Ristrettamente utile

 

Le "fasce non protette"

 

Parliamo dell’articolo 4 bis e della pericolosità sociale per gli stranieri detenuti

 

Con il Magistrato di Sorveglianza Giovanni Maria Pavarin affrontiamo, in questa terza e ultima puntata dell’intervista che gli abbiamo fatto in redazione, i problemi legati all’articolo 4 bis e poi alla pericolosità sociale, che per gli stranieri detenuti spesso significa espulsione dal nostro paese.

 

A proposito dell’art. 4 bis

 

Francesco Morelli (Ristretti Orizzonti): C’è una discrezionalità nell’applicazione dell’articolo 4 bis, oppure è legato semplicemente al titolo del reato?

 

Magistrato: Il magistrato di sorveglianza non applica il 4 bis, che non è altro che un elenco di reati per cui o una persona è dentro, oppure è fuori da quell’elenco. Quando vengo giudicato o condannato il mio reato può essere del 4 bis o può non esserlo, basta leggere cosa dice l’articolo. Il primo comma elenca due fasce. La fascia altissima (sequestro a scopo di estorsione, il 74 D.P.R. 309/90, il 416 bis), che comprende reati per i quali non si può concedere alcun beneficio, salvo la liberazione anticipata e salvo che la persona collabori.

Per la seconda fascia (omicidio, rapina, etc.), si possono concedere i benefici solo quando si provi che non ci sono elementi attuali di collegamento con la criminalità organizzata. In entrambi i casi bisogna rispettare certi limiti di pena: non vai in permesso, se non hai fatto metà pena; non vai in semilibertà, se non hai fatto due terzi della pena. Il 4 bis non lo dà e non lo toglie il magistrato di sorveglianza, non lo dà e non lo toglie il carcere. Il carcere fa in modo che, siccome il 4 bis comprende i reati che destano maggiore allarme sociale, chi ce l’ha trascorra un po’ di tempo nei reparti di Alta Sicurezza. Questo, poi, è un ragionamento sbagliato, perché l’omicida singolo che, in tutta la sua vita, ha ucciso la moglie, ed ha esaurito la sua spinta criminale perché odiava quella persona e l’ha uccisa, non si vede perché debba andare in alta sicurezza.

Però anche qui le cose stanno cambiando, perché al D.A.P. si sta pensando a dei circuiti differenziati in cui il circuito di massima sicurezza non corrisponderà più alle figure di reato indicate nel 4 bis.

 

Mario Salvati (Ristretti Orizzonti): Riguardo ai reati della prima fascia, dove è richiesta la collaborazione per accedere ai benefici, che cosa succede se la collaborazione non è possibile perché tutti i fatti sono già conosciuti e accertati?

 

Magistrato: Anche qui serve un’offerta di collaborazione. Uno non può giovarsi del fatto che tutti gli altri hanno già "parlato" per cui la giustizia sa già tutto. Se uno vuole l’accertamento della sua impossibilità a collaborare, serve almeno la sua disponibilità morale ed intellettuale alla collaborazione.

Io ho poi un pensiero mio personale sulla collaborazione, e colgo l’occasione per dirlo: disapprovo nel mio intimo tutti i benefici concessi alle persone che collaborano, è una strategia che è stata utile allo Stato in un determinato periodo storico. Lo Stato nega il fondamento stesso della sua esistenza, nega la sua essenza etica, nel momento in cui promette o concede benefici in cambio di "notizie". Questa scelta corrisponde ad uno stato di necessità, nel senso che lo Stato dice: "Io non vivo più, non mi reggo più se qualcuno non fa la spia, solo così posso debellare la mafia". Ma è un discorso che va storicamente chiuso e che io disapprovo nel mio intimo.

 

Antonella Barone (Educatrice): Non c’è molta differenza, allora, tra la prima e la seconda fascia del 4 bis.

 

Magistrato: No, c’è una grandissima differenza, perché chi ha reati di seconda fascia può avere i benefici, dopo un certo tempo, mentre chi ha reati di prima fascia non può avere nulla, tranne nel caso in cui collabori con la giustizia, oppure nel caso in cui la collaborazione sia impossibile o inesigibile, perché la giustizia ha già fatto piena luce sui fatti per altre vie.

Tutti coloro che si sono sentiti dire che non hanno collaborato con la giustizia, non vanno da nessuna parte, fanno fino all’ultimo giorno di carcere, salvo la liberazione anticipata. E ce n’è di gente, qui dentro, che si è vista respingere l’istanza di declaratoria del 58 ter.

 

Mario Salvati (Ristretti Orizzonti): Se uno ha un ergastolo per un reato di prima fascia del 4 bis, non uscirà quindi mai?

 

Magistrato: Un ergastolano con un reato di prima fascia non uscirà mai. L’unico modo di uscire è quello di ottenere la liberazione condizionale: con l’ottenimento di questo beneficio, dopo 5 anni la pena si estingue. Quindi all’ergastolano servono almeno 26 anni per poter uscire, entrando nei termini per chiedere la liberazione condizionale, sempre però considerando che anche per avere la liberazione condizionale serve la collaborazione con la giustizia. L’ergastolano di fascia alta non uscirà mai più dal carcere se non collabora con la giustizia, questo è pacifico.

 

Mario Salvati (Ristretti Orizzonti): Allora, a un certo punto all’ergastolano servono solo il sapone e la corda.

 

Magistrato: No, stiamo parlando di una persona che per sua scelta non collabora con la giustizia. Perché abbiamo detto che la collaborazione impossibile o inesigibile è equiparata alla collaborazione effettivamente prestata, quindi l’ipotesi residuale è quella di un ergastolano che non voglia collaborare con la giustizia, allora imputi a se stesso se resta in carcere.

 

Gli stranieri detenuti, la pericolosità sociale, la conversione della multa in libertà controllata

 

Francesco Morelli (Ristretti Orizzonti): Ora vorremmo farle una domanda che riguarda il percorso degli stranieri detenuti, che seguiamo con particolare attenzione. Per qualcuno di loro, avere la conversione della multa o dell’ammenda in libertà controllata rappresenta il modo di rimanere in Italia regolarmente e, intanto, di chiedere il riesame della pericolosità sociale. Quali sono i passaggi attraverso cui si compie questo percorso e quali criteri usate, per valutare l’attualità della pericolosità sociale di una persona?

 

Magistrato: La conversione della multa e dell’ammenda in libertà controllata non può essere chiesta dal condannato, deve chiederla il Pubblico Ministero competente e, nel caso questi non si attivi, il condannato può soltanto fare un sollecito perché chieda la conversione.

Riguardo ai criteri di valutazione della pericolosità sociale, esiste la massima discrezionalità: se uno ha spacciato sempre, non ha una casa, non ha un lavoro, non ha un soldo, che cosa fa!? È molto probabile che torni a spacciare qualche dose, per comprarsi un panino, una birra e le scarpe. I criteri che sono in nostro possesso sono quelli della logica e del buon senso: se uno, al contrario, ha chi gli dà una casa, i pasti, e gli trova anche un lavoro, verosimilmente cessa di essere socialmente pericoloso perché non sarà indotto a commettere dei reati, visto che ha chi pensa a lui, così può anche riuscire ad attrezzarsi per stare sul territorio italiano senza violare le leggi.

 

A cura della Redazione

 

 

 

Il Giudice di pace

 

Con questa nuova figura giuridica la giustizia per i reati minori si fa snella…

 

A partire dal 2 gennaio 2002 tutti reati che sono stati depenalizzati e che di conseguenza non prevedono più una condanna penale saranno amministrati da un Giudice di pace.

Non sono reati che prevedevano delle pene elevate, ma sono molto diffusi. Accade infatti che siano presenti in moltissimi "cumuli di pene" un oltraggio, un’ingiuria, una minaccia o un danneggiamento. Chi ha scontato molti anni prima o poi è incappato in una denuncia di questo genere. E’ quasi inevitabile. Sono parecchi i casi che si possono scoprire spulciando nelle proprie storie giudiziarie. Spesso si tratta di molti mesi di condanna che con l’avvenuta depenalizzazione possono essere trasformati in multe, ammende o lavori socialmente utili. Dunque conviene rispolverare i fascicoli e dare un’occhiata.

Il ruolo di Giudice di pace potrà essere ricoperto, dopo un periodo di sei mesi di tirocinio, da persone laureate in giurisprudenza, che abbiano svolto lavoro in ambito giuridico (avvocato, notaio, giudice, docente di legge ecc..). Non potranno esercitare questa funzione i parlamentari, i consiglieri degli enti locali, gli ecclesiastici, chi ha ricoperto nel precedente triennio incarichi dirigenziali in partiti politici.

Per quanto riguarda gli avvocati, non potranno fare i giudici di pace nel circondario ove abbiano operato o operino i loro associati. Gli avvocati, nell’eventualità di un ritorno alla professione, non potranno neppure difendere, in gradi successivi, parti coinvolte nei loro giudizi. Questo divieto sarà valido anche per i parenti degli avvocati. Tutto questo meccanismo dovrebbe evitare i conflitti di interessi.

Il ruolo del Giudice di pace è fungere da mediatore tra le parti, al fine di giungere ad una conciliazione. In caso contrario si avranno dei provvedimenti rapidi con sanzioni meno drastiche ma più certe. Le pene potranno andare dalle sanzioni pecuniarie alla cosiddetta "permanenza domiciliare", una sorta di arresti domiciliari, che possono essere sostituiti con lavori socialmente utili in strutture pubbliche, società no profit, o comunità. In nessun caso il Giudice di pace può condannare al carcere. Ad assegnare i casi a questa nuova figura giuridica è la Procura. Le sentenze del giudice di pace possono essere appellate presso la Cassazione, in caso di pena pecuniaria, presso il Tribunale competente in caso di pene alternative.

Secondo le ultime stime questo tipo di cause potrebbero aggirarsi intorno alle quattrocentomila all’anno. Dal punto di vista logistico, secondo i dati diffusi dal ministero della Giustizia, sono già operative 744 sedi sulle 848 previste, mentre altre 20 saranno attivate nei prossimi mesi.

Come si sta attrezzando il territorio per far fronte a questo nuovo modo di fare giustizia? Iniziative concrete stanno prendendo corpo a macchia di leopardo un po’ in tutta Italia.

A Trieste, è stata stipulata una convenzione tra il D.A.P. e il Comune, in base alla quale gli uffici municipali potranno utilizzare per lavori di pubblica utilità condannati con pene fino a tre anni affidati in prova ai servizi sociali. Saranno impiegati in compiti di assistenza, di protezione civile, manutenzione di edifici e del verde pubblico, sorveglianza nei musei e altri ambiti concernenti le specifiche professionalità.

A Monza un accordo simile è stato raggiunto tra il tribunale e la Caritas, quest’anno si prevede che saranno un centinaio i condannati dal Giudice di pace che potranno scontare la pena lavorando per l’associazione cattolica.

Anche l’assessorato regionale della Sicilia ha stipulato una convenzione con i 19 Tribunali della Regione. Questo provvedimento sperimentale, operativo dal 2 gennaio, avrà una durata di tre anni, durante i quali i condannati dai Giudici di pace o per pene lievi potranno lavorare nelle pubbliche amministrazioni.

 

Nicola Sansonna e Graziano Scialpi

 

 

 

Reati tra i più diffusi ora di competenza del giudice di pace

 

Furto punibile a querela dell’offeso

Omissione di soccorso (non aggravata da lesioni o morte)

Percosse

Guida in stato di ebbrezza

Ingiuria

Raccolta delle scommesse del lotto senza concessione

Danneggiamento (primo comma)

Somministrazione di bevande alcoliche a minori o infermi di mente

Diffamazione (esclusa a mezzo stampa)

Atti contro la pubblica decenza e turpiloquio

Minaccia (non grave)

Deturpamento o imbrattamento di cose altrui

Lesioni volontarie (con malattia non superiore a 20 giorni)

Sottrazione di cose comuni

Lesioni colpose (escluse colpe professionali)

Appropriazione di cose smarrite

 

 

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