Dentro & Fuori

 

Reato e giustizia riparativa: un percorso possibile

Mario Nasone, direttore dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Reggio Calabria, parla della convenzione che ha firmato con il Centro di Servizio per il volontariato. Per promuovere il coinvolgimento di soggetti in misura alternativa in lavori di pubblica utilità presso associazioni di volontariato ed enti locali

 

(Realizzata nel mese di aprile 2006)

 

a cura di Marino Occhipinti

 

In questi ultimi anni all’interno della magistratura e nei servizi che si occupano di problematiche penali è cresciuto notevolmente il tema della Giustizia riparativa, ovvero di una giustizia che assume su di sé il compito di realizzare una sorta di riparazione del danno arrecato attraverso il compimento di uno o più reati. Una giustizia che pone al centro chi ha commesso il reato, ma che considera anche chi ne ha subito le conseguenze, sia esso un singolo, sia la collettività. In ambito penitenziario, la giustizia riparativa si è affermata circa vent’anni orsono, allorché la legge Gozzini ha previsto che le persone che scontano la condanna in affidamento in prova al servizio sociale debbano adoperarsi, per quanto possibile, a favore delle vittime del reato, indicazione rimasta quasi disattesa sino agli anni recenti.

Ma che cosa s’intende, in ambito penitenziario, per riparazione del danno? Il pensiero che sottende all’azione riparativa è quello secondo il quale il reo, attraverso il reato, si è reso autore di un danno contro qualcuno, che può essere un singolo individuo, un gruppo o più in generale la collettività. L’adoperarsi a favore della vittima o della collettività vuol significare allora restituire a questi soggetti, in forma materiale o simbolica, ciò di cui sono stati privati a seguito della commissione del reato. Si tratta di un insieme di processi di pensiero e d’azione attraverso i quali, durante il periodo della pena, una persona che ha commesso uno o più reati si attiva con modalità che possono comportare: il risarcimento alla parte lesa, se questo è previsto nella sentenza di condanna e non è ancora avvenuto; il contatto con la vittima del reato, anche attraverso terzi, sempre quando questo sia possibile e opportuno; l’impegno in un’attività gratuita a favore della collettività.

Nella terza ipotesi la persona condannata è chiamata a svolgere attività riparativa in qualche ente o associazione del territorio attraverso un servizio di volontariato. Ma la comunità locale che ne pensa? Che cosa pensa della pena e del reo? Lo teme o è disponibile ad accoglierlo, mettendolo “alla prova”, anche rispetto alle sue competenze, capacità e interessi? Si è avviata nella comunità una riflessione sui possibili significati e sull’opportunità di un’attività di riparazione? La riparazione è quindi anche un dato culturale, e va dunque promossa attraverso un processo di sensibilizzazione e coinvolgimento della realtà sociale. Quest’ultima, non bisogna dimenticarlo, è anche il luogo di contraddizioni, che danno vita a problemi sociali e, in un certo modo, alla devianza ed alla criminalità stessa.

Abbiamo intervistato il dottor Mario Nasone, direttore dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Reggio Calabria (già Centro di Servizio Sociale per Adulti), che per dare vigore alla giustizia riparativa ha recentemente firmato una convenzione con il Centro di Servizio per il volontariato.

 

Di quanti operatori dispone l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (UEPE) da lei diretto e quante persone avete in “carico”, siano esse detenute o in misura alternativa?

L’Ufficio da me diretto conta in totale 41 unità, di cui 19 assistenti sociali ed il resto personale amministrativo, contabile e di polizia penitenziaria. Nell’anno 2005 l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Reggio Calabria ha seguito – su tutto il territorio provinciale – 325 persone in misura alternativa “affidati in prova al servizio sociale”, di cui 33 tossicodipendenti e 2 militari; 58 in “regime di semilibertà” e 194 “detenuti domiciliari”. Inoltre è stata effettuata l’osservazione permanente su 392 ristretti in provincia e 308 detenuti in istituti di non competenza territoriale, mentre su persone libere sono stati seguiti 466 casi. Infine abbiamo seguito 103 persone in libertà vigilata. L’UEPE ha poi eseguito circa 3000 interventi di segretariato sociale, 42 casi di attività di assistenza familiare, 33 casi di sostegno post-penitenziario e altri 33 per permessi premio.

Su tutto questo lavoro, solo dieci sono state le revoche per andamento negativo della misura alternativa e cinque per cambio di posizione giuridica; 11 casi di revoca della detenzione domiciliare e tre revoche del beneficio della semilibertà. I progetti d’inserimento lavorativo attraverso lo strumento delle borse lavoro e di altri strumenti di politiche attive del lavoro sono stati 15.

 

Il ruolo degli assistenti sociali sembra dividersi tra sostegno e controllo…

In effetti gli assistenti sociali hanno un ruolo duplice. Da un lato sono chiamati ad instaurare relazioni di aiuto per le persone condannate, con l’obiettivo di facilitare l’accesso alle opportunità ed il reinserimento sociale. Dall’altro devono favorire i processi di responsabilizzazione e di recupero dei valori della legalità. Attività di sostegno e di controllo vanno necessariamente coniugate insieme.

 

Come risponde il territorio calabrese alle esigenze di reinserimento sociale delle persone che hanno – o hanno avuto – problemi con la giustizia, per quanto riguarda la casa, il lavoro, ma anche le relazioni sociali?

Dal lavoro svolto in questi anni si evince che il territorio calabrese non è pregiudizialmente contrario alle politiche tese al recupero dei condannati, ma ha bisogno di avere una informazione obiettiva sul carcere e sulle scelte di politica penitenziaria. In particolare registrano consensi gli interventi verso i giovani detenuti e le persone in genere che non appartengono alla criminalità organizzata, e le attività che prevedono l’accesso al mondo del lavoro e la giustizia riparativa.

 

Ha fatto cenno alla giustizia riparativa: cosa fate su questo versante? Avete già sperimentato dei percorsi? Che esito hanno avuto e quali sono i vostri obiettivi?

La giustizia riparativa ha una grande importanza anche nella prospettiva di una nuova esecuzione penale attenta alle vittime, al valore pedagogico della espiazione della pena, al collegamento con la società. Come UEPE già da diversi anni la stiamo sperimentando: sono circa 120 i soggetti in misura alternativa che hanno svolto servizio di pubblica utilità presso associazioni di volontariato ed enti locali, attività che avrà un notevole impulso nei prossimi anni grazie alla convenzione stipulata tra UEPE e il Centro di Servizio per il volontariato della Provincia di Reggio Calabria. La ricaduta sia sui soggetti coinvolti, sia nel mondo del volontariato, è stata largamente positiva anche se c’è una forte esigenza, negli operatori in particolare, di approfondire il tema e favorire il consenso del detenuto, la sua valenza pedagogica anche per evitare che diventi una prescrizione ed un automatismo.

 

Quali progetti e attività “trattamentali” promuovete, per il reinserimento dei detenuti e in prospettiva del loro rientro nella società?

Come UEPE stiamo puntando in particolare ad avviare percorsi di inserimento lavorativo e sociale in collaborazione con la regione, con gli enti locali e con il no-profit. A tale scopo è nato il progetto “Recuperare vale la pena” rivolto ai soggetti in esecuzione penale esterna e che punta al sostegno tramite l’erogazione di borse-lavoro, work-esperience, promozione di auto-imprenditorialità, sportelli territoriali con finanziamenti comunitari e dei comuni.

 

Uno dei punti di forza del reinserimento è rappresentato dalle tanto controverse misure alternative alla detenzione, spesso oggetto di polemiche e strumentalizzazioni: secondo la sua esperienza professionale, tali misure sono realmente efficaci?

Le misure alternative in Calabria, come dimostra il numero molto basso di revoche, e una recidiva bassa, hanno sostanzialmente funzionato anche perché il lavoro congiunto di Magistratura di sorveglianza ed UEPE ha permesso di fare un filtro e di selezionare i soggetti per i quali esistono i presupposti per accedere alle misure alternative. Il sistema potrebbe migliorare ed estendersi ad un numero maggiore di soggetti se si potessero garantire reali percorsi di reinserimento lavorativo e sociale.

 

Com’è la situazione nelle carceri di competenza dell’UEPE da lei diretto?

Negli istituti penitenziari della Provincia di Reggio c’è un lavoro importante di potenziamento delle attività trattamentali, di apertura e di coinvolgimento del volontariato. L’esperimento più importante si sta realizzando a Laureana di Borrello, dove si sta sperimentando un sistema penitenziario a custodia attenuata che sta permettendo, a giovani dai 18 ai 34 anni, di uscire dai circuiti penitenziari ordinari ad alto rischio di condizionamento mafioso per fruire di percorsi di recupero lavorativo e di rinnovamento etico.

 

Ha citato il coinvolgimento del volontariato, che per il carcere e per i detenuti – ma crediamo anche per l’Amministrazione penitenziaria – rappresenta una risorsa determinante: riuscite a “lavorare” con loro?

Il volontariato sta svolgendo una funzione preziosa e determinante nel processo di rinnovamento penitenziario in Calabria. È cresciuto tantissimo il numero dei volontari che collaborano ed anche la qualità del loro intervento, che appare bene integrato nei progetti pedagogici e nella gestione delle misure alternative.

 

Infine, secondo lei, come si potrebbe agire per abbattere la recidiva?

Per contrastare la recidiva bisogna intervenire con determinazione su tre livelli: sul sistema penitenziario che da luogo di inattività deve divenire luogo capace di  garantire spazi trattamentali, occasioni di formazione professionale e di lavoro qualificanti; sulla società che deve essere più informata e coinvolta, soprattutto nella fase della dimissione dal carcere, in politiche sociali e culturali di accoglienza; sul soggetto in esecuzione penale che deve concretamente dimostrare di avere volontà di reinserimento e disponibilità ad investire risorse personali.

 

I compiti degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna

 

Gli Uffici locali di Esecuzione Penale Esterna (UEPE, ex Centri di Servizio Sociale Adulti) dipendono dal Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ed i loro compiti possono essere così riassunti:

  1. svolgono, su richiesta dell’autorità giudiziaria, le inchieste utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza;

  2. svolgono le indagini socio-familiari per l’applicazione delle misure alternative alla detenzione ai condannati;

  3. propongono all’autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare;

  4. controllano l’esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, ne riferiscono all’autorità giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modificazione o di revoca;

  5. su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, prestano consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario;

  6. svolgono ogni altra attività prescritta dalla legge e dal regolamento.

 

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