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I ragazzi difficili e l’ergastolano. "Il gioco non vale la candela"

 

di Mario Salvati

 

Da Mario Salvati, nostro "inviato per forza" a Tolmezzo, riceviamo questo interessante scambio di lettere. Non è cosa di tutti i giorni che un ergastolano tenti di instaurare un contatto diretto con ragazzi ospiti di un istituto per adolescenti "difficili". Mario, detenuto da moltissimi anni, lo ha fatto.

 

Questa è una lettera che ho spedito a dei ragazzi che frequentano un corso gestito dal Cefap (Centro Formazione Agricola Permanente). Il gruppo è composto da ragazzi italiani, marocchini, albanesi, rumeni. Un insegnante del corso di giardinaggio, che frequento qui a Tolmezzo, li ha definiti "ragazzi difficili", ma con grandi potenzialità. Qualcuno ha già avuto piccoli problemi giudiziari. Non sono detenuti, e speriamo che non lo diventino mai. Ma molti di loro possono essere veramente a rischio. Paradossalmente, sembra che qualcuno di loro non veda l’ora di finire in galera, per sentirsi "importante". Per questo ho cercato di spiegargli com’è davvero la realtà del carcere. Spero di esserci riuscito e forse qualcuno sembra avere capito. Quello che mi rispondono mi conforta molto. Sarei felice se la mia lettera avesse fatto riflettere anche uno solo di loro. Sono tutti minorenni.

 

Cari amici, ciao

Sono Mario Salvati e sono detenuto nel carcere di Tolmezzo. Sono stato arrestato nel 1983, e da allora non sono mai uscito, se non per andare al funerale dei miei genitori. Sono entrato che avevo 28 anni e ancora oggi, a 19 anni di distanza, non so quando uscirò, perché il mio, come è scritto nel fascicolo, é Fine pena: mai. Di solito è scritto pure in rosso, casomai qualcuno non lo leggesse bene. Sono un ergastolano, detenuto da prima che voi nasceste.

Quando ero ragazzo, come lo siete ora voi, anzi ancora più piccolo, anch’io la pensavo in modo che credo sbagliato, come forse molti di voi ora. E come parecchi di voi, io pure sono emigrato. Provengo da Rodi Garganico, un paesino del sud che si trova in provincia di Foggia.

Con tutta la famiglia ci siamo trasferiti a Milano. All’inizio ho incontrato le stesse difficoltà che avrete senz’altro trovato voi. Non c’erano tante possibilità per gli emigrati, negli anni ‘60. Per noi ragazzini non era possibile avere nemmeno una semplice bicicletta. Ma, come qualsiasi altro ragazzo della mia età, mi piaceva il divertimento, tipo andare in giro con il motorino o avere dei vestiti "sani", o magari il primo pacchetto di sigarette, o pagare da bere alla fidanzata. Per arrivare a permettermi tutto ciò, non sono stato capace di trovare altra soluzione che commettere il primo furto.

Il guaio forse sta nel fatto che mi era andata bene. Convinto di non dover mai pagare per i reati che commettevo, ho continuato. Sembrava tutto così facile. Man mano che crescevo sono passato a reati più gravi, naturalmente. Per mia sfortuna guadagnavo sempre di più e non mi rendevo conto in quale tunnel mi stavo spingendo. Non c’era via d’uscita, perlomeno io non riuscivo a vederla, anche perché non la cercavo. Mi ero formato la convinzione di essere nel giusto, di essere un duro.

Sono entrato e uscito dal Beccaria, il carcere minorile di Milano, tante volte. Era quasi un collegio. Tante volte sono anche scappato. Non sentivo il Beccaria come carcere, o luogo che poteva farmi capire la vera realtà del carcere, quindi continuavo a rubare e a non pensare a quello che poteva diventare il mio futuro.

Qualcuno ha tentato di insegnarmi un lavoro, ma senza insistere troppo. In verità sono stato stupido io a non capire che quelle erano delle persone che veramente volevano darmi una mano e pensavano al mio futuro. L’ho capito solo dopo tanti anni, di aver sbagliato a non ascoltare quelli che volevano insegnarmi un lavoro e come farcela a vivere senza bisogno di andare a rubare. Se gli avessi dato ascolto sicuramente non mi sarei trovato in questa situazione, che non è affatto bella. Sei un uomo chiuso, tagliato fuori dal mondo. Quel fine pena mai è lì a ricordarti chi sei e chi invece avresti potuto essere.

I primi anni di questa mia detenzione, non immaginavo a cosa andavo incontro. Non conoscevo le sofferenze e le umiliazioni che avrei dovuto subire nel tempo. Non crediate che nelle carceri tutto sia dovuto, anzi non ti spetta quasi niente. Ho dovuto affrontare tanti processi, nei quali sono stato condannato a tanti anni, per tutte le cose che ho fatto. Credete a me, tutti i reati che si fanno prima o poi si pagano, e così è stato per me. Ho guadagnato anche tanti soldi, ma era tutta un’illusione. Perché quei soldi in realtà non li ho goduti io. Man mano che facevo i processi, i miei avvocati si sono portati via tutto quello che avevo. Alla fine io non ho nemmeno rubato per me, ma per pagare i miei avvocati. E non sono stato l’unico a finire così, perché tra noi detenuti è diventato quasi un proverbio: "Andiamo a rubare per i nostri avvocati". Che fessi che siamo!

Perdere tutti i soldi è il minimo. Perché poi si perdono anche le persone a noi care. Le fidanzate, o la moglie, ti lasciano e se ne vanno. Ed è anche giusto che lo facciano. Siamo stati noi a non volergli bene, non le abbiamo mai ascoltate e non siamo mai stati vicini. I danni li abbiamo fatti noi, quindi queste sono le conseguenze delle nostre scelte sbagliate. Una donna non può stare dietro ad un detenuto, che non può darle nient’altro che belle parole. Se avessi ascoltato chi mi consigliava di cambiare vita, le persone a me care non le avrei perse. E di perderle, invece, non è capitato solo a me, ma al 99 % di chi si trova in carcere.

Se potessi tornare indietro, non commetterei più reati e ascolterei chi vuole darmi una mano o insegnarmi un mestiere.

Quando sono sdraiato sulla branda e faccio i castelli, cioè mi metto a pensare e sognare, il mio sogno più frequente è quello di essere onesto, di lavorare e guadagnarmi un modesto stipendio mensile, accontentarmi di pochi soldi, ma essere libero. La sera tornare a casa, vivere la gioie di tante piccole grandi cose, con la mia famiglia. Per me è un bel sogno, e non so se si realizzerà mai.

Se avessi capito prima che fare questa vita avrebbe portato solo al fallimento, ora sarei un libero cittadino e non un sorvegliato a vista o un numero. Noi detenuti non siamo padroni di niente, neanche l’ora d’aria che facciamo in questi scatoloni ci appartiene. Anche lì siamo sempre sorvegliati e quando vogliono ci spostano da un carcere all’altro, dal Nord al Sud dell’Italia.

Qui in questi posti si hanno pochi diritti, è da stupidi voler venire a subire tutte queste angherie, ma se volete farlo, le porte delle carceri sono sempre aperte per gli stupidi come noi. Passare una vita qui dentro, vi assicuro, non è una bella cosa. Se potete statene il più lontano possibile, da questi posti, un ragazzo che ha un po’ di dignità non deve venire a subire questa realtà.

A volte si pensa erroneamente che uno, se va a lavorare, è un fesso e non è coraggioso. Tutt’altro. Uno che si alza alla mattina e va a lavorare, quello è un duro, è un coraggioso, ha una forza di volontà che metà basta. Va ammirato per quello che fa. Questa cosa noi non siamo stati capaci di farla: accontentarci di una vita onesta, magari con pochi mezzi, ma da uomini liberi. Ragazzi, cercate di diventare come quei coraggiosi che si alzano e vanno a lavorare, e la vita, anche se sarà faticosa, vi sorriderà perché sarete liberi.

Ciao ragazzi vi saluto, se vi fa piacere scrivetemi, così parleremo in maniera più approfondita.

 

Ciao Mario, siamo alcuni alunni della classe prima. Ci ha fatto molto piacere ricevere la tua lettera.

Molte cose sono talmente vere che ci fanno quasi paura e danno molto da riflettere.

Condividiamo molte tue idee, e in special modo il fatto che chi lavora è coraggioso. Ed è anche vero che se fa il più umile dei lavori di questo mondo è comunque una persona libera. Il lavoro è la cosa più nobile del mondo, ti da una dignità, uno stipendio, una vita da vivere, anche se non la sappiamo apprezzare. Ci accorgiamo delle cose belle che abbiamo solo quando le perdiamo.

Hai ragione quando dici che alla gente interessano i soldi facili, attirano molto, ma il prezzo da pagare è troppo alto e facendo un bilancio finale si giunge ad un nulla di fatto. Il gioco non vale la candela. Infatti, come tu dici, i soldi che hai "guadagnato" sono finiti tutti all’avvocato.

Anche a noi piace uscire con la fidanzatina, offrirle una pizza, una birra, ma le nostre finanze sono molto limitate. Allora molti cominciano a rubare, truffare, spacciare e si trovano chiusi in una spirale a senso unico.

Noi ti stimiamo, perché nonostante tutto riesci a convivere con le condizioni di vita che devi sopportare.

Alcuni sottovalutano la pesantezza di dover affrontare anche una sola settimana in prigione, ma sono giovani che sanno poco di vita, che non lo hanno provato. C’è chi per bravate da ragazzi ha passato una notte in questura e si guarda bene dal rifarlo.

Non vorremo perdere ogni scrupolo e cominciare ad avviarci stupidamente in un viaggio senza ritorno.

Abbiamo trovato bellissime parole che ci parlano, ci aiutano, ci danno lo stimolo di continuare la scuola, il lavoro, anche se lo reputiamo un lavoro di merda, perché pesante, duro, con persone non sempre aperte, rispettose e disponibili, il lavoro è importante.

Anche se qualcuno ancora non lo capisce, extracomunitari ma anche italiani, frequentando questo corso abbiamo l’opportunità di farci una vita, una dignità, possiamo trovare buoni lavori. È triste che qualcuno non lo capisca, ma purtroppo lo imparerà a sue spese.

Speriamo che ti farai risentire. Ti salutiamo con il tipico saluto friulano, "Mandi"...

Seguono le firme di una decina di ragazzi.

False emergenze e problemi nascosti

 

Una criminalità minorile che cresce più sulle pagine dei giornali che nella realtà

 

di Graziano Scialpi

 

Il caldo di questa torrida estate dovrebbe far sciogliere alcuni spauracchi di cera, rivelando quello che c’è sotto: vale a dire nulla. Ci riferiamo in particolare all’emergenza della criminalità minorile. Un allarme tanto grave e sentito, che nei mesi scorsi ha spinto il Ministro della Giustizia a presentare un disegno di legge che abbassa la soglia di punibilità a 12 anni e inasprisce le pene per i minorenni. Dalle pagine di questo giornale avevamo già sostenuto l’inutilità e la dannosità di un simile progetto. In questi giorni i dati del 35° Rapporto CENSIS 2001, ripresi e analizzati nel secondo rapporto dell’Associazione Antigone sull’esecuzione penale e sulle condizioni di detenzione in Italia, confermano con la loro oggettività l’insussistenza di questa emergenza squisitamente mediatica.

Negli ultimi dieci anni, infatti, la delinquenza minorile non solo non è aumentata, ma è addirittura regredita. Dal 1991 al 2001, i minori denunciati alle forze dell’ordine sono diminuiti del 17,4%, passando da 26.783 a 22.132. Se invece si esaminano i dati relativi alle denunce alle Procure, che comprendono anche i reati per i quali si procede d’ufficio, la variazione percentuale è del 2,4%, anche questa in negativo. Anche i tipi di reati di grande preoccupazione sociale, e in special modo gli omicidi, non hanno fatto registrare crescite tali da giustificare allarmismi. Nel 1991, gli omicidi commessi da minorenni sono stati 35 e, a parte il 2000, quando ne sono stati compiuti 36, il fenomeno ha registrato diminuzioni anche del 60%, con i 17 omicidi del 1995 e i 14 del 1999.

Tuttavia il dato che più di ogni altro può far capire l’uso strumentale delle preoccupazioni intorno al fenomeno della criminalità minorile è quello della percentuale dei ragazzi entrati in contatto con il sistema giudiziario, rispetto al numero totale dei reati denunciati nel paese. Secondo Il CENSIS, la situazione dell’Italia in questa materia è molto migliore rispetto a quella degli altri paesi europei. Mentre in Germania i minorenni rappresentano il 13% dei soggetti denunciati, cifra che in Francia sale al 21,3% e nel caso della Gran Bretagna addirittura al 23,9%, in Italia i minori che entrano nel circuito della Giustizia raggiungono solamente il 2,8% del totale. Solo la Spagna, con il 3,9%, si avvicina alle nostre cifre. Se poi si vuole scendere nel particolare dei reati allarmanti, si può vedere che i minorenni italiani hanno compiuto solo il 2,2% degli omicidi commessi nel nostro paese, contro il 6,9% registrato in Francia, il 6,7% della Germania e il 5,1% del Regno Unito. Le condanne a 16 e 14 anni di reclusione, inflitte a Erika e Omar, hanno inoltre dimostrato che l’attuale sistema penale minorile è perfettamente in grado di dare risposte dure, commisurate alla gravità del fatto. Chi pensa che non siano sufficientemente dure consideri che rientrano nella media delle pene inflitte agli adulti per lo stesso reato e che ci sono persone, i cosiddetti collaboratori di giustizia, con ottanta omicidi sulle spalle, che gironzolano tranquillamente libere con il beneplacito dello stesso Stato. L’unico dato sui minori diffuso dal CENSIS che segnala un incremento è quello dei suicidi. Nel 1991 i ragazzi tra i 15 e i 24 anni che si sono tolti la vita sono stati 328, mentre nel 1997, anno per cui sono disponibili i dati più aggiornati, i decessi per suicidio nella stessa fascia di età sono saliti a 394. Ma questa realtà non sembra suscitare preoccupazioni. Forse perché può essere interpretata come un segnale di quella "maggiore maturità" dei giovani italiani che renderebbe necessarie pene più draconiane.

 

Un paese che invecchia e che criminalizza sempre di più i giovani

 

D’altra parte, quando ci si trova di fronte a false emergenze, la storia e la pratica sociale insegnano che si può essere ragionevolmente certi che da qualche parte c’è un vero problema che viene invece sottaciuto. Proviamo a fare un esempio, partendo da lontano. Il disegno di legge che inasprisce le misure penali per i minorenni è stato presentato come la risposta a una richiesta di sicurezza da parte del Paese. Facciamo una fotografia di questo Paese: l’Italia è uno stato a crescita zero, che non fa più figli; è uno stato anagraficamente vecchio e che invecchia ogni anno sempre di più; è un paese che nel prossimo, immediato futuro sarà popolato da una stragrande maggioranza di ultrasettantenni e da pochissimi giovani. In questo paese anziano, ogni estate, i NAS dei carabinieri vanno a visitare le case di riposo e i ricoveri per anziani, e cosa trovano? Nei casi migliori, farmacie colme di medicinali scaduti che vengono propinati agli ospiti, spesso condizioni igieniche da terzo mondo e qualche volta dei veri e propri lager con i pazienti legati sui letti. A Trieste, che in questo senso è una sorta di "città laboratorio", in quanto ha anticipato questo invecchiamento anagrafico assai prima che il resto dell’Italia, i casi di anziani trovati morti di fame e sete dopo che erano stati immobilizzati da una caduta in casa non fanno più notizia. La stampa locale dedica a questi eventi un trafiletto solo se sulla pagina c’è un "buco" di notizie da riempire o se il ritrovamento è accompagnato da particolari raccapriccianti. Di fronte a questa realtà lo scenario che si prospetta non è certo dei migliori. Nei prossimi decenni il numero di anziani non autosufficienti crescerà in maniera esponenziale. In mancanza di adeguate e capillari strutture di sostegno domiciliare diffuse sul territorio, l’unica risposta possibile sarà l’ospedalizzazione con costi enormi, insostenibili per una sanità pubblica che non sarà più sufficientemente sostenuta da un proporzionato numero di cittadini in età da lavoro.

Come mai di fronte a queste realtà e, soprattutto, a queste prospettive inquietanti non c’è alcun allarme sociale? Come mai non c’è alcun bombardamento televisivo e mediatico? Forse perché ogni anziano che muore rappresenta un sospiro di sollievo per le esauste casse dell’INPS?

Un’ultima considerazione a questo proposito. Il paese invecchia a ritmi inarrestabili e quei pochi, preziosi giovani che rimarranno li si vuole rinchiudere in galera al primo sbaglio, invece di fare tutto il possibile per recuperarli? In una società i giovani sono una risorsa irrinunciabile, soprattutto quando la società in questione diventa sempre più anziana. Dove verranno presi i giovani necessari a far funzionare l’Italia? Verranno richiamati dal Magreb dopo che sono stati espulsi?

Per il momento si può avere una sola certezza: per questo problema non verrà fatto nulla, nessun provvedimento verrà preso per tempo. Si persisterà a navigare a vista. Si continuerà con la politica dello struzzo. Si combatteranno "emergenze" secondo la moda del momento, mentre il bubbone continuerà a crescere fino a scoppiare. Esattamente come è accaduto per la siccità che sta mettendo in ginocchio l’agricoltura meridionale. Il problema era conosciuto da decenni, eppure si è fatto finta di niente. Solo adesso, con le città assetate e la desertificazione che ormai sta divorando intere regioni, si scoprono rimedi vecchi di cinquant’anni, come l’irrorazione delle nuvole con ioduro d’argento per far piovere.

 

 

 

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