In-Veneto: notiziario settimanale sul carcere

realizzato nell'ambito del Progetto "Dal Carcere al Territorio"

Notiziario n° 13, del 13 marzo 2010

 

Notizie da Padova

La mediazione dei conflitti: penultima intensa giornata del corso

Se quarant’anni vi sembran pochi…

"Ristretti Orizzonti" a Verona per Stefano Cucchi

Notizie da Venezia

Otto marzo di festa per le donne detenute alla Giudecca

Notizie da Treviso

Informatici Senza Frontiere e il progetto Detenuti hi-tech

Notizie da Verona

I detenuti in visita a Corot

La festa della donna a Montorio va avanti tutto il mese

Le proposte di Progetto Carcere, tra musica e sport

Diritti e dignità ad Affi

La Fraternità ai giovani volontari

Riparatore: nel silenzio

A scuola per educare alla legalità

A Villafranca sportello per ascolto e aiuto a chi è in difficoltà

Seminario di formazione "Diversità come valore"

Appuntamenti

Verona: Giuseppe Chiot, cappellano delle carceri

Verona: Storie di Migranti

Verona: Contro il razzismo

Notizie da Padova

 

La mediazione dei conflitti: penultima intensa giornata del corso

 

I mediatori penali dell’Ufficio Mediazione del Tribunale di Milano sono venuti nuovamente a Padova per proseguire il corso sulla mediazione dei conflitti che si tiene presso l’Istituto Natta, corso organizzato dal Granello di senape Padova, dalla Cooperativa Dike di Milano, e finanziato dal Csv (Centro Servizi per il Volontariato) della provincia di Padova.

La mattina però Carlo Riccardi e Biagio Bellonese sono entrati nella Casa di Reclusione per incontrare la redazione interna di Ristretti Orizzonti con cui hanno avuto un interessante scambio di idee. Alle 14 è iniziato il corso che ha visto la partecipazione attenta e il coinvolgimento dei corsisti, quasi tutti insegnanti, a parte due psicologhe e una redattrice di Ristretti Orizzonti. I partecipanti hanno espresso i loro quesiti e i loro dubbi sorti dopo la lezione della scorsa settimana. Come mettere in pratica quello che si è imparato, o meglio, quello che si è "vissuto" nelle lezioni precedenti? È possibile essere "mediatori" nella propria classe? Secondo i mediatori, applicabile immediatamente è l’ascolto, mentre non è possibile essere mediatori nella propria classe perché l’insegnante rappresenta tutto ciò che il mediatore non è, come, ad esempio, l’autorità. Il corso è stato ed è soprattutto un percorso di sensibilizzazione culturale, anche per capire bisogna praticare. Molto importante per la mediazione è l’uscire dai contesti: la mediazione non si deve applicare nel luogo dove il conflitto è sorto e infatti gli uffici dove la mediazione si svolge sono fuori anche dai tribunali. Terzietà è il termine usato dai mediatori per spiegare il concetto: non si deve essere parte di un contesto, si deve essere altro rispetto al conflitto. La confidenzialità è fondamentale, confidenzialità che non è possibile quando sono presenti altre persone (per esempio la classe) e il buonsenso non deve mai mancare. Cercare di costruire una cultura della mediazione è una forma di prevenzione.

L’intervento di un’altra insegnante ha fatto notare come siamo emotivamente analfabeti, ma anche la scarsa alfabetizzazione rispetto alla mediazione non deve fermare dal mettere in pratica quello che si è imparato. L’attività di formazione richiede un obiettivo, perché dietro di essa c’è un’idea di progettualità.

È stato poi spiegato l’iter di svolgimento della mediazione che parte con una segnalazione del giudice con i nomi degli interessati e dei loro avvocati. Si contattano poi gli avvocati e dopo gli interessati. L’accettazione delle parti può richiedere tempi diversi, e quando accettano si convocano le parti per un colloquio individuale. Fin qui il percorso lo segue un solo mediatore, che chiameremo mediatore A, che segue tutta la procedura. Il mediatore A sarà poi affiancato da un mediatore B nel primo colloquio con una delle due parti, e da un mediatore C nel primo colloquio con l’altra parte. Trovato il consenso delle parti a confrontarsi, c’è l’incontro dove il mediatore A sarà affiancato da due altri mediatori che chiameremo E ed F che chiaramente non conoscono la storia. La mediazione inizia con il racconto di una delle due parti, con la regola, spiegata prima di iniziare, di non interrompere il racconto. Nel caso vi sia una vittima riconosciuta, sarà questa a iniziare a raccontare la sua storia. Alla fine dei due racconti c’è un riassunto da parte del mediatore per capire se si è compreso bene la storia, o meglio, per avere una storia condivisa. Terminato tutto questo il mediatore che ha riassunto fa il primo sentito dove per "sentito" si intende quella frase "io sento che tu…" che mette in comunicazione più profonda le parti con il mediatore. "Io sento che tu sei arrabbiato", "io sento che tu provi rancore", "io sento che tu vuoi sfogarti" etc. sono i modi che il mediatore ha per far uscire tutto dall’animo delle parti. Le parole forti nella mediazione (ad esempio inadeguatezza) che denotano emozioni devono essere riprese e restituite per far sì che i mediati intravedano delle porte che si aprono.

Dopo la spiegazione su come si svolge tecnicamente questa pratica, si è svolto il momento più importante e intenso della giornata: la ricostruzione di un setting di mediazione. Tutti i partecipanti al corso hanno avuto la loro parte nella rappresentazione che li ha visti molto coinvolti. Tanto coinvolti da essere molto dispiaciuti di essere giunti alla penultima "lezione".

 

Se quarant’anni vi sembran pochi…

 

Dall’avvocato Marco Crimi riceviamo questa lettera: "In un paese dove se fosse passata la proposta di convertire in Spa la Protezione Civile, si sarebbe potuto fare qualsiasi cosa in nome dell’emergenza (dalle catastrofi naturali, ai già previsti grandi eventi, fino ai beni culturali e alla costruzione di mega sale cinematografiche... tipo nuovo palazzo del cinema del Lido di Venezia), oggi invece che preoccuparsi di un governo che legifera in materia elettorale col mezzo del decreto (ciò che è vietato da una riserva di legge assoluta in tale materia, motivo per cui lo chiamano "interpretativo", ché impositivo non può essere), ci stiamo tutti a meravigliare, se non peggio, per il fatto che un condannato, dopo 40 anni di reclusione totale, passi ad un regime meno severo: sì, perché Renato Vallanzasca non è libero, come può aver capito qualcuno, ma appena ammesso al lavoro esterno, cioè pur sempre detenuto, ma che deve anche lavorare, seppure all’esterno dell’istituto dove, appena finito, deve rientrare; per chi profetizzava la liberazione dell’uomo dal lavoro negli anni 70, quella di Vallanzasca sembrerà oggi una doppia pena: oltre al carcere anche il lavoro! ma, provocazione e scherzi a parte, è davvero il minimo concedere ad un uomo, seppure gravemente condannato, questa facoltà, mentre è vergognoso che qualcuno se ne lamenti o che usi l’argomento per distogliere l’attenzione del grande pubblico dai ben più gravi fatti della nostra politica e dell’uso ormai del tutto personalistico che della stessa vien fatto".

 

"Ristretti Orizzonti" a Verona per Stefano Cucchi

 

Gli studenti dello storico liceo classico di Verona "Scipione Maffei", nella settimana di autogestione, hanno organizzato molte iniziative tra cui, giovedì 11 marzo, due incontri importanti. La mattina c’è stato il primo con Giuliano Giuliani, padre di Carlo, giovane ucciso dalle forze dell’ordine a Genova nel 2001 quando manifestava contro il G8, Cecchino Antonini, giornalista del quotidiano "Liberazione" e Luca Casarini, scrittore, leader del movimento no global, presente anch’egli al G8 a Genova.

Nel pomeriggio invece ospiti erano lo stesso giornalista di Liberazione, Giovanni e Rita Cucchi, genitori di Stefano, il ragazzo morto una settimana dopo l’arresto per cause ancora tutte da chiarire, e una redattrice di Ristretti Orizzonti. La giornata era dedicata al delicato tema delle violenze messe in atto da alcuni esponenti delle forze dell’ordine, affrontato senza generalizzazioni ma anche senza censure. Le toccanti testimonianze prima del padre e poi della madre di Stefano, con proiettata sullo sfondo l’ultima breve lettera di Stefano scritta con mano incerta quando evidentemente stava già molto male e si stava spegnendo, hanno scosso la platea che ascoltava in rispettoso silenzio. La madre, in modo particolare, ha ricostruito tutti i passaggi dal momento dell’arresto a quello in cui sono andati all’obitorio a riconoscerlo, dimostrando come le famiglie in questi casi siano letteralmente trattate come se non avessero alcun diritto, soprattutto di sapere che cosa accade ai propri cari. Sono state spiegate le incongruenze, le omissioni, le omertà che sono entrate in questa storia, ma soprattutto è stato spiegato un dolore immane sopportato con una grandissima dignità e una altrettanto grande volontà di "sapere" e di avere giustizia. "Noi non molliamo e continueremo a combattere per dare giustizia a nostro figlio", hanno ribadito più volte i genitori di Stefano Cucchi, spiegando come Stefano fosse tossicodipendente, ma anche come aveva voluto disintossicarsi e fare un percorso all’interno di una comunità terapeutica. Di come avesse ripreso in mano la sua vita e di come invece quella vita gli è stata negata. È intervenuto poi Cecchino Antonini, che ha seguito il caso di Stefano, dopo essersi occupato anche dell’omicidio di Federico Aldrovandi, per il quale sono stati condannati tre poliziotti della questura di Ferrara. Ha parlato di informazione, del perché spesso l’informazione non dà seguito a questi casi perché ormai si tende a spettacolarizzare tutto, e di come l’informazione sia malata di "presentificazione", intesa come la fabbrica del presente.

Paola Marchetti, per Ristretti Orizzonti, ha invece raccontato un caso analogo, accaduto a una persona molto vicina a lei, dove l’omertà aveva vinto sulla giustizia. Si è parlato di carcere, di informazione, di tossicodipendenza, di "cattiveria sociale", di giustizialismo che vale solo per i poveracci e gli emarginati, di guerra tra gli "ultimi" e i "penultimi", dove i penultimi sono i poliziotti, i carabinieri, gli agenti penitenziari che, come diceva Pasolini, sono anch’essi figli del popolo.

 

Notizie da Venezia

 

Otto marzo di festa per le donne detenute alla Giudecca

 

Per il decimo anno consecutivo, in occasione dell’8 marzo, nella Casa di Reclusione della Giudecca si è tenuta una festa, che ha coinvolto sia le donne detenute, che molti partecipanti esterni. L’iniziativa è stata organizzata dall’Associazione Il Granello di Senape di Venezia, in collaborazione con le Cooperative Sociali Il Cerchio e Rio Terà dei Pensieri, che svolgono all’interno dell’Istituto l’importante ruolo di dare lavoro alle detenute.

In rappresentanza delle istituzioni erano presenti: l’Onorevole Delia Murer, la Presidente del Consiglio Provinciale di Venezia Marina Ballello, le Consigliere provinciali Elena Corradori e Mariagrazia Madricardo, le Assessore al Comune di Venezia Luana Zanella e Laura Fincato e la Presidente della Consulta delle Cittadine Franca Marcomin.

La festa è iniziata alle 14:30, con un discorso introduttivo di Maria Teresa Menotto, Presidente dell’Associazione Il Granello di Senape, e i ringraziamenti della Direttrice dell’Istituto, Gabriella Straffi. Si è poi entrati nel vivo, con lo spettacolo teatrale di Paola Brolati dal titolo "Al lavoro Cenerella", che ha comportato un’interazione diretta con le donne "ristrette", che si sono lasciate coinvolgere molto volentieri in questa piacevole attività espressiva.

In seguito tutte le detenute hanno ricevuto in dono una maglietta, in ricordo della giornata, e una confezione di prodotti di bellezza e bijoux, e hanno poi partecipato, assieme alle persone venute dall’esterno, alla "grande merenda", a base di dolci fatti in casa dalle volontarie del Granello di Senape. Il pomeriggio si è chiuso, infine, con la musica del gruppo di Angelo, Fabio e Mattia, che ha trascinato le donne in balli e canti.

Alla festa hanno partecipato circa 60 detenute - tra cui anche alcune donne che in genere rimangono in cella e non svolgono attività comuni -, con dei bambini, e circa 40 ospiti esterni.

Come ha spiegato nel discorso iniziale Maria Teresa Menotto, questa iniziativa risulta sempre molto utile, perché permette di far conoscere a chi viene dall’esterno quel carcere che non si vede e non si sente, ma è in mezzo a noi, abitato da donne e bambini. In questa occasione le donne "da fuori" hanno l’opportunità di prendersi cura di altre donne "dalle vite sospese", condividendo tempo, cibo, musica, risate. Le persone che partecipano possono, poi, portare il senso dell’esperienza all’esterno, sostenendo il ritorno alla normalità delle detenute e il lavoro di sensibilizzazione, a fianco degli operatori, delle cooperative, dei volontari e di tutti coloro che lavorano per l’inclusione.

Chi ha partecipato all’iniziativa ha potuto trascorrere un pomeriggio di festa comune, al di là dei muri, assaporando un clima rilassato e disteso - anche grazie alla collaborazione del personale dell’Istituto - e condividendo importanti momenti di allegria.

 

Notizie da Treviso

 

Informatici Senza Frontiere e il progetto Detenuti hi-tech

 

Informatici Senza Frontiere (ISF) è un’Associazione senza scopo di lucro, creata nel 2005 da un gruppo di manager veneti che lavorano nel settore informatico. Obiettivo principale di ISF è utilizzare conoscenze e strumenti informatici, per portare un aiuto concreto a chi vive situazioni di emarginazione e difficoltà.

Per i fondatori e i soci volontari di Informatici senza Frontiere, l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresenta, infatti, un prerequisito essenziale allo sviluppo economico e sociale: l’associazione realizza pertanto progetti, in Italia e nei Paesi in via di sviluppo, per cercare di offrire l’opportunità di conoscenza dell’informatica e i vantaggi che anche una piccola tecnologia può portare a realtà come ospedali, carceri, case di accoglienza e scuole.

Da un lato, l’associazione si occupa di offrire corsi e strumenti di alfabetizzazione informatica: per le persone che vivono situazioni di emarginazione e disagio, spesso l’accesso all’uso del computer significa un’opportunità per il futuro, una speranza di migliorare la propria vita.

Dall’altro lato, realizza piccoli sistemi informativi in realtà particolari, come il reparto di lungodegenza infantile dell’ospedale di Brescia, o alcuni ospedali rurali africani: reti informatiche che permettono, con poche risorse e in completa autonomia, un miglioramento nella gestione delle operazioni basilari e quotidiane, nella comunicazione tra gli utenti, nell’accesso alla conoscenza.

Oggi ISF conta sette sezioni regionali e più di 200 soci, informatici e non, che contribuiscono alla vita dell’associazione; dal 2008, ha anche una sede fisica, a Treviso, in via Fonderia 47/a. Tra i vari progetti realizzati da ISF ce n’è uno che riguarda nello specifico la realtà carceraria: si chiama Detenuti hi-tech e viene realizzato nel Carcere di Santa Bona a Treviso.

Questo progetto nasce in un contesto difficile e spesso non valorizzato nelle sue potenzialità: quello dei Centri Territoriali Permanenti (CTP), che offrono ai detenuti corsi di formazione e alfabetizzazione primaria, garantendo lo sviluppo di saperi, che possano dare opportunità di inserimento nel mondo lavorativo, al termine della detenzione.

Perciò, a partire dall’ottobre 2007, Informatici Senza Frontiere, in collaborazione con ATON e Alternativa Cooperativa Sociale, e insieme agli insegnanti del CTP Treviso 2, ha avviato il progetto Detenuti hi-tech, che prevede attività formative di carattere informatico, svolte all’interno del carcere, a supporto o integrazione dei corsi già previsti dai piani didattici del CTP. Ai corsi partecipano regolarmente gruppi di detenuti, che hanno a disposizione alcuni pc, grazie all’installazione di un sistema informatico interno al carcere, che permette il supporto alla didattica.

In un secondo momento, inoltre, è stato realizzato all’interno del carcere un piccolo laboratorio tecnologico: al suo interno, i detenuti imparano a riparare hardware e componenti informatiche, e gestiscono la riparazione di macchine provenienti dall’esterno (in particolare palmari e stampanti portatili). Il lavoro nel laboratorio permette, quindi, di sviluppare competenze professionali specifiche e molto utili.

Con una formazione sia pratica che teorica, dunque, il progetto di Informatici Senza Frontiere offre ai detenuti la possibilità di crearsi un bagaglio di esperienze e competenze di alto livello, che permettono di rendere produttiva la detenzione (impegnando in modo costruttivo il tempo e guadagnando una retribuzione) e di agevolare il loro futuro reinserimento nel mondo del lavoro, attraverso una riqualificazione della propria professionalità. Ad oggi sono stati riparate oltre 2.100 unità, con una media di 30 a settimana; il personale impiegato in carcere sembra motivato, impegnato e capace. Per ulteriori informazioni e contatti: www.informaticisenzafrontiere.org

 

Notizie da Verona

 

I detenuti in visita a Corot

 

Una bella visita, con una guida attenta e capace di stimolare la curiosità sulla vita di Corot, e non solo. Una giornata indimenticabile, quella del 4 marzo, per i cinque detenuti in permesso dal carcere di Montorio che, come promesso, la garante dei diritti dei detenuti, Margherita Forestan, è riuscita a portare in visita alla mostra che si è appena conclusa in Gran Guardia, dedicata al pittore francese di paesaggi e ad altre opere solitamente esposte al Louvre.

"I detenuti dovevano essere 6 - racconta la garante - ma all’ultimo momento uno di loro non se l’è sentita di varcare la porta del carcere e ha preferito restare nella sua cella. Era troppo emozionato".

Tutto bene invece tra chi ha partecipato che, dopo la visita della mostra "non finiva più di ringraziare". Il gruppo di detenuti ha anche chiesto di fermarsi a comprare una cartolina ricordo delle opere visitate, prima della sosta gelato in piena piazza Bra.

"Sono contenta di essere riuscita a portare a casa qualche frutto e di aver realizzato quanto desideravo", conclude la Forestan che ha gestito l’organizzazione della giornata insieme al presidente dell’associazione Progetto Carcere 663, Maurizio Ruzzenenti. Che ha aggiunto: "Buona parte dei detenuti usciti avevano già avuto permessi. Ma per uno di loro l’uscita ha rappresentato un vero traguardo".

 

La festa della donna a Montorio va avanti tutto il mese

 

Più che una festa, un intero mese delle donna quello riservato alle detenute recluse a Montorio. Oltre ai due appuntamenti organizzati in collaborazione con le Pari opportunità per parlare della violenza sulle donne sia psicologica che economica o fisica, tramite l’intervento del Centro Petra antiviolenza gestito dal Comune (11 e 18 marzo), le detenute avranno infatti modo di partecipare anche a due incontri organizzati dall’Ussl. Mercoledì 24 e 31 marzo medici dell’azienda sanitaria veronese affronteranno con le detenute il tema delle malattie infettive tipiche, indirizzandole su quali rischi comportano e su come sia possibile difendersi da esse. "Si tratta di una serie di appuntamenti pensati per abituare la popolazione femminile detenuta a controlli clinici periodici, anche una volta terminata la carcerazione", spiega la garante delle persone private della libertà, Margherita Forestan. "L’obiettivo è di creare rapporti di fiducia con le detenute che possano durare nel tempo, anche dopo la scarcerazione. E che, allo stesso tempo, facciano interrogare le recluse sulle tematiche che più vorrebbero approfondire". La festa della donna non ha quindi rappresentato altro che uno spunto, indispensabile per avviare incontri e nuovi approfondimenti anche nei mesi successivi, che siano anche specifici e individuali per ciascuna detenuta in difficoltà.

 

Le proposte di Progetto Carcere, tra musica e sport

 

Se le partite sportive mensili tra i detenuti stanno ormai arrivando al traguardo, i campi da calcio (insieme allo spazio per la pallavolo nella sezione femminile) non verranno abbandonati per molto. A partire da lunedì prossimo, infatti prenderà il via la nuova edizione di Carcere & Scuola di Progetto Carcere 663. "Sabato abbiamo concluso gli incontri alla legalità nelle varie scuole" spiega il presidente dell’associazione Maurizio Ruzzenenti "e lunedì torniamo a portare in carcere gli studenti delle scuole veronesi, per i consueti incontri sportivi con le detenute e i detenuti reclusi".

L’associazione fa poi sapere che dai primi di febbraio è anche partito un corso di inglese che terminerà ad aprile. Iniziata un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, l’attività dei concerti sta ora procedendo alla grande e ha già portato in carcere il cantautore Marco Ongaro e l’ensamble Musicando, oltre a Maximiliano Nordio e Alessandro Zaupa. L’8 marzo anche Sabrina Bighignoli, raffinata cantante jazz, è entrata in carcere affiancata dal pianista e arrangiatore Andrea Temporin. "Mi piace pensare che il fatto che sia incinta sia stato colto dai detenuti come un messaggio di speranza", commenta Ruzzenenti.

Ieri poi, l’arpista originaria di Verona, Nazarena Recchia, si è esibita per i detenuti con la cantante Silvia Manfrin.

 

Diritti e dignità ad Affi

 

I giovani della parrocchia di Affi, un paese in provincia di Verona, stanno seguendo un interessante percorso sul tema dei diritti e della dignità della persona. Hanno visitato un centro d’accoglienza per immigrati in provincia di Udine, hanno affrontato la Carta dei diritti dell’uomo e la pagina sul rispetto della persona nella costituzione pastorale Gaudium et spes e si sono incontrati con un salesiano, operatore di comunità e casa famiglia per tossicodipendenti.

Per l’incontro successivo, la sera di lunedì 1 marzo, hanno chiesto una testimonianza all’associazione La Fraternità. Un volontario ha spiegato loro che dignità significa anche possibilità di scelta e di cambiamento, non essere visto nella fotografia di un gesto, di un reato, ma nelle potenzialità di ritrovare il senso della propria vita. Il volontario ha poi illustrato alcune delle modalità e dei progetti con i quali i volontari cercano di aiutare i detenuti e i loro familiari e le difficoltà crescenti provocate, dal sovraffollamento e dalla mentalità comune che vuole una pena quanto più lunga e chiusa in carcere. È altrettanto importante quindi per il volontariato il compito di diffondere informazioni e cultura che facciano capire il vantaggio sociale di politiche di prevenzione e di un intervento penale che, anche con misure alternative al carcere, faciliti il reinserimento di chi ha commesso reati vincolandolo alla responsabilità di un impegno riparatore.

È anche necessario, ha concluso, contrastare la tendenza, rispecchiata dalla legislazione recente, ad accrescere l’impunità per i reati di chi occupa posizioni di potere e ricchezza per infierire invece sui comportamenti conseguenti alle povertà e all’emarginazione.

 

La Fraternità ai giovani volontari

 

Quattro ore intense e partecipate quelle che ieri mattina i volontari del Servizio Civile 2010, dei progetti "Rialza la testa" e "Crescere Insieme" (undici in tutto), hanno trascorso assieme al volontario dell’associazione "La Fraternità", Arrigo Cavallina. Il tema al centro dell’incontro, organizzato dal Centro Servizio per il Volontariato di Verona nell’ambito della formazione dei giovani, era la relazione d’aiuto. In questo caso specifico applicata al mondo del carcere, tema di cui La Fraternità si occupa da oltre quarant’anni, fornendo assistenza ai detenuti e alle loro famiglie.

Nonostante la delicatezza e la complessità del mondo della giustizia e della pena, i ragazzi durante tutto l’incontro hanno continuato a porre domande e a fare interventi inerenti al tema, dimostrando grande interesse e facendo riflessioni molto profonde che hanno denotato una buona competenza e un’ottima disposizione per l’argomento.

Cavallina è partito dalla teoria della relazione d’aiuto di Carl Roger, articolata nei punti principali dell’accettazione, dell’empatia e della congruenza, per poi fare degli esempi pratici alla portata del gruppo.

Poi, dopo aver raccolto le impressioni dei volontari sulla teoria, ci si è addentrati nel tema vero e proprio della giustizia, e in particolare su come approcciarsi a persone detenute e come stabilire con loro una relazione d’aiuto, considerando che si tratta di uno dei gruppi sociali più difficili. Tra un confronto e l’altro, i volontari hanno visto uno spezzone del video "Raccontamela giusta" incentrato sui racconti dal carcere, che ha visibilmente emozionato molti dei ragazzi e lasciato per un paio di minuti che il silenzio scendesse in sala.

In serata arriva una mail da una dei partecipanti: "Mi interesserebbe avere il dvd dell’associazione presso cui sei impegnato", segno che per qualcuno il messaggio ha colpito il bersaglio, in questo caso individuato nella sensibilizzazione di ragazzi impegnati quotidianamente in altri ambiti del disagio.

 

Riparatore: nel silenzio

 

"Affascinante" è stato il primo commento dei presenti alla relazione di Leonardo Lenzi, nel settimo incontro del corso sulla giustizia riparativa.

Lenzi è docente all’Università cattolica, ma anche mediatore in un gruppo di volontari presso la Caritas di Bergamo, bioeticista sanitario, teologo e altro ancora.

Si usano troppe parole logore, ha esordito, attorno alla mediazione. Lo spirito della mediazione si può trasmettere solo in modo non intellettuale: è un cammino di vita, si dovrebbe fare e non dire. E già e costretto a contraddirsi per parlare al corso.

Cosa vuol dire "realizzare"? Accorgersi all’improvviso di qualcosa che era noto, ma senza che ne fosse percepita la portata. Possiamo realizzare la meraviglia di ogni essere umano, guardare l’altro con stupore e contemplazione; invece, per una misteriosa miopia, vediamo l’altro solo come limite.

Il "Caino e Abele" di Chagall racchiude l’insopportabilità dell’incontro con l’altro, ad un tempo l’odio e l’impossibilità di staccarsi. Alle radici di ogni pur piccolo conflitto c’è questa sofferenza. Ed è a questa sofferenza che dobbiamo avere il coraggio di dare la parola.

L’immagine dei giganti, nel palazzo del Te di Mantova, esprime il disordine nel conflitto. Un’altra parola logora è "gestione" del conflitto. Il conflitto non è gestibile: lo si può accogliere senza paura, lasciarlo urlare senza andarsene. Dare un luogo e un tempo al disordine, senza pretendere di fare ordine: questo è all’origine della mediazione.

Invece a chi piange ci affrettiamo a dare i fazzolettini perché, asciugandosi, ritorni a noi.

Nella storia della giustizia, il primo tribunale è istituito con la trasformazione delle Erinni, ispiratrici d’odio e vendetta, in Eumenidi che placano e arginano la violenza.

Il taglione prescrive una proporzionalità nella reazione, che ordinariamente la vendetta non conosce. La giustizia è rappresentata bendata, con in mano la spada e la bilancia. La spada per dividere, giudicando, il bene dal male e per far valere il giudizio con la forza; la bilancia per pesare le ragioni e i torti; la benda per non guardare in faccia le persone ma solo le fattispecie: rappresenta la distanza dalle emozioni che le impedirebbero di giudicare.

Dall’idea di pena come ricambio di male contro male (paradigma retributivo), espresso da parole come responsabilità, colpevolezza, pena, al paradigma rieducativo espresso da parole come circostanze, emarginazione, recupero, è un passaggio di civiltà. Ma anche questo non convince. Chi sei tu, Stato, per pretendere di modificare i miei valori? Sei forse buono? Per qualche detenuto l’incontro con l’educatore è considerato una pena accessoria. Stiamo assistendo al crollo delle utopie trattamentali.

Come si può pensare di addomesticare il conflitto, se all’origine c’è il modello di Caino? È un’illusione pericolosa. Le tecniche di negoziazione servono per vendere merci, non quando è in gioco la persona. Mediatore è chi accetta la sua impotenza, guarda le cose dall’interno della sua impotenza; è la vela, non il timone; aiuta aprendo la vela al vento delle emozioni, consentendo loro di prendere la parola. Il mediatore è come la cassa armonica, le parti sono la melodia.

Anche per S. Tommaso, come vediamo in Caravaggio, il riconoscimento avviene a partire dalle ferite. La resurrezione non guarisce, ma le piaghe diventano luoghi non più della morte ma del riconoscimento. Questo è il gesto del riconoscimento: la vittima ha bisogno che qualcuno metta la mano nel suo dolore. La riparazione è sempre reciproca, perché dietro ad ogni violenza c’è sofferenza. Non tiriamo fuori le emozioni per liberarcene e badare poi ad altri interessi, ma per entrare nella profondità di noi stessi (la paura della morte, la solitudine, ecc.).

Non servono competenze, perché la mediazione riguarda l’essere, non il fare. Anzi, la figura specifica del mediatore è sintomo di una patologia sociale, perché in una società in salute dovrebbe essere un’attitudine ordinaria di tutti.

La mediazione è un’immersione nella profondità: dal livello di superficie (i fatti) - ai vissuti (le emozioni, che già sono più simili e consentono un avvicinamento: per esempio la paura) - ai valori (per esempio il bisogno vitale di rispetto) che sono ancora più universali.

Ogni incontro di due persone genera un terzo, la loro relazione, che può continuare a vivere malgrado la morte di una persona o viceversa morire malgrado le persone siano vive. Bisogna fare il possibile perché questo terzo continui a vivere.

La parti in un percorso di mediazione attraversano insieme un’esperienza di senso, che forse avrà modificato il loro conflitto. Ma è un’esperienza che sfugge al controllo e al possesso umano. Il rischio del mediatore non è tanto il burn-out, il bruciarsi nella sua attività, quanto il congelarsi standardizzando il rapporto con le persone (trasformate in "pazienti", in "reo - vittima", ecc.). Non si può simulare una mediazione, sarebbe come fare una dichiarazione d’amore senza essere innamorati.

 

A scuola per educare alla legalità

 

Si è svolto martedì 2 marzo il secondo incontro con la scuola media Braida di Avesa del progetto "Educare alla legalità". Questo secondo incontro ha portato in classe due testimonianze significative: Andrea e Toby, che hanno raccontato la loro esperienza a contatto col carcere. Il racconto inizia con Andrea che parla della sua storia segnata dalla droga fin dall’adolescenza e che lo spingerà a commettere il reato per cui successivamente verrà arrestato. Il racconto di Andrea è intenso e i ragazzi sono estremamente attenti: non si sofferma sul reato in sé, poiché non è questa la sede in cui parlarne, ma sui sentimenti, emozioni e vissuti che hanno segnato la sua esperienza prima del carcere.

Parla soprattutto di piccole trasgressioni che a poco a poco e senza rendersene troppo conto sono aumentate sempre di più. Il suo racconto descrive molto bene il rapporto che Andrea aveva con la sostanza e riesce a far capire ai ragazzi ciò che stava passando, tant’è che spesso viene interrotto con quesiti non di poco conto. Successivamente sarà Toby a raccontare della vita all’interno del carcere e di come le giornate sembrano non passare. Non ci sono parole per descrivere quello che si prova quando la porta della cella si chiude davanti a lui: le giornate sono tutte uguali e ci si aggrappa ad ogni piccola cosa pur di trascorrere qualche tempo in più fuori da quella stanza che diventa sempre più piccola. Toby inizia così ad occuparsi del presepe del carcere e a seguire un progetto sulla pittura.

Entrambi i racconti, seppur diversi per le storie che narrano, mettono i ragazzi davanti a una realtà che spesso non è considerata come dovrebbe: una persona privata della propria libertà e costretta a condividere quattro strette mura con altrettante persone. I ragazzi sembrano percepire questi elementi e le loro domande sono spesso provocatorie e cercano di andare oltre il racconto stesso dei due testimoni. Verso la fine ci raccontano anche come hanno vissuto il loro rientro nella vita quotidiana: non è stato facile ricominciare a lavorare, riprendere i rapporti con le figure vicine a loro, e affrontare la gente esterna e spesso il suo giudizio. Il tempo scorre senza che nemmeno ce ne accorgiamo ed è già arrivata l’ora di andare, i ragazzi rivolgono le ultime domande agli ospiti e ci salutiamo convinti che sia passato un altro tassello di un messaggio più grande, che è quello della legalità composto da varie componenti che verranno sviluppate nel corso dei vari incontri.

 

A Villafranca sportello per ascolto e aiuto a chi è in difficoltà

 

Apre a Villafranca uno sportello per dare ascolto e aiuto a chi lavora e si trova in situazione di difficoltà economica o a chi, invece, il lavoro l’ha perso. Questo l’obiettivo in sintesi di "Praticamente", lo sportello informativo voluto dalla Fondazione CIS. Il servizio sarà operativo entro il mese di marzo, coordinato dall’Istituto A. Provolo in collaborazione con AIV formazione.

Il progetto intende offrire ai cittadini in situazione di disagio socio-occupazionale un servizio di informazione, accoglienza, identificazione di percorsi per risolvere problemi di carattere economico-finanziario e, allo stesso tempo, fornire alle imprese del territorio un’opportunità integrativa ai servizi sociali e per il lavoro già esistenti.

Per dare risposte e individuare possibili percorsi, il progetto prevede anche di avviare un processo di informazione e sensibilizzazione a favore dei servizi pubblici (Cpi, Inps, Inail, Ulss e Comune) e privati (Informagiovani, Sportello Lavoro Donne, ecc) impegnati in azioni di assistenza, sostegno, accompagnamento per l’inclusione socio occupazionale. L’attività dello sportello consentirà di avviare collaborazioni con le Istituzioni (Provincia di Verona, Comune di Villafranca e altri Comuni, Ulss 22) a supporto dell’erogazione dei servizi di sostegno al reddito, attraverso il coinvolgimento diretto degli Istituti bancari presenti sul territorio.

Lo sportello, che ha sede nell’Istituto Provolo CFP Lino Tosoni in Via Novara, si rivolge in via prioritaria ai lavoratori delle aziende del comprensorio di Villafranca, che presentino determinate caratteristiche, come ad esempio essere una persona che vive sola con uno o più figli a carico, o una persona o famiglia in situazione di documentata difficoltà economica o difficoltà sociale e professionale, oppure una persona o famiglia straniera.

Il servizio funzionerà sia su appuntamento che secondo la modalità porta aperta, per 24 ore/settimana, con un orario previsto dal lunedì al venerdì (dalle 17.00 alle 20.00), il sabato e il mercoledì dalle 09.00 alle 13.00. Il servizio sarà dotato di un Numero Verde e una mail per facilitare i contatti.

 

Seminario di formazione "Diversità come valore"

 

La "Diversità come valore". Questo il titolo del seminario di formazione promosso da Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali Dipartimento per le Pari Opportunità Presidenza del Consiglio dei Ministri) in collaborazione con Enar (European Network Against Racism) e Arci Verona.

Il seminario si terrà venerdì 19 marzo nella Loggia di Fra’ Giocondo (entrata Piazza dei Signori) e sabato 20 marzo nella Sala Rossa-entrata Prefettura, adiacente a Piazza dei Signori e la partecipazione è gratuita. Per ragioni di capienza della sala, è opportuno confermare la propria presenza entro lunedì 15 marzo alla segreteria Arci: tel. 045-8033589 (dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle 12.30; il martedì e il giovedì dalle ore 15.00 alle 18.30).

Il progetto nasce da un lavoro collegiale che vede confluire all’interno del Gruppo di Lavoro Nazionale (NWG - National Working Group) le maggiori organizzazioni rappresentative delle federazioni e delle reti nazionali di associazioni operanti nei 5 ambiti delle discriminazioni: orientamento sessuale, razza-etnia, disabilità, religione ed opinioni personali, età. Per maggiori informazioni Arci Verona - Via C. Cattaneo 14 - tel. 045.8033589, mail verona@arci.it, sito www.arci.verona.it

 

Appuntamenti

 

Verona: Giuseppe Chiot, cappellano delle carceri

 

Sabato 20 marzo alle 15.30, in Sala Boggian a Castelvecchio, convegno per ricordare monsignor Giuseppe Chiot a 50 anni dalla morte. Interverranno Rino Cona, dell’istituto superiore di scienze religiose, Gian Maria Varanini dell’Università di Verona, Giorgio Vecchio, dell’Università di Parma e Gian Paolo Marchi, dell’Università di Verona. Giancarlo Beltrame, giornalista dell’Arena, mostrerà e commenterà i filmati originali d’epoca in cui si vede don Chiot a Forte Procolo durante la fucilazione dei gerarchi fascisti, e le ricostruzioni cinematografiche e televisive in cui appare come personaggio.

 

Verona: Storie di Migranti

 

L’Associazione Cittadini del Mondo propone "Storie di Migranti", tre incontri di riflessione intorno al tema dell’immigrazione, dello straniero e del diverso. Gli incontri, a ingresso libero, si terranno alle 20.45 a Zevio al Centro Civico Culturale (ex Municipio) in p.zza Santa Toscana (a lato della chiesa).

Dopo l’appuntamento di mercoledì 10 marzo con il vice-questore e Capo della Squadra Mobile di Verona Gianpaolo Trevisi, lunedì 15 marzo la rassegna prosegue con la proiezione del film Mar Nero, la storia del rapporto tra una anziana italiana e la sua badante rumena. Quella rumena rappresenta anche a Verona la comunità straniera più numerosa ed è sotto gli occhi di tutti quanto siano indispensabili le badanti al nostro sistema "fai da te" di assistenza alla persona.

Infine lunedì 22 marzo, con Il vento fa il suo giro, la riflessione sarà incentrata su un’immigrazione che non viene da lontano. Qui è un professore francese a stabilirsi in un piccolo paese delle Alpi piemontesi. Ma l’appartenere alla stessa "cultura occidentale" non impedirà che lo straniero e il diverso sia vissuto da qualcuno non come una ricchezza, ma con diffidenza e sospetto, un intruso in casa propria.

 

Verona: Contro il razzismo

 

"Quando la memoria storica è fonte di ispirazione per le generazioni presenti per costruire il futuro". In occasione della giornata mondiale dell’Onu contro il razzismo e le discriminazioni razziali e di genere, sabato 20 marzo, a partire dalle 09.30 e fino a sera, si terrà un momento di riflessione nel monastero del bene comune dei padri Stimmatini di Sezano. Oltre ai 20 anni della fine dell’apartheid in Sudafrica, la giornata sarà occasione per un seminario di studio e di analisi sulle diverse situazioni di discriminazione e di razzismo in Italia, a partire dai Cpt, Cie, Castelvolturno, Rosarno e Lampedusa. Interverranno all’incontro l’ambasciata sudafricana di Roma, il senatore Franco Marini (già presidente del senato) e il parlamentare Jean-Leonard Touadi.

 

Il Progetto "Dal carcere al territorio" è finanziato dall'Osservatorio Nazionale per il Volontariato - Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direttiva 2007 sui progetti sperimentali delle Organizzazioni di Volontariato.

 

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