Le prigioni degli altri

 

La galera è la galera, in Italia come in Irlanda

Cronaca di una giornata in un carcere irlandese. “Le foto dei miei figli fissate al muro mi ricordano costantemente che dopo tutto rimango ancora in parte un essere umano”

 

traduzione a cura di Elton Kalica

 

La cronaca di una “giornata qualsiasi” che pubblichiamo ha di particolare che arriva da un carcere dell’Irlanda, e ha invece di “normale” che sembra una “giornata da galera” come ce ne sono tante nelle nostre prigioni, se non fosse per quell’accenno a detenuti persi dietro la realtà virtuale dei video games, che da noi invece non sono neppure permessi. La giornata di John Crossan in un carcere dell’Irlanda ci dice anche che in qualsiasi galera, che sia dotata di ogni confort o sovraffollata all’inverosimile, la privazione della libertà e la miseria delle giornate di vita promiscua per forza sono ugualmente insopportabili.

 

Saluti da Maghaberry, il mio nome è David, sono l’agente della biblioteca del carcere di Maghaberry, qui in Irlanda del Nord. L’educatore del nostro carcere, Geoff Moore, ha visitato recentemente il carcere di Padova e mi ha parlato del vostro giornale. Così ho deciso di mandarvi un articolo scritto da un detenuto che si chiama John Crossan. John è un ergastolano che sta scontando la pena qui a Maghaberry. É in carcere da sette anni ormai. Prima della carcerazione lavorava come imbianchino e decoratore. Ha molta esperienza di lavoro in altri Paesi. John non ha mai avuto altre aspirazioni oltre alla pittura e alla decorazione prima di essere arrestato. Dopo essere finito in carcere e in seguito al conseguente impegno nell’istruzione, ha preso consapevolezza delle sue doti per lo studio. Attualmente è uno studente dell’Open University e sta progredendo con successo verso i livelli più alti dello studio. John è un esempio meraviglioso di studente maturo che non smette mai di incoraggiare e sostenere altri studenti.

David L. Chapman

 

Una vita in un giorno

 

di John Crossan, carcere di Maghaberry, Irlanda

 

Il mio orologio biologico mi sveglia alle sette meno cinque, poco prima che suoni il campanello della sveglia del carcere. A malincuore devo accettare il fatto che il mio corpo ed i miei ritmi del sonno siano regolati dal suono del campanello e dai tempi rigidi della “apertura” e della “chiusura” delle celle. Mi rattrista il pensiero che il mio corpo funziona come un robot, programmato per rispondere al ciclo giornaliero della prigione. Tuttavia sono rassicurato sulla mia umanità dai graffiti disegnati sul muro della mia cella da qualche carcerato filosofo: “Possono imprigionare il tuo corpo, ma non la tua mente”: Parole che possono essere sì uno slogan carcerario, ma costituiscono un messaggio ugualmente perspicace. In ogni caso, le foto dei miei figli fissate al muro sono un modo per rammentarmi costantemente che dopo tutto rimango ancora in parte un essere umano.

Sento i passi mattinieri del sorvegliante e il tintinnio delle chiavi, e poi il mio piccolo mondo privato viene aperto allo spazio pubblico del tempo della socializzazione. Altri detenuti emergono dall’isolamento notturno e borbottano i loro saluti in modo poco convincente. Grida oscene e musica incominciano a risuonare da varie parti creando una cacofonia che costituisce l’inconfondibile motivo del brutto coro di Maghaberry che interpreta la sua sinfonia mattutina.

I vari detenuti usano il tempo della socialità in modo diverso: alcuni giocano a carte o costruiscono complicati modelli di case e di carri con i fiammiferi, altri giocano a football o fanno sollevamento pesi in palestra, qualcuno ammazza il tempo strimpellando con una rintronante chitarra. Molti detenuti trascorrono le loro giornate nelle realtà virtuali dei video-games, mentre altri entrano nelle realtà alternative indotte dai farmaci prescritti. Alcuni detenuti passano il tempo occupandosi di religione, attività che le autorità del carcere sembrano essere bendisposte a promuovere ed incoraggiare garantendole una priorità anche rispetto allo studio o all’istruzione.

Nel pomeriggio ai detenuti è permesso camminare (in senso antiorario) nel cortile degli esercizi. Un compagno più anziano mi raccontò una volta il significato della camminata antioraria: secondo una qualche confusa idea radicata nella mitologia carceraria, si suppone che essa simbolizzi la nostra non-conformità all’andamento in avanti del tempo ortodosso. Ma il tempo va avanti e non può essere sovvertito o risistemato: “Il tempo non aspetta nessuno” come tutti i detenuti sanno bene. Il carcere camuffa soltanto il progredire del tempo riciclandolo in frazioni quotidiane di ripetitività istituzionalizzata.

Il momento migliore della mia giornata è quando telefono a casa. Il tempo limitato della mia telefonata è la mia unica connessione allo spazio normale della libertà e del cambiamento, dove le vite dei miei figli stanno progredendo nei loro stadi diversi. Misuro il trascorrere del tempo con la loro crescita, i momenti importanti, e le realizzazioni. Parliamo insieme dei tempi più felici del passato o del futuro evitando il presente e il nostro ciclo giornaliero di separazione.

Riempio i miei termos prima che venga urlata la “chiusura” notturna. La chiave che mi chiude dentro è benvenuta poiché libera la mia mente alla fuga nei libri e nell’istruzione. Ciò mi aiuta a tenere occupata l’attenzione, piuttosto che affrontare le ore della giornata nella solitudine o in cattive riflessioni sulle opportunità perdute che il tempo una volta mi aveva concesso. Poi sogno. Il mio orologio corporeo mi sveglia alle sette meno cinque, poco prima che suoni il campanello della sveglia del carcere…

 

L’Irlanda e le sue carceri

 

In Irlanda su 100.000 abitanti 85 sono carcerati. Nel 1996 il governo ha fondato l’Independent Prisons Agency, che garantisce una gestione del sistema penitenziario indipendente, ma sempre legata al Dipartimento della Giustizia. Oggi l’istituto governa le 16 carceri irlandesi, con una popolazione carceraria che si aggira intorno ai 3.417 detenuti, di cui il 3,2 per cento sono donne, il 2,4 per cento minori (dati di settembre 2004). Ogni anno, in media, vengono imprigionate oltre 9.000 persone. Di queste, 2.500 sono stranieri, per la maggior parte arrestati per reati legati all’immigrazione clandestina. In Irlanda c’è una attenzione particolare nei confronti del recupero sociale e personale del detenuto, che passa attraverso l’educazione, l’istruzione e l’attività lavorativa. Per quel che riguarda la salute, l’Irish Prisons Service spende, ogni anno, quasi 2.600.000 euro, con un costo medio per detenuto di 821 euro.

 

Il Prison Education Service

 

Il Prison Education Service è un servizio dedicato all’istruzione dei detenuti, gestito dall’amministrazione penitenziaria in collaborazione con agenzie legate all’educazione e all’istruzione, fra le quali la Commissione ministeriale per l’Educazione e l’Associazione delle biblioteche pubbliche (le biblioteche pubbliche di Dublino impiegano, per esempio, 4 librai nelle prigioni). La scuola funziona e le lezioni sono previste anche nei mesi estivi. Su circa 3.400 carcerati, 1.700 partecipano ad attività scolastiche e culturali.

 

 

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