Prospettiva: lavoro

 

Il Governo si è impegnato ad abbassare l’IVA sulle transazioni di beni e servizi. Le carceri offriranno servizi migliori

 

Il Governo accoglie un’altra proposta del parlamentare mantovano Ruggero Ruggeri volta a migliorare la situazione delle carceri italiane. L’altro giorno, nell’ambito dell’approvazione in aula del disegno di legge sulla riforma del sistema fiscale statale, l’Esecutivo si è impegnato ad abbassare al massimo l’IVA sulle transazioni di beni e servizi "da e per" le carceri italiane.

 

Fonte: Gazzetta di Mantova, 13 maggio 2002

 

Tagliamo l’IVA su tutto quello che ha a che fare con le carceri. La proposta del deputato della Margherita, Ruggero Ruggeri per migliorare la vita dietro le sbarre

 

A cura di Nicola Sansonna

 

Questa è una proposta che ci sembra del tutto nuova e particolarmente stimolante: una boccata d’aria buona, in un panorama di tagli su tutti i fronti dei fondi destinati alle carceri. Abbiamo intervistato Ruggero Ruggeri, deputato della Margherita, per capirne di più delle prospettive che potrebbe aprire la riduzione dell’IVA da lui ipotizzata.

 

Il Governo si è impegnato, accogliendo una sua proposta, ad abbassare l’Iva sulle transazioni di beni e servizi da e per le carceri italiane. Ci può spiegare che cosa l’ha ispirata nel fare questa proposta?

Questa è una delle diverse proposte che ho fatto al Governo per migliorare la vita nelle carceri. Si tratta di un ordine del giorno accolto dal Governo, che si è così impegnato, quando emanerà la riforma fiscale, ad abbassare al massimo l’IVA su beni e servizi che entrano ed escono dai nostri Istituti penitenziari. La motivazione è, per me, sempre la stessa, da quando sono parlamentare. Cerco, per quanto posso, di accendere i riflettori del parlamento sulla situazione delle persone che vivono nelle carceri. Un altro esempio di questi giorni è la presentazione di una mia interpellanza sul problema gravissimo dei suicidi, che trattate spesso anche sulla vostra rivista, che, tra l’altro, è una miniera di informazioni per i lavori di un parlamentare che si vuole impegnare sul tema della giustizia e del carcere.

 

Quali saranno i benefici immediati per i detenuti?

Per i detenuti e per le amministrazioni penitenziarie ci potrebbe essere una riduzione dei prezzi di tutti i beni che entrano in carcere. Ad esempio le derrate alimentari, il vestiario, i medicinali, libri, computer, attrezzature ecc. Se pensiamo al problema cronico dei deficit delle amministrazioni penitenziarie, la riduzione dell’IVA può essere anche un beneficio significativo perché si spende di meno e si può risparmiare o acquistare quantitativi maggiori di una merce. Ci sono macchinari, anche auto, sia per i detenuti che per tutti quelli che lavorano dentro, che senza IVA, costano davvero molto meno. Inoltre quei servizi, eccetto quelli sanitari già esenti da IVA professionali o altro che si acquisiscono dall’esterno, possono costare un po’ meno (meccanici, idraulici, avvocati, progettisti, informatici, ecc.).

 

Quali sono i vantaggi per le imprese che intendono allestire laboratori di produzione in carcere?

Le imprese che allestiscono laboratori interni, nella trasparenza dell’organizzazione societaria del lavoro, potrebbero avere un grande beneficio, perché ad esempio le materie prime che servono per produrre beni all’interno possono costare di meno e così i prodotti finiti che escono. Le imprese all’esterno, quindi, possono essere più competitive nel fare prezzi più bassi ai consumatori.

 

Questo tipo di sgravi fiscali è applicabile anche a ditte esterne che assumono detenuti in misure alternative? Questo penso di no, anche se dipende dal tipo di contratto di lavoro che l’azienda esterna contrae con i detenuti in misure alternative.

 

Ha altre considerazioni da fare sul lavoro in carcere e sull’attuale situazione degli istituti di pena?

Il lavoro non solo è uno strumento per imparare, investire sul proprio futuro, trascorrere meglio il tempo, per un recupero migliore, ma è anche, per molti, lo strumento per avere qualche soldo senza dipendere da altri, senza pesare sulle famiglie. Bisogna comunque rispettare un principio, che è quello che ad un lavoro deve corrispondere sempre una remunerazione. Questa non è una questione sindacale, ma il rispetto della dignità della persona che lavora. Nelle misure alternative non sempre chi lavora viene remunerato adeguatamente e molto spesso viene sfruttato. All’interno invece possiamo dire che le attività produttive quasi non esistono. Non c’è un rapporto fra le attività dentro e il mondo produttivo e del consumo fuori.

Anche gli enti pubblici potrebbero far lavorare i detenuti dentro con affidamenti di servizi e fuori con le misure alternative, ma sono troppo pochi quelli che lo fanno. In conclusione, mi pare che, anche in tema di lavoro, il problema più importante sia il dopo. Quando la persona esce dopo aver scontato e pagato si ritrova da sola. Invece di incontrare una cultura della solidarietà e della giustizia, chi esce trova la cultura del fai da te, dell’indifferenza, dell’ipocrisia e del pregiudizio. Troppo spesso la cultura della comunità locale non considera e tratta chi è dentro in carcere e chi esce come suoi componenti, forse i più importanti per l’attenzione e il sostegno di cui avrebbero bisogno. C’è ancora molto da fare in termini di pregiudizi culturali… ma siamo qui per questo. 

L’agricoltura ha fame di braccia

 

La risposta potrebbe arrivare dal carcere che ne ha molte, anche qualificate. Alla scoperta... del pollice verde

 

Tra i corsi professionali che si tengono all’interno della Casa di Reclusione di Padova ci sono l’orticoltura biologica e l’ortoflorovivaismo. Quali sono le difficoltà che si incontrano nello svolgere questa attività in carcere? Quali le prospettive di trasformare in opportunità lavorative i corsi di formazione? Ce ne parla Nicola De Martino, uno dei responsabili dei corsi.

 

Parlaci un po’ di te, di dove ti sei formato, che esperienze hai fatto prima di arrivare nel carcere di Padova.

Mi chiamo Nicola De Martino, sono laureato in scienze agrarie. Da dicembre 1996 sono un tecnico agrario del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Come mia prima esperienza lavorativa, sono stato nella Casa di Reclusione sull’isola della Gorgona, dove mi sono fatto le ossa e ho potuto mettere in pratica quello che per alcuni anni ho studiato all’Università. In tutta onestà le difficoltà sono state tante: sia perché non ero stato preparato né tecnicamente e né "moralmente" a questo tipo di lavoro, sia perché ho dovuto rinunciare alla mia vita privata. Se si aggiunge il fatto che non provengo da una realtà di tipo contadino, la fatica è stata grande. Oggi però devo dire grazie a questa esperienza, se mi sento più forte dentro, sia moralmente che professionalmente. Adesso sono arrivato a Padova con molta umiltà, forte della mie esperienze acquisite. Riuscire a trasmettere questa mia esperienza a persone più sfortunate di me, ma con una gran voglia di imparare, mi piace molto.

 

Quali sono le attività agricole che vengono realizzate all’interno del carcere?

Sono partito ad ottobre, quando sono arrivato, con notevoli difficoltà, anche perché provengo da una realtà, quella di Gorgona, con ben altre dinamiche lavorative. Attualmente stiamo lavorando, dovendo affrontare contemporaneamente mille piccoli problemi, che talvolta sembrano insuperabili. In ogni caso vado per la strada che credo essere la più giusta, ed è soprattutto grazie all’ENAIP e alla CIPAT, di cui sono consulente, che, attraverso corsi di formazione, stiamo cercando di fare un’opera di persuasione della validità di questo lavoro anche tra le persone più scettiche. Siamo così partiti con due corsi professionali, di cui uno di orticoltura biologica e l’altro di ortoflorovivaismo.

 

Pensate che sia possibile, anche grazie a questi corsi, un futuro reinserimento dei detenuti che li frequentano nel mondo del lavoro?

L’attività è indirizzata ad una quindicina di detenuti, ci sono due gruppi. Lo scopo è formarli, sia teoricamente che praticamente, con l’idea che la preparazione ricevuta possa rappresentare una chiave di reinserimento nel complesso e difficile mondo del lavoro, che comunque cerca braccia esperte e qualificate. La richiesta in questo settore del resto è tanta, chi conosce il mercato molto meglio di me dice che nel Trentino e nel Veneto manca personale a cui affidare lavori nel settore agricolo. Molti italiani non li vogliono più fare, ed è difficoltoso trovare anche personale straniero (vedi raccolta ortaggi, frutta). Potrebbero essere i detenuti, una volta qualificati, ad effettuare molti di quei lavori dove il mercato lamenta la mancanza di manodopera.

 

Il problema è che a tutt’oggi non si è ancora sperimentato un meccanismo, che dia una possibilità concreta alle persone ora detenute di poter lavorare in questo campo. Sono anni che i ragazzi, gli uomini che seguono i miei corsi mi dicono: "Dottore, la difficoltà maggiore è rappresenta dal nostro reinserimento nel mondo del lavoro, che praticamente non avviene. Quando ci presentiamo ad un datore di lavoro con un curriculum di anni e anni trascorsi in carcere, chi vuole che ci prenda?".

Forse dovremmo cambiare atteggiamento anche noi, nei loro confronti, chi segue un corso lo fa per imparare un lavoro e quindi si augura di mettere in pratica quanto imparato. L’idea di far frequentare i corsi "tanto per tenere la gente impegnata" è decisamente superata.

 

Che tipo di finanziamenti avete e sono previste borse di studio?

Abbiamo dei finanziamenti europei, perché i nostri sono corsi realizzati con i Fondi Sociali Europei.

È prevista una borsa di studio destinata a 10 detenuti, rispetto ai 15 che sono i corsisti. Chiaramente non si può accontentare tutti. Questo ha creato malcontento in alcune persone. Abbiamo cercato di risolverlo arrivando ad un compromesso: la divisione delle borse di studio.

 

C’è una buona partecipazione delle persone detenute?

La partecipazione è buona, l’impegno è costante. Le difficoltà maggiori sono rappresentate dagli stati d’animo delle persone che lavorano, che, a causa di eventi, personali e giudiziari, si ripercuotono anche sul corso. Purtroppo il carcere crea delle forti tensioni emotive ed è difficile scaricarle o far finta che non esistano.

Incide poi sullo stato di attenzione anche il livello di scolarizzazione, che a volte può essere un limite all’apprendimento. Ma l’impegno c’è. Aggiungerei che per alcuni queste attività sono lontane, estranee, nel senso che si tratta di gente che non ha mai avuto un rapporto diretto con il mondo agricolo.

 

Quali sono i problemi che si manifestano più di frequente con i ragazzi durante il corso?

Il problema principale è quello sicuramente legato alla mancata autorizzazione all’uscita nei campi per le attività pratiche. Infatti c’è carenza di personale che condiziona tantissimo le nostre attività. È da alcuni mesi che sollecitiamo la Direzione, per avere maggiore personale addetto, essenziale affinché i corsisti possano svolgere le attività pratiche. Ma a tutt’oggi non abbiamo ricevuto che risposte alterne.

Per i ragazzi l’uscita rappresenta un motivo per sentirsi veramente attivi per qualche ora. La possibilità di sentire gli odori della natura, odori che evocano antichi ricordi, rappresenta un motivo per distoglierli per un momento dai problemi quotidiani della carcerazione. E intanto imparano un mestiere.

 

Dopo aver raccolto le impressioni dell’insegnante sui corsi, abbiamo voluto raccogliere le testimonianze di alcuni corsisti

 

Francesco Larosa: Ho voluto iniziare questo corso per completare la mia conoscenza nel campo agricolo. La mia esperienza si limitava agli agrumeti: aranci, mandaranci, limoni, pompelmi, mapo. A Rosarno (RC) avevo anche un orto ad uso familiare. Piantavo il necessario per la mia famiglia. Una particolarità: usavo qualche volta prodotti chimici per risolvere problemi di crescita e di difesa antiparassitaria. E usavo anche concimi composti per arricchire e preparare la terra. Nel corso che sto frequentando si parla invece di orticoltura biologica, e i professori ci stanno spiegando quanto i prodotti chimici danneggino la natura, penetrando attraverso il terreno nelle falde freatiche e inquinandole. Allo stesso modo, la frutta e le verdure assorbono queste sostanze che poi ingeriamo anche noi. Sto imparando la coltivazione biologica, e la metterò certamente in pratica sulla mia terra. Tutto questo mi piace molto, anche se a volte non possiamo fare pratica sui campi, perché manca il personale, gli agenti. E così ci tocca fare teoria. È interessante, ma la pratica è molto più entusiasmante. E si impara prima.

 

Fabio Iannice: Io non avevo nessuna esperienza di agricoltura, anche se provengo da un paese della Calabria, in cui l’agricoltura è molto sviluppata. Quando ho saputo che c’era in programma un corso di orticoltura biologica, mi sono subito iscritto perché volevo conoscere la materia.

Il corso è diviso in due parti: teoria e pratica. La teoria si fa in aula, ma la pratica è per noi un momento molto bello perché siamo a contatto diretto con la natura. Al momento stiamo preparando la terra per mettere a dimora dei lamponi, oltre ad un altro terreno che sarà adibito ad orto. Mi piacerebbe molto. a seguito di questo corso, trovare lavoro nel campo agricolo. Un effetto positivo il corso con me comunque lo ha già ottenuto: un’attenzione particolare da parte mia alla natura.

 

Per finire, un augurio di Nicola De Martino, (formatore): che l’approccio alla questione del lavoro in carcere diventi più dinamico da parte del Ministero e di tutte le istituzioni. Perché al lavoro deve essere data la giusta rilevanza, ed è quindi auspicabile che i fatti superino le buone intenzioni. Domani sarebbe forse già troppo tardi per molti.

 

 

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