Vita - 20 settembre

 

La piccola e inutile tortura dell’isolamento. Persino da Dio

 

 

L’isolamento diurno è una pena accessoria all’ergastolo. La testimonianza di Mario, ergastolano, fa ben capire quanto sia assurdo, dopo tanti anni di galera e un difficile percorso per ricostruirsi una vita, dover scontare due anni in isolamento, soli a marcire in carcere senza scambiare una parola con nessuno, senza lavorare, senza andare a messa.

 

 

Ornella Favero

 

 

Sono detenuto dall’83, quello era un periodo molto caldo a Milano, non per la temperatura alta, ma per gli scontri a fuoco che avvenivano tra bande rivali. In quegli anni, per certi ragazzi che vivevano d’espedienti, e che facevano parte di qualche "batteria" (banda), non c’erano molte alternative: o morivi, o finivi in galera per tanto tempo. Sono in gattabuia da quel periodo, senza mai uscire, neanche per assistere a nascite o morte dei miei cari. È la punizione per i danni che ho fatto quando avevo poco più di 25 anni. Li sto pagando, e a che prezzo.

Vent’anni sono tantissimi, se qualcuno mi chiede com’è la società fuori, non saprei neanche rispondergli, ho dimenticato tutto. Quello che però posso fare è spiegare com’è la vita di un detenuto. Tutto è segnato da tempi ben precisi che raramente ammettono errori. Alle 9 l’apertura dei cancelli, si può andare all’aria, che poi sono degli scatoloni, all’incirca 20 metri x 10, nei quali si cammina avanti e indietro. Sono sicuro che se qualcuno vede dal di fuori queste insensate passeggiate, pensa che siamo diventati matti: fare su e giù in quelle vasche di cemento ricorda molto le attività concesse ai criceti nelle loro gabbiette.

In ogni istituto dove sono stato trasferito, ho sempre frequentato dei corsi, e dove c’era la possibilità ho lavorato. Quindi il mio comportamento è da persona reinserita, e presto, anche se sono un ergastolano, potrei uscire secondo i termini di legge. Ma questo non è possibile perché ho in sentenza due anni di isolamento diurno. Non bastava l’ergastolo? Pare di no! Ora per due anni non potrò più parlare con nessuno, frequentare i corsi, o lavorare. Non potrò più neppure andare a messa. Due anni in questo modo, non so se ce la farò, li vedo molto pesanti. Sono una persona socievole, abituata a scambiare due parole con tutti: dire e ricevere una parola di conforto dagli altri, confrontarmi con loro è per me importante.

Questa condanna mi fa perdere ogni speranza, e rischia anche di distruggere tutto il lavoro fatto in questi anni per crearmi il desiderio prima, e la possibilità, poi, di un futuro decente da persona onesta. Due anni così sono tanti! Speriamo di non impazzire prima. In questa misura punitiva, non c’è risarcimento, né nei confronti delle famiglie delle vittime, né nei confronti della giustizia.

 

 

Mario Salvati - Carcere di Tolmezzo

 

 

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