Giovanni Tamburino

 

"Persone dentro e volontari fuori"
Giornata nazionale di studi su volontariato penitenziario e informazione
Casa di Reclusione di Padova - 26 ottobre 2001

 

Giovanni Tamburino

(Direttore dell’Ufficio Studi e Ricerche del D.A.P.)

 

Non sapevo di dovere intervenire e mi scuso se farò un intervento un poco disorganico. Io credo che uno dei compiti fissi, importanti, del volontariato sia quello di fare una comunicazione che non lasci agli altri il compito di dire le cose difficili, le cose che si dicono raramente, quell’aspetto della verità che normalmente per molte ragioni si preferisce tacere, occultare, o mettere in secondo piano.

Nella capacità di vedere una realtà dalle molte dimensioni, credo che il volontario trovi la traccia di un intervento che possa essere davvero un intervento profondo, che va aldilà di quella dimensione meramente assistenzialista che, come diceva Livio Ferrari, forse non basta.

Questa complessità è fatta anche di una dimensione criminale, del problema criminale: il detenuto ve ne parlerà quando c’è un livello di sincerità e di fiducia sufficiente. Questo problema esiste, è un problema più generale della società che, ad esempio, vuole una certa tranquillità, un certo modo di essere.

Quando si dice "benessere" forse si usa una parola antipatica, ma in realtà vuole dire solo "stare bene". È questo il problema determinante e, poi, ci s’interroga molto sulla pena, sul come intervenire, con quali pene, sul "come" sostituire e "con cosa" il carcere. Ancora nessuno ha trovato una risposta, ha saputo dire se esistono delle sanzioni diverse e tali da consentire di cancellare quella che, sotto molti aspetti, è una risposta desolante, anche urtante, per il senso di civiltà che noi sentiamo.

Il problema della pena è molto sentito anche a livello europeo (avete ascoltato l’intervento di Mauro Palma): vi sono, certamente, dei rischi d’involuzione ed io concordo con la sua analisi.

Vi è il rischio di un rallentamento, di una riduzione dell’interesse verso il carcere, di un parlare meno che però significa, soprattutto, parlare di altro, parlare in un altro modo. Da questo punto di vista io mi auguro che la realtà europea, la "forte realtà europea", possa eventualmente anche essere un momento di correzione di certe rotte errate, che dovessero apparire nelle realtà dei singoli paesi.

Il problema dell’informazione: voi sapete che l’Amministrazione Penitenziaria è riuscita, dopo molti anni di tentativi, a realizzare una forma di comunicazione attraverso una rivista, che è nata circa un anno fa. Si trattava di trovare anche un titolo per questa rivista e, poi, l’abbiamo trovato chiamandola "Le due città", anche pensando a quel titolo di Calvino che è "La città invisibile".

Ecco, si pensava alla realtà del carcere come a qualcosa di invisibile e si è preferita, a questa idea, "Le due città", cioè l’idea della duplicità, perché ci sembrava rispondente al fatto che vi è una differenza e questa differenza va riconosciuta. Va riconosciuta perché, riflettendo su questa differenza, noi possiamo capire il senso di questa realtà, così come dico "la scuola" o "l’ospedale" o altre realtà: non si può immaginare, non è utile immaginare un’uguaglianza, un’uniformità.

Quindi questo rapporto di alterità, di duplicità, a mio parere va riconosciuto con grande chiarezza, in uno sforzo di capirne il senso, le ragioni. Chi ha pensato questo nome ha richiamato anche l’esistenza di un rapporto, perché è essenziale che la differenza non sia chiusura, non sia rottura, non sia scissione ma sia, al contrario, un rapporto, una relazione.

Un’altra idea, dietro questo nome, è che il carcere può apparire come una cittadella dentro la città, cioè si possono immaginare questi rapporti come rapporti concentrici: vi è un cerchio più grande e vi è un cerchio più piccolo, che è rappresentato dalla cittadella del carcere.

In realtà, se riflettete, c’è anche un altro modo di vedere questo rapporto, perché, ad esempio, la società si sente circondata dalla criminalità e il rapporto che è vissuto della città grande che contiene la cittadella è un rapporto di segno esattamente opposto.

La città grande si sente circondata, assediata, chiusa, rinchiusa dalle mura di una cittadella, dall’assedio della criminalità (si usa spesso questa parola), quindi vi è anche il rapporto inverso, che va tenuto presente per costruire degli interventi con un minimo di concretezza e non semplificare questi rapporti.

Infine, all’interno della "cittadella carcere", vi sono ancora dei centri concentrici, che non si sa bene quale contengano: vi è il cerchio del personale, vi è il cerchio dei detenuti. Questa è la rivista del Dipartimento, del personale: è una rivista voluta dal personale e credo sia importante (dato che parliamo al volontariato) tener presente l’importanza dei rapporti corretti, dei rapporti fecondi, con il personale. Io credo che questi rapporti vadano valorizzati, vadano aiutati, perché è importante comprendere che non si può aiutare una parte, senza aiutare l’altra.

 

 

 

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