Carlo Alberto Romano

 

Giornata di studi "Carcere: non lavorare stanca"

9 maggio 2003 - Casa di Reclusione di Padova

 

 

Carlo Alberto Romano, vicepresidente dell’Associazione "Carcere e territorio" di Brescia

 

La nostra esperienza nasce da una visione lungimirante, non posso non citarla, di un Magistrato di Sorveglianza, del presidente del Tribunale di Sorveglianza di Brescia, il dottor Giancarlo Zappa, del quale non credo ci sia bisogno di altre presentazioni per chi lavora e opera nell’ambito del diritto penitenziario e non è un caso che sia amico del dottor Margara… spesso faccio da trait d’union tra questi due illuminati esponenti della dottrina penitenziaria.

Ecco, l’esperienza lungimirante del dottor Zappa, il quale ha fondato un’Associazione, che si chiama "Carcere e Territorio", Associazione che secondo la visione del dottor Zappa si doveva prefiggere come obiettivo quello di costituire il collante, il collettore, il bacino di raccolta delle varie esperienze che afferiscono al carcere. Questo non per portare via ambiti di autonomia, ma per fare in modo che le varie esperienze potessero agire in rete e per evitare sovrapposizioni o misconoscenze relative, da parte dell’una nei confronti dell’altra. E questo credo sia stata la visione intelligente del dottor Zappa, perché ha fatto in modo che si potessero mettere in correlazione non solo le entità proponenti e agenti all’interno del carcere, ma soprattutto i percorsi progettuali, ed è questo che mi interessa portare alla vostra attenzione. I percorsi progettuali, che in qualche modo devono avere dei confini limitrofi, sovrapponibili, perché è impensabile oggi proporre un percorso progettuale che si occupi di attività lavorativa senza essersi occupato del problema dell’alloggio, dell’housing. Come è pensabile poter gestire una persona che arriva alla Camera di Consiglio, che porta in dote una attività lavorativa giudicabile idonea dal collegio di sorveglianza, sulla quale quindi è concedibile la misura alternativa, e che poi frana nel momento in cui attua la valutazione sulla opportunità alloggiativa della stessa. Sarebbe, oltre tutto, un lavoro inutile, quello svolto.

Nasce allora l’opportunità di collegare i percorsi progettuali e, in questo senso, abbiamo cercato di agire. L’esperienza che vi porto è quella di una collaborazione con l’Ente locale, nella fattispecie la Provincia della mia città, la quale ha inaugurato un progetto che vede la partecipazione di una schiera di componenti sociali estremamente nutrita: dai sindacati, al Tribunale di Sorveglianza, all’Associazionismo, al volontariato, e che è confluita in un progetto definito, con un termine non particolarmente originale, "Progetto Carcere".

All’interno del "Progetto Carcere" sono state individuate varie priorità, una delle quali è stata la gestione di uno Sportello per l’integrazione lavorativa del detenuto. È stata chiamata in causa l’Associazione Carcere e Territorio, presieduta dal dottor Zappa e, in sua sostituzione, da chi vi sta parlando, alla quale è stato affidato il compito di gestione dello Sportello. La nostra intuizione, se possiamo così definirla, è stata quella di introdurre un’innovazione ulteriore in questo passaggio, cioè la gestione dello Sportello è nostra, ma noi l’abbiamo attuata in sinergia, in collaborazione, con un Consorzio di aziende. Altrimenti ci saremmo ritrovati a doverci caricare sulle spalle l’esigenza del reperimento delle risorse, non facili tra l’altro da individuare, come ben sapete, sulla base della nostra rete di conoscenze. Così invece abbiamo sfruttato anche la rete di rapporti delle imprese sociali e delle imprese non sociali del Consorzio, che aveva già aperto e già lavorava con un suo Sportello.

A questo punto si è innestato un ulteriore percorso progettuale, quello dell’housing. Grazie ad un finanziamento della regione Lombardia, che ha attribuito una serie di possibilità, attraverso appunto il versamento di un contributo, per la gestione di progetti di housing sociali, siamo riusciti a creare parallelamente anche un percorso di individuazione di opportunità alloggiative, una serie di appartamenti che mettessero a disposizione non molti posti di alloggio, ma non è il numero complessivo che importa, quando la possibilità di scardinare quel meccanismo ostativo per cui il soggetto che può avere l’attività lavorativa improvvisamente frana nella sua aspettativa per la carenza dell’alloggio. Mettendo in contatto queste due realtà si riesce a costruire un percorso che possa avere come obiettivo quello del reinserimento e della riabilitazione.

Peraltro devo dirvi, sulla riabilitazione, che a me piace molto studiare l’origine delle parole e, giusto occupandomi in questi giorni di O.P.G. e di processo di revisione dei percorsi dell’O.P.G., dalla neutralizzazione alla riabilitazione, sono andato a vedermi il significato originale della parola "riabilitazione", da habilis, un aggettivo verbato che significa "rendere maneggevole", il che mi ha preoccupato molto, perché dalla neutralizzazione alla maneggevolezza si può avere un altro elemento di pericolosità.

Allora, l’unione dei percorsi progettuali, la sinergia tra le diverse realtà, la collaborazione con gli enti locali, possibilmente attuata nelle forme rituali meglio disponibili, quelle del Protocollo, dell’Accordo di programma, certamente in forme che abbiano carattere di ufficialità, può portare a un tentativo di risoluzione del problema. Non è certamente esaustivo, non è la soluzione che può risolvere tutti i problemi, ma costituisce in qualche modo il tentativo di dare una risposta da parte del territorio, perché siamo convinti che sia il territorio che può dare una risposta. Deve provenire innanzitutto da altre realtà, in primis quella del legislatore, ma se il territorio si fa trovare impreparato e non si fa trovare con i mezzi idonei per poter dare applicazione anche alle migliori proposte provenienti dal legislatore, o comunque dalle strategie politiche, dalle politiche attive del lavoro, in qualche modo si rischia di essere deficitari.

Ultimamente, abbiamo cercato di aggiungere a questa impostazione che abbiamo da qualche anno, anche un intervento concreto e strettamente embricato con la realtà penitenziaria andando a lavorare direttamente all’interno del carcere su alcuni progetti di gestione della tossicodipendenza. Questo è stato un passaggio non da poco, cioè abbiamo in atto, sempre con un finanziamento della regione Lombardia, un progetto di implementazione del Servizio delle dipendenze all’interno del carcere. Voi sapere le vicende relative al passaggio della gestione delle tossicodipendenze al Servizio Sanitario Nazionale, oltre alle difficoltà di gestione del Servizio Sanitario non per tossicodipendenti, susseguente al decreto legislativo 230. È stato quindi un momento che ci ha impegnato fortemente soprattutto a livello ideologico: in un momento di revisione del decreto ministeriale 444, in un momento di possibile passaggio alla realtà del privato sociale addirittura dei Servizi delle dipendenze ci poteva essere il rischio di andare a impelagarsi in una situazione che non avesse tutti i caratteri della trasparenza, dell’efficacia e dell’effettività che invece ci proponevamo. Ci stiamo provando, tentiamo con le nostre forze di costruire qualcosa di buono e speriamo che il territorio, che peraltro da questo punto di vista ci ha sempre aiutato, riesca anche questa volta a darci la forza di proseguire.

 

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