Carcere e Riforme

 

Lo strano gioco dell’informazione che genera insicurezza

che genera a sua volta severità nell’intervento penale

 

di Alessandro Margara, magistrato, presidente della Fondazione Michelucci

 

Il documento che è stato messo a punto, la bozza per la cosiddetta “Carta di Padova”, riguarda essenzialmente le questioni individuali, sono questioni importantissime che vanno seguite con attenzione, per cui qualunque progresso si faccia in questo settore va benissimo, sarà difficile ottenere dei risultati, ma è giusto metterci mano e dedicarci energie. Il problema che mi colpisce di più però, nel rapporto informazione-carcere-esecuzione della pena, è il problema generale, il problema collettivo, che è diventato sempre più decisivo, sulle sorti del carcere e dell’esecuzione della pena.

Il problema è questo, e lo dico molto schematicamente: esiste una percezione della sicurezza,  urbana soprattutto, nelle città maggiori, e da questa deriva una risposta in termini di severità nell’intervento penale, e soprattutto questa severità nell’intervento dell’esecuzione penale è gestita in termini generalmente propagandistici da parte della politica. C’è quindi un circolo vizioso che è costantemente operante e che è tenuto in funzione effettivamente proprio dai media, la funzione dei media in questo mi sembra decisiva. Il risultato è che noi abbiamo queste carceri che si riempiono in modo vertiginoso, sembra che le ultime rilevazioni diano già i detenuti a quota sessantaduemila, e in effetti il gioco della informazione mediatica è un gioco che determina in qualche misura tutto questo. E chi c’è in galera per effetto di questo “gioco”? Ci sono gli immigrati, i tossicodipendenti, e altri disgraziati di vario genere, che ci resteranno ancora di più “grazie” a queste leggi: legge Bossi-Fini sull’immigrazione, legge Fini-Giovanardi sulle dipendenze, legge ex-Cirielli, per la quale diventa sempre più improbabile uscire di galera per coloro che ci entrano. Ma è inevitabile tutto questo? È inevitabile proprio in quanto i media influiscono pesantemente anche su questa questione, e quindi è importante riflettere su chi c’è in galera. Nello scorso anno l’aumento dei detenuti è stato determinato dall’aumento degli ingressi degli stranieri, l’aumento degli ingressi degli stranieri è stato tale da compensare in parte la diminuzione degli ingressi degli italiani. Questo è un dato, a cui si deve aggiungere che tra gli immigrati che vengono arrestati, c’è veramente una parte modesta di delinquenti, la parte prevalente è per violazione della legge sull’immigrazione, quindi per reati che hanno un sottofondo amministrativo, e molti degli altri sono detenuti per quei piccoli reati di microcriminalità rappresentati soprattutto dal piccolo spaccio. Ecco, questa è la detenzione che viene colpita. E per i tossicodipendenti, se la Fini-Giovanardi non sarà contrastata da appositi interventi normativi in questa nuova fase politica, produrrà un aumento vertiginoso di persone che hanno come unica colpa l’uso degli stupefacenti, in contrapposizione a un referendum del 1993 che aveva abolito la punizione dell’uso.

Ecco chi c’è in carcere oggi, ci sono queste persone, e quindi si tratta di dire che se un discorso serio può essere fatto da parte dei media, è quello di chiarire questo aspetto, la carcerazione di persone di modestissima pericolosità reale, che sono avvolte invece da una nube di pericolosità inventata a cui i media contribuiscono pesantemente.

Una seconda questione che volevo affrontare è che è diventato molto difficile anche l’uscire di galera, cioè il problema delle misure alternative, dei permessi, e anche qui si dovrebbe chiarire come stanno le cose: intanto, questa forse può essere una ragione di timore in più, ma le misure alternative sono tantissime, sono più di cinquantamila, e se si vede ogni tanto emergere un caso che non torna, queste più di cinquantamila misure alternative che esiti danno? Vorrei dire una cosa che si sa poco: per quel che riguarda la misura alternativa più rilevante, che è l’affidamento in prova, statisticamente nemmeno una persona su mille viene meno alle prescrizione dell’affidamento in prova commettendo un reato, una persona su mille. E inoltre, sempre sull’affidamento, una ricerca statistica dimostra che le ricadute nella recidiva, dopo cinque anni dalla conclusione dell’affidamento, sono per l’affidamento normale un sesto di quello che accade se la persona sconta tutta la pena in carcere, e un terzo se quella persona è tossicodipendente, con tutti i problemi che la tossicodipendenza comporta. Anche su questo piano bisogna cercare di far capire che c’è, a fronte dei pochi insuccessi che sorgono quando un permesso o una misura alternativa finisce male, un funzionamento generale più che positivo. Io semplicemente sottolineerei questo aspetto: l’informazione dovrebbe cercare non di cavalcare l’onda, e magari produrla a sua volta, del risentimento sociale su queste condotte, che vengono da aree di precarietà e di disagio delle persone, ma chiarire questo e chiarire anche che il sistema dei benefici penitenziari ha una sua efficacia, che è molto più importante e che deve essere spiegata. Invece ci si limita spesso alla presentazione dei casi di insuccesso e di benefici che non hanno funzionato.

 

 

Noi abbiamo il dovere di avere il coraggio di portare avanti temi radicali di cambiamento della situazione carceraria

Uscire dagli “orticelli” per coltivare un progetto comune di cambiamento profondo delle carceri

 

di Sergio Cusani, vice presidente dell’Agenzia di Solidarietà per il Lavoro di Milano

 

C’è un vecchio articolo di Franco Corleone, il cui titolo è “Non deludeteci”, che si rivolge al Governo Prodi. Io dico che noi abbiamo il dovere di essere ottimisti, non sappiamo se questo Governo farà tutto quello che è necessario, però siamo sicuri che le orecchie che ascoltano le istanze che vengono dal mondo del carcere sono orecchie storicamente più sensibili, e quindi noi abbiamo il dovere di fare proposte concrete perché vogliamo radicalizzare le richieste che da anni portiamo avanti con grande fatica e passione, ma che sono state riposte nei cassetti dei ministeri.

Mi ricordo che tre anni fa, proprio nella Casa di reclusione di Padova, fu lanciata la proposta, con primo firmatario Marco Boato, sull’affettività in carcere. E proprio l’affettività in carcere ha trovato una prima sperimentazione nel carcere di Bollate a Milano, una sperimentazione estremamente positiva. Noi del tema dell’affettività in carcere dobbiamo fare un tema centrale, all’interno di un insieme di richieste da presentare al nuovo Governo, al nuovo Ministro, in base anche alle loro dichiarazioni di disponibilità.

E allora bisogna costruire un percorso di concretezza, tutto quello che abbiamo elaborato in questi anni dobbiamo tirarlo fuori e fare in modo che i giornali e le altre realtà dell’informazione dal carcere parlino sì del proprio carcere, ma si mettano anche in rete per fare una campagna radicale, unitaria, inflessibile. Perché noi da questo Governo ci aspettiamo qualcosa di ben diverso dal precedente, e questo Governo non ci deve deludere, non ci può deludere perché altrimenti la situazione andrà aggravandosi sempre di più. Allora bisogna recuperare quel percorso di aggregazione, di creazione di strutture, di disponibilità all’accoglienza di tutto quel mondo del volontariato che si occupa di carcere, e riprendere il discorso sul tema dell’indulto e dell’amnistia, ma che abbia una centralità nello straordinario lavoro fatto da Alessandro Margara e Francesco Maisto, che è il progetto di una riforma radicale dell’Ordinamento penitenziario.

Quindi dobbiamo passare da una fase di frustrazione a una fase di ottimismo e di costruzione di alternative vere, perché le cose questa volta devono cambiare, e possono cambiare perché ci sono le condizioni politiche e gli uomini in grado di farle cambiare. Noi abbiamo questo dovere, il dovere di avere il coraggio di portare avanti temi radicali di cambiamento della situazione carceraria: i numeri del carcere sono terribili, ormai abbiamo superato la soglia dei 60.000 detenuti, ci sono 50.000 persone circa nell’area penale esterna, sono 80.000 i condannati in attesa delle decisioni del Tribunale di Sorveglianza in cosiddetta sospensione di libertà, quindi ci sono quasi 200.000 persone che sono sotto il maglio della giustizia penale, è una situazione folle che non ha riscontro in un altro paese a livello europeo. Su questo noi ci dobbiamo impegnare a fondo, unire le forze e fare delle proposte chiare e precise, e come cartello nazionale e come Federazione dell’Informazione dal carcere e sul carcere chiedere al più presto un incontro, al Ministro della Giustizia, affinché proposte serie, costruttive, realmente modificative di questo traballante, inumano, incivile, arcaico sistema finalmente vengano portate avanti, questo è il nostro dovere, il dovere dell’ottimismo.

 

 

Lavoriamo perché questa politica, spesso distratta, trovi un’attenzione nuova ai temi del carcere e della giustizia

 

di Sergio Segio, di Fuoriluogo

 

Vorrei iniziare dalla disponibilità, che ha dato Daniele Repetto, vice presidente di AdnKronos, sua personale e da parte dell’agenzia, a collaborare alla costituzione di un network informativo dal carcere e sul carcere.  Credo che questa sia una disponibilità importante, perché AdnKronos e ANSA, che sono le maggiori agenzie d’informazione, sono poi quelle che materialmente con più efficacia determinano, come dire, l’opinione pubblica, perché sono la base informativa che utilizzano tutti i media, quindi questa disponibilità va tenuta in grande conto.

Due parole vorrei dirle sulla Federazione dell’Informazione dal carcere e sul carcere, ricordando le tappe del lungo percorso che ha portato alla sua costituzione, che è iniziato nel 2001 a Firenze, dove per la prima volta cominciammo timidamente a mettere sul tavolo della riflessione le esigenze di costituire un momento coordinato e forte che riunisse un po’ tutte le tante realtà che producono informazione dal e sul carcere. La seconda tappa fu a Milano, il 21 giugno 2002, dove in Camera del Lavoro, quindi assieme ai sindacati, in quel caso coinvolgemmo anche il direttore dell’ANSA, e giornalisti di molti quotidiani, dando vita a un momento, come dire, di consolidamento di questo percorso. La terza tappa è stata a Bologna, con il sostegno dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna, e del suo presidente Gerardo Bombonato, il 24 novembre 2005: a Bologna finalmente il gioco si è allargato grazie al coinvolgimento proprio dell’Ordine dei Giornalisti, ovvero quello che è sia il nostro più diretto interlocutore, sia anche partner col quale costruire alleanze, sinergia, collaborazioni riguardo a tutte le necessità che abbiamo delineato: ovverosia rottura degli stereotipi, un’informazione corretta rispetto al carcere, a chi ci abita e a che ci lavora, un’attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, un lavoro di formazione di chi opera per fare informazione dal carcere.

L’ultima tappa è stata nel febbraio del 2006 alla Triennale di Milano, dove abbiamo organizzato un’altra giornata di confronto con l’Ordine dei Giornalisti, ma anche con le scuole di giornalismo, allargando ulteriormente l’interlocuzione, le alleanze reciproche per andare avanti. La Giornata di studi di Padova è quindi un quinto momento di riflessione e di coordinamento.

Ecco, un invito che vorrei fare, e credo che oggi tutti assieme da qui dovremmo uscire in questo senso, è che non ci deve essere un sesto convegno in cui rischiamo di ridirci le stesse cose, ma ci devono essere d’ora in poi dei momenti operativi che mettano a frutto concretamente tutto quanto ci siamo detti e tutte le importanti disponibilità che abbiamo raccolto, in primis quella dell’Ordine dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa. Una disponibilità che ovviamente interessa non solo i giornali del carcere, ma tutti gli operatori che nel carcere lavorano, perché tutti assieme possiamo agire e dobbiamo avere un’esigenza condivisa, che è quella di modificare il senso comune, i luoghi comuni sul carcere, sulla pena e sui temi della giustizia.

L’invito che faccio è che, assieme alla Carta di Padova, usciamo però anche con indicazioni concrete, operative che siano, come ci diciamo da tempo e come ci invitano a fare anche i professionisti dei media, la costituzione di un network o di un giornale nazionale sul carcere o di quant’altro, ma dobbiamo veramente passare a una fase direttamente operativa, perché questa lunga e necessaria gestazione deve avere termine. Non dobbiamo correre il rischio di parlarci addosso, ma dobbiamo andare avanti.

Noi ci troviamo qui a discutere di informazione, ma indubbiamente dobbiamo cogliere l’occasione, dato che siamo riuniti in così tanti, per promuovere iniziative concrete sui temi che ci stanno a cuore, a partire dal fatto che abbiamo un nuovo Parlamento, abbiamo un nuovo Governo, abbiamo purtroppo antiche necessità, antichi problemi. E abbiamo quindi il dovere, oltre che la necessità, di interloquire rapidamente con le nuove Istituzioni per portare i nostri punti di vista, per portare le nostre proposte, che non possono essere quelle, per altro importantissime, di abrogare semplicemente la legge Bossi-Fini o la legge Fini-Giovanardi o la legge ex-Cirielli, che sappiamo quanto devastano ulteriormente una situazione già compromessa, ma devono essere anche proposte in positivo.

Sarebbe bello se da una giornata come questa che vede riuniti, come dire, obbiettivamente i maggiori esperti, in ruoli diversi ovviamente, su questi temi, tra detenuti, operatori, assistenti volontari, agenti, direttori, magistrati, deputati, sottosegretari alla giustizia, e ancora coloro che hanno avuto responsabilità al vertice del DAP come Alessandro Margara, o che le hanno ora, come Emilio Di Somma, sarebbe bello allora se uscisse una lettera aperta al Ministro, e anche delle indicazioni informali su quelli che potrebbero essere i nostri gradimenti, non dico su chi andrà materialmente a dirigere il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ma su quali sono le priorità che noi vorremmo indicare a queste persone, che già nelle prossime settimane si troveranno sul tavolo il carico ingombrante e, mi rendo conto, assai disagevole dei tanti problemi che si sono accumulati in questi anni, e lasciatemelo dire, in particolare negli ultimi cinque anni, dal punto di vista delle condizioni di vita e di lavoro nelle carceri. E le nostre non devono essere solo chiacchiere, di quelle purtroppo e obbligatoriamente anche noi ne facciamo tante, ma c’è bisogno di urgenza, di cose concrete.

Sergio Cusani diceva che tutti noi stiamo andando in queste settimane a ricostituire quella trama di rete, di coordinamento, non solo sull’informazione, ma sui temi politici e sui temi sociali, a ricostituire quel cartello di associazioni, di cooperative, di sindacati, di imprenditoria, che vada a confrontarsi non solo con il Ministro della Giustizia, ma con tutti i soggetti che hanno possibilità di agire, competenza, un ruolo sui temi che ci premono e dei quali anche oggi siamo qui a discutere. Ed è importante però che nessuno ragioni più solo con l’angolo visuale ristretto della propria competenza e talvolta del proprio orticello. Dobbiamo coordinarci, perché i problemi sono comuni, e da questo coordinamento dobbiamo trarre l’autorevolezza e la forza affinché questa politica, spesso distratta (ma credo che dobbiamo dare un atto di fiducia al nuovo Parlamento, al nuovo Ministero) trovi un’attenzione nuova ai temi del carcere e della giustizia, e affinché le urgenze, che sono economiche, che sono politiche, che sono riconoscimento di dignità per chi lavora nelle carceri, e riconoscimento spesso di vita per chi invece nelle carceri è detenuto, diventino una delle priorità di questo Governo.

Appello al Ministro della Giustizia dalla Giornata di Studi nazionale

sull’informazione “Dalle notizie da bar alle notizie da galera”

 

L’assemblea dei detenuti, operatori, magistrati, avvocati, lavoratori in ambito carcerario, volontari, cappellani e giornalisti, che si è tenuta nel carcere di Padova il 26 maggio 2006, sottopone al Ministro della Giustizia, on. Clemente Mastella, alcune osservazioni propositive in ordine ai tanti, gravi problemi che affliggono le condizioni di vita e di lavoro dentro gli istituti penitenziari e nell’area penale esterna.

  1. Esiste una proposta organica di riforma strutturale dell’Ordinamento penitenziario, elaborata da Alessandro Margara, già a capo dell’Amministrazione penitenziaria, e da Francesco Maisto, sostituto procuratore generale della Repubblica di Milano, e già presidente del Tribunale di Sorveglianza. Tale riforma, oltre che l’organicità, ha il pregio di non comportare costi aggiuntivi a carico dell’Amministrazione. In molte sue parti, inoltre, potrebbe divenire operativa senza necessità di percorsi parlamentari. Quindi, fondamentalmente, potrebbe trovare avvio semplicemente a partire dalla volontà e responsabilità politica, in tempi brevi e dunque adeguati alle necessità.

  2. Tra le urgenze, ormai drammatiche, che vivono le carceri perdura quella del gravissimo sovraffollamento - che mortifica le condizioni di vita dei detenuti e umilia la dignità professionale degli operatori, assistenti sociali, educatori, degli agenti di polizia penitenziaria, dei direttori e anche dei volontari. Per affrontare concretamente tale problema si impongono decisioni legislative e parlamentari, in ordine a provvedimenti deflativi. Ma una misura di rafforzamento, ampliamento e rispetto delle piante organiche del personale, nelle sue varie funzioni e articolazioni, potrebbe, nel frattempo, contribuire a migliorare la situazione. Così pure vanno ampliate e rese più celeri le possibilità di misure alternative alla detenzione - rafforzando gli organici dell’area penale esterna. Lo stesso vale per una maggiore e migliore destinazione di risorse finalizzate alle attività trattamentali, a quelle formative e culturali, al lavoro penitenziario.

  3. Il miglioramento, possibile in tempi immediati, delle condizioni di detenzione passa anche attraverso l’applicazione del Regolamento penitenziario, varato nel 2000, in tutte le sue previsioni. Importanza particolare va attribuita a misure e strutture che garantiscano l’affettività delle persone recluse e dei loro congiunti, come già si sperimenta positivamente in alcuni, rari, istituti.

  4. Drammatica è la questione della salute in carcere. La carenza di fondi e la riforma “inceppata” hanno determinato una grave situazione, tale per cui mancano a volte gli stessi farmaci salvavita e la copertura del personale sanitario, sia a livello medico, sia a livello infermieristico. A tale situazione occorre porre mano con decisione, per garantire un diritto costituzionalmente rilevante, considerando anche il grande numero di persone tossicodipendenti, alcoliste o portatrici di disagio psichico ristrette.

  5. Sul piano legislativo crediamo vadano radicalmente riviste le leggi sulle droghe, sulla recidiva (cd. “ex-Cirielli”) e sull’immigrazione. Sono proprio queste le normative responsabili da sole della maggior parte degli ingressi nel sistema penitenziario, spesso per reati di poco conto o, addirittura, senza la commissione di alcun reato che non sia la violazione della Bossi-Fini (sugli 89.887 ingressi nel corso del 2005, 9.619 hanno riguardato immigrati, ristretti in carcere senza aver commesso reati, che non siano appunto la violazione delle norme sull’espulsione). Viceversa, nuove leggi vanno introdotte, a partire dall’ istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà. Naturalmente, se queste sono le priorità, molti altri sono i provvedimenti legislativi che auspichiamo il nuovo parlamento vorrà affrontare nel corso della legislatura, a partire dal varo del nuovo codice penale.

  6. Infine, vi sono leggi approvate nella penultima legislatura, proposte dall’allora Governo di centrosinistra, che vanno finalmente e integralmente applicate (legge “Smuraglia”, legge “Finocchiaro”, legge di riforma della sanità in carcere, ecc.).

 

Se queste sono solo alcune delle necessità e delle urgenze (molte altre, infatti, si potrebbero enumerare), non di meno appare centrale e rilevante che la, o le, figure, che verranno a breve nominate ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, abbiano caratteristiche, professionali e umane, di attenzione, sensibilità, competenza, che ci facciano sentire garantiti riguardo i punti su esposti.

Nel rispetto delle prerogative, ci pare dunque necessario rivolgerLe anche questa esortazione: che al vertice del DAP vengano insediate figure che abbiamo queste caratteristiche.

Le chiediamo, in questa occasione, la disponibilità a incontrare una delegazione che meglio, con maggiore organicità e nel dettaglio, possa esporLe le nostre proposte e osservazioni, che proprio nell’occasione di questa partecipata assemblea abbiamo potuto raccogliere, definire e condividere.

 

Approvata all’unanimità in conclusione della Giornata di Studi sull’informazione del 26 maggio 2006 nella Casa di Reclusione di Padova.

 

 

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