Riccardo Grassi

 

Riccardo Grassi

 

Con un mercato delle sostanze psicotrope così persuasivo e così in grado di entrare in quasi tutti gli ambiti di vita dei giovani, il semplice controllo sociale sullo spaccio non è probabilmente sufficiente. Diventa necessario allora rendere la droga poco appetibile o, quantomeno, fare in modo che al momento del contatto non siano le emozioni a orientare le risposte, ma la razionalità e la consapevolezza individuale.

I dati che presentiamo oggi sono relativi ad alcune indagini sui giovani realizzate sia a livello nazionale sia locale. Non sempre l’ottica principale con cui sono state realizzate è stata quella dell’analisi degli atteggiamenti e dei comportamenti verso le droghe; nella maggior parte dei casi si tratta di indagini di carattere più generale sulla condizione giovanile, all’interno delle quali era sviluppata una sezione dedicata al tema delle sostanze psicotrope. Questa modalità di approccio oggi sembra particolarmente importante, in quanto diviene sempre più difficile disgiungere i comportamenti di contiguità verso gli stupefacenti da altri comportamenti di consumo tipici delle giovani generazioni. Le conseguenze di questo atteggiamento sulle modalità di fare prevenzione è immediata, ma avremo modo di osservarle con maggiore dettaglio in seguito. Il primo dato da cui partire per la nostra riflessione è riferito al confronto temporale tra i livelli di contiguità alle droghe, all’interno delle cinque rilevazioni dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia (1983 - 2000).

Gli strumenti utilizzati per le rilevazioni non misurano direttamente il numero di ragazzi che consumano droghe in quanto una domanda così diretta comporterebbe notevoli distorsioni nelle risposte. Si è preferito quindi, sin dalla prima versione della rilevazione, affidarsi ad indicatori indiretti di prossimità che, seguendo un climax di sempre maggiore vicinanza alle sostanze, permettono la costruzione di tipologie di contatto più affidabili. Uno di questi indicatori registra se l’intervistato conosce persone che fanno uso di droga. Nel 1983, a questa domanda. gli intervistati, tra i 15 e i 24 anni, rispondevano affermativamente per il 39%. Oggi siamo al 68%, ovvero la percentuale si è quasi raddoppiata. Certo, conoscere qualcuno che fa uso di droga non è sicuramente, di per sé, un fattore di rischio, ma lo diventa se associato ad altri indicatori che segnalano un legame più stretto con le sostanze.

A questo riguardo la quota di giovani che dichiara di essersi sentita offrire qualche tipo di droga passa dal 21% del 1983 al 46,1% del 2000, con un incremento complessivo del 118%. In altri termini, vuol dire che in meno di venti anni è più che raddoppiato il numero di giovani che dichiara di essersi sentito offrire, almeno una volta nella sua vi qualche tipo di droga. Allo stesso modo, sale dal 7 al 18% anche la quota di coloro che dichiarano di avere sentito il desiderio di provare una droga. Cosa ci fa dire questo? Che, oggi, non si può fare prevenzione dicendo "dobbiamo evitare che i ragazzi entrino in contatto con le sostanze". È una battaglia persa. Nel momento in cui, al 50% dei giovani tra i 15 e i 24 armi, è capitato almeno una volta che qualcuno abbia offerto qualche tipo di droga il problema non è tanto quello di non farli incontrare con gli stupefacenti, ma quello di far sì che la risposta allo stimolo "droga" sia una risposta consapevole.

Con un mercato delle sostanze psicotrope così persuasivo e così in grado di entrare in quasi tutti gli ambiti di vita dei giovani, il semplice controllo sociale sullo spaccio non è probabilmente sufficiente. Diventa necessario allora rendere la droga poco appetibile o, quantomeno, fare in modo che al momento del contatto non siano le emozioni a orientare le risposte, ma la razionalità e la consapevolezza individuale.

Facciamo un passo avanti e prendiamo ora in esame quali tipi di sostanze sono più vicine al mondo giovanile. Da questo punto di vista va osservato che il 36% dei giovani italiani, almeno una volta nella vita, si è sentito offrire dell’hashish. Tale dato non presenta di per sé elementi di grande novità rispetto a quanto più volte osservato a livello di ricerca empirica.

Più preoccupante è il fatto che un giovane su dieci dichiari di essersi sentito offrire cocaina e altrettanti lo affermino in riferimento all’ecstasy. Si tenga conto che un dato di questo genere potrebbe anche essere leggermente sottostimato, in quanto le modalità di rilevazione prevedevano un’interazione faccia a faccia con l’intervistatore e quindi possono soffrire di qualche tipo di distorsione dovuta al desiderio dell’intervistato di non appare in maniera troppo negativa agli occhi dell’intervistatore.

L’ultima sostanza presa in considerazione è l’eroina, il cui appeal verso i giovani appare in declino, soprattutto perché è legata ad un’immagine di totale perdita del controllo di sé e della propria dignità, che gli adolescenti associano alla figura del tossicodipendente.

Per approfondire ulteriormente l’analisi, l’ultima versione del questionario dell’Istituto IARD ha voluto operare una distinzione, tra la presenza di un generico contatto con le sostanze nel corso della vita (che in alcuni casi può risolversi in un’unica occasione del tutto eccezionale e tende a massimizzare l’esposizione dei più vecchi, per il semplice fatto che in 30 anni di vita si hanno più probabilità di contatto che in 15), e il dimensionamento della contiguità all’interno di un periodo temporale più ridotto ed uniforme rispetto a tutto il campione. Per questo motivo la domanda sulla contiguità è stata posta facendo riferimento all’arco temporale compreso nei tre mesi precedenti l’intervista.

In questo modo il 60% dei giovani intervistati dichiara di non avere avuto alcun contatto. Non ha incontrato persone che facevano uso di droghe, ne ha parlato loro; non gli è stata offerta alcuna droga e nemmeno ne ha provato il desiderio. Se questo dato può tranquillizzare, guardandolo dal lato più pessimistico si rileva che il 40% dei giovani, nei 3 mesi precedenti all’intervista, ha avuto qualche tipo di contatto con la droga, e questo dato è più preoccupante.

In realtà i soggetti veramente a rischio (che presentano una contiguità diffusa su un insieme articolato di sostanze) sono solo il 5%, ma è significativo riflettere sul fatto che in soli tre mesi il 40% dei giovani italiani ha avuto qualche tipo di contatto con il mondo della droga. Da questa prospettiva, il trend è abbastanza evidente: la presenza di droghe nei contesti di vita quotidiana dei giovani italiani - e in questi dati non si fa riferimento all’alcol, che comporterebbe un ulteriore aumento dell’incidenza del fenomeno - non è più un elemento assolutamente eccezionale, ma rientra tra i fatti fondamentalmente "normali".

Oggi, per un giovane, è cosa "normale" che, prima o poi, nel corso della sua vita gli capiti di entrare in contatto con il mondo della droga. Anche se non direttamente (abbiamo visto che la quota di soggetti a forte rischio di consumo non è particolarmente alta), la droga fa parte della quotidianità giovanile; è una presenza che per quanto non sia realmente oggettivata, si fa sentire, non fosse altro perché si sa che quell’amico la usa o che in quel posto la si trova. Questo credo che sia un assunto importante per progettare prevenzione. Oggi per i giovani confrontarsi con le immagini e le esperienze di consumo di sostanze non è un fatto eccezionale, che capita ad una persona su mille, ma un fatto normale, che capita frequentemente all’interno dei contesti quotidiani.

La prevenzione allora non deve concentrarsi solo sull’eccezionalità e sui casi maggiormente a rischio, ma deve rivolgersi alla totalità dei ragazzi e ragionare in termini di compartecipazione ai progetti e di sviluppo di percorsi di razionalizzazione del proprio atteggiamento verso la droga e di consapevolezze delle proprie azioni e delle conseguenze ad esse connesse.

Detto questo, non si può tralasciare l’analisi di quelli che possono essere definiti come fattori di rischio, ovvero non si può non rispondere alla domanda che chiede quali siano quegli elementi che contribuiscono ad aumentare la probabilità di contatto con le droghe da parte di un giovane. Fondamentalmente bisogna fare riferimento a tre tipi di fattori: fattori strutturali, fattori culturali, fattori psicologici.

 

Fattori strutturali

 

Età e genere, sono i due più evidenti. Rispetto a un valore medio, calcolato in 100 punti, i giovani maschi raggiungono quasi i 200 punti; quindi presentano un fattore di rischio doppio rispetto al totale della popolazione giovanile. Altri fattori strutturali che mostrano una incidenza sul fenomeno sono: il fatto di risiedere in un comune con più di 250.000 (aumento del 50% dell’indice di esposizione) e il fatto di avere genitori di classe sociale superiore (aumento della contiguità alla cocaina dell’80%). Sintetizzando si può affermare che il benessere materiale sembra essere correlato ad una più alta esposizione al rischio di consumo di sostanze psicotrope.

 

Fattori culturali

 

"Per che motivo, se mia mamma prende i sonniferi va bene, e se io prendo l’ecstasy per andare in discoteca sono un cretino?". Questa è la domanda, interessante in verità, di un diciassettenne. Viviamo in una cultura altamente performante in cui a ciascuno è sempre chiesto di dare il massimo, di rischiare, di arrivare oltre i propri limiti.

Chi si comporta in questo modo nel mondo dello sport o del lavoro, acquista un’immagine sociale molto positiva. Se un giovane traduce questi valori all’interno del suo mondo e consuma ecstasy per ballare meglio in discoteca, ne riceve una stigmatizzazione immediata. Chiariamo subito che il consumo di ecstasy e delle altre sostanze psicotrope è da stigmatizzare perché profondamente dannoso, ma ha la medesima radice culturale del consumo di tutte quelle sostanze che hanno il compito di aiutare il soggetto a superare i propri limiti fisici e psicologici. Si tratta di un atteggiamento culturale estremamente diffuso nel nostro paese, che permea una grande quantità di ambiti relazionali e di modalità di rapporto.

 

Fattori psicologici

 

Si tratta di un elemento centrale che può essere distinto, a sua volta, in due aree. Una prima area è quella della soddisfazione. I giovani che si ritengono più soddisfatti, soprattutto delle relazioni con gli adulti e nelle relazioni familiari, hanno livelli di contiguità più bassi della media; coloro che non sono soddisfatti dei rapporti con le loro famiglie, presentano indici di contiguità doppi rispetto alla media. Una seconda area è quella del controllo della propria impulsività: la capacità di dominare i propri istinti e i propri stati emotivi è centrale rispetto alla capacità di opporsi al consumo.

 

Per approfondire quest’area farò riferimento ad alcuni dati derivati da una indagine condotta dall’Istituto "Minotauro", per conto della ASL città di Milano, su un campione di adolescenti milanesi. La ricerca associava alcuni indicatori di contiguità del tipo di quelli visti in precedenza con i risultati al test di personalità di Hoffer.

Cosa è emerso.? Due elementi interessanti: in primo luogo, che il profilo psicologico degli assuntori di sostanza non cambia al variare della sostanza; in secondo luogo che esistono quattro dimensioni della personalità che differenziano fortemente i ragazzi rispetto al rischio di esposizione alle droghe. Come già accennato in precedenza i ragazzi che sono più lontani dalle sostanze sono decisamente più soddisfatti e hanno un’immagine di sé decisamente più positiva rispetto alle relazioni all’interno della famiglia e alla capacità di contenimento del proprio tono emotivo, cioè di dominarsi, di controllarsi. Inoltre hanno un maggiore senso del dovere.

Invece i ragazzi che sono più esposti alle sostanze hanno indici decisamente più alti di soddisfazione per quanto riguarda le relazioni amicali e le relazioni sessuali. Cosa si può concludere dall’insieme dei risultati descritti fino ad ora? Innanzitutto che i giovani italiani hanno generalmente una buona conoscenza di cosa siano le sostanze, a cosa servano, e come si usino. Tanto che distinguono tranquillamente cosa dovrebbero usare per divertirsi con gli amici, per migliorare le prestazioni, o per rilassarsi.

In termini di prevenzione, questo dato mostra che l’informazione è senz’altro importante ma, sicuramente non è sufficiente, in quanto giovani molto ben informati ci sono anche tra coloro che consumano più consistentemente le diverse sostanze disponibili sul mercato. Secondo elemento importante per impostare un nuova prevenzione: la richiesta latente che emerge dai giovani è una richiesta di relazionalità. Relazioni. Relazioni significative. Non solo con il gruppo dei pari, ma anche con gli adulti che non possono rinunciare alla loro funzione di guida e di modelli di riferimento per le giovani generazioni.

Terzo elemento di riflessione: qualche tempo fa si diceva che chi assumeva sostanze lo faceva per fuggire dal mondo. Erano comportamenti di fuga. Oggi gli stessi comportamenti nascondono un tentativo di presenza, una ricerca di aiuti e sostegni per stare nel mondo, per rispondere alle richieste di velocità, di performance, di essere sempre brillanti, di essere sempre carini.

Il tutto in un contesto in cui è importante ricordare che i giovani fanno parte della società dei loro padri e vivono fondamentalmente gli stessi valori dei loro padri. Tuttavia li reinterpretano e li attualizzano all’interno dei propri contesti di vita ed interazione quotidiana. In una società in cui la richiesta è quella di essere sempre al massimo, non si può pensare che i giovani non facciano loro questa richiesta, e non cerchino anche loro di essere sempre al massimo. Il che comporta, soprattutto in un contesto in cui le relazioni significative con adulti sono scarse, cercare il massimo là dove è possibile trovarlo.

 

 

 

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