Licia Roselli

 

Giornata di studi "Carcere: non lavorare stanca"

9 maggio 2003 - Casa di Reclusione di Padova

 

 

Licia Roselli, dell’Agenzia di Solidarietà per il Lavoro

 

Devo fare una doppia parte, perché doveva venire anche Riccardo Rebuzzini, presidente del Consorzio "Nova Spes", che per problemi famigliari non ha potuto venire. Quindi vi racconterò non solo l’esperienza dei progetti integrati dell’Agenzia di Solidarietà, ma vi farò anche una piccola panoramica su quella che è l’esperienza della Nova Spes.

Noi siamo abbastanza giovani, siamo nati nel 1998, come Agenzia di Solidarietà per il Lavoro, però abbiamo alle spalle l’esperienza di soggetti che già lavoravano in carcere, per esempio io lavoravo in C.G.I.L. dal 1993, quindi a partire da questa esperienza e a partire anche dalla sollecitazione di un gruppo di detenuti di San Vittore, perché noi siamo partiti da quello, da un’idea venuta ai detenuti, abbiamo capito che c’era il bisogno di coinvolgere tutte le realtà presenti sul territorio che si occupavano di lavoro, tra cui non solo le associazioni del volontariato ed i Consorzi, ma anche i sindacati e le associazioni imprenditoriali.

Quindi uno degli sforzi che stiamo facendo da anni (e vi dirò che gli sforzi profusi non è che hanno portato grandi risultati, ma ancora non abbiamo rinunciato a fare i miracoli) è di cercare di convincere il profit a superare queste barriere, che ci sono per dare lavoro ai detenuti. Io parlo di progetti che sono nella realtà milanese, dove c’è un tasso di disoccupazione ufficiale pari al 4,6%, dove quindi rasentiamo la piena occupazione, se mettiamo dentro anche il lavoro nero. Quello che noi abbiamo sono sacche di disoccupazione che, se andiamo a guardare, si trovano in settori industriali obsoleti, o in crisi, e le persone disoccupate lo sono da tanto tempo e hanno caratteristiche professionali ben precise: persone oltre i 40 anni, con professionalità di bassa mansione, che non sono riuscite a riconvertirsi alla nuova economia in un ambito come quello milanese. Se non erro, secondo i dati della Camera di Commercio a Milano ogni anno nascono 18.000 imprese, quindi abbiamo un tessuto che si muove, molto in movimento.

Fatto questo quadro generale, pensiamo ai nostri amici delle carceri milanesi e ci troviamo con delle caratteristiche professionali e personali esattamente uguali a quelle persone che sono disoccupati di lunga durata: sono spesso abbastanza anziani, spesso non hanno mai lavorato o hanno lavorato in maniera frammentaria, sono fuori dai processi produttivi, hanno una professionalità scarsa, perché nelle carceri si fanno sempre i soliti corsi, aiutocuoco, o giardiniere, abbiamo fatto anche corsi di origami…, sì, c’è qualche corso di informatica, però diciamo che il livello è quello che non viene né richiesto né assorbito dal mercato del lavoro.

Dunque questa è la grossa difficoltà. Poi, secondo me c’è un handicap culturale nei confronti dei detenuti. Proprio in questi giorni stiamo facendo un’inchiesta telefonica su un campione di aziende: dopo un giro di parole, dove diciamo dei meccanismi di selezione, chiediamo se assumerebbero un detenuto e, tra quelli che accettano l’intervista, non c’è una chiusura totale. Non sto dicendo che non abbiano delle chiusure, questo è chiaro, ma non possiamo più "nasconderci dietro questo dito", dicendoci che c’è una preclusione nei confronti dei detenuti e perciò non riusciamo a portarli a lavorare, se non nelle cooperative sociali, che stanno scoppiando di svantaggiati di vario genere e non riescono a stare sul mercato e non hanno molte commesse.

Il problema credo sia a monte, appunto riuscire a portare delle persone all’ingresso nel mercato del lavoro con figure e profili professionali adeguati al mercato del lavoro stesso, perché le aziende che noi abbiamo contattato (faccio un esempio per tutti), se avessi 100 saldatori, me li prendono subito, non importa se hanno fatto stragi… non stanno a guardare il reato perché la figura del saldatore, a Milano, è richiestissima e i saldatori non li trovano tra i lavoratori liberi.

Poi c’è da dire che le aziende, soprattutto quelle piccole, non riescono a pensare quando avranno bisogno di manodopera: arriva la commessa e hanno bisogno della manodopera entro 15 giorni o al massimo un mese. Ed il tessuto milanese è fatto di aziende medie e piccole. I nostri lavoratori, o sono ex detenuti, ma se devono uscire in misura alternativa dobbiamo aspettare sei mesi prima di averli disponibili, quindi anche se ho trovato il "famoso" saldatore, dopo sei mesi l’azienda non ne ha più bisogno.

Quindi i problemi stanno nei meccanismi di selezione delle aziende, nella professionalità dei detenuti e soprattutto nei tempi del Tribunale di Sorveglianza. Non so quello di Brescia, che ha una storia diversa, come quello di Firenze, ma a Milano siamo in una situazione dove non si riesce neanche a parlare coi magistrati e non si riesce a capire come si fa a sveltire queste cose. Abbiamo visto però che, ultimamente, qualcosa è cambiato. I tempi sono lunghi, però abbiamo visto che i magistrati non hanno più in testa i meccanismi del mercato del lavoro degli anni 70 e accettano offerte anche di contratti di lavoro che chiamiamo "atipici". Ultimamente CO.CO.CO, part – time, stage, vengono accettati. Naturalmente sempre in numeri minimi, però abbiamo visto anche questo.

E proprio grazie a un servizio come il nostro, che è fatto da una A.T.S. (Associazione Temporanea di Scopo) a cui partecipa anche l’ente locale, che si è fatto conoscere da tanti anni come un servizio "serio", che ha sempre selezionato aziende e cooperative "sane", che ha sempre proposto posti di lavoro veri, non finti, è chiaro che a questo punto la magistratura fa meno fatica ad accettare anche contratti che non sono a tempo pieno e indeterminato. Ci vuole un po’ questa figura da mediatore. Noi non abbiamo mai fatto incontri con la magistratura di sorveglianza: ne abbiamo chiesti tanti, ma non ci hanno mai guardato nemmeno di striscio… quindi non possiamo dire che ci siamo "impastettati", cosicché le proposte che facciamo noi sono guardate con un altro occhio. No, la credibilità ce la siamo proprio guadagnata sul campo!

Abbiamo cominciato nel ‘99, come Agenzia, assieme alla Caritas. Dal 2000 abbiamo fatto una A.T.S. anche con la Provincia di Milano, essendoci ormai tutte le deleghe del Collocamento in capo alla Provincia, non più al Ministero. E quindi mi dispiace che oggi il rappresentante della Provincia di Padova sia andato via. Mi dispiace anche che sia arrivato il rappresentante del settore Servizi sociali, perché noi abbiamo bisogno del rappresentante del settore Lavoro! E voi dovete chiedere alla Provincia di Padova che faccia il suo dovere secondo le competenze a norma di legge.

Comunque, la Provincia di Milano il primo anno ha fatto un bando per l’appalto dei Servizi di orientamento al lavoro e collocamento dei detenuti; noi abbiamo fatto questa A.T.S., tra l’Agenzia di Solidarietà, il Consorzio Nova Spes e altri tre Consorzi, quindi abbiamo messo assieme l’esperienza di un’Associazione che faceva "mediazione" al lavoro con l’esperienza dei Consorzi, che facevano inserimento lavorativo. Quindi siamo riusciti a coprire tre funzioni: gli Sportelli di orientamento al lavoro all’interno delle carceri, uno Sportello di orientamento e inserimento al lavoro fuori dalle carceri (e il nostro operatore è presente qui oggi), infine abbiamo un’équipe di tutor che si occupano di accompagnamento al lavoro e un’équipe che si occupa di sensibilizzazione delle aziende.

Sulla sensibilizzazione delle aziende, avendo a questo punto un parco-operatori notevole e anche un finanziamento, non corposo, perché erano 400 milioni, ma insomma un po’ più dei 50 che ci aveva dato l’anno precedente la Provincia, abbiamo potuto articolare queste fasi: abbiamo fatto circa 1.500 colloqui di approfondimento e di informazione, abbiamo inserito 221 persone al lavoro, tra interno ed esterno, fatto 40 tutoraggi e portato a casa una cinquantina di posti di lavoro disponibili.

Con questo, devo dire che convincere le aziende è sempre difficile: abbiamo mandato 8.000 lettere e ci hanno risposto in 4! Abbiamo fatto una profusione di telefonate, stiamo provando con i Comuni, che facciano da facilitatori e ci organizzino delle riunioni con gli imprenditori. Devo anche dire che c’è qualche imprenditore che ci telefona, però è chiaro che se sono loro che cercano il detenuto, sicuramente è per una mansione che non vuole fare nessuno, nemmeno gli immigrati extracomunitari senza permesso di soggiorno! L’ultimo esempio è quello di un’azienda che cercava degli spazzacamini, quindi adesso proveremo anche con i detenuti - spazzacamini…

Questo progetto, che abbiamo chiamato "Cercare lavoro", è dell’anno scorso. Quest’anno abbiamo fatto un’altra A.T.S.: a questo punto la Provincia non era più lei che faceva il bando per appaltare i Servizi, ma abbiamo partecipato a un bando europeo multi-misura di orientamento e la Provincia è entrata nell’A.T.S..

Quindi il percorso è stato questo: prima la Provincia faceva una sorta di sperimentazione, poi bandiva un pezzo del suo lavoro, infine si inserisce assieme al privato sociale e si crea questa sinergia con il pubblico e il privato sociale che lavorano assieme. Questo bando era sicuramente più corposo, perché era di 500.000 euro, e ci occupiamo solo di orientamento e di inserimento lavorativo. Abbiamo un altro progetto, con i fondi della Regione, sul Protocollo d’Intesa, che si occupa unicamente di sensibilizzare le imprese. Quindi abbiamo visto che la Regione Lombardia non ha tantissimi soldi, però un po’ li investe su questi progetti.

C’è da dire che in provincia di Milano abbiamo 4.500 – 5.000 detenuti, abbiamo 3 Case di Reclusione e 1 Casa Circondariale. È chiaro che i nostri risultati sembrano esigui, se si guarda a tutta l’area penale esterna presente, ma soprattutto se si guarda alla popolazione carceraria milanese, dove in luoghi come San Vittore abbiamo ormai il 70% di stranieri e il 40 – 50% di tossicodipendenti.

I detenuti stranieri, con la nuova legge Bossi – Fini ormai li mettiamo da parte, noi non possiamo farci niente: facciamo gruppi di orientamento al lavoro, però sappiamo che di "art. 21", purtroppo, per gli stranieri non se ne parla neanche. Questo è uno scoglio sul quale dovremo lavorare, perché non è possibile lasciare una fetta così consistente della popolazione detenuta solo con un minimo d’informazione. D’altronde cosa gli facciamo, l’orientamento al lavoro a Milano, quando poi saranno portati in Albania? Quanto meno, visto che non possiamo cambiare le leggi, dobbiamo pensare al modo di rendergli utile questo periodo di permanenza in carcere in Italia per un rientro onorevole, almeno. Su questo stiamo lavorando, infatti ci siamo messi in contatto con gli operatori di Bologna, che hanno più esperienza di noi…

Per concludere, devo dire due parole su "Nova Spes". Questo è un Consorzio di cooperative sociali, si chiama "Nova" perché ha assorbito la "Spes", che era una azienda pubblica - privata e che aveva un appalto pubblico, di "Lombardia Informatica", per obliterare le ricette mediche attraverso la loro lettura ottica. Era un’azienda che era andata in perdita di tanti miliardi, questo nuovo Consorzio l’ha presa in mano, con diversi soci, tra cui Caritas Ambrosiana, Compagnia delle Opere, Gruppo Abele e Gruppo Exodus di don Mazzi, e in 3 – 4 anni, dai miliardi di perdita che aveva, con una buona gestione aziendale, senza abbassare né i livelli produttivi, né i livelli degli stipendi, ha mantenuto questa quota di lavoro nelle carceri. È presente in 9 carceri della Lombardia, impiega 160 detenuti, più altre 60 persone che lavorano nelle cooperative all’esterno.

Quello che diceva il dottor Margara, se è vero come è vero che gli stanziamenti della Smuraglia per quest’anno coprono 333 posti di lavoro, mi sa che se li prenderà tutti "Nova Spes"… nel senso che questi finanziamenti sono davvero pochi! Il Consorzio "Nova Spes" fa tante cose, oltre ad essere capofila nella nostra A.T.S.: fa serigrafia, data entry, piccole costruzioni e assemblaggi meccanici, gestione archivio ottico, gestione archivio cartaceo, logistica, stampa, duplicazione CD. C’è da dire che sono riusciti anche, come buona gestione di un’impresa sociale, a far vedere che le imprese sociali riescono pure a fare la conduzione di un’impresa vera, a diversificare e quindi non vivere più solo di commesse pubbliche ma andare anche in gara con i privati.

 

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