In-Veneto: notiziario settimanale sul carcere

realizzato nell'ambito del Progetto "Dal Carcere al Territorio"

Notiziario n° 12, del 5 marzo 2010

 

Notizie da Padova

La mediazione dei conflitti: quarto incontro per gli insegnanti….

Il Liceo Socio-Psico-Pedagogico Duca D’Aosta incontra i mediatori penali

Il progetto carcere-scuola continua e si intensifica

Il progetto RE.MA.IN

Notizie da Venezia

Strategie per l’inserimento lavorativo: buone pratiche a confronto

Notizie da Treviso

Progetti e attività per i ragazzi dell’Istituto Penale Minorile

Notizie da Rovigo

Quattro passi in un percorso di pace "Il carcere entra a scuola"

Notizie da Verona

Percorsi di reinserimento sociale per detenuti in uscita

Aloui era in difficoltà: urgente confronto Ministero-Volontariato

Due incontri con le detenute in occasione dell’8 marzo

Ciò che la città non sa insegnare ai detenuti…

A Verona, come in Veneto, sempre più tossicodipendenti

Riparatore di brecce: la mediazione istituzionale

"La grande tormenta", vera storia di carcere

Notizie da Vicenza

La direzione incontra i volontari: un appuntamento ogni due mesi

Appuntamenti

Padova: Corso "La mediazione dei conflitti a scuola"

Notizie da Padova

 

La mediazione dei conflitti: quarto incontro per gli insegnanti….

 

Un altro intenso pomeriggio è stato vissuto dai partecipanti al percorso di sensibilizzazione alla mediazione dei conflitti, organizzato dal Granello di senape Padova, dalla Cooperativa Dike di Milano, e finanziato dal Csv (Centro Servizi per il Volontariato) della provincia di Padova.

In questo "cammino", in cui una parte importante l’hanno avuta gli esercizi pratici, martedì 2 marzo si è parlato anzitutto di alcune regole fondamentali della mediazione. Si è ragionato sul tema della durata limitata della mediazione, che nella maggior parte dei casi dura un solo incontro; ciò, se a prima vista può sembrare un limite, rappresenta una caratteristica importante dello strumento che, è bene ricordare, non è una presa in carico. Altro carattere fondamentale è la volontarietà: le persone sono totalmente libere di accettare o meno la mediazione. La libertà di scegliere di andare in mediazione è fondamentale per la buona riuscita della stessa. Si è poi parlato di quali reati possono essere mediati ed è stato interessante apprendere che potenzialmente tutti i reati sono mediabili, tranne quelli che la criminologia definisce i "reati senza vittima" (es. reati legati allo spaccio di stupefacenti). Nell’esperienza dei centri e negli ambiti in cui è applicata la mediazione reo/vittima i reati inclusi in percorsi di mediazione sono stati molto ampi per l’ambito minorile (risse, lesioni, furti, rapine, violenze carnali), mentre per quanto concerne i reati di competenza del Giudice di Pace, le esperienze di mediazione hanno riguardato in misura maggiore i reati di lesioni tra ex coniugi o tra vicini di casa. Il D.lgs. 274 del 2000, stabilisce i reati di competenza del Giudice di Pace e le norme che regolano anche la possibilità per il giudice di inviare le parti in mediazione.

Altro tratto distintivo dell’attività di mediazione nei centri gestiti dalla Cooperativa Dike è la gratuità per l’utente. L’utente che usufruisce del servizio di mediazione non pagherà nulla; i finanziamenti che coprono i costi della gestione dei centri vengono erogati da varie amministrazioni pubbliche (Comuni, Province, consorzi di Comuni, Fondazioni, tribunali etc.).

Un’ottima sollecitazione è venuta parlando dei costi e dei risultati della mediazione: come misurare l’efficacia dell’intervento mediativo?

A tal proposito sono state effettuate delle ricerche, che hanno valutato l’efficacia per le parti misurata in un miglioramento della relazione e della vita sociale tra il prima e il dopo la mediazione; in questi termini è possibile ipotizzare che si possa parlare di un miglioramento della convivenza civile dove la mediazione è intervenuta. Si è anche accennato al risparmio economico che la mediazione può portare; le remissioni di querela e le conseguenti interruzioni dei processi fanno risparmiare anche risorse all’intera collettività. L’efficacia della mediazione è anche misurabile attraverso la diminuzione dei tassi di recidiva.

Entrando poi nella "pratica" - detto che la mediazione è una pratica - si è parlato della distanza.

Il conflitto infatti richiama l’idea di distanza, ma essa non è un limite, è un vincolo. L’altro infatti ci ferma quando non vuole essere "invaso": si deve avere la sensibilità di capire quando l’altro non vuole che andiamo oltre. Il mediatore deve immedesimarsi nell’altro, ma non identificarsi, perché deve dare garanzia di terzietà. Alcune volte, se dovesse accadere l’immedesimazione del mediatore in una delle parti e quindi il mediatore stesso non potrebbe più svolgere il proprio ruolo in modo appropriato, potrà semplicemente astenersi dalla parola fino a quando non sentirà di aver recuperato la "pulizia del suo specchio". La mediazione verrà proseguita dagli altri due mediatori; da questa constatazione si è colta immediatamente l’importanza che l’equipe di mediazione sia composta appunto da tre mediatori.

È stato altresì sottolineato che la mediazione è pratica, ascolto e spazio di parola.

Importante nella mediazione è dare nome alle emozioni. L’essere umano del resto prima di conoscere la parola conosce le emozioni. La civiltà occidentale in modo particolare ha perso la capacità di "sentire" le emozioni dell’altro e la formula io sento, usata dal mediatore, fa percepire all’altro di essere veramente ascoltato ed è un modo per restituire l’emozione che il mediatore ha "percepito" nell’altro. L’"io sento" deve essere come una freccia che arriva diretta all’obiettivo. La mediazione è "incontrarsi" in modo diverso e per il mediatore il fatto "reato" deve come sciogliersi e andare sullo sfondo, quasi fosse la scenografia di una pièce teatrale, dove in primo piano tornano gli attori, cioè le persone.

 

Il Liceo Socio-Psico-Pedagogico Duca D’Aosta incontra i mediatori penali

 

L’incontro del pomeriggio con gli insegnanti è stato preceduto in mattinata da una lezione al Liceo Socio-Psico-Pedagogico "Duca D’Aosta", a cui hanno partecipato tre classi (una prima, una seconda e una terza). Alcuni studenti avevano già una certa dimestichezza con le tematiche dell’incontro, in quanto sono coinvolti nel progetto "Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere", mentre per i più giovani era un’esperienza totalmente nuova. Tutti gli studenti hanno comunque dimostrato un buon grado di ascolto e partecipazione e si sono lasciati coinvolgere dai relatori, che li hanno introdotti, passo dopo passo, nel complesso e affascinante mondo della mediazione.

Particolare attenzione è stata data, innanzitutto, alla figura della vittima di un reato, di cui in genere ci si occupa molto poco: grazie a un filmato e all’osservazione di alcune fotografie (tratte sia da film, che da episodi realmente accaduti), sono state presentate storie di soggetti che si sono trovati ad essere vittime di atti di violenza, che hanno avuto ripercussioni molto pesanti sulla loro vita e su quella dei loro cari.

Alla base della mediazione vi è, dunque, l’idea che non si può porre attenzione solo a chi commette un reato, dimenticandosi di chi ha subito sulla propria pelle un atto di violenza, che provoca gravi danni e innesta una serie di paure, difficili da "sradicare". In genere, infatti, ogni persona che si trova ad essere vittima si chiede "perché proprio io?" e pensa che in futuro i fatti negativi che ha subito possano risuccedere, e in modo anche più grave, e perciò spesso tende ad evitare di frequentare i luoghi e gli ambienti in cui si è verificato l’episodio, modificando quindi i propri comportamenti abituali.

La mediazione si pone, allora, come uno spazio di ascolto e di parola, in cui sia le vittime, che i colpevoli, possono esprimere i propri sentimenti (rabbia, dolore, incomprensione) e le proprie motivazioni, e possano rincontrarsi e iniziare (o ritornare) a parlarsi, non con il linguaggio "tecnico- giuridico" che si utilizza durante un processo, ma con il linguaggio di tutti i giorni, delle persone comuni.

Per far poi capire meglio ai ragazzi come sia difficile in certe situazioni stabilire chi è la vittima e chi è il colpevole, i relatori hanno proposto delle simulazioni di casi (realmente accaduti e da loro seguiti), che riguardano principalmente il mondo dei ragazzi e della scuola.

Questa modalità di lavoro, meno teorica e più "operativa", è risultata molto coinvolgente, perché ha permesso ai ragazzi di mettersi in gioco, esprimere il proprio punto di vista e ragionare assieme sulla complessità degli avvenimenti.

Questi casi esemplari sono serviti per far riflettere su come ci siano situazioni in cui, al di là di ciò che la legge può stabilire sia giusto o sbagliato, ci si trova di fronte a un altro livello, quello delle ingiustizie, e su come chi ne è vittima spesso tenda a reagire non razionalmente, "con la testa", ma "di pancia", impulsivamente. In questi casi, quindi, per un giudice è molto complicato decidere chi ha torto e chi ha ragione, perché i torti e le ragioni non stanno da una sola parte ed è importante capire le motivazioni, le relazioni, i sentimenti, che stanno "dietro" alla situazione che si sta giudicando.

La mediazione permette proprio di far sì che le parti non rimangano chiuse ciascuna nella propria verità, ma possano parlarsi direttamente - non facendo parlare i giudici o gli esperti al posto loro -, "dare un nome" alla sofferenza, creata e subita, e assumersi le responsabilità delle proprie azioni.

Questi percorsi comportano sempre un cambiamento da entrambe le parti: aiutano il reo ad essere più consapevole dei danni che ha provocato e la vittima a superare le paure e le resistenze e ad avere il coraggio di confrontarsi con chi le ha fatto del male (in genere ci vuole, infatti, molto più coraggio a parlare con chi ci ha fatto del male, che a "vendicarsi").

La mediazione deve essere sempre una scelta libera per entrambe le parti e in qualsiasi momento ciascuna può decidere di sospendere gli incontri; l’obiettivo non è cercare per forza una soluzione, ma permettere un confronto, che è fatto non solo di parole, ma anche di silenzi.

In alcuni casi, laddove non si riesce a fare incontrare i soggetti, i mediatori possono svolgere una mediazione indiretta, facendo da tramite tra le parti (ad esempio riferendo frasi, discorsi, o favorendo lo scambio di lettere).

Rispetto alla formazione del mediatore, essa può essere varia: per fare questo lavoro non conta infatti il ruolo, il titolo di studio, l’essere "esperti di", bensì è indispensabile saper ascoltare ed accogliere, senza giudicare.

 

Il progetto carcere-scuola continua e si intensifica

 

Il progetto "Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere" continua con ritmi sempre più incalzanti. Quest’anno, da ottobre a oggi le scuole di Padova che hanno aderito sono state 21, molte di esse coinvolgendo più classi.

Anche numerose scuole della provincia hanno aderito al progetto, e sino ad oggi abbiamo incontrato studenti di Conselve, Caselle di Selvazzano, Camposampiero, e altri ne dovremo incontrare prossimamente. Ma non sono mancati nemmeno gli incontri fuori dalla provincia Padova, siamo stati in scuole di Rovigo, Adria, Portoviro, Badia Polesine, dove il progetto è stato realizzato in collaborazione con la Provincia di Rovigo. E poi ancora Montebelluna, Thiene, Verona, Piacenza e Lodi, dove sono attivi progetti simili e gli operatori hanno richiesto la nostra presenza.

Nella maggior parte dei casi per i ragazzi di Padova e provincia, ma non solo, il progetto continua con incontri anche in carcere, finora infatti sono entrate già alcune centinaia di studenti, che hanno avuto la possibilità di conoscere e confrontarsi con i detenuti-redattori di Ristretti Orizzonti, che ad ogni incontro si mettono a completa disposizione dei ragazzi cercando di rispondere a qualsiasi loro domanda e curiosità.

Solitamente gli incontri iniziano con il racconto in prima persona delle storie di detenuti ed ex detenuti che spiegano come sono arrivati a commettere reati. Partendo da lì i ragazzi vengono stimolati a fare domande, da come si vive in un carcere a come si riesce a vivere facendo i conti ogni giorno con le conseguenze dei reati commessi.

È fuor di dubbio che questa esperienza fa sì che i ragazzi, anche i più ostili e rigidi nei confronti di certi argomenti, messi di fronte ad una realtà che non è così lontana come immaginavano, siano portati a porsi delle domande, ed escano da questa esperienza con un bagaglio di notizie che li porterà anche in futuro a porsi qualche domanda in più.

Abbiamo avuto tanti riscontri e ci siamo resi conto che, nella maggior parte dei casi, i ragazzi dopo questa esperienza capiscono che in carcere non ci sono solo i "predestinati", che spesso ci finiscono persone che sino ad un certo punto della loro esistenza hanno mantenuto una condotta di vita del tutto "normale", ma che ad un certo punto della loro vita non hanno saputo affrontare delle particolari difficoltà e non hanno avuto l’umiltà di chiedere aiuto, che i detenuti sono persone, che l’informazione a volte rischia di diventare quasi un’istigazione a delinquere, perché fa credere che in Italia in carcere non ci finisce nessuno.

Pur essendo un impegno importante, che richiede un grosso investimento di energie, siamo certi, supportati anche dai riscontri avuti sino ad oggi, che si tratta di un progetto importante che fa vera prevenzione.

 

Il progetto RE.MA.IN

 

Durante la seconda metà del 2008 si era costituito a Padova un tavolo di concertazione, promosso dalle Acli, che ha coinvolto diversi attori che operano nei confronti delle fasce svantaggiate e a rischio di esclusione dal mondo del lavoro. Granello di Senape è stata portatrice della voce delle persone detenute, spesso a rischio di emarginazione sociale a causa del loro passato e dei pregiudizi che spesso le accompagnano.

Durante gli incontri di questo tavolo denominato "Approdi" si è stesa assieme ad Enaip una proposta di progetto, in seguito approvato dalla Regione Veneto, che puntava al mantenimento del lavoro da parte di soggetti detenuti già ammessi a misura alternativa o comunque già impiegati in un lavoro. Il progetto "RE.MA.IN. - Rete per il Mantenimento dell’occupazione e per l’Inclusione sociale".

Il fine ultimo del progetto è stato quello di potenziare il profilo professionale del lavoratore, in modo da renderlo più "interessante" e qualificato agli occhi di futuri datori di lavoro o per rafforzare le sue competenze relativamente al posto di lavoro che occupa.

Enaip ha chiamato come partner diversi enti nel suolo provinciale: Granello di Senape, appunto, la cooperativa AltraCittà, i Servizi sociali del Comune di Padova, il Centro per l’impiego e altri enti che hanno solo partecipato al Comitato tecnico di progetto per la gestione e il coordinamento dello stesso. Gli utenti coinvolti sono stati 12, seguiti per un anno da 3 operatori, che hanno proposto loro incontri di formazione (informatica base e avanzata, sicurezza sul lavoro), incontri individuali o di gruppo di orientamento e accompagnamento al lavoro, durante i quali si offrivano linee guida per confrontarsi col mondo del lavoro e gli attori cui rivolgersi per le diverse esigenze del lavoratore.

Si è badato all’empowerment, quindi al potenziamento della persona attraverso l’offerta di strategie per muoversi con più facilità attraverso l’intricato mondo dell’incontro domanda-offerta di lavoro. Per alcuni utenti con necessità di cambiare lavoro è stato svolto un tirocinio formativo presso un’azienda, che poi ha offerto un lavoro di un anno, visto il successo dell’esperienza. Per altri sono stati offerti consigli e contatti per iniziare a svolgere colloqui di lavoro presso agenzie interinali, CPI, o presso Aziende di cui si trovavano annunci in internet o su giornali.

Altro punto interessante del progetto è stata l’attenzione rivolta anche agli operatori di progetto e ad altre figure che operano nel campo dell’inserimento lavorativo di detenuti: è stato proposto un ciclo di incontri di aggiornamento con esperti del settore (consulenti del lavoro, psicologi) su diversi temi d’interesse per questo campo d’azione (ruolo centrale del lavoro di equipe nell’inserimento socio-lavorativo, legge Smuraglia, strutturazione e caratteristiche dei Piani di Azione Individuale, aspetti psicologici specifici delle persone detenute ammesse al lavoro). Momenti sia di formazione e aggiornamento, che di confronto fra gli operatori sociali coinvolti in questi processi.

Il progetto è stato una prima sperimentazione, che Enaip ha voluto intraprendere con questi partner, di un nuovo metodo di intervento nei confronti dell’utenza svantaggiata o a rischio di emarginazione: la presa in carico attraverso Piani d’Azione Individuale (PAI) e la gestione di una dote destinata al lavoro di sostegno da svolgere con ogni utente. Una sperimentazione, in quanto tale modalità d’azione sarà il prossimo futuro metodo di gestione delle politiche attive di sostegno ai lavoratori in condizioni di difficoltà (fra cui anche cassintegrati, mobilità o licenziati). Modalità che darà la libertà di scelta all’utente di individuare l’ente che lo rappresenta e lo aiuta secondo le sue esigenze e attitudini, concordando con esso le azioni di cui il lavoratore necessita. Forse un passo verso il miglioramento dell’efficienza e l’efficacia dei servizi.

 

Notizie da Venezia

 

Strategie per l’inserimento lavorativo: buone pratiche a confronto

 

Il 1 marzo con inizio alle 15.00 presso la Lega delle Cooperative in via Ulloa 5 a Marghera la cooperativa Rio Terà dei Pensieri di Venezia ha organizzato il secondo workshop nell’ambito del progetto "Creazione di una rete territoriale per l’inserimento lavorativo di persone provenienti dall’area detenzione" ormai al terzo anno, dal titolo "Strategie per l’inserimento lavorativo: buone pratiche a confronto". Sono intervenuti Simona Portinari, Referente Agenzia per l’Inserimento Lavorativo - Consorzio Prisma - Vicenza, Stefano Cuppini e Micaela Mariani, referenti del "Servizio per la facilitazione dell’inserimento lavorativo dei detenuti, condannati in esecuzione penale esterna, beneficiari di indulto ed ex detenuti" del Centro per l’Impiego di Bologna, Giuseppe Venier, Amministratore Delegato Umana, Agenzia per il Lavoro, Laura Visentin, Direttore della Agenzia servizi Formativi delle provincia di Venezia e Treviso - Enaip Veneto, Fabiana Chioggiotto del Centro per l’Impiego di Mestre.

L’Obiettivo è quello di creare una rete, che ha lo scopo di ottimizzare le risorse presenti sul territorio, promuovere e sostenere una pratica di collaborazione, che sia capace di supportare concretamente le persone provenienti da percorsi penali attraverso il lavoro.

Per fare questo si è pensato di promuovere buone relazioni con i partner di progetto (di rete e operativi) individuando e valorizzando le peculiari risorse e abilità che ciascuno può mettere a disposizione per rispondere ai bisogni dell’utenza.

I partner operativi saranno la Società Cooperativa Isfid, Quest Lab s.r.l. e Soggetto Venezia s.r.l., mentre i partner di rete sono il Comune di Venezia, Direzione Politiche Sociali e Partecipative e dell’Accoglienza - Servizio "UOC" Autonomia degli Adulti, il Ministero della Giustizia - Direzione Istituti Penitenziari Venezia e Direzione Ufficio Esecuzione Penale Esterna Venezia, la Legacoop Veneto, la Confcooperative Venezia, la Caritas Veneziana, la Cooperativa Sociale "Il Cerchio" onlus, Consorzio Unitario "G. Zorzetto", Ust-Cisl Venezia.

Sono stati individuati metodi per condividere l’analisi dei soggetti beneficiari del progetto e elaborati strumenti per registrare le caratteristiche della singola persona al fine di valutare le sue attitudini, i suoi valori, le sue competenze e al contempo raccogliere elementi utili per prevenire, contenere e monitorare situazioni di disagio.

Si è pensato alla costituzione di un Comitato Tecnico composto dai partner operativi e da alcuni partner di rete (Servizio Uoc-Autonomia degli Adulti, Uepe, LegacoopVeneto e Confcooperative Venezia, Consorzio Unitario "G. Zorzetto") con incontri periodici a cadenza mensile tra i partner operativi, per definire la programmazione delle attività e a cadenza trimestrale con i partner di rete per presentare di volta in volta i candidati selezionati, per individuare le aziende ove inserire i beneficiari dei P.A.I. sulla base di una descrizione delle competenze del soggetto, ricostruite durante la fase di informazione/orientamento e delle sue attitudini/potenzialità emerse durante la fase di formazione in aula.

Vi sarà bisogno poi della elaborazione di strumenti idonei a valutare il candidato sia in fase di colloquio preliminare, per essere ammesso al PAI, sia negli interventi specifici del PAI (schede per il bilancio delle competenze, schede di valutazione da parte dei docenti, del tutor di progetto e del tutor aziendale), scheda finale consegnata al beneficiario che, sulla base del percorso effettuato, ridefinisce il profilo professionale che potrà essere utilizzato anche in autonomia per una ricerca attiva sul mercato del lavoro.

Per l’individuazione dei diversi servizi, che a vario titolo si relazionano con la medesima tipologia di utenza, promuovendo momenti/occasioni di scambio/confronto sulle problematiche che i destinatari manifestano, al fine di ottenere un quadro più preciso del disagio, al fine di ridurlo, si devono prevedere incontri e colloqui con gli operatori dei servizi che hanno avuto rapporti con l’utente o che lo stanno seguendo, in modo particolare con: Servizio Uoc-Autonomia degli Adulti, Uepe, SerT, Comunità, Legali, con l’obiettivo di mettere in comune conoscenze e di sperimentare una metodologia innovativa per quanto concerne l’inserimento lavorativo.

Infine per individuare soggetti da coinvolgere (enti/servizi, associazioni datoriali, imprese) operativi nel territorio provinciale, al fine di allargare la rete si è pensato a un questionario realizzato dal partner Questlab che ha condotto l’indagine su un campione di 630 aziende della Provincia di Venezia (i risultati sono stati illustrati nel 1° workshop), alla stesura di una convenzione per l’inserimento nelle aziende e di una lettera d’adesione e a incontri/colloqui con diversi referenti per la presentazione del progetto.

Le aziende coinvolte sono: ditta "ARpromotion srl" Concessionaria Sanson, ditta "Approdo Distribuzione srl", Asm, Cooperativa "Noncello" di Pordenone, Cooperativa "il Cerchio", Cooperativa "Primavera", Cooperativa "Codess-Cultura", Cooperativa "Il Filò" e quelle che hanno dato disponibilità sono Vela, AliLaguna, Icem servizi, ditta Be.Vi.Mark s.r.l. distribuzione Birre-Bevande-Vini.

I Soggetti Istituzionali contattati sono tutte le Municipalità: Marghera, Mestre, Venezia, Favaro, Chirignago/Zelarino, Assessorato Provinciale Lavoro e Formazione (Agenzia per l’impiego), Assessorato alle Attività Produttive del Comune di Venezia, Uil, Cisl, Cigl. Le Associazioni di Categoria contattate sono A.V.A. (Associazione Veneziana Albergatori), Cgia di Venezia (rinviato all’Unione Provinciale Artigiani di Venezia), Cgia di Mestre, CNA, UnionCamere, UniIndustria, Api - Associazione Piccole e Medie Imprese, Ance (edili), Acrib (calzature), Ascom.

I risultati attesi son quindi l’individuazione delle esperienze consolidate sul territorio, rafforzamento della cooperazione e dell’integrazione tra soggetti pubblici e privati, diffusione di un modello della buona pratica di inserimento lavorativo per raggiungere la stabilità occupazionale.

 

Notizie da Treviso

 

Progetti e attività per i ragazzi dell’Istituto Penale Minorile

 

Nell’Istituto Penale Minorile (Ipm) di Treviso, unico per il Triveneto, sono "ristretti" circa 20 ragazzi - a fronte di una capienza regolamentare di 12 -, italiani e stranieri, per la maggior parte tra i diciassette e i diciannove anni.

Mentre negli anni passati si registrava un turn-over piuttosto elevato, ora nell’Istituto sono presenti più soggetti definitivi e ciò è un evidente segno di come vi sia una tendenza a ricorrere più frequentemente alla carcerazione, piuttosto che investire su misure sostitutive e alternative alla detenzione (arresti domiciliari, inserimento in comunità, "messa alla prova", ecc.), che possono costituire per i ragazzi delle importanti opportunità di riscatto e risocializzazione.

Un altro nodo critico è legato alle attività rieducative: in questo IPM sono state sempre realizzate molte iniziative importanti, ma quest’anno ci si è trovati a dover affrontare il taglio di tutti i finanziamenti destinati alle 800 ore di formazione professionale, che venivano realizzate negli anni precedenti.

Gli operatori - che hanno molto a cuore le situazioni dei ragazzi e lavorano con impegno e passione per "dare un senso" al tempo che trascorrono nell’IPM - hanno saputo far fronte a questa difficile situazione, grazie alla fondamentale collaborazione con vari soggetti del territorio, a cui è affidata la gestione di attività di formazione, sportive, di animazione, tutte finalizzate alla rieducazione.

- Il progetto più consolidato riguarda le attività formative ed è svolto in collaborazione con il Centro Territoriale Permanente (CTP) 2 di Treviso: vengono realizzati percorsi scolastici di ogni ordine e grado (dall’alfabetizzazione alle scuole secondarie di secondo grado) e corsi di italiano per ragazzi stranieri, per un totale complessivo di 71 ore settimanali.

I corsi di scuola primaria e secondaria di primo grado vengono tenuti da insegnanti abilitati del CTP, che insegnano anche alcune materie di base nei corsi di istruzione secondaria di secondo grado, mentre per le materie di indirizzo, più tecniche, il CTP ricorre a insegnanti degli Istituti coinvolti nel progetto (un alberghiero, un commerciale e un I.P.S.I.A. con indirizzo elettrico-elettronico). Praticamente tutti i ragazzi partecipano a questi percorsi formativi: alcuni sono ancora in età di obbligo scolastico, mentre chi non lo è in genere viene comunque indirizzato a seguire i corsi, o almeno alcuni laboratori all’interno di essi.

Gli operatori del CTP l’anno scorso, da giugno a ottobre, hanno realizzato anche delle attività estive di teatro - finanziate dall’Ufficio Scolastico Regionale, la Uisp e il Centro Servizi Volantariato (CSV) di Treviso -, che hanno previsto il coinvolgimento di 8-9 studenti delle scuole del territorio, che sono entrati in carcere per affiancare i ragazzi "ristretti" nelle attività.

- Un altro progetto interessante consiste in attività sportive e viene realizzato, su finanziamento della Regione Veneto, dalla Uisp e dalla Federazione Regionale Calcio. Gli operatori si recano nell’Ipm 4 volte a settimana per coordinare attività di vario tipo: un corso per arbitri, partite di calcio, un corso di hip-hop e break dance (partito da quest’anno, su proposta dei ragazzi, che l’anno scorso hanno invece svolto un corso di educazione cinofila con la collaborazione anche del canile di Treviso).

- L’Associazione di Promozione Sociale ViviamoInPositivo, che si occupa di formazione in Clownterapia e Circo Sociale, finanzia e gestisce un progetto educativo-pedagogico di Circo sociale: ogni sabato mattina 4-6 operatori propongono a un numeroso gruppo di ragazzi attività di giocoleria e micromagia.

- Un’altra attività particolarmente utile è la Bottega Grafica IPM: nata nel 2006 come attività di grafica sociale, negli anni ha visto l’organizzazione, anche grazie a finanziamenti del Progetto Equal, di un corso di video-fotografia digitale e di uno per utilizzare programmi di grafica. I ragazzi più "capaci" hanno potuto poi ottenere anche uno spazio di lavoro, in cui poter creare brochure, depliant, locandine, copertine di opuscoli, su piccole commesse di enti pubblici e associazioni. Fino allo scorso anno queste attività (800 ore) erano finanziate dalla Regione Veneto e da un Tavolo composto da vari enti: il Centro per la Giustizia Minorile per il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e le Province Autonome di Trento e Bolzano, la Provincia di Treviso, il Comune, l’Ulss 9, il CSV, il CTP2, l’Istituto Turazza e l’Istituto Don Calabria (che è il capofila del progetto). Attualmente vengono svolte 9 ore a settimana, grazie al sostegno del suddetto Tavolo e ai contributi liberi di associazioni che commissionano prodotti alla "Bottega".

- Il CSV di Treviso organizza, inoltre, il Progetto di Educazione alla Cittadinanza Voci di dentro, voci di fuori, giunto alla sua ottava annualità, che si basa sul confronto tra studenti delle scuole superiori della Provincia e i ragazzi dell’IPM. Il tema affrontato quest’anno è il "diritto ad una vita dignitosa", prendendo in esame alcune storie di vita e raffrontandole con la Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, di cui quest’anno cade il ventesimo anniversario;

- L’Istituto Don Calabria e il Centro per la Giustizia Minorile per il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e le Province Autonome di Trento e Bolzano hanno stabilito una convenzione con l’IPM per il Progetto Azimut, che riguarda l’accoglienza in comunità dei minori stranieri non accompagnati.

- Il Ministero della Pubblica Istruzione e il Ministero dell’Innovazione Tecnologica hanno inoltre finanziato un progetto che ha previsto dapprima un corso di formazione per educatori dell’IPM e insegnanti del CTP, e ora un corso di informatica di base, che dà la possibilità a quattro ragazzi dell’Istituto di seguire in teleconferenza 2 volte a settimana le spiegazioni di un’insegnante sul pacchetto "Office".

- Un’ultima attività, finanziata dal Ministero della Giustizia e fondamentale se si considera l’utenza "multiculturale" dell’IPM, è la mediazione linguistico-culturale: al momento collaborano con l’Istituto quattro mediatori, dell’area araba, rumena, albanese e cinese, che svolgono ciascuno 20 ore di mediazione al mese.

Tutte queste importanti attività possono venir realizzate soltanto grazie all’essenziale lavoro di rete tra gli operatori dell’Istituto e quelli delle varie realtà territoriali; proprio per potenziare ulteriormente queste collaborazioni si sta lavorando per far sì che l’IPM entri a far parte dei Piani di Zona dei Servizi alla Persona e alla Comunità dell’Ulss 9.

Tra le difficoltà maggiori, riscontrate dagli educatori, vi sono la mancanza di fondi per strutturare progetti alternativi al carcere e, al contempo, la carenza di comunità che possano accogliere i ragazzi e dar loro la possibilità di effettuare percorsi di reinserimento all’esterno dell’IPM.

Un altro problema sostanziale è legato alla situazione di sovraffollamento: essendo il numero di ragazzi presenti più elevato di quello per cui è omologata la struttura, essi a volte si trovano a dover condividere in 5-6 una stanza, e ciò può rendere molto complessa la convivenza.

In generale nell’IPM si respira comunque un clima "tranquillo": i ragazzi, grazie anche alle attività, possono instaurare relazioni positive tra loro e con gli adulti di riferimento e, nei casi in cui vi sia la necessità di intervenire con misure di "isolamento" nei confronti di un soggetto, questo viene escluso temporaneamente dalle attività, ma non viene privato totalmente della sua dimensione "affettivo-relazionale"/escluso totalmente dalla vita comunitaria, e può quindi rimanere in stanza con i compagni ed effettuare i colloqui con i propri cari.

 

Notizie da Rovigo

 

Quattro passi in un percorso di pace "Il carcere entra a scuola"

 

Gli incontri realizzati con i ragazzi degli Istituti Superiori della nostra provincia si sono rivelati un’importante occasione di confronto e soprattutto di riflessione su un tema spesso dibattuto senza essere conosciuto: il carcere. Le esperienze di vita vissuta, presentate dai testimoni e dai volontari di "Granello di Senape", connotate da storie di droga e disagio, hanno senz’altro offerto ai giovani presenti un’occasione unica per riflettere sull’importanza di alcune scelte di vita e sulla necessità di ricorrere all’aiuto degli altri in momenti di difficoltà. Un sincero ringraziamento a chi ha fornito tale opportunità.

 

Tiziana Virgili Presidente - Provincia di Rovigo

 

Questo è ciò che la presidente della Provincia di Rovigo ha scritto al termine del progetto che il Granello di Senape, con la sua esperienza derivata da 6 anni di incontri con le scuole di Padova, ha portato anche nel rodigino. "Quattro passi in un percorso di pace" al suo sesto anno è un progetto fortemente voluto dalla Presidente e assessore alla Pace ai Diritti Umani e alle Politiche Giovanili, che si svolge in alcune scuole di Rovigo e Provincia nel mese di febbraio. Il primo incontro si è svolto il 5 febbraio all’I.P.S.I.A. Marchesini di Rovigo, il 12 all’I.T.C. De Amicis e all’I.P.S.S.C.T. Marco Polo, il 18 all’I.I.S. Einaudi di Badia Polesine, e infine il 25 si è svolto un incontro prima con gli studenti dell’I.I.S. Colombo di Adria, poi con quelli dell’I.T.C. di Porto Viro. Tutti gli incontri sono stati vissuti dalle classi con grande attenzione, curiosità e partecipazione.

 

Notizie da Verona

 

Percorsi di reinserimento sociale per detenuti in uscita

 

Sono percorsi pensati per agevolare le persone in uscita dal carcere nel momento del loro ritorno alla società. Uno in chiusura e il secondo in partenza, pur con qualche differenza sia nella composizione dei partner che negli obiettivi. Quello in chiusura è "Percorsi per la persona", presentato nel dicembre del 2007 e finanziato dalla Fondazione Cariverona per mettere insieme Comune, Provincia di Verona e Aziende Ulss al fine di agevolare l’inserimento lavorativo, tra gli altri, di 20 tra ex detenuti e detenuti a fine pena o ammessi a misure alternative. Grazie a tirocini e, se necessaria, una formazione di base, le 29 persone che hanno aderito al progetto sono in parte riuscite ad arrivare all’obiettivo ultimo: l’assunzione in azienda o in cooperativa. 11 in tutto le persone assunte: 7 a tempo determinato e 3 a tempo indeterminato, di cui 8 assunzioni in azienda e 3 all’interno di cooperative sociali.

Un ottimo risultato quindi, nonostante le persone prese in carico, sulle 143 ascoltate a colloquio, fossero 38 e nove di loro, per diversi motivi, abbiano terminato il percorso prima di incrociare cooperative o ditte.

Per la maggior parte i partecipanti sono stati uomini (24) e italiani (l’83 per cento del totale), essendoci tra i requisiti di selezione anche l’essere in possesso di un valido permesso di soggiorno, e i lavori più richiesti sono stati nei settori dell’assemblaggio, cura del verde ed edilizia per gli uomini (oltre a quello di elettricista, cuoco, addetto alla pulizia industriale, ai servizi cimiteriali o all’attraversamento scolastico) e nel campo dei servi e pulizia tramite cooperativa per le donne.

All’associazione La Fraternità, la Comunità dei Giovani e l’Istituto Don Calabria il compito di coordinare il lavoro, oltre che di incontrare, selezionare e formare i detenuti. Un compito talvolta messo duramente alla prova da un’eccessiva burocratizzazione nella gestione dei casi, con borse lavoro in ritardo fino a 4 mesi e difficoltà anche nella ricezione dei 2.500 euro previsti dal progetto in aiuto al momento dell’uscita dal carcere, quando il detenuto si trova spesso impossibilitato persino all’acquisto del biglietto dell’autobus.

Un paio di storie testimoniano le difficoltà oggettive. Quella di Bej, che ha iniziato a lavorare in cooperativa nel dicembre del 2008 occupandosi di assemblaggi, manutenzione di aree verdi e giardini di asili, case di riposo e del Comune, e che, agli inizi di marzo, non era ancora stato pagato dal progetto. Ha dovuto chiedere un prestito alla Fraternità, fino all’intervento poi degli assistenti sociali del Comune, che hanno saldato il conto con l’associazione e in più gli hanno dato 250 euro al mese per le spese. Ancora dura, però, andare avanti. Solo l’affitto gli costava 250 euro al mese, e l’abbonamento con l’autobus che lo portava nel luogo di lavoro fuori città 50 euro. "Se non avessi avuto bisogno non mi sarei rivolto al progetto e avrei trovato lavoro altrimenti - ha dichiarato. Quindi mi aspettavo che il progetto mi venisse più incontro. Ogni mese sembrava che i soldi stessero per arrivare e invece li ho avuti solo alla fine dei 4 mesi di progetto".

Anche per Marco non è filato tutto liscio. A luglio del 2008 aveva iniziato il suo percorso in una ditta per impianti come elettricista e solo a dicembre ha ricevuto i 2500 euro dagli assistenti sociali del Comune, a copertura delle spese. Il Comune, in questo modo, ha anticipato i soldi sulla Provincia, ma comunque in ritardo sui tempi. Dice Marco: "È umiliante dover chiedere i soldi in prestito alle associazioni, quando sai che ti dovrebbero spettare".

Meno difficoltà burocratiche, se tutto va bene, dovrebbe averle il nuovo progetto, che ha preso il via formalmente lo scorso novembre per concludersi nel novembre del 2012. Realizzato dalla Fraternità in collaborazione con la Comunità dei giovani, si chiamerà CarTer. Un nome che - pur significando Carcere e Territorio - richiama alla mente anche la protezione alla catena utilizzata per le biciclette. E proprio a questo mira il progetto: a proteggere, contenere, arginare il disagio che è destinato a incontrare chi esce da mesi o anni di galera e non ha punti di riferimento all’esterno.

Grazie a un finanziamento della Fondazione Cariverona e a una serie di partner privati e pubblici (tra cui l’Uepe e il Comune di Verona), il progetto è ancora una volta destinato all’inclusione sociale e lavorativa, tramite una rete che, questa volta, oltre al lavoro si prefigge di offrire a chi partecipa al progetto anche una soluzione abitativa. 30 le persone in accompagnamento sociolavorativo, e 24 quelle da ospitare in strutture residenziali.

Ancora una volta le persone coinvolte dovranno essere in uscita dal carcere (non più di 6 i mesi trascorsi dal fine pena) e residenti nella provincia di Verona e quindi, in caso di stranieri, provvisti di regolare permesso di soggiorno. Con loro l’accompagnamento, come visto, sarà su più fronti, per utilizzarne le capacità intrinseche al cento per cento.

 

Aloui era in difficoltà. Urgente il confronto tra Ministero e Volontariato

 

Una lettera aperta per riflettere sull’ennesimo suicidio avvenuto all’interno di una struttura penitenziaria. Maurizio Mazzi, responsabile della Conferenza regionale Volontariato Giustizia del Veneto e volontario dell’associazione veronese La Fraternità, racconta - per quanto ha potuto conoscerla - la storia di Walid Aloui, suicidatosi nel carcere di Padova alle 23.45 dello scorso 23 febbraio. E, come responsabile della Conferenza, chiede la convocazione urgente del "Tavolo regionale di confronto tra il Ministero della Giustizia e il volontariato" previsto dal protocollo congiunto firmato il 2 aprile del 2004, con al primo punto dell’ordine del giorno la prevenzione dei suicidi e degli autolesionismi negli istituti penitenziari del Veneto. Riportiamo la lettera integrale.

"Leggo sulla rubrica di Ristretti Orizzonti "Osservatorio permanente sulle morti in carcere" : 23 febbraio 2010 ore 23.45: nel carcere di Padova si suicida Walid Aloui, di 28 anni. L’ho conosciuto personalmente e dopo il tempo della commozione penso valga proprio la pena di porsi delle domande.

Aloui quest’estate ha partecipato al "gruppo incontri" con una psicologa e due volontari preparati, all’interno del progetto affettività che l’associazione La Fraternità realizza da molti anni, con una bella e motivata presenza seppur esprimendo momenti di profonda sofferenza (ha riferito la morte della compagna incinta) e poi l’andare a rotoli della sua vita costellata, a dir suo, da una serie di sbagli suoi e di ingiustizie subite.

In autunno ha scoperto infatti che il suo avvocato d’ufficio aveva lasciato scadere i termini per un’istanza al tribunale a suo dire importante, e la sua disperazione si è fatta ancora più profonda.

Dal 12 novembre del 2009 era stato inserito nella lista per il gruppo d’autunno, ma dopo aver fatto un gesto autolesionista (non il primo della sua vita, ahimè) è stato punito con il divieto di partecipare al gruppo. Scelta assolutamente non comprensibile, perciò si è cercato di farlo riammettere come risulta dalla conclusione della relazione finale della psicologa: "Ritengo infine opportuno segnalare l’importanza di prestare particolare ascolto alle persone che fanno gesti autolesivi, quale che sia la motivazione del comportamento, non precludendo l’accesso alle rare possibilità di accoglimento che la detenzione offre, pur nel rispetto delle necessarie normative di controllo".

Aloui poi è stato sempre peggio, tanto che alcuni detenuti della sezione hanno cercato di aiutarlo chiedendo venisse spostato nella loro cella, nonostante la fatica di averlo vicino.

Poi sono arrivati i definitivi e il trasferimento nel carcere di Padova

Da lì qualche lettera di disperazione ai compagni e l’ultima, arrivata dopo un’ora dalla notizia della sua morte. Cronaca di una morta annunciata.

Sappiamo benissimo quanto un morte sia tragica, non solo per chi non c’è più e per i suoi cari, ma per tutto il carcere.

È stato fatto il possibile per prevenire questa morte? La circolare ministeriale sui nuovi giunti è stata applicata? È giusto punire un evidente grido di disperazione con la privazione alla partecipazione ad un raro supporto psicologico che la struttura offre? Il trasferimento a Padova è avvenuto nel rispetto di tutti gli accorgimenti che questo caso prevedrebbe?

Non dimentichiamoci, in proposito, che è stato lo stesso capo del DAP, Franco Ionta, in un’audizione con una Commissione parlamentare, a dichiarare che nei primi dieci giorni dopo il trasferimento il numero dei suicidi è uguale a quello dei suicidi che avvengono subito dopo il primo ingresso in carcere. Dunque il trasferimento è una fase delicata con grandi rischi per le persone più in difficoltà. E Aloui lo era.

La Conferenza Regionale chiede la convocazione urgente del "Tavolo regionale di confronto tra il Ministero della Giustizia ed il volontariato" previsto dal protocollo congiunto firmato il 2 aprile del 2004, fermo ormai da troppo tempo, con tutti i direttori d’istituto, di area pedagogica, commissari, direttori Uepe e responsabili sanitari con al primo punto dell’ordine del giorno la prevenzione dei suicidi e degli autolesionismi negli istituti penitenziari del Veneto".

 

Due incontri con le detenute di Montorio in occasione dell’8 marzo

 

La festa della donna si festeggia anche in carcere. E più che di un momento di celebrazione fine a se stessa, questa volta per le donne recluse a Montorio, l’assessorato alle Pari opportunità del Comune di Verona ha in serbo un paio di incontri sul tema della prevenzione, salute e benessere della donna. Inseriti nel programma della manifestazione "Ottomarzo. Femminile plurale" che si svolgerà a Verona tra il 5 e il 14 marzo, gli incontri in carcere si svolgeranno l’11 e il 18 marzo, entrambi alle 14. Nel corso del primo, a dialogare con le detenute sarà il Centro Petra (lo spazio antiviolenza per donne gestito dal Comune), mentre il 18 marzo a intervenire sarà la dottoressa Maria Sara Bertagna dell’Unità di Progetto Educazione Salute Luoghi di Lavoro del Comune di Verona. Un modo concreto e dal risvolto utile per festeggiare anche quella popolazione femminile che è reclusa nel carcere di Montorio.

 

Ciò che la città non sa insegnare ai detenuti…

 

Non si placano le manifestazioni di disapprovazione da parte di chi opera in carcere, nei confronti delle affermazioni dei consiglieri comunali Elio Rocco Insacco (Pdl) e Enzo Flego (Lega), rilasciate durante l’incontro del 3 febbraio scorso tra la Garante dei diritti dei detenuti, Margherita Forestan, e la quinta Commissione. In quell’occasione i due consiglieri avevano preso le distanze dalle intenzioni della Garante di avviare attività, progetti e ristrutturazioni nel mondo del carcere, a loro detta affette da "troppo buonismo". Dopo la replica degli stessi detenuti, oltre che di una volontaria dell’associazione La Fraternità e dell’opposizione politica, ora a scrivere è Paolo Bottura dell’associazione "Ripresa Responsabile" di Verona e del Gruppo "Giustizia e pace" di Bussolengo.

Scrive Bottura: "Anch’io come volontario delle Associazioni veronesi che operano in ambito Giustizia sono rimasto "sconvolto" dalle astiose espressioni con le quali alcuni membri di maggioranza hanno accolto la dott. Forestan, neo Garante per i diritti delle persone private della libertà. Di fronte a simili esternazioni, mi è capitato di cogliere l’amarezza di quanti, a vario titolo, operano nella grande Casa Circondariale della nostra città, affinché l’esecuzione della pena avvenga nel rispetto delle leggi e delle persone. Un lavoro duro, difficile ma necessario, trattandosi tra mille difficoltà, di sostenere l’umanità, la dignità e i diritti di chi ha sbagliato, e, dopo aver pagato il proprio debito, dovrebbe essere ancora nelle condizioni di tornare in società, magari migliorato.

Che il carcere sia luogo di punizione pensavo fosse noto a tutti, sembra non sia altrettanto noto, o non si voglia sapere che il carcere deve essere anche luogo di rieducazione, o educazione ove questa fosse mancata, se non altro per non correre il rischio che diventi il simbolo del fallimento di una Giustizia, che per prima non riesce a onorare il "patto sociale" e le leggi da essa stessa solennemente sancite. Fatico a comprendere quale mondo etico riescano a immaginare per la società in cui tutti viviamo, loro ma anche noi, i nostri figli e nipoti, quei politici che risolverebbero il problema della Giustizia in strutture blindate poste all’estrema periferia della città, magari invisibili, con meri compiti punitivi.

Se questa è la risposta allo spinoso problema delle carceri che la politica sta meditando, ho l’impressione che ci sia sempre qualcuno che si distrae quando si parla di sovraffollamento, del grave fenomeno dell’autolesionismo e dei suicidi; dell’aumento della popolazione carceraria con problematiche psichiche; della scarsità di risorse e personale destinati alle Istituzioni penali. Hanno del paradossale certe prese di posizione, se pensiamo che nelle scuole, nelle parrocchie, negli ambiti sociali dove si lavora per una educazione alla legalità, sta crescendo la coscienza che il carcere è parte integrante della città, perché solo questo può aprire autentici percorsi di ri-socializzazione ma anche un rinnovamento della Giustizia.

Non serve la mannaia, in una società in mutazione continua e veloce, dobbiamo imparare a vedere nella sua complessità il fenomeno della devianza, troppo spesso legato a condizioni di povertà economica e culturale. Tutta la città va responsabilizzata per la realizzazione di una Giustizia che, attenta a chi commette i reati e alle vittime, sappia affiancare alla punizione processi di reinserimento, di risarcimento e riconciliazione sociale. Per i commenti che ho udito, anche sui parenti delle persone detenute, le parole del dottore cittadino Insacco e amici sono cadute come una fredda pioggia di fine inverno, sopportata in piedi aspettando di poter entrare in carcere per un colloquio. Sempre in piedi si sta davanti al carcere, con la pioggia e con il sole, forse perché la punizione si pensa debba essere allargata anche ai genitori, coniugi, figli… una pena penosa insomma. Questo sì è sconvolgente: vedere una città dinamica e moderna come Verona, non essere ancora riuscita a realizzare almeno una pensilina per chi deve affrontare l’attesa per il colloquio, magari dopo un viaggio faticoso. Se il sole di domani ci farà dimenticare la pioggia di oggi, meno facile sarà dimenticare la gravità di certe situazioni, o parole non sufficientemente meditate, comunque rivelatrici di modesti orizzonti politici.

Facile tirare in ballo il "troppo buonismo" per liquidare il lavoro di quanti credono che una Giustizia "giusta" possa ancora rappresentare una ragione di speranza fondata. Se tutti cominciassimo a ripensare profondamente al rapporto che dovrebbe esistere tra carcere e città, probabilmente scopriremmo che il carcere potrebbe insegnare alla città quello che la città non ha saputo insegnare alle persone detenute".

 

A Verona, come in Veneto, sempre più tossicodipendenti e alcoldipendenti

 

Verona è la seconda città del Veneto per numero di tossicodipendenti in carico ai servizi sociali territoriali. In tutto sono 2.868 le persone seguite nelle Ulss 20, 21 e 22 nell’anno 2008, pari al 20 per cento del totale calcolato su tutte le province venete. A rilevarlo è il rapporto epidemiologico su droga e alcol della regione Veneto, realizzato dal programma regionale delle Dipendenze (Ulss 20 - Dipartimento delle Dipendenze di Verona).

Considerando l’intera regione, i numeri mostrano un più 12% delle persone alcoldipendenti e un incremento addirittura del 70% di chi utilizza sostanze d’abuso rispetto ai primi anni 90. A fronte di questo alto incremento, le strutture e le risorse umane sono rimaste però uguali e si è invece purtroppo assistito a una riduzione numerica degli operatori.

In linea con i dati regionali, anche nel veronese gli utenti tossicodipendenti sono in maggioranza maschi, 80,8%, mentre la fascia d’età più rappresentata è quella sopra i 40 anni (35,9%). Va detto però che circa il 19% dei soggetti è rappresentato da ragazzi sotto i 24 anni e sono stati 70 i minorenni visti nei SerT di Verona e provincia.

La sostanza più utilizzata è l’eroina (specie per via endovenosa), anche se c’è una certa variabilità tra il centro città e la provincia.

Poco rassicuranti anche i dati sulle persone alcol-dipendenti seguite dai Servizi di Alcologia delle Ulss veronesi che, sempre nel 2008, sono state 1.744, rispetto agli 11.827 del Veneto. In questo senso Verona rappresenta la terza città dopo Treviso e Padova per numero di utenti in carico. Anche in questo caso, i dipendenti da sostanze alcoliche sono in larga parte maschi, 80%, e il 52,8% ha un’età compresa tra i 30 e 49 anni.

Relativamente alle bevande alcoliche di uso prevalente, le persone assistite hanno riferito l’assunzione di vino nel 64%, di birra nel 27%, di aperitivi nel 6% e superalcolici 3%.

Dall’indagine è emerso infine che l’11% degli utenti alcol-dipendenti fa anche uso di sostanze stupefacenti e il 3,3% un uso improprio o abuso di psicofarmaci.

 

Riparatore di brecce: la mediazione istituzionale

 

Sono due le conduttrici che hanno animato il sesto incontro del corso "Ti chiameranno riparatore di brecce", l’avvocato Elisa Lorenzetto e la criminologa Emma Benedetti. Minacciava di essere la lezione più intricata e complessa, tutta dedicata agli aspetti giuridici della mediazione istituzionalmente riconosciuta. Ma la vivacità e la passione delle relatrici l’ha fatta scorrere nel costante interesse dei partecipanti, sempre in numero superiore a trenta, con una cinquantina di iscritti.

Da quanto emerso dalle relazioni, processo e mediazione penale sembrano indipendenti, l’uno teso a punire, l’altra a riconciliare: ma in realtà hanno punti di intersezione. Anche alcuni aspetti del processo penale mirano a forme di riconciliazione, quando inducono il reo all’autocritica, quando offrono una parziale tutela alla vittima, quando promuovono il reinserimento sociale.

La mediazione può intervenire addirittura in fase preventiva, evitando la querela quando questa è condizione di procedibilità; o in fase preliminare, se il ritiro della stessa querela evita il processo; o a processo avviato, portando al proscioglimento; e infine in fase esecutiva, quando si concorda un percorso alternativo come modalità di trattamento.

Queste ipotesi si fanno però problematiche per altre considerazioni giuridiche: per la presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva, mentre la mediazione sembra implicare un’ammissione di colpa; per l’obbligatorietà dell’azione penale, mentre la mediazione introduce una discrezionalità che contrasterebbe con l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge; e perché sembrano intaccate le garanzie di difesa.

C’è invece un vero tentativo di mediazione nei procedimenti davanti al giudice di pace, al tribunale dei minorenni e nella fase esecutiva della pena.

Il giudice di pace ha competenza penale per reati di minima gravità, che non comportano sanzioni detentive.

I commi 4 e 5 dell’art. 29 del DL 274/2000 prescrivono un tentativo obbligatorio di conciliazione in prima udienza; non si tratta di mediazione, la cosiddetta chiamata per remissione di querela è in pratica solo un rinvio del processo, al quale non corrisponde un’ulteriore attività istituzionale, anche per mancanza di uffici competenti.

Altre possibilità di mediazione sono offerte dagli articoli 34 e 35.

L’art. 34 prevede l’esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto, cioè "quando, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato". È necessario però, in fase preliminare, che non risulti "un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento" e, in seguito, che non si oppongano né l’imputato né la persona offesa.

In base all’art. 35 il giudice di pace dichiara estinto il reato "quando l’imputato dimostra di aver proceduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato, ma "solo se ritiene le attività risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione".

La legislazione penale minorile si ispira all’esigenza di facilitare l’uscita del minore dal circuito penale. Lascia al giudice un’ampia discrezionalità, ipotizzando un complesso percorso rieducativo anche per reati di estrema gravità.

L’art. 6 del DPR 448/1988 consente di valersi degli appositi servizi istituiti dal Ministero della giustizia e dagli Enti locali.

L’art. 27 prevede una sentenza di non luogo a procedere per la tenuità del fatto, quando la continuazione del processo andrebbe a danno delle esigenze educative dell’imputato minorenne.

L’art. 28 disciplina la sospensione del processo con messa alla prova; il giudice, prima della sentenza e proprio per evitarla, con il consenso dei minore lo affida ai servizi, che redigono un programma "di osservazione, trattamento e sostegno" e diventano quindi interlocutori dei magistrati. "Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato". Le condotte riparatorie sono stabilite caso per caso e possono anche avere valore simbolico.

Se l’esito della prova è positivo, "tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità", in base all’art. 29 il giudice dichiara estinto il reato.

Si cerca di evitare ai minori l’esperienza del carcere, al quale si ricorre solo in mancanza di alternative. Per questo negli IPM (istituti penali minorili) si registrano numeri relativamente piccoli di detenuti, prevalentemente stranieri al nord, italiani al sud.

Nella fase di esecuzione della pena l’ordinamento penitenziario (L 354/1975 e successive modificazioni) prevede al comma 7 dell’art. 47 che nel corso della misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali "l’affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato".

L’incontro si è concluso con un’esercitazione per piccoli gruppi, chiamati a valutare un caso particolarmente intricato di richiesta di affidamento da parte di un detenuto.

 

"La grande tormenta", vera storia di carcere

 

Di tutte le avventure raccontate nei suoi libri da Luigi Motta, l’unica vera e autobiografica si svolge nelle carceri veronesi, e in particolare nella fortezza di Santa Sofia a Verona, costruita dagli austriaci nella prima metà dell’800 e adibita a prigione durante la seconda guerra mondiale. Il 4 febbraio del 1944, infatti, lo scrittore nato a Bussolengo fu arrestato con l’accusa di aver dato ospitalità ai "nemici" del regime nazifascista. Oltre che a forte Sofia, Motta fu recluso anche nel carcere degli Scalzi, sempre a Verona, e poi a Padova e Venezia. Rilasciato grazie a un telegramma di Mussolini, lo scrittore venne nuovamente arrestato perché il documento fu ritenuto un falso. Ebbe la vita salva solo con l’avvento della Liberazione, che pose fine alla guerra.

Solo oggi, grazie alla cura della moglie Amelia Razza, che aveva affidato i manoscritti che raccontano la sua vita in carcere a un amico giornalista, "La grande tormenta. Romanzo autobiografico di un’epoca crudele ed eroica" ha visto la luce in un’edizione curata da Paola Azzolini, collaboratrice del quotidiano L’Arena, per Alphabeta Edizioni.

 

Notizie da Vicenza

 

La direzione incontra i volontari: un appuntamento ogni due mesi

 

Dal prossimo 5 marzo, e con scadenza di una volta ogni due mesi, la direzione del carcere di Vicenza incontrerà il responsabile dell’area educativa e i volontari che operano all’interno della struttura penitenziaria per discutere insieme i problemi dei detenuti, le urgenze che per prime vanno affrontate e avviare un lavoro di rete, che possa facilitare il complesso lavoro che chi opera in carcere si trova a svolgere.

 

Appuntamenti

 

Padova: Corso "La mediazione dei conflitti a scuola"

 

Padova, 19 gennaio-23 marzo 2010 14.00-18.00. Organizzato dall’associazione "Granello di senape Padova" e dalla cooperativa Dike di Milano, c/o I.T.I.S. "Natta" via Leopardi 14/a.

Mercoledì 10 marzo 2010 ore 14.00-18.00: La responsabilità "verso"

- Mediare e negoziare: il modello umanistico di mediazione

- Dalla narrazione dei fatti al riconoscimento "fra" persone

- La terzietà del mediatore: l’imparzialità

- Esercitazione: gioco di ruolo

 

Il Progetto "Dal carcere al territorio" è finanziato dall'Osservatorio Nazionale per il Volontariato - Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direttiva 2007 sui progetti sperimentali delle Organizzazioni di Volontariato.

 

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