fatta bocciare a scuola e questa cosa lei l’ha vissuta come un abbandono da parte mia, e infatti mi ha detto: "Se tu non facevi la stronzata che hai fatto, Stavi con me".

Giusto! Io ho sempre tenuto conto del giudizio di mia figlia, e quando lei mi ha condannato ho accettato il suo giudizio molto di più della condanna del giudice. Poi ci siamo chiarite quando sono venuta qui in Italia, e adesso le cose vanno abbastanza bene. Lei però mi considera sempre come una testa matta. Io un giorno le ho chiesto se si vergognava di me e lei mi ha risposto: "È inutile, mamma, che io subisca il giudizio degli altri per una cosa che non ho fatto io".

Suo padre, e morto quando lei era piccolissima e lei ha avuto il periodo del "Oh come sono sfortunata, io sono senza papà" e si stava molto adagiando su questa cosa, e io allora ho fatto l’azione contraria, dicendole: "Ascolta, anch’io sono senza marito, però non mi piango addosso. Siamo noi due. Dobbiamo tirarci su le maniche e andare avanti, perciò niente piangersi addosso". Probabilmente questa cosa che io le ho sempre ripetuto le è entrata in testa.

 

Paola Marchetti, Istituto Penale Femminile Giudecca

 

 

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