Carlo Romeo

 

"Persone dentro e volontari fuori"
Giornata nazionale di studi su volontariato penitenziario e informazione
Casa di Reclusione di Padova - 26 ottobre 2001

 

Carlo Romeo

(Direttore Segretariato sociale Rai)

 

Vi ringrazio e vi preannuncio che non voglio essere breve: sarò breve. Non intendo abusare della vostra attenzione, né della pazienza di coloro che dovranno parlare dopo, quindi dirò molto brevemente, molto in sintesi, ciò che devo dire.

Non esiste un "problema dell’informazione", esiste un problema "della comunicazione" e, in primo luogo, chi fa comunicazione deve imparare a farla. Questo è determinante.

Non esiste un problema dell’informazione perché il problema è più ampio: guardate, non so se ci sono carabinieri in sala (spero di no), però prima di una certa fiction, fare il maresciallo dei carabinieri a Viterbo era considerato un mestiere non particolarmente elevato, anzi era da barzelletta. Abbiamo fatto una fiction con Gigi Proietti e, improvvisamente, è diventato il top dei mestieri: era fiction, non era informazione. Cosa vuol dire: che conta più una fiction che un servizio sul TG 1?! A volte sì!

Già cominciamo ad entrare un po’ nel merito e cominciamo a capire che non esiste solo la televisione, solo il telegiornale: i media stanno cambiando, la gente non guarda la televisione come lo guardava dieci o quindici anni fa, oggi c’è Internet, c’è il Televideo, ci sono di nuovo le radio. C’è un’offerta mista, che bisogna saper cogliere.

Sento dire che i giornalisti fanno da "gate", da "cancello", alle notizie, ma anche questo non è più vero: da Belgrado, sotto le bombe, con Internet c’erano 100.000 persone che erano diventate tutti corrispondenti, quindi voi volontari dovete sapere anche questo.

Il segretariato sociale: Livio Ferrari mi chiedeva che cos’è. Il segretariato sociale è un ponte fra la RAI, cioè il servizio pubblico, cioè quell’industria culturale di Stato che, per essere servizio pubblico, prende 2.500 miliardi l’anno dallo Stato (e non per fare la zingara) e le parti sociali.

Il segretariato sociale deve anche fare da ponte all’interno della Rai. L’esempio delle "E" e delle "O", che fa Luigi Ciotti, è straordinario: noi, nella RAI, siamo le "E".

Molti vivono il sociale in RAI (e non solo in RAI) come un problema, mentre noi sappiamo che non è un problema: è un’opportunità per tutti.

È evidente che i nostri limiti sono enormi, quindi quando parlo a nome della RAI mi sento un po’ ristretto e mi scuso. Mi sono sentito un po’ sotto accusa per tutta la mattinata, e giustamente, ma credo anche che sentire la parte degli accusati sia importante. Rispondiamo di tutto, evidentemente.

Ho cominciato a dirigere il segretariato sociale dal giugno dell’anno scorso, prima dirigevo la RAI dell’Emilia Romagna. Però, per capirsi molto bene, non so chi di noi ricorda che cos’era nel 1981 il carcere di Pianosa, la sezione "Agrippa": io c’ero. Come alla Dozza, a Rebibbia, a Regina Coeli. Forse, quando in RAI si comincia mettere delle persone che conoscono il problema nei luoghi dove questi problemi sono trattati, può anche succedere un incidente di percorso, ma qualcosa si mette in movimento e, allora, le cose possono cominciare a cambiare, perché sappiamo di che cosa parliamo.

L’esempio del titolo di Repubblica sull’AIDS. Si dice: "Ma è <Repubblica>". No!

Guardate, anche nel giornalismo, vale quello che diceva un grande regista ai suoi giovani attori: "In teatro non esistono piccole parti, esistono piccoli attori". Tu puoi avere una sola battuta in tutto lo spettacolo, ma quella battuta è la battuta chiave.

Non esiste il grande giornalista o il grande giornale, esiste chi sa far bene il proprio lavoro, sia che scriva per la Gazzetta di Pizzo Papero o per la Repubblica, quindi attenzione a non fare confusione, cerchiamo sempre di valutare ciò che si scrive, ciò che si legge, non in base alla testata.

Un altro aspetto da considerare è che, raccontare il carcere, è estremamente facile ed estremamente difficile al tempo stesso. Perché, guardate, ogni volta che si usa la parola "normalità" questa parola deve essere usata fra virgolette: la normalità non esiste, ma dov’è la normalità?

Ma voi pensate che una persona di 80 anni, che vive da sola in una grande città, come Roma o come Milano, e il cui unico riferimento con la realtà è il televisore, vive una condizione di normalità? O che non sia piuttosto una forma di detenzione?

Raccontare la normalità è impossibile, quindi dobbiamo attrezzarci a conoscere la realtà, che non è normale, però questo dipende anche da voi.

Ma vi rendete conto che, quando voi volete parlare con qualcuno dei nostri giornalisti, spesso e volentieri usate dei linguaggi, dei temi che sono incomprensibili, perché voi li conoscete benissimo, ma chi sta di là non li conosce?

Un comunicato stampa di 4 pagine! Ma come pensate che si possa creare un ponte, con questo? Cominciamo a trovarci a metà del guado e, forse, qualcosa viene fuori.

Tenete conto di un’altra cosa: noi abbiamo un contratto di servizio, del quale si discuterà a luglio dell’anno prossimo. Quel contratto di servizio per noi è la bussola, la Bibbia; tutto quello che fa, di noi RAI, un servizio pubblico, sta lì dentro.

Cominciate anche voi a mettere voce in capitolo su quel contratto di servizio e, forse, cominciamo a ragionare. Quel contratto di servizio dice alla RAI cosa deve fare e può essere che sia presente anche in una serie di realtà nuove, con questo nuovo contratto di servizio.

Il carcere si può raccontare in tanti modi, sentendo la carne che brucia, con la propria storia… ma io, ormai, nella "propria storia" comincio a credere poco.

Mi è piaciuto molto l’intervento ottimo che ha fatto Francesco: Basta con "io", cominciamo a vedere l’allargamento dell’orizzonte. Per me il carcere vuol dire questo.

Concludo ricordando un flash: ero al Parlamento Europeo, a Strasburgo. Era candidato, come Presidente del Parlamento Europeo, Altiero Spinelli (non ce l’ha fatta), e c’è stata una scena che a me ha dato un’idea del carcere.

Erano i giorni delle elezioni e Spinelli era, ovviamente, considerato il padre dell’Europa. Lunghi corridoi di Strasburgo e Altiero Spinelli, con una mandria di giornalisti dietro, che camminava in questi lunghi corridoi. Era una scena stranissima, vista da fuori, perché Spinelli faceva cinque passi avanti e venti persone gli andavano dietro, poi faceva "dietro front" e tutti lo seguivano.

Noi lo guardavamo dicendo: "Che strano modo". Un corridoio, credetemi, lungo un centinaio di metri. Me lo spiegò Ada Rossi cosa voleva dire quella scena, dopo qualche tempo. Mi disse: "Vedi, quando tu entri in un carcere speciale a 19 anni e ne esci a 40 anni il tuo modo di passeggiare è quello lì". Questo era il carcere e, se vuoi raccontare il carcere, lo puoi raccontare anche con queste immagini.

 

 

 

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