Storie d'evasione

 

Scene da un matrimonio multietnico e anti burocratico
ovvero: paradossale realtà di una coppia dall’Italia ad Algeri

 

Lo sapevate che sposare una ragazza immigrata da Algeri in Italia non era permesso dalla legge? Voglio così raccontarvi, con questa mia testimonianza, una realtà paradossale circondata da ignoranza razziale, incomprensione religiosa e una burocrazia sempre pronta a metter freni alla moderna civiltà di un paese sviluppato come l’Italia.

Nel febbraio del 1984 avevo 23 anni e lavoravo in una discoteca di Duino Aurisina, poco distante dalla più che rinomata e famosa costiera triestina. Conobbi lì questa affascinante ragazza di nazionalità algerina, portandole un cocktail che lei aveva ordinato poco prima al barman Sergio, e fui folgorato subito dal suo fascino. Lei mi chiese: "Cos’è questo?", e io risposi: "Quello che hai ordinato naturalmente", e lei allora: "È perché sono piccola e nera che mi porti questa schifezza, senza nessuna decorazione sul bicchiere?".

Sbalordito da come era padrona del nostro dialetto, rimasi a bocca aperta, e poi contraccambiandola con un dolce sorriso le dissi: "Aspetta qui, mia cara", ritornai dal barman e gli ordinai: "Sergio, preparami un whisky shaker come sai tu e decoralo come si deve", e lui preparò davvero una bomba.

Inutile che io vi dica il figurone! Sappiate però che conquistai così quella splendida ragazza, lei mi fece un megasorriso e io pensai che la mia preda era in trappola, dato che sono dell’opinione che l’uomo è cacciatore. Fu proprio un colpo di fulmine: mi colpì subito la sua bellezza e il colore olivastro della sua pelle, e decidemmo di sposarci di lì a pochi mesi, per il semplice motivo che lei aveva un grosso problema, rimanere in Italia. Era arrivata in Italia nel 1979 per motivi di studio.

Frequentava l’Università di Trieste, i suoi permessi erano ormai esauriti e lei continuava ad entrare ed uscire dall’Austri in modo da rinnovare ogni tre mesi il visto turistico e non voleva più ritornare nel suo paese: come tanti altri, si innamorò sì di me, ma anche dell’Italia.

 

"Se abbiamo la stessa religione poi mi sposi però!"

 

Rivolgendomi al Comune di Monfalcone, chiedo allora cosa devo fare per potermi sposare con una cittadina di nazionalità algerina, e lì mi fanno subito pesare le enormi difficoltà burocratiche che dovrò affrontare. Non che mi sia meravigliato più di tanto, conoscendo il sistema: la cosa che più mi colpisce, senza però che lì per lì le dia peso, è comunque la frase pronunciata dall’addetto dell’ufficio: "Voi sapete che avete due religioni differenti?", ma la cosa poteva morire lì.

All’italiana, chiedo allora: "Cosa devo fare? dammi una dritta per non farmi ostacolare da tutte queste leggi". Mi viene spiegato che basterebbe avere un atto che certifichi che la ragazza non si sia mai sposata, e questo certificato lo rilascia la Pretura, dunque vai in Pretura.

Arrivato in Pretura, il cancelliere mi spiega che questo certificato il Pretore non lo può fare, la soluzione è che devo andare da un Notaio. L’appuntamento è dal Notaio, un luogo e un ambiente che ti riporta nel tempo degli ossequi, eccellenza, antiche stanze di cultura e sapienza dove fai anche fatica a respirare pensando che potresti dar fastidio, ma comunque il notaio risolve il tuo problema.

Mi spiega che per poter fare l’atto notarile ha bisogno di cinque testimoni che giurino che la ragazza non si è mai sposata e così mi fissa un secondo appuntamento. Contatto degli amici, impresa non facile visto che tutti lavorano, i giorni passano, la scadenza del visto si avvicina e i tempi sono sempre più stretti.

Un particolare: ricordo bene la domanda di un mio amico: "Cosa testimoniamo se neanche la conosciamo?", "È normale, risposi - lo sa anche il notaio, è la prassi". Così finalmente arriva il giorno che tutti e sette andiamo dal notaio, ed era sparita anche quella angoscia della prima volta, essendo in più persone per noi era come andare ad una festa.

Dopo la procedura di rito e la stipula dell’atto notarile, con una stretta di mano da morto il notaio mi invita a passare dalla segretaria per il pagamento: alla faccia del notaio, e della sua mano morta, l’atto mi costa quasi 500.000 lire. Nonostante tutto siamo soddisfatti e andiamo allora a festeggiare con un brindisi. L’indomani mi precipito contento al Comune convinto che tutto sia in ordine, e che dunque non rimane altro che pubblichino in bacheca il giorno delle nozze. L’addetto che mi aveva mandato prima dal pretore, poi dal notaio mi dice: "Mi dispiace ma voi non potete sposarvi".

"Ma come, è stata lei a mandarmi a fare l’atto notarile per poi sposarmi, e ora non serve più?". Nonostante le mie insistenze e la richiesta di spiegazioni per tutti quei soldi pagati al notaio per niente, mi dicono di no. Per mia fortuna mantengo sempre un certo self control, come dicono gli inglesi, ma veramente l’avrei licenziata in tronco, quella persona, per la sua incompetenza..

Chiedo di parlare con il Sindaco, visto che ero una persona ben conosciuta nell’ambiente della ristorazione e sapevo che il Sindaco frequentava con altre personalità il nostro ristorante "Martin Pescatore". Ma il Sindaco non fa altro che confermarmi quella frase alla quale in un primo momento non avevamo dato peso: non possono sposarmi perché abbiamo due religioni differenti.

 

Mi farò mussulmano!

 

Tra lo sconforto e le lacrime della ragazza per la delusione, la prima cosa che mi passa per la testa, anche se sono ancora meravigliato per quella risposta così incomprensibile, e che dico al Sindaco è: "Se abbiamo la stessa religione poi mi sposi però!". Lì per lì il Sindaco sconcertato con la testa fa un cenno affermativo, e allora io aggiungo: "Mi farò mussulmano", e il Sindaco a sua volta mi chiede: "Ma come?".

Come non importa, ricordati che poi mi sposi: ero terribilmente incazzato ma sicuro di me. Parlando con la ragazza la prego di non preoccuparsi: "Ti ho detto che ti sposo e ti sposerò, costi quel che costi" e decidiamo così di andare a Roma.

All’ambasciata d’Algeria prima, poi alla moschea islamica per farmi mussulmano. Lei sicuramente non avrebbe potuto cambiare religione, perché pensavamo già allora che sarebbe stato come rinnegare il suo paese d’origine e poi sicuramente non l’avrebbero mai più fatta entrare in Algeria.

Solo oggi si può capire e rendersi conto di quello che noi allora pensavamo, di cosa le sarebbe accaduto se avesse cambiato religione, solo oggi vedendo quel genocidio nel nome di Ali ah.

I problemi non erano comunque finiti: non è facile diventare mussulmano (ma sicuramente neanche diventare un cristiano), capii però subito che con un po’ di denaro tutto si poteva fare e comprai così un nome, quello che mi sarebbe servito per cambiare religione. Karim, questo è il nome acquisito dall’Imam e così ora ero mussulmano e potevo sposare questa ragazza. Ma quante leggi ci impone questo sistema! Quante stupide regole dobbiamo affrontare per risolvere i nostri piccoli problemi! Quante religioni dobbiamo avere per essere uguali di razza, colore e dignità, lo scrive anche la Costituzione ma non siamo tutti uguali, come la legge non è uguale per tutti, perché veniamo continuamente discriminati dagli uni e dagli altri.

La legge e le regole mi hanno costretto a cambiare religione, e il dio denaro mi ha permesso di diventare mussulmano: quello che ho fatto l’ho fatto per rispetto e dignità nei confronti del prossimo, in questo caso per questa ragazza che poi ho amato.

I problemi burocratici non si sono fatti attendere e sinceramente vi posso assicurare che ero consapevole della situazione, mai però avrei immaginato di dover affrontare una battaglia a sfondo religioso, davvero incompatibile con le mie idee e anche con gli insegnamenti avuti da bambino, quando avevo imparato che siamo tutti uguali.

Ho contribuito così a far conoscere a quelli del Comune le loro assurde leggi burocratiche e discriminanti, non so però quanto loro abbiano capito ma non importa, quello che conta e rimarrà come un segno indelebile è che il 20 dicembre del 1984 il Sindaco di Monfalcone ha celebrato il mio matrimonio, considerato che entrambi avevamo la stessa religione, in questo caso mussulmana.

 

Andrea Pausic

 

 

Quando gli extracomunitari eravamo noi

 

Era l’estate del 1960, io ero piccolissimo, l’unico brandello di ricordo che ho del mio viaggio verso Torino, proveniente dalla Puglia, è che ero stanco e volevo dormire, in treno non c’erano posti, quindi mi addormentai su una delle "valigie" di cartone che mio padre portava con se. lo e mio padre eravamo "l’avanguardia" della nostra famiglia e seguivamo il fratello di mio padre, zio Domenico, già da alcuni anni residente in Piemonte con l’ambito posto di "operaio FIAT".

Mio padre aveva lasciato la nostra terra natia perché allora come ora il lavoro era scarsissimo e mal pagato. Aveva fatto il bracciante e prima di partire per il Piemonte lavorava nella "pietraia" (così l’ha sempre chiamata) come cavato re di pietre, mi diceva che era un lavoro massacrante.

In Piemonte io fui affidato alla moglie di mio zio (non conservo un ottimo ricordo di quel periodo) e mio padre trovò lavoro in una ditta, la Viberti, che faceva tubi di cemento per condotti.

Riuscì risparmiando a trovare casa e mobilio, una vecchia casa cantoniera immersa nel verde, ma con dei topi grossi come i gatti e senza energia elettrica. .

Mia madre ci raggiunse nel 1961 dopo che nacque mio fratello Ruggero, così la famiglia si riunì: mio padre, mia madre, mia sorella Teresa ed il piccolo Ruggero. Finché restammo in campagna non ci furono problemi di sorta, giocare nei pioppeti, raccogliere frutti di bosco erano le mie attività preferite.

Mio padre e mia madre, applicando un antico detto contadino "Tanti figli tanta ricchezza" mi diedero la gioia di vivere in una famiglia numerosa. Nel 1968 avevo 6 tra fratelli e sorelle, io, Teresa, Ruggero (i pugliesi) e Celestino Gianni Mimmo Lucia (i piemontesi), tutti più giovani di me, in casa nostra la tristezza e la noia non erano ammesse.

I primi problemi di integrazione li ebbi quando iniziai le scuole, infatti parlavo pochissimo e male l’italiano. Il primo anno di scuola fu per me molto duro... e fui regolarmente bocciato. Mia madre fu chiamata in direzione e pregata di cercare di parlare l’italiano in casa. Ci provammo, ma dopo pochi minuti si tornava all’armonico e melodioso pugliese! Andammo ad abitare in un paese vicino a Torino, nelle case diroccate nel centro storico. Lo facemmo perché mio padre cambiò lavoro, anche lui come mio zio lavorava ora per una fabbrica che produceva balestre per auto e camion FIAT.

Lavorava vicino agli alti forni dove venivano forgiate le balestre, e andò in pensione con grossi problemi ai polmoni.

 

Noi meridionali ci chiamavano "Napoli"

 

La prima volta che sentii la parola "terrone" ci ridevo sopra, ma poi con l’andare del tempo litigavo con chiunque usava con me o i miei fratelli quel termine, ed erano parecchi... spesso sono tornato a casa con qualcosa di pesto... ma le ho anche date!

A Cambiano noi meridionali ci chiamavano "Napoli": come mi faceva incazzare questo! Non perché io disprezzi Napoli, anzi, ma io sono pugliese!! Il primo vero impatto con l’intolleranza lo ebbi proprio lì a Cambiano, quando la madre di un mio compagno di scuola portò via il figlio dal giardino pubblico dandogli due schiaffi e dicendogli che non doveva giocare con noi meridionali. Ma tutto sommato la stragrande maggioranza dei piemontesi che ho conosciuto sono gente tollerante e raramente ho dovuto sentirmi "straniero" in Italia…

Un cartello, quello sì lo ricordo bene, c’era scritto "Affittasi appartamento 4 camere servizio e cantina, no a meridionali e famiglie numerose". Era una bella zona, anche vicina alla scuola, peccato che non affittavano ai meridionali, ma ormai noi parlavamo bene l’italiano... però eravamo in 9. Ora immagino che, se c’è ancora quel cartello, ci sarà scritto: "Affittasi 4 camere servizio e cantina no a extracomunitari". Le famiglie numerose non le citano più... chissà! Sarà proprio per trovar casa che si è smesso di fare figli? Al nord ci sto bene ma il sud mi è rimasto nel cuore, credo che se potrò tornerò in Puglia. Chissà se i meridionali che vivono oggi a Torino, al quartiere San Salvario, hanno mai visto un cartello "affittasi" di quel tipo. Non perdiamo la memoria, allora gli extracomunitari eravamo noi!

 

Nicola Sansonna

Precedente Home Su Successiva