Vita - 21 novembre 2003

 

A San Vittore i tossicodipendenti non vivono in abbandono

 

Ci sono carceri dove le condizioni sono particolarmente pesanti, e San Vittore è indiscutibilmente, per il sovraffollamento e il degrado, una di queste. Però a San Vittore c’è almeno ancorala voglia di sperimentare e di tentare strade nuove. Il reparto La Nave per i tossicodipendenti è esattamente questo, un modo di affrontare il problema della tossicodipendenza a partire dalle persone, dando loro delle condizioni di detenzione decenti e delle prospettive per il dopo carcere. Certo ci sono dei limiti, prima di tutto nel numero ristretto di detenuti che possono accedere a realtà come queste, ma in ogni caso qualche volta è giusto anche parlare di esperienze che fanno vivere la carcerazione in modo meno desolante. È questo è il caso della Nave, come dimostra la testimonianza che segue, tratta da L’Oblò, il giornale realizzato dai detenuti di quel reparto di San Vittore.

 

Ornella Favero

 

Ho 38 anni, alle spalle una lunga storia di tossicodipendenza, oltre che di carcerazioni. Dal dicembre 2002 sono stato selezionato per il reparto La Nave, dove possono essere ammessi i detenuti tossicodipendenti, in qualsiasi fase dell’iter giudiziario, attraverso trattamenti personalizzati che proseguono anche in regime d’esecuzione penale esterna. Prima di salire in reparto si sottoscrive un vero e proprio contratto, dove il detenuto si impegna a rispettare poche ma precise regole, tra le quali la partecipazione alle attività, il rifiuto di ogni comportamento violento, l’impegno a non usare sostanze. Una volta giunti in reparto si trascorre un periodo d’osservazione di circa tre mesi, al termine del quale gli operatori valutano l’effettiva adesione al contratto in tutte le sue forme.

Tutte le attività servono non tanto per farci passare il tempo in modo migliore, ma per ridare un senso al tempo e alla preparazione al mondo delle regole del fuori. Tutto quindi viene vissuto in modo responsabilizzante e autonomo, tanto che i detenuti stessi si preparano ad accogliere e a svolgere un ruolo di peer support nei confronti dei nuovi che arrivano in reparto.

Al reparto La Nave il risveglio mattutino non è così penoso come in altri raggi, sezioni o bracci che dir si voglia. Aprendo gli occhi non si ha quel senso fastidioso di disagio, guardarsi attorno è quasi piacevole, a patto che lo sguardo eviti di soffermarsi sulle finestre, perché le sbarre immediatamente ci ricordano dove ci trovi.

In ognuno degli spazi della sezione puoi respirare tutta l’aria che vuoi, l’odore non sarà mai quello di galera. Forse c’è un altro modo di fare la propria carcerazione, forse tutto il tempo che stupidamente abbiamo buttato via in qualche modo si può, non dico recuperare, ma almeno riscattare, per noi stessi, per i nostri cari, le nostre donne e i nostri figli, che di certo soffrono per noi.

 

Francesco Ghelardini, redazione de L’Oblò

 

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