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"Fine amore: mai"

 

Un film sugli affetti negati realizzato a San Vittore: ce lo raccontano i detenuti e il regista

 

La parola ai detenuti-autori di "Fine amore: mai"

 

"Fine Amore: Mai" è un mediometraggio ideato in carcere dai detenuti del corso per audiovisivi. Precedentemente, avevamo realizzato un’opera analoga, sui temi penitenziari, nel 1998, dal titolo Campo Corto, presentato fuori concorso al festival del cinema noir di Courmayeur.

Questa seconda esperienza nasce dal nostro incontro con il regista Davide Ferrario, che era stato invitato a tenere delle lezioni sul montaggio cinematografico. Si è instaurato da subito un rapporto di amicizia, che ha portato a iniziare un film fuori dagli schemi del corso, per il quale Davide ci ho fornito una sorta di supervisione artistica, lasciando che le storie e il tono nascessero direttamente da noi. A un certo punto, dato che li conosceva, Davide ci ha chiesto se ci sarebbe piaciuto avere nel film, come "comparse", Aldo Giovanni e Giacomo. L’idea ci è piaciuta, ovviamente, e abbiamo scritto delle storie apposta per loro, che hanno aderito al progetto con entusiasmo.

Il tema del film, molto sentito nell’ambiente della restrizione, è chiaramente semplice da descrivere attraverso quanto viene vissuto nelle carceri, ma molto meno semplice da portare visivamente all’attenzione di un pubblico esterno.

Abbiamo provato, in modo pirandelliano, a mostrare la mancanza di amore e degli affetti tra l’ironia e il gioco, scherzando addirittura sull’omosessualità che potrebbe subentrare per i desideri repressi.

Non manca nel film la parte tragica, descritta con la storia dei genitori che lasciano una lettera al figlio di tre anni, che viene mandato in affido, decidendo entrambi di suicidarsi per quel terribile distacco. Fatto, ahimè, realmente accaduto. Infine, la ripresa di un vero matrimonio tra detenuti fa comprendere il desiderio di avere una famiglia anche per chi vive l’assurdo di una condanna "a vita". Ma il titolo del film, che appare in coda, dissolve l’inutilità di quel "Fine pena: mai".

Noi detenuti abbiamo messo il nostro impegno affinché gli addetti ai lavori capiscano l’ingiustizia dell’allontanamento dagli affetti, non solo per chi resta dietro le sbarre, ma anche, e molto più drammaticamente, per chi rimane all’esterno ad attendere. Con questo mediometraggio non abbiamo inteso giustificare il percorso di una persona che prende una strada "deviante"; o discutere se sia o meno utile il carcere; ma vogliamo dire che in ogni essere umano vi è la parte buona, quella alla ricerca dell’amore che incomprensibilmente viene negato.

 

Santino Stefanini, Marcelo Nieto, Vincenzo Verzillo, Marco Medda e tutti i nostri compagni che hanno partecipato alla realizzazione del film 

L’esperienza raccontata dal regista Davide Ferrario

 

Ho cominciato a frequentare il carcere di San Vittore un paio di anni fa, invitato a una lezione sul montaggio, nell’ambito del corso di formazione professionale organizzato dalla Regione e dal CFP Vigorelli. Sono stato subito colpito dall’umanità dei partecipanti al Gruppo Audiovisivi e dei loro compagni. Da allora inventiamo storie, piccoli episodi di vita carceraria e li mettiamo in scena. Questo è fino ad oggi il nostro lavoro più complesso. Parla di ciò che, con termine burocratico, si definisce "affettività in carcere". Noi si preferisce chiamarlo amore, in tutte le sue accezioni.

Fine amore: mai fa il verso a una delle più temute locuzioni carcerarie: "Fine pena: mai". Di per sé, è già una dichiarazione di principio.

Di amore i detenuti hanno cercato di parlare con ironia e consapevolezza, spesso con comicità, in prima persona. Questo non è un documentario, tanto meno un’inchiesta o un reportage: anche se nemmeno noi sappiamo esattamente come definirlo. Il carcere evoca scenari di degrado umano, tristezza, claustrofobia. Non che questo sia assente, all’occhio di chi varca la soglia di San Vittore. Ma più di tutto, in questi due anni di frequentazione della prigione milanese, sono stato colpito dalle cose "buone" che la condizione carceraria costringe a tirar fuori – pena una disperazione senza fine e senza fondo che conduce, come purtroppo talvolta capita, al suicidio.

Il dolore, esperienza quotidiana del detenuto, si trasforma per esempio in ironia. Un’ironia piena di compassione e di umanità, come è ormai difficile trovare "fuori". Sarà che nella società la regola è la sopraffazione, mentre in prigione – per sopravvivere – non può che essere la solidarietà...

Il pendolo del film batte continuamente tra ironia e dolore, spesso fuori dai luoghi comuni a cui ci abituano i film e i telefilm sul carcere. Sono sempre stupefatto, ogni volta, dalla vita che pulsa dietro il portone di piazza Filangeri. È come se ogni sentimento, bello o brutto, là dentro fosse più vero. La detenzione spazza via le maschere e ti costringe a guardarti per quello che sei: e a darti delle nuove risposte. Una di queste, la più positiva, è l’amore. Ed è paradossale che di questo amore, alla faccia di tutti i discorsi sul "recupero", la società non sappia che farsene.

 

"Fine amore: mai" - Realizzato dai detenuti e dalle detenute del Gruppo Audiovisivi del carcere di San Vittore, Milano, coordinato da Davide Ferrario

 

Storie e sceneggiatura: Marcelo Nieto, Santino Stefanini

Montaggio: Vincenzo Verzillo

Musica originale: Pedro Alvarez

Supporto: video, 16mm

Durata: 40 minuti

Prima presentazione: Torino Film Festival, 24 novembre 2001

 

 

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