Vita - 18 aprile 2003

         

Quando sarò fuori ho proprio paura che sarò solo, molto solo

 

I conti in carcere sono quasi sempre una fonte di angoscia: si sta male a contare gli anni già passati in galera, quelli ancora da passare, si sta ancora peggio se si calcola quello che si è perso in tutto questo tempo, come succede nella testimonianza che segue, dove un detenuto di Treviso, sommando le ore di colloquio con i familiari in 20 anni trascorsi dietro le sbarre, arriva a fatica a due mesi. E così nasce la paura del fine pena: cosa succede, quando dopo tanti anni una persona torna a casa, invadendo la vita dei suoi cari e cercandosi un ruolo, che nessuno riesce più a riconoscergli?

 

Ornella Favero

 

Uno come me, che è dentro da tanto, tanto tempo, e ne ha passate di tutti i colori, protestando per ottenere i propri diritti da detenuto, dopo tanti anni di detenzione, con l’approssimarsi della possibilità di uscire, viene colto dai dubbi… o, più che altro, da tante paure. Come sarà una volta fuori? Sei lì che cominci a costruire il futuro… ed ecco presentarsi le paure… Sarò all’altezza di mantenere quelle promesse, realizzare quei progetti che faccio assieme ai familiari quando vengono a trovarmi ai colloqui?

La mia sarà una intromissione nella loro quotidianità, anche se in 20 anni mi sono sempre stati vicini? Mi sono fatto i calcoli: quattro ore di colloquio al mese... in pratica, in tutto questo tempo, ho passato con i miei circa due mesi.

Mio figlio mi conosce solo "virtualmente", anche se ci siamo raccontati sempre tutto. La realtà è ben diversa da come l’ho lasciata, i miei familiari ormai hanno costituito altre famiglie, ho una certa paura di essere considerato un intruso che si affaccia nelle loro vite. Non sarà facile. La mia paura principale è di non riuscire a farcela. La vita "fuori" è dura, molto facilmente si può essere costretti a ricadere. A tornare a essere recidivi.

Questo è un fatto che mi è capitato: ricordo che, nella banda opposta alla nostra, c’era un ragazzo che aveva un fratello molto più grande di noi, e da tutti noi era considerato un duro perché, per rapina e omicidio, si era già fatto tanti anni di galera. Alcuni di noi lo conoscevano di fama, altri perché abitavano nella stessa via.

Quindi, era uno che era temibile e che sapeva il fatto suo. Una volta, lui intervenne per mettere pace tra le due bande (noi allora le chiamavamo batterie); eravamo ragazzi cresciuti nello stesso quartiere, e tutti, vedendolo venire verso di noi, dallo spavento abbiamo reagito immediatamente, mandandolo all’ ospedale. Solo dopo ho saputo che le sue intenzioni erano di fare da paciere, ma noi non potevamo saperlo che lui era cambiato. Questa è una delle tante paure che ho, nell’affrontare il problema della mia prossima uscita, anche se l’attesa è ancora un po’ lunga.

 

Mario Salvati, Carcere di Treviso

 

 

 

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