Donne Dentro

 

Sensi di colpa

 

Ci sono anche quelli, forti, nei confronti dei propri famigliari. È vero che le donne detenute ne hanno più degli uomini? Questo è solo l’inizio di una riflessione, che vorremmo lunga e fatta di tante puntate, sui sensi di colpa: la discussione è aperta, la questione è spinosa, speriamo che altri intervengano con il loro contributo. Vivere il presente consapevolmente, con il ricordo del passato, ma attendendo il riscatto in un futuro dignitoso.

 

Sandra: Secondo me non c’è assolutamente nessuna differenza per quel che riguarda i sensi di colpa o rimorsi nei confronti della famiglia, tra una donna detenuta e un uomo detenuto. Se c’è differenza, la differenza è da individuo ad individuo, sicuramente non da sesso a sesso. E penso che nemmeno il modo di esternare questi sentimenti può ritenersi diverso, perché questo è legato soprattutto al carattere. Ci sono uomini fatti in un modo e altri diversissimi, e lo stesso vale per le donne. I sensi di colpa, i rimorsi e le responsabilità non si possono imporre o pretendere, arrivano quando ci si guarda dentro e questo è un percorso lento, difficile e doloroso, c’è chi ci arriva prima, chi ci arriva dopo e chi proprio non ci arriverà mai. Analizzare noi stessi molte volte è come entrare in un campo di battaglia, dove devi cercare di conciliare ragione, giudizio, passione e desiderio, con lo schermo dei tuoi sbagli davanti a te; la battaglia non per tutti ha gli stessi tempi, però la conoscenza profonda di noi stessi è indispensabile per poterla vincere e recuperare la nostra integrità.

Personalmente i sensi di colpa che provo verso la mia famiglia non sono solo per averli delusi, per non aver seguito il loro esempio, ma li provo anche per non poter affrontare i problemi che hanno e non poterli aiutare, avendo piuttosto io bisogno di aiuto. Di questo con loro ho parlato con molta franchezza, e sapere che continuano a chiedersi dove non sono riusciti a capirmi e ad aiutarmi a superare un momento di crisi senza cadere in un errore che mi ha portato in carcere, mi continua a far soffrire.

Penso che vivere il presente consapevolmente, con il ricordo del passato, ma attendendo il riscatto in un futuro dignitoso, è un modo per superare in maniera costruttiva sensi di colpa, rimorsi e paura della responsabilità. Non vuol dire che anche gli uomini non sentano rimorsi simili per i propri sbagli, è che loro comunque sono abituati a mostrarsi duri e non si lasciano andare.

 

Svetlana: Beh... io sono una di quelle con grandi sensi di colpa, cioè ho i miei rimorsi… non riesco a perdonare a me stessa lo sbaglio che ho fatto. Non perché mi trovo a scontare una condanna molto lunga, ma perché con i miei errori e le mie sofferenze non ho condannato solo me stessa, ma anche persone innocenti, voglio dire mia madre e mia suocera, per non parlare dei miei figli…

Mia madre brutalmente, d’improvviso, si è trovata, dopo moltissimi anni, con una bambina di due anni e mezzo alla quale fare da mamma. Sentirla piangere le notti che non dormiva, perché comunque la bambina era stata staccata dalla sua mamma e dal suo papà, e per lei era tutto nuovo, la casa, l’ambiente, quella mamma e quel papà diversi, più anziani, quasi sconosciuti.

Lo stesso è successo con mia suocera, che si è trovata con mio figlio affidato a lei: ha perso così suo figlio, il suo grande uomo, finito in carcere ed in cambio ha avuto un "giocattolo" difficile da gestire. E quante sofferenze ha dovuto subire mia suocera per poter prendere i bambini in Italia, quando mi hanno arrestato, e portarli in Serbia!

Ma parlare dei miei sensi di colpa non vuol dire che anche gli uomini non sentano rimorsi simili per i propri sbagli, è che loro comunque sono abituati a mostrarsi duri e non si lasciano andare.

Spesso succede che sono loro ad aggredire i propri familiari e fargli pesare gli sbagli che hanno fatto, giustificandosi che li hanno fatti per facilitare la vita di tutta la famiglia. E diventano anche aggressivi e possessivi, ma questa è un po’ la loro difesa.

Invece noi donne, almeno io, la lontananza e la sofferenza la dimostriamo e la viviamo diversamente; l’affetto che ci manca cerchiamo di trasmetterlo come possiamo, anzi molto di più di quando siamo libere e senza sensi di colpa, per la paura di non essere capite, di essere fraintese, di essere dimenticate. La differenza fra uomini e donne, per quel che riguarda i sensi di colpa, forse non c’è, ma certo ci sono modi diversi di esprimerli. Sì... è vero. Ho sbagliato io. Soffro ma dovrei soffrire da sola, e non mi perdonerò mai di far soffrire loro.

 

Gena: Si parla sempre, anzi, ce lo chiedono sempre: ma tu, hai dei sensi di colpa? In quel momento, quando mi fanno quella domanda, mi viene da chiedermi: sensi di colpa per chi? per cosa? Personalmente ne ho. Sì, per me stessa, perché ho buttato la mia vita così, perché non mi sono fermata a pensare. Sensi di colpa per i miei familiari. Ogni volta che parlo al telefono sento la voce dei miei che trema, fanno di tutto per non farmi capire il dolore che io ho procurato loro con il mio sbaglio.

Sì... è vero. Ho sbagliato io. Soffro ma dovrei soffrire da sola, e non mi perdonerò mai di far soffrire loro. Quando rifletto su questo il mio cuore si spezza e fatica a reggere, perché sento che anche il loro si spezza lentamente. Mi sento male ogni volta perché li ho delusi, perché non era questo che volevano per me. Del resto tutti i genitori sognano una vita perfetta per i figli. Il dolore che ho procurato loro non l’hanno meritato. I miei in Albania mi hanno cresciuta con tanti sacrifici e quando sbagliavo mia madre mi diceva: "Capirai quando diventerai madre". Ma io facevo finta di niente. Mi fermo vicino alla finestra e penso alle sue parole, e mi fanno male.

Quando non sto bene non dico nulla per non preoccuparli. Loro fanno la stessa cosa. Però sono certa che nel loro cuore stanno più male di me. Sì… ho sbagliato, soffro quanto loro per me, per cui di sensi di colpa ne ho anche troppi, soprattutto quando sento mio padre, che ha 60 anni, e la sua voce… cambia quanto sente la mia; in quei dieci minuti al telefono dico sempre che sto bene, lui fa finta di crederci… e il mio dolore si intensifica, ma… so che prima o poi tutto questo finirà e sarò di nuovo accanto a tutta la mia famiglia che tanto ha fatto per farmi crescere con principi buoni, puliti.

Io penso che questo senso di colpa non avrà fine, e che nemmeno questa esperienza mai si cancellerà. Per me il futuro è una vita non perfetta, ma tranquilla, basata su quello che loro mi hanno insegnato. L’ho capito un po’ in ritardo, ma gli errori molte volte ti aiutano a crescere.

Credo che comunque il senso di colpa ti aiuta anche a rafforzare la tua volontà e a farti riflettere, portandoti poi a seguire con sicurezza quelle idee sagge e radicate in te, che in un certo momento della vita avevi dimenticato o trascurato.

 

Sandra, Svetlana e Gena

Ecco il brutto di un colloquio in carcere i sentimenti
che ti esplodono dentro... che devi bloccare

 

Il racconto dei primi passi di Patrizia fuori dal carcere, in detenzione domiciliare, l’abbiamo pubblicato tempo fa, quando lei ci ha descritto l’emozione di tornare a casa e potersi riunire a sua figlia. Questa è la "seconda puntata", un altro pezzetto di famiglia che in qualche modo si ricongiunge: Patrizia ha potuto andare a colloquio col suo compagno, che è ancora in carcere, e cominciare ad affrontare con lui il problema di come ricostruire il rapporto con la figlia.

Adesso Ristretti Orizzonti mi arriva a casa e tra molti temi che vengono affrontati, quella che mi va dritto al cuore è sempre la questione degli affetti. Dimostrare amore, amicizia, simpatia a qualcuno, non dovrebbe essere vietato o dosato a gocce solo perché regole, spazio e tempo non sono idonei. A mio avviso la famiglia, i figli, per chi sta in carcere ma non solo, sono la medicina in assoluto, ti danno la forza di tenere duro quando sembra che tutto ti crolli addosso.

Nelle situazioni più difficili ho sempre pensato a mia figlia, alla famiglia. Mi vedevo fuori con loro e così mandavo giù amaro e andavo avanti. Ma se fossi stata sola ce l’avrei fatta?

Noi detenuti impariamo presto ad avere pazienza, a fare un passo alla volta, a privarci di molte cose perché non sono consentite, quello che però è difficile da imparare è che non si può scambiare a colloquio un gesto spontaneo d’affetto. Questo credo che a lungo andare crei insicurezza, disagio, tensione, e te lo puoi portare dentro chissà per quanto tempo.

Da poco ho ottenuto il permesso di fare i colloqui con il mio convivente: finalmente, dopo due anni e mezzo, ho capito che l’avrei rivisto. Ero felicissima e non vedevo l’ora. I giorni precedenti il primo colloquio ho pensato a come sarebbe stato, veramente ho pensato a come mi sarebbe piaciuto che fosse perché nella realtà, tra me e lui, ci sarebbe stato il carcere con le sue regole e quindi…

Sono arrivata a Tolmezzo, dove, circondato dalle montagne, c’è l’istituto, che è molto diverso dalle carceri che conosco: ha uno stile moderno e c’è molta luce, almeno fin dove arrivo io, e cioè nella sala colloqui. L’ho visto oltre il vetro, prima di entrare. I capelli corti, non li ha avuti così corti nemmeno durante il servizio militare. Gli stanno bene e poi si sa che in carcere, per comodità e, alle volte, igiene, è meglio così.

Sono entrata e il suo sorriso mi ha fatto battere forte il cuore, più di quello che già batteva. Emozione forte e intensa che non credevo di sentire ancora, dopo tanto tempo assieme. Un abbraccio, un bacio e… mi sono tesa, ho pensato all’agente che era al di là del vetro e che, se mi facevo più stretta al mio uomo, avrebbe battuto sul vetro. Mi sono staccata di colpo, ma con tanta voglia di tenerlo stretto, per capire almeno se è stato vero quell’abbraccio, quel bacio.

 

Le manifestazioni d’affetto sono legittime e nessuno dovrebbe esserne privato

 

Ecco il brutto di un incontro in carcere, i sentimenti che ti esplodono dentro e che devi bloccare, non puoi prolungare un abbraccio, una carezza, forse perché è immorale? Forse perché fa pensare male? Le manifestazioni d’affetto sono legittime e nessuno dovrebbe esserne privato.

Del primo incontro mi ricordo gli sguardi, brevi, veloci, perché dicevano quello che le mani e le parole non potevano dire, quell’intimità che sentivamo e di cui avevamo bisogno ma che non potevamo manifestare. La nostra fortuna è di conoscerci bene, perché altrimenti non so se il nostro rapporto continuerebbe negli anni. È un susseguirsi di gioia, paura, tormento.

Quello che ho sentito forte, quando sono uscita, è stato il desiderio di tornare indietro perché mi sembrava di aver dimenticato qualcosa, di non avergli trasmesso veramente quello che volevo, ma questo succede ogni volta che finisce un colloquio, quando non puoi esprimere quello che provi nel suo intero significato ti senti a metà. Da quando sono a casa ho ritrovato la voglia di essere mamma e di essere donna, forse in carcere si presentano altre priorità e non pensi al tuo corpo, alle tue necessità, le metti da parte. Il mio uomo mi manca più ora che posso vederlo che prima, sono felice di sentire il mio corpo reagire a sentimenti che avevo accantonato. Serve più umanità e rispetto dei sentimenti, e certo meno rigidità non può fare male.

Quello che non mi stancherò mai di dire è che non è facile ricostruire un rapporto, non solo di coppia, quando si ha a che fare con il carcere. Serve più umanità e rispetto dei sentimenti, e certo meno rigidità non può fare male.

Io sto cercando di coinvolgere il mio compagno nella vita di nostra figlia, lei per il momento non se la sente di venire a trovarlo, gli manca molto e non vuole soffrirne, sa che finite le due ore dovrebbe lasciarlo là. Ho deciso di aspettare, intanto le racconto dei colloqui, di cosa parliamo, che il suo papà chiede di lei, cosa fa. Non è facile tenere unito il nostro rapporto a tre in modo che, quando sarà il momento, l’incontro sia meno traumatico e difficile, ma per adesso è l’unica cosa che posso fare.

 

Patrizia

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