Postacelere

 

Senza negare che chi sta dentro ha dei problemi grandi
trovo che chi sta fuori si senta altrettanto castrato

 

A parlare è la ragazza di un detenuto straniero, che ci scrive nel nostro sito per sentirsi in mezzo a persone che possono capire i suoi problemi.

 

Premetto che è attraverso il vostro sito che sono riuscita a risolvere i "piccoli" problemi derivanti dal trovarsi da un giorno all’altro con la persona che si ama in carcere. Grazie a voi ho avuto quelle risposte che, non so perché, chi di dovere elemosina, quando va bene. È proprio di questo che vorrei parlare: senza negare (non sia) che chi sta "dentro" ha dei problemi grandi, trovo che chi sta "fuori" si senta altrettanto castrato.

Non è possibile pensare ad un’iniziativa volta a portare una piccola gioia al detenuto, perché tutto quello che sta al di fuori del portare qualche euro o due francobolli, è off-limits. Il mio ragazzo è detenuto a Padova da un anno e mezzo, beh, è come se fossi detenuta anch’io e credo che chi è nella mia situazione mi possa capire bene. Certamente non ci ha aiutato l’avvocato che abbiamo avuto, che ad ogni mia richiesta di poter vedere A., rispondeva che non era possibile dal momento che non siamo sposati (!). Certamente non mi ha aiutato il mio carattere timido che mi ha impedito, per un certo periodo, di ESIGERE delle risposte. Sicuramente non mi ha aiutato la fiducia incondizionata (lo so che è da scemi) che avevo nel sistema. Insomma, tira, butta e molla (come diciamo in Trentino), dopo un anno e mezzo sono riuscita ad abbracciare A., un anno e mezzo! io ora mi chiedo, queste persone a cui ci si rivolge quando ci si trova in una situazione insolita, soprattutto inaspettata, cosa vedono quando ci guardano? Risposta: degli sfigati, che sicuramente qualcosa avranno fatto per ritrovarsi qualcuno in galera!

Io personalmente so cosa ho fatto: ho lavorato da quando avevo quindici anni, allevato una figlia che darà sicuramente il meglio di sé a questa società, mantenuto due genitori tanto per bene quanto incoscienti ed irresponsabili, il tutto senza MAI chiedere un contributo, un lavoro, una casa... niente. Eppure, quando sei tu ad avere bisogno dello stato (o chi per lui), di una risposta, di un’indicazione, ottieni solo delle mezze risposte, dei "vedremo cosa si può fare", il tutto condito da facce che prendere a sberle sarebbe il minimo.

E io sono "fuori", cioè in una posizione sicuramente privilegiata. Sono una persona che, a differenza di tanti nostri politici, lavora, paga le tasse, e vorrebbe essere trattata come tale SEMPRE, non solo quando va in banca a versare il 740.

Sono arrabbiata per la scarsa considerazione in cui le persone come me sono trattate. Tutto questo mi è venuto alla mente solo venerdì scorso quando, finalmente, sono andata a colloquio con A. Mentre aspettavo di poter entrare, avevo vicino due anziani che hanno il figlio in carcere. mi hanno fatto una tenerezza che mi ha stretto il cuore... e poi mi sono guardata attorno ed ho visto un sacco di persone come me, brave persone, ognuno con la sua storia, ma tutti con lo stesso sguardo, lo sguardo di chi è solo nella vita di tutti i giorni, di chi vorrebbe poter fare qualcosa e non sa cosa, lo sguardo di chi ha dovuto imparare, come dovrò fare io, che ai colloqui il caffè "non passa", le mele nemmeno e guai ai libri con la copertina rigida... insomma, lo sguardo di un "detenuto in libertà".

Non so perché oggi mi è venuto questo sfogo, forse perché ieri ho litigato con la mia sorella preferita e vorrei parlarne con il mio ragazzo e non posso. Sicuramente per un ragionamento egoista, dal momento che non sono io quella che sta peggio... non so, ma mi aggrappo a voi, perché chi sta "fuori" ha altrettanto bisogno di comprensione ed è cosa certa che da questa parte ce n’è poca. Non siamo dei "casi" degni di attenzione, se non tra di noi...

Vorrei comunque spendere una parola in favore delle guardie carcerarie di Padova, che, seppure un po’ brusche, si sono comportate in modo molto umano con un’imbranata come me, che voleva entrare con il telefonino, tutti gli ori addosso ed una cintura con una fibbia che si potrebbe definire "arma impropria"! Vi auguro tutto il bene del mondo e continuerò a farvi visita, perché il vostro sito è veramente importante.

 

Bimba

 Dalle altre carceri

 

A partire da questo numero vorremmo dare più spazio nella rubrica PostaCelere alle lettere e alle testimonianze che ci giungono dagli altri istituti penitenziari. Un’iniziativa che "covava" da tempo, in attesa della spinta decisiva, che è arrivata da un detenuto nella Casa di Reclusione di San Gimignano.

 

La prima volta che Massimiliano Ruggiero ci ha scritto è stata per abbonarsi alla nostra rivista, ma la curiosità per il lavoro che facciamo con "Ristretti" e la voglia di ricostruirsi un futuro decente - proprio a partire da una attenta considerazione delle scelte sbagliate del passato - che traspariva dalle sue poche righe, ci ha fatto cogliere la palla al balzo.

Abbiamo risposto a Massimiliano dicendogli che, senza nessun impegno di pubblicazione, poteva inviarci i suoi scritti, evitando possibilmente le lamentele che, per quanto fondate, rischiano di allontanare subito i lettori del mondo di "fuori", dei quali abbiamo invece più che mai bisogno.

Chi ritiene di avere materiale interessante può scriverci in redazione e diventare un "inviato" del nostro giornale. Per la Redazione. Marino Occhipinti.

Le vie del Signore sono infinite "Non credo sia affatto producente, né gratificante e dignitoso, nascondersi sempre dietro all’attenuante di un passato difficile".

"Le vie del Signore sono infinite". Personalmente non potrei trovare nulla di più VERO di tale affermazione e, credetemi, non faccio dell’ironia.

Sono convinto che chi vive nel "nostro pianeta", il pianeta carcere, certamente molto spesso ha avuto un passato difficile, un’infanzia per così dire negata, a volte una famiglia allo sbando o addirittura dei…"buoni insegnanti" che sono riusciti a dare, ai loro figli, quell’input che col tempo li ha poi portati a sopravvivere fra quattro mura, magari al secondo o terzo piano di una branda a castello.

Tuttavia, pur avendo avuto anch’io le mie brave difficoltà della mia infanzia, non credo sia affatto producente, né gratificante e dignitoso, nascondersi sempre dietro all’attenuante di un passato difficile. Non si è certo "Santi né eroi", ma neanche solo "povere vittime incomprese di una società incivile e perfida".

In alcune dottrine si sente parlare molte volte del cosiddetto "Libero Arbitrio", ed è proprio ciò che abbiamo tutti quanti nella nostra vita, in ogni nostra situazione, anche e soprattutto in quella più disperata.

La mia esperienza, paradossalmente, mi ha portato, dopo avere scontato finora 10 anni di carcere, ad una sola considerazione: "che culo!!!".

No, non sono impazzito e certo avrei ovviamente preferito restare fuori da questo mondo, ma se questo fosse accaduto, che ne sarebbe stato di me? Penso sia una domanda che ognuno di noi "ristretti" dovrebbe porsi ogni giorno.

All’età di quattro anni mi sono gravemente ammalato di una malattia che, se non presa in tempo, avrebbe portato alla morte chiunque: la mia salvezza è stata invece una corsa notturna in un ospedale genovese e, ovviamente, l’immediato ricovero.

Inizia così un vero e proprio calvario, non solo per il sottoscritto ma anche per la propria famiglia, che terminerà solo quando avrò compiuto 13 anni: guarigione completa e… infanzia finita!

A quel punto avrei potuto, come molti, fare una vita "normale", come tutti i miei coetanei, invece gli eventi negativi si susseguono l’uno dopo l’altro ed è così che, gradino dopo gradino, la mia vita lentamente finisce in quel che io definisco "il cesso degli orrori".

La mia prima entrata in carcere risale al 1992 ma PURTROPPO dura soltanto tre mesi scarsi, giusto il tempo di "non imparare la lezione". Ed è forse proprio questo che io adesso rimpiango.

A quel punto la propria libertà è una vera e propria toccata e fuga: dopo qualche mese rieccomi nuovamente in "albergo", e questa volta la "bastonata" dice 16 anni!!!

Oggi ho 34 anni, ne ho trascorsi 10 in queste "scuole" e, come tutti, ho imparato molto.

Credo che il problema del cosiddetto "recupero" sia proprio questo: imparare cosa?

Sono certo che il risultato sia del tutto soggettivo, come il percorso che ognuno di noi purtroppo si trova costretto a fare, ed è proprio in base a quest’ultimo che se ne trae poi il frutto.

Penso che i problemi della giustizia italiana, almeno quello delle carceri, lo conoscano tutti e anche molto bene, compresi coloro che fingono di non saperne nulla; a volte ho addirittura la sensazione che il malfunzionamento di questa "macchina" sia in realtà studiato a tavolino nei minimi particolari, in modo sì da creare ulteriori difficoltà a chi sarà costretto ad intraprendere un percorso "rieducativo", ma allo stesso modo sia di una tale pignoleria che darà più certezza, a chi di dovere, che i "superstiti" saranno veramente stati "ricostruiti dalle fondamenta".

Penso che occorra veramente prendere coscienza di ognuno di noi e andare avanti nonostante le difficoltà e anzi, più difficoltà si incontrano davanti a noi, e più dovremo essere incentivati a lottare.

Purtroppo credo che molte volte ci sfugga un concetto elementare ma altrettanto fondamentale: la forza di ricominciare, la voglia di "rimettere insieme i cocci", la possibilità di ricostruire tutto quanto sta solo ed esclusivamente in noi stessi.

A volte mi soffermo ancora a pensare a questi concetti e mi accorgo che raggiungo sempre la stessa conclusione: è troppo semplice "appoggiarci" a persone che noi crediamo "sostegni", è facile perché poi quando non si raggiungono gli obbiettivi, possiamo sempre addossare la responsabilità dei nostri fallimenti agli altri, continuando a sfuggire all’idea che noi abbiamo raccolto ciò che abbiamo seminato; lo facciamo oggi e chissà che non continueremo a farlo anche domani.

Certo non voglio affatto gettare acqua sul fuoco quando penso al problema del sovraffollamento ed a tutte le disfunzioni che esistono intorno al pianeta giustizia. Certamente tutto questo non fa altro che alimentare le problematiche che ugualmente esisterebbero intorno a noi. Penso però che troppe volte ci ripariamo dietro a questo "alibi" per trasformare le nostre giornate in una sorta di isola di totale ozio.

Molte, troppe volte, ho sentito e partecipato alle discussioni tra compagni, durante la "felice" ora d’aria: tutte le volte si finiva col parlare della "sfortuna" che ci ha portato in carcere. Troppe volte si è parlato di accanimento da parte di questo o quel Magistrato, di questo o quel tribunale, di questo o quel processo ingiusto.

Credo invece che la prima cosa da fare, per imparare a comprendere REALMENTE noi stessi, sia di allontanarci da quell’alone di vittimismo che in troppe occasioni ha fatto parte di noi stessi.

Personalmente ritengo che se non fossi atterrato su questo pianeta, quasi certamente oggi sarei in una situazione peggiore. Certo ho dovuto sfruttare questo tempo per riflettere, per ricominciare a sognare un futuro migliore, se non proprio come lo volevo io. Ho dovuto sopportare molto, come molto sopportiamo tutti quanti.

Con queste parole, che possono sembrare ai più le parole di un folle, vorrei semplicemente lanciare un messaggio, perché tutti possano comprendere ciò che ho compreso io, cercando di guardare la detenzione sotto un’altra angolatura: il lavoro dei volontari, degli operatori e di tutti coloro che si adoperano per cercare di "reggerci in piedi", non solo è ammirevole ma può diventare assolutamente fondamentale nel momento in cui noi siamo i primi a sapere ciò che vogliamo dal nostro futuro.

Tutto il resto fa solo da cornice, la concreta possibilità di un futuro migliore non credo che ci venga negata a priori, più semplicemente vengono posti molti ostacoli per il suo raggiungimento. Forse molti più ostacoli di quanti noi stessi ci aspettassimo.

Del resto, però, dobbiamo sempre ricordarci che in molti casi, nella maggior parte dei casi, quasi sempre, nessuno ci ha sequestrato con la forza!

"Le vie del Signore sono infinite", si dice. Personalmente non credevo che il carcere fosse una di queste, ma penso che invece potrebbe diventarlo, e questa riflessione, se pur troppo semplicistica, spero possa servire a molti che, come me, nonostante tutte le difficoltà e tutti gli ostacoli, sono ancora in piedi. Forse per la prima volta nella loro vita.

 

Massimiliano Ruggiero

Risponde la Redazione

 

La lettera di Massimiliano fa capire che il tempo inutile del carcere può almeno in parte diventare "tempo per sé" e per esercitare e "allenare" la propria capacità critica. Ma quando Massimiliano dice che la sua prima carcerazione "PURTROPPO è durata soltanto tre mesi scarsi, giusto il tempo di non imparare la lezione", ci domandiamo se davvero lui avrebbe avuto bisogno di più carcere per fermarsi a riflettere su quello che stava diventando, o non piuttosto di una rete di sostegno che lo aiutasse a fare delle scelte diverse.

 

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