Lia Sacerdote

 

Giornata di studi "Carcere: salviamo gli affetti"

L’affettività e le relazioni famigliari nella vita delle persone detenute

(La giornata di studi si è tenuta il 10 maggio 2002 nella Casa di Reclusione di Padova)

Lia Sacerdote (Associazione Bambini Senza Sbarre)

 

Rappresento "Bambini Senza Sbarre", che è una realtà che opera all’interno di S. Vittore, a Milano, e nasce da un gruppo storico che opera a Milano nel carcere dal 1985, ed è il Gruppo Cuminetti, dal quale Bambini Senza Sbarre si è reso autonomo ed ha deciso di operare nel campo degli affetti.

Avevo preparato una relazione piuttosto ampia e dettagliata, perché ci sono dei dettagli che secondo me sono molto importanti: cercherò di riassumerla e, magari, la prima parte ve la leggo. Bambini Senza Sbarre opera a S. Vittore e l’intervento principale è quello sul mantenimento del legame figlio - genitore detenuto, cioè una specie di relais dei legami famigliari in detenzione, nel senso di affetti incarcerati separati.

Noi ci siamo resi conto che il genitore detenuto è, in realtà, un genitore che sparisce. Noi appunto cerchiamo di farlo riemergere, farlo venire fuori da questa sparizione. È una sparizione che è gravissima per la propria identità personale, ma tanto più grave è per il figlio che viene privato completamente di un genitore, che sparisce, che non ha più diritti, non ha più contatti con la scuola, con i servizi sociali e, a volte, con il Tribunale, che deve essere sollecitato ad intervenire.

Noi ci rendiamo conto che operiamo in un settore delicatissimo che è comunque nel campo dei diritti, ma su un piano delicato e privato come quello degli affetti.

Ci siamo resi conto che questo intervento richiede uno spazio e un luogo adeguati, prima di tutto nella mente ma, possibilmente, anche nello spazio fisico. Qui entra in gioco il carcere, con le sue mura interne ed esterne, ma anche la società cosiddetta civile fuori dal carcere, con le sue mura del giudizio, del pregiudizio, del rifiuto.

Noi incontriamo sempre questo nodo centrale che il bambino è meglio non entri in carcere e devo dire che, su questo punto, avevamo lavorato molto gli anni scorsi, anche aiutatati dal dottor Margara, per un progetto molto importante che non ha avuto assolutamente nessun esito: si è fermato al Tribunale di Sorveglianza, che ha bloccato tutto.

Era un progetto che prevedeva i colloqui con i figli dei detenuti fuori dal carcere, in un ambito comunque protetto, perché gestito dal Comune e dalla Provincia; cioè tutti i soggetti istituzionali avevano dato la loro adesione: dopo un anno e mezzo di lavoro il Tribunale di Sorveglianza ha bloccato tutto e, per quanto ci riguarda, è ancora fermo lì, cioè non abbiamo più avuto alcuna risposta.

Quindi dopo quell’insuccesso ci siamo rivolti all’interno del carcere, nel senso di lavorare per cercare di adeguare al meglio gli spazi e, soprattutto, di lavorare sull’aspetto del sostegno psico-pedagogico: il gruppo di operatrici di Bambini senza Sbarre è specializzato in questo campo e lo sta facendo con impegno sempre più forte.

Mi piacerebbe avere il tempo di raccontarvi di casi più concreti, veri, alcuni risolti, altri ancora da risolvere, altri drammaticamente non risolti, per farvi capire bene cosa succede quando c’è una presa in carico di questi aspetti di relazione. Noi cerchiamo di rimettere in collegamento il genitore detenuto, privato appunto di parola, con la rete di assistenti sociali, di psicologi, della scuola, che opera attorno al figlio e, questo percorso, è un percorso importante che viene personalizzato caso per caso, condiviso con il genitore detenuto.

Comunque è un intervento che parte dal genitore detenuto ma poi si decentra completamente e si mette al centro di questa rete di soggetti, cercando di concentrare l’attenzione sul benessere del bambino: questa, direi, è la cosa principale.

Il nostro intervento ha sempre operato anche sull’aspetto istituzionale, quindi cercando anche di incidere sulla prassi interna dei colloqui. A San Vittore abbiamo ottenuto, alla domenica mattina, un colloquio ampio per le donne madri. Due ore di colloquio in un ambiente affrescato dalle donne, quindi più piacevole, dove possono anche consumare una merenda. Tutti i bambini hanno un percorso protetto, nel senso che il carcere quel giorno è aperto solo per i bambini.

All’interno di questo luogo ci sono dei giochi che abbiamo portato noi e la presenza di uno di noi a tutti gli incontri permette ai bambini di socializzare e ai genitori di parlare tra di loro.

Tanto per accennare alle attività che abbiamo, da pochi mesi abbiamo avviato (e chiamato con un nome un po’ importante) un atelier di confezione di oggetti relazionali, questo pensando soprattutto alle mamme straniere e copiando l’esperienza francese: ormai da anni, in Francia, è sperimentata la confezione di questi oggetti, che poi vengono spediti ai figli lontani.

Questo per dare una possibilità di relazione con i figli anche alle donne straniere, che ormai a S. Vittore sono più del 60 %, che spesso hanno i figli lontanissimi e non possono neanche sentirli al telefono per la differenza del fuso orario.

 

Giovanni Anversa

 

Riprenderemo nel pomeriggio l’esperienza di Bambini Senza Sbarre, con Lia Sacerdote. Abbiamo capito qual è il percorso che state realizzando ed è di grosso interesse. Ora abbiamo Telefono Azzurro con Annamaria Pensa, responsabile del "Progetto Carcere".

 

 

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