Prospettive lavoro

 

Stucchi e tinte pastello riscaldano la sala colloqui

E i detenuti si "diplomano" decoratori

 

A cura di Marino Occhipinti

Nei mesi scorsi, un gruppo di detenuti del Due Palazzi ha preso parte al corso di decorazione nell’edilizia finanziato dalla Provincia di Padova. Impegnati in quattrocento ore di lezioni teoriche e applicazioni pratiche, gli allievi hanno vivacizzato e ingentilito con le loro decorazioni le sale colloqui, prima desolatamente spoglie, imparando i fondamenti di un’attività professionale spendibile sul mercato del lavoro

 

C’eravamo anche noi di Ristretti in auditorium, alla consegna degli attestati del corso di "decorazione nell’edilizia" che si è svolto nei mesi scorsi in questo carcere. Attraverso le testimonianze dirette dei partecipanti e degli organizzatori, volevamo capire come è nata quest’attività, che prosegue ormai da qualche anno e che ha visibilmente trasformato diverse aree del carcere: la chiesa, l’auditorium, i corridoi, le sale colloqui. Volevamo capire, più ancora, se davvero questo corso è in grado di offrire ai partecipanti concrete opportunità lavorative, una volta scontata la pena. Nelle carceri italiane, infatti, i corsi più o meno "professionali" non mancano di certo, ma ben pochi sono in grado di trasmettere autentiche competenze, effettivamente spendibili su un mercato del lavoro complesso e in continuo divenire come quello attuale.

"Nessun problema per quanto riguarda la teoria – ci ha spiegato Antonella Pan, presidente della cooperativa sociale Volontà di sapere di Albignasego e organizzatrice-responsabile del corso – ma come potevamo insegnare veramente il mestiere, in un ambiente così particolare e fuori dal mondo com’è un carcere? Abbiamo allora deciso, con il consenso della direzione dell’Istituto, di indirizzare la parte pratica del corso verso un obiettivo concreto e chiaramente percepibile, come il miglioramento di alcune parti comuni del carcere, pitturando e decorando ambienti prima nudi e squallidi e ora molto più allegri. E soprattutto accoglienti".

Quest’anno, in particolare, i detenuti che hanno preso parte al corso hanno decorato le tre sale colloqui, ora irriconoscibili rispetto a prima: i muri desolatamente bianchi, e spesso anche sporchi, sono stati vivacizzati e ingentiliti con stucchetti veneziani dalle calde tinte pastello, con finte colonne sormontate da capitelli e con alcuni disegni fantasiosi che i ragazzi hanno riprodotto con maestria.

Fino a quattro anni fa nelle sale colloqui c’era ancora il cosiddetto "bancone", ovvero l’opprimente muro divisorio – sormontato da un vetro alto alcune decine di centimetri – che impediva di poter abbracciare i familiari: una sofferenza aggiuntiva, che si è protratta fino all’entrata in vigore dell’Ordinamento penitenziario del 2000 che, finalmente, ha decretato la demolizione degli sciagurati banconi, concedendo così ai detenuti un minimo di contatto fisico con i propri cari.

Inoltre, la ristrutturazione a norma del nuovo regolamento delle sale colloqui della Casa di reclusione di Padova, ha compreso anche la copertura a piastrelle del vecchio, squallido pavimento in cemento e la demolizione dei sedili di marmo (incapaci di offrire un minimo di intimità, in quanto detenuti e parenti, in contrapposte file, si venivano a trovare uno appiccicato all’altro), sostituiti da panche e tavoli disposti "a isole", quindi in grado di dare almeno una parvenza di privacy (l’acustica, purtroppo, resta quella che è: inevitabile, ancora, sorbirsi le confidenze altrui…).

In prossimità delle sale colloqui, poi, Telefono Azzurro di Padova ha recentemente aperto una ludoteca con una duplice funzione, come ci ha spiegato Graziella Nube, coordinatrice dell’associazione: "È una ‘camera di decompressione’ per i bambini che vengono a trovare i loro padri e anche un punto di appoggio per le madri".

Negli ultimi anni al Due Palazzi sono stati compiuti alcuni passi avanti, per quel che riguarda gli spazi per i colloqui. Tanto più stona, perciò, che in questo clima di rinnovata attenzione per le esigenze dei detenuti e dei loro parenti in visita continui a restare inutilizzata quella bella "area verde" (un giardinetto con panchine, gazebo per ripararsi dal sole, giochi per bambini) che fu inaugurata tre anni fa ma che purtroppo ha vissuto una sola estate, la prima. La sua riapertura sarebbe un significativo segno di sensibilità nei confronti dei bambini, in quanto renderebbe più confortevole e allegro il loro incontro con i padri detenuti. Padri che spesso – essendo il nostro istituto una Casa di reclusione – devono scontare condanne molto lunghe.

 

Una professionalità davvero spendibile sul mercato

Claudio Sarcona, dirigente del settore Formazione e lavoro della Provincia di Padova

 

Ci sono motivi particolari per i quali, come Provincia di Padova, avete rifinanziato il corso di decorazione?

Come Provincia abbiamo finanziato questo corso perché abbiamo constatato, con i corsi precedenti, che si tratta di un’attività che consente un reale apprendimento, quindi la capacità acquisita di una professionalità spendibile sul mercato del lavoro. Non ci sono più molti decoratori, dunque avere una competenza così specializzata dà la possibilità a chi esce dal carcere di entrare subito nel mondo del lavoro, come è accaduto a qualche allievo del corso precedente. Anche le lezioni di quest’anno, nonostante siano durate meno delle precedenti, hanno fornito le competenze di base. E poiché sono state privilegiate persone in fase di uscita, si è data loro la possibilità di un inserimento immediato nel mondo del lavoro. Cercheremo di aiutarle.

Ci sono altri progetti sul carcere che la Provincia di Padova sostiene?

All’interno dell’istituto c’è un ufficio del Centro per l’impiego, aperto da poco, che fa incrociare la domanda e l’offerta di lavoro, agevolando i detenuti. Ogni quindici giorni, un operatore nostro dipendente, entra in carcere per i colloqui di orientamento. Acquisisce una scheda e si occupa di far incontrare le offerte delle imprese esterne con le richieste di persone detenute che hanno certe competenze, come quelle del corso di decorazione. Abbiamo già alcune possibilità, ad esempio per l’ottenimento dell’articolo 21, il lavoro all’esterno.

Al Centro per l’impiego possono rivolgersi tutte le persone che hanno bisogno di un lavoro, necessario alla concessione delle misure alternative alla detenzione?

Certo. Provvederemo direttamente noi a contattare le imprese. Sarà tutto più facile se chi si rivolge a noi ha qualche professionalità, per questo dico sempre di non stare con le mani in mano ma di darsi da fare per imparare qualcosa.

Avete pensato di coinvolgere le persone detenute nella "gestione" di questo ufficio, per affiancare il vostro responsabile nella raccolta dei dati e nell’attività informativa?

È un buon suggerimento. Lo faremo quanto prima, anche perché alcune persone si sono già candidate. Abbiamo visto che ci sono persone qualificate attraverso le quali si può dare un contributo a tutti quanti.

Tornando ai corsi e alle attività, pensate di finanziarne ancora?

Ho visto che ci sono molte cose da fare. Io dico che l’amministrazione provinciale è disponibile, perché abbiamo notato che questi sono soldi ben spesi, perché danno delle vere possibilità alle persone. Soldi spesi bene per la collettività, soldi che nella spesa pubblica danno un’opportunità e quindi sono efficaci.

 

 

Che soddisfazione aver fatto qualcosa anche per i nostri familiari!

Cosimo, uno dei detenuti che hanno decorato le sale colloqui

 

"Grazie alla cooperativa Volontà di sapere che ha gestito il progetto, e ai cinque docenti che ci hanno fatto apprendere le varie metodologie (la lavorazione dello stucco, la decorazione veneziana…), abbiamo ottenuto dei bei risultati. Molti di noi non sapevano fare assolutamente nulla, mentre altri avevano più che altro delle basi di muratura grezza o sapevano fare degli intonaci. Ora, invece, possiamo dire di essere dei buoni decoratori. Posso propormi con una formazione più completa, molto richiesta sul mercato, sempre più a corto di piccoli artigiani.

Alla fine del corso, inoltre, mi è rimasta la soddisfazione di aver creato qualcosa che rimane e che è utile anche agli altri: non solo ai compagni detenuti ma soprattutto ai nostri familiari, che possono finalmente incontrarci in una sala dignitosa anziché in un locale asettico e spoglio. Sicuramente se ne vanno più contenti e sereni, meno traumatizzati".

 

Giudichiamoli per quello che sono in grado di fare oggi

Giuseppe Palmerini, decoratore professionista e docente del corso

 

Quanti detenuti hanno partecipato al corso per decoratori e come si è svolto l’insegnamento?

Siamo partiti con quattordici allievi e nove sono arrivati alla fine: un calo dovuto a trasferimenti e scarcerazioni. Quest’anno il corso è durato 400 ore, mentre nei due anni precedenti siamo arrivati anche a 900 ore, ma siamo comunque riusciti a far imparare il necessario per svolgere il lavoro di decoratore. Ovviamente non sono mancate le difficoltà: come sempre c’è chi si impegna di più e chi di meno, ma è normale vista la situazione detentiva. C’è bisogno di queste attività, per non stare nell’ozio e trascorrere meglio la vita penitenziaria, ma anche per dare un’opportunità di impiego a chi uscirà. Imparare un mestiere è importante, soprattutto in un campo come questo dove la richiesta non manca.

Quindi per qualcuno ci sarà la possibilità di trovare un lavoro fuori?

Certo, alcuni sono diventati bravi e non hanno nulla da invidiare agli artigiani che lavorano nell’edilizia. Nei loro confronti, purtroppo, c’è sempre un po’ di timore: "Faranno, non faranno, chissà se saranno bravi…". Invece io che li conosco bene dico che hanno sbagliato e stanno pagando, però sono persone che meritano una possibilità. Proprio una quindicina di giorni fa è venuto a trovarmi un ragazzo, che l’anno scorso aveva partecipato al corso e che adesso ha aperto uno studio ad Asiago: fa proprio pitture d’arte, quello che gli abbiamo insegnato noi. Si è sistemato, l’attività va bene, ha una famiglia ed è molto contento. Riguardo alle capacità professionali acquisite, basta verificare ciò che hanno fatto i ragazzi con questo corso e negli anni scorsi: guardate i corridoi, la chiesa che prima sembrava un magazzino, l’auditorium. Lavori di qualità che, almeno alla vista, hanno cambiato il carcere.

 

Giocare per riscoprirsi padri e figli. Anche in carcere

Graziella Nube, coordinatrice di Telefono Azzurro, parla della nuova ludoteca della Casa di Reclusione di Padova

 

"Con la nostra attività cerchiamo di favorire i colloqui con i figli dei detenuti. E di creare quell’atmosfera che ci sembra giusta e doverosa, sia per il bambino che per il genitore, perché si instauri una continuità nel rapporto affettivo che non deve assolutamente cessare. Per ora la ludoteca funziona a metà, nel senso che il bambino vi rimane per un tempo limitato, finché non entra a colloquio. Ma stiamo chiedendo che l’incontro si svolga proprio nella ludoteca, come avviene in altre carceri italiane in cui siamo presenti. Vogliamo che il bambino incontri tranquillamente il suo papà, senza impatti traumatici dovuti all’ambiente del carcere. Il bambino deve poter giocare con il genitore, e quando è il momento di andare a scuola deve poter dire: "Ho giocato con il mio papà", senza situazioni negative e mortificanti.

A Padova siamo settanta volontari. Non ci occupiamo solo della ludoteca del carcere ma di altre attività nelle scuole e nei parchi. Il gioco non è fine a se stesso: deve diventare un mezzo per riavvicinare i genitori ai figli grazie al rapporto di amicizia che il gioco favorisce. Tornando al carcere - dove la ludoteca, ci tengo a precisarlo, è stata fatta completamente a nostre spese -, il gioco scioglie quell’imbarazzo causato dall’ambiente e dalla situazione. Abbiamo notato che spesso, soprattutto quando le detenzioni sono lunghe, i colloqui si limitano alle solite cose: "Com’è andata a scuola, fai il bravo…". Accade anche per mancanza di tempo, ma le consuete raccomandazioni diventano una noia. Invece con il gioco il rapporto si può ravvivare e il papà può riprendere in mano il proprio ruolo, sapere come si gestisce un gioco e quindi anche insegnare qualcosa al proprio figlio.

Siamo qui da pochi mesi: i tempi sono stati lunghi ma ce l’abbiamo fatta. Siamo presenti, con almeno due volontari, in tutti i giorni di apertura dei colloqui. La professionalità? Certo, abbiamo a che fare con dei bambini e la formazione, che facciamo continuamente nella nostra sede esterna, è la prima delle nostre preoccupazioni.

La ludoteca è a misura di bambino, con i vari giochi, i mobili adatti, cioè piccoli e con gli angoli smussati, ma ancora più importante è l’appoggio che nella ludoteca trova la mamma. Ci sono donne con figli piccoli che devono fare parecchi chilometri, a volte ore e ore di treno, e quando arrivano hanno bisogno di cambiare il piccolo, di dargli da mangiare, di farlo riposare. Ora dispongono di un locale dove fare tutto ciò, altrimenti il colloquio rischia di diventare un incubo e a risentirne è l’intera situazione familiare. Dobbiamo smorzare le condizioni critiche, a partire dai colloqui: il padre, se ha sbagliato, sta già pagando nei confronti della società. Non possono pagare anche i figli che non c’entrano niente".

 

 

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