Vita - 11 aprile 2003

         

Educare, ne val sempre la pena

In qualsiasi circostanza

 

Questa volta diamo spazio alla voce di una insegnante che opera nella Casa Circondariale di Ancona: le sue riflessioni fanno vedere che la scuola in carcere ha un ruolo fondamentale nel dare un senso alle giornate di tanti detenuti; nello stesso tempo, aiutano a capire che non è semplice insegnare a persone adulte, che hanno sì tanto tempo "libero"; ma vivono in una tale situazione di precarietà, per quel che riguarda la salute, gli affetti, le prospettive per il futuro, da riuscire con grande fatica a concentrarsi sullo studio. Allora, anche per gli insegnanti c’è tanto da imparare se si insegna in carcere: soprattutto, bisogna abbandonare ogni schema e rigidità, per dare spazio alle persone più che ai programmi e per cercare di conciliare il disagio e la scarsità di risorse con il bisogno di fare ugualmente una scuola di qualità.

 

Ornella Favero

 

Insegnare in carcere è stata per me un’esperienza cruciale. Comprensibile, riflette l'estraneità, il divario che si frappone fra buoni e cattivi nella nostra società. Insegnare a persone che hanno sbagliato, che spesso non hanno più speranza di uscire, pone innumerevoli interrogativi.

Il primo riguarda l'opportunità di un'azione educativa. Qualsiasi insegnante non dovrebbe avere dubbi in merito: la cultura vale sempre la pena, in qualsiasi situazione. Il secondo concerne la metodologia. Esiste una cena confusione circa il tempo che chi si trova rinchiuso ha a disposizione. Dall'esterno si ritiene che le ore da riempire costituiscano una risorsa, mentre nella realtà il continuo disturbo, la preoccupazione per i parenti, l’affollamento e allo stesso tempo l'estrema solitudine, tendono l'ambiente il meno adatto alla riflessione e allo studio.

Appunto, il tempo, una dimensione sospesa tra confusione, noia, mancanza di attività. Noi fuori non ne abbiamo mai abbastanza. Lavorare con chi ha tanto tempo fa effetto, soprattutto all'inizio. Ho imparato ad aspettare, a capire che chi è rimasto indietro non lo dice, ma preferisce non capire piuttosto che rimanere messo da parte.

Ho capito il valore del silenzio, grande assente in un luogo rumoroso come il carcere. Chi non parla non è che non ha qualcosa da dire, semplicemente spesso lo dice in modo diverso. Insegno inglese, che di solito è un ostacolo insormontabile. Ho imparato che non conta quanto insegni, ma come ti rivolgi alle persone. Un atteggiamento fiducioso, solare, "rende" di più che insegnare in modo freddo, trasmettendo solo delle competenze.

La gentilezza e il saper ridere insieme agli alunni neutralizza possibili polemiche e aiuta a passate le ore di scuola in modo lieto, quasi lasciando da parte le preoccupazioni.

 

Georgina Lovera

 

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