In-Veneto: notiziario settimanale sul carcere

realizzato nell'ambito del Progetto "Dal Carcere al Territorio"

Notiziario n° 9, del 12 febbraio 2010

Notizie da Padova

La Federazione Nazionale dell’Informazione dal e sul Carcere al Due Palazzi

Associazione "Tam Teatro Musica": progetti e attività nella C.R. di Padova

Minori con disturbi della condotta: incontro con Natalia Savani, psicoterapeuta

L’Associazione Mimosa cerca volontari e tirocinanti per le sue attività

Indice di che cosa? di Marco Crimi, avvocato

Notizie da Venezia

Le attività della Coop. Co.Ge.S nella C.C. di Santa Maria Maggiore

Le attività della Coop. Novamedia nel carcere femminile della Giudecca

Notizie da Verona

E ora il carcere produce energia pulita. Fotovoltaici sui tetti di Montorio

Redazioni a confronto: a Verona sempre più lavoro nelle scuole

Dialogo e mediazione: "Ti chiameranno riparatore di brecce"

Notizie da Vicenza

Ultime notizie dalla Commissione Carcere di Vicenza

Appuntamenti

Verona: "Da Abramo al Talmud, l’identità religiosa dell’ebreo credente"

Verona: serata organizzata dal Circolo culturale "Gruppo del Lunedì"

Notizie da Padova

 

La Federazione dell’Informazione dal e sul Carcere al Due Palazzi

 

Luigi Ferrarella, giornalista di giudiziaria del Corriere della Sera e autore di "Fine pena mai", un libro importante, che è un viaggio amaro e impietoso dentro alla giustizia italiana, è intervenuto all’incontro della "Federazione Nazionale dell’Informazione dal e sul Carcere", che si è tenuto lunedì 8 febbraio nella redazione di Ristretti Orizzonti all’interno della Casa di reclusione di Padova. Il suo è stato un contributo significativo, perché ha dato spunti nuovi sul rapporto che chi fa informazione dal carcere può stabilire con i media, su come arrivare ai lettori "maldisposti" rispetto alle questioni della giustizia e del carcere, attraverso la credibilità e l’attendibilità dei dati e delle testimonianze, su come approfondire il lavoro di controinformazione attraverso lo "smontaggio" di notizie riguardanti il carcere e l’esecuzione delle pene.

All’incontro erano presenti, oltre a tutta la redazione interna, detenuti e volontari, della rivista del carcere di Padova, e la responsabile della redazione esterna, molti coordinatori di giornali e altre realtà dell’informazione dal carcere, fra cui Piacenza, Bollate, Chieti, Genova, Firenze, Lodi, Modena, Verona.

La folta delegazione dei rappresentanti della stampa carceraria ha affrontato molti temi e presentato le varie attività che ogni testata porta avanti, facendo così il punto della situazione e decidendo per una strategia comune in questo momento di gravi problemi che riguardano le condizioni di vita nelle carceri sovraffollate.

Informazione dal carcere, stampa locale e seminari di formazione per giornalisti; informazione dal carcere e politica - le visite di Ferragosto delle carceri, i parlamentari coinvolti, l’importanza di tenere viva la loro attenzione e di sviluppare e proporre loro possibili soluzioni per far fronte al sovraffollamento; informazione dal carcere e Scuole - i progetti di sensibilizzazione e prevenzione che coinvolgono carcere e scuole: questi sono stati i punti discussi. Per ciò che concerne i rapporti con la stampa, locale e non, si è parlato del seminario che Ristretti ha organizzato nello scorso mese di ottobre in collaborazione con l’ordine dei Giornalisti del Veneto, della inaspettata partecipazione di molti giornalisti - le iscrizioni hanno superato i posti disponibili - e del bisogno di approfondire con chi scrive di giustizia e di carcere alcune questioni tecniche su questi temi. Al seminario hanno infatti partecipato come relatori anche un avvocato e due magistrati di sorveglianza, e molti detenuti con le loro testimonianze.

Ferrarella ha proposto anche un’altra importante attività che la stampa dal e sul carcere potrebbe fare: smontare scientificamente, volta per volta, gli articoli che parlano di questi temi confutando le argomentazioni con numeri, statistiche, dati reali inoppugnabili. Far sì che le testate che mandano in stampa certi articoli pubblichino le eventuali segnalazioni di errori. Secondo Ferrarella poi, chi si occupa di informazione dal carcere dovrebbe diventare una fonte attendibile per i giornalisti. La fonte infatti è un problema, nel senso che i giornalisti di cronaca giudiziaria hanno come fonti soprattutto avvocati e magistrati, ognuno di essi con la propria tesi da portare avanti, mentre quelli di cronaca nera hanno rapporti soprattutto con le forze dell’ordine che danno notizie dal loro punto di vista, con il risultato che sono spesso le fonti che danno notizie parziali e non sempre precise. Vari sono i motivi per cui esiste una pressione nei confronti dei giornalisti: i lettori, molto spesso, in questo periodo storico, "maldisposti" rispetto a certi temi, il fatto che spessissimo il giornale si pone dalla parte della vittima, "l’aria che tira" (restrizione della discrezionalità dei giudici, automatismi per "più galera"), la questione economica (la gente non vuole che si spendano soldi per i detenuti), e l’unico strada per combattere tutto ciò è la credibilità e l’inattaccabilità di chi scrive. Altro modo, secondo Ferrarella, di parlare di questi argomenti interessando il lettore è di agganciarlo non sui diritti umani, ma sul suo interesse rispetto a queste questioni, e ha portato come esempio la dimostrazione dell’inutilità e dell’antieconomicità della costruzione di nuove carceri: bisogna far capire la convenienza di certe decisioni.

Si è poi parlato di trasparenza partendo dalla proposta fatta dal Manifesto e da Antigone di aprire le carceri ai giornalisti, permettendo loro di entrare con meno limitazioni e di avere accesso a dati e notizie riguardanti la detenzione. Partendo da questo, Ferrarella ha suggerito di sviluppare una proposta dei radicali, che riguarda l’anagrafe dei penitenziari.

Altra proposta interessante, quella di creare uno spazio nel sito - ma questo riguarda Ristretti - da chiamare per esempio: "Non sai di carcere? Chiedi!" dove i giornalisti possano chiedere informazioni su questioni che non conoscono in modo approfondito.

Dopo la discussione di tutti questi argomenti sono stati approvati alcuni percorsi comuni.

Provare a organizzare il prossimo ottobre, in accordo con gli Ordini dei Giornalisti delle diverse Regioni, le Scuole di giornalismo, le Facoltà di Scienze dell’informazione, un Seminario di formazione per giornalisti e praticanti, simile a quello realizzato a Padova, nelle diverse carceri sede di redazioni delle riviste più significative.

Per ciò che riguarda l’Anagrafe delle carceri si è deciso, visto che per ora questa proposta non è stata accolta dalle istituzioni, laddove sono presenti i giornali, di creare una griglia comune e poi raccogliere tutti i dati disponibili - presenze, attività, stato della sanità, misure alternative, ma anche qualità e prezzi del sopravvitto e ogni altro piccolo e grande dettaglio sulla vita carceraria - per rendere il carcere sempre più trasparente, e aggiornare periodicamente i dati in questione.

Per quel che riguarda il sovraffollamento, si è pensato di elaborare una piattaforma comune, riprendendo alcuni punti come la detenzione domiciliare per l’ultimo anno di pena e la messa alla prova, che sono gli unici finora proposti che vanno nel senso di far uscire dalle carceri, e non di riempirle ulteriormente. Le proposte verranno presentate, con testimonianze di detenuti e riflessioni, dati e approfondimenti delle redazioni, in un inserto comune a più giornali, anche ai politici che hanno partecipato all’iniziativa del ferragosto del 2009, entrando in carcere e dimostrando un interesse non occasionale per le condizioni della detenzione. Con loro si cercherà di trovare forme stabili di collaborazione.

Per quel che riguarda la richiesta, avanzata dal quotidiano Il Manifesto e dall’associazione Antigone, di cambiare regole e prassi per la visita dei luoghi di detenzione, autorizzando l’accesso ai giornalisti nelle sezioni delle carceri al fine di raccontare la quotidianità della vita reclusa, non solo gli eventi tragici o eccezionali, le redazioni dei giornali dal carcere hanno deciso di sottoscriverla, elaborando nel contempo alcune proposte proprie, una specie di Carta della trasparenza delle carceri, che preveda tra l’altro, anche per chi opera all’interno sui temi dell’informazione, un accesso più libero a dati e notizie.

Ultimo punto approvato è quello che riguarda i progetti di sensibilizzazione sul territorio che sono rivolti in particolare le scuole: la proposta è di dedicare uno spazio del sito di Ristretti a tutti i progetti in cui carcere e detenuti diventano protagonisti di un lavoro di prevenzione, indirizzato soprattutto alle giovani generazioni.

 

Associazione Tam Teatro Musica: progetti e attività nella C.R. di Padova

 

TAM Teatromusica, formazione artistica fondata nel 1980 da Michele Sambin, con Laurent Dupont, e Pierangela Allegro, è una compagnia di produzione e progetto, votata al rinnovamento del linguaggio teatrale. Riconosciuta a livello nazionale come una delle voci più autorevoli nel campo della ricerca e della sperimentazione, ottiene ampi riconoscimenti anche a livello internazionale, ricevendo inviti a rappresentare le proprie opere in occasione di importanti manifestazioni europee.

Dai primi anni 90 TAM Teatromusica ha creato TAM Teatrocarcere all’interno della Casa di Reclusione di Padova: un luogo d’incontro tra realtà diverse, una possibilità per i detenuti di condividere esperienze e dar vita a laboratori, spettacoli, progetti.

Per l’anno 2010 TAM ha proposto un progetto - finanziato dalla Regione Veneto e in continuità con quello dell’anno precedente - che si pone come un percorso di accompagnamento, per favorire il reinserimento sociale e culturale dei detenuti.

 

Esso si articola in diverse azioni:

 

Laboratorio teatrale/multiculturale

Tale laboratorio, realizzato all’interno della Casa di Reclusione, è finalizzato all’ideazione e alla rappresentazione di uno spettacolo/testimonianza sul tema della realtà carceraria, che consideri la storia personale e la provenienza sociale e culturale di ogni singolo detenuto/attore.

Quest’anno, poiché il gruppo dei detenuti è numeroso (30-40 soggetti), si è deciso di suddividerlo in due sottogruppi, che al momento lavorano in due giorni diversi, ma poi si riuniranno. La maggioranza dei partecipanti ha origini nordafricane (Tunisia e Marocco) o di altri Paesi dell’Africa, mentre gli italiani costituiscono una componente minoritaria del gruppo.

Tra maggio e giugno 2010 i detenuti rappresenteranno lo spettacolo allestito nel laboratorio, sia all’interno del carcere, che all’esterno (coloro che potranno beneficiare di permessi premio).

 

Percorsi di integrazione sociale delle persone detenute

Consistono in un lavoro teatrale - chiamato Volario - Teatro Civile e condotto da M.Cinzia Zanellato e Andrea Pennacchi - comune tra il gruppo un gruppo di attori/detenuti e un gruppo esterno, formato da allievi attori di TAM teatromusica (molti studenti universitari, ma anche pensionati), con l’intento di creare dei percorsi di conoscenza tra la realtà carceraria e il territorio.

Il gruppo di attori/detenuti è per la maggioranza di origine straniera e questa condizione di detenzione e di appartenenza culturale diversa crea spesso un doppio isolamento: da qui la necessità di attivare un percorso artistico per favorire un incontro interculturale, di socializzazione e di costruzione di relazioni con soggetti esterni.

Il testo su cui stanno lavorando quest’anno i due gruppi è "Il verbo degli uccelli" di Farid ad-din ‘Attar, uno dei più celebri poeti mistici persiani che visse tra il 1100 e il 1200. A partire da esso i due gruppi creano materiali scenici, che diventano terreno di scambio e condivisione, mediante momenti di lavoro comune sia all’interno del carcere (una volta a settimana entrano a turno 3-4 allievi "liberi"), sia presso il Teatro le Maddalene (per i detenuti che possono uscire in permesso premio). La presentazione finale pubblica prevede la rappresentazione, da parte di tre detenuti/attori e del gruppo di allievi, di alcuni brani teatrali nati dall’esperienza e, a seguire, un incontro/dialogo delle persone detenute con il pubblico.

Ciclo di appuntamenti in carcere con attori e autori impegnati su temi sociali e civili, riguardanti la realtà carceraria (13 gennaio: Vasco Mirandola con lo spettacolo "Avrei tanto bisogno di dire", testi di Pino Roveredo; 5 marzo: MargineMigrante con "Sabbia"; 23 marzo: Carichi Sospesi con "North b-East"; Tiziano Scarpa, da confermare per maggio)

Gli incontri, organizzati in collaborazione con CIRSSI - Centro Interdipartimentale di Ricerca e Servizi per gli Studi Interculturali dell’Università di Padova (docente Prof.ssa Silvia Failli), l’Associazione Granello di Senape, la Biblioteca e gli Istituti Scolastici interni al Due Palazzi, sono aperti ai detenuti italiani e stranieri frequentanti il laboratorio di teatro, le scuole e la biblioteca e il Centro di Documentazione Due Palazzi (la redazione di Ristretti Orizzonti e il Gruppo Rassegna Stampa). Finalità principale è la creazione di occasioni in cui le persone detenute che partecipano alle diverse attività socio-culturali, si incontrano per collaborare e dialogare su argomenti comuni, relativi alla detenzione e al reinserimento sociale.

Questi incontri permettono anche di superare pregiudizi reciproci: spesso, infatti, chi è ristretto da un lato subisce i pregiudizi della società esterna, ma dall’altro pensa che fuori "tutti ce l’abbiano con loro"; portare in carcere personalità sensibili a queste problematiche è quindi un modo per far capire ai detenuti che all’esterno ci sono anche persone con altre visioni.

 

Sensibilizzazione dell’opinione pubblica e relazioni con il territorio

Tale azione verrà attuata attraverso varie iniziative: rappresentazione finale dello spettacolo di Teatro Carcere all’interno della Casa di Reclusione e al Teatro le Maddalene; organizzazione di un convegno sul tema; partecipazione a rassegne teatrali o eventi pubblici di informazione sulla realtà del carcere; realizzazione di un DVD sul percorso teatrale effettuato dalle persone detenute e relativa divulgazione e presentazione in eventi pubblici a tema; inserimento delle informazioni sul progetto nel sito internet www.tamteatromusica.it; invio di comunicati stampa e newsletter dell’iniziativa Teatro Carcere, con relativi appuntamenti aperti al pubblico.

 

Annibale non l’ha mai fatto - studio per un detenuto attore

Quest’anno, per la prima volta, TAM Teatrocarcere ha deciso di proporre all’interno della rassegna di spettacoli teatrali con attori professionisti, che ogni anno TAM Teatromusica organizza presso il Teatro le Maddalene, una rappresentazione il cui unico protagonista sarà Kessaci Farid, un detenuto che ha maturato esperienza all’interno dei laboratori fatti in carcere e ha così sviluppato un vero talento come attore.

Lo spettacolo, la cui regia è stata curata da Andrea Pennacchi e M. Cinzia Zanellato, consisterà nella narrazione da parte di Farid delle vicende avventurose di Annibale: tale racconto sarà in realtà un pretesto per raccontare il suo viaggio di migrante. Per chi vorrà vederlo l’appuntamento è al Teatro le Maddalene il 16 e il 17 aprile alle ore 20, e il 18 aprile alle ore 18.

 

Minori con disturbi della condotta: incontro con Natalia Savani, psicoterapeuta

 

La redazione di Ristretti Orizzonti ha iniziato ad interessarsi di quella che è la realtà giovanile, con il progetto di incontro con le scuole, che porta annualmente centinaia di ragazzi ad entrare nel carcere Due Palazzi e discutere di carcere, devianza e quant’altro. Proprio da questa esperienza, è nata la curiosità verso l’universo della devianza adolescenziale, così sono stati organizzati alcuni incontri con esperti di penale e marginalità minorile.

Il primo incontro è stato il mese scorso con lo psicologo Mauro Grimoldi che, dalla sua posizione interna al tribunale minorile di Brescia, ha potuto portare la testimonianza di quali siano i principi fondativi delle messe alla prova e raccontare alcune situazioni con le quali è venuto in contatto e i modi con i quali ha operato.

Il secondo incontro, avvenuto proprio l’altro giorno (09-02-2010), è stato con la psicologa, psicoterapeuta e mediatrice familiare Natalia Savani. Questo si è aperto partendo dalla definizione del ruolo e dell’attività che Natalia Savani svolge in una comunità per minori con disturbi della condotta, del comportamento e della sfera emotiva, attivata nel 2002 come Comunità Educativa per l’associazione Noi famiglie padovane contro l’emarginazione. Successivamente sono state descritte le varie tipologie di comunità, per quanto attiene ai servizi residenziali e semiresidenziali per minori e famiglie, evidenziando che da circa due anni è stato avviato l’iter burocratico per la trasformazione della struttura da comunità educativa, a comunità educativa riabilitativa (l’equivalente della comunità terapeutica per adulti) specifica per minori con disturbi della condotta. I ragazzi presi in carico sono quindi maschi di età compresa tra i 13 e i 21anni, che manifestano gravi disturbi della condotta e del comportamento, che il Tribunale per i Minorenni affida, mediante l’emanazione di decreti e/o provvedimenti amministrativi, al Servizio Sociale del Comune di residenza affinché questo provveda, in collaborazione con i servizi di Neuropsichiatria (l’equivalente della psichiatria per gli adulti), a collocarli in una comunità educativa riabilitativa, sia per essere tutelati nei loro diritti fondamentali, sia al fine di essere aiutati nell’affrontare e superare le difficoltà relazionali, quelle personali e le esperienze traumatiche alla base dei disturbi che manifestano fin dalla preadolescenza.

A questo punto, alcuni partecipanti all’incontro hanno posto domande per sapere come si manifestino i comportamenti disadattivi che caratterizzano il disturbo della condotta e del comportamento, quali siano i fattori che concorrono alla genesi e allo sviluppo di tali modalità relazionali, e quale tipologia di reati questi ragazzi sono soliti commettere.

È emerso che i ragazzi presi in carico dalla comunità spesso provengono da situazioni di grave disagio sociofamiliare e culturale, appartengono a famiglie monogenitoriali (es. solo la madre) e/o ricostituite (con genitori separati e ciascuno si è rifatto una nuova famiglia), quindi da famiglie tecnicamente definite come "multiproblematiche", perché caratterizzate da un basso livello di istruzione e culturale, gravi problemi economici e abitativi, presenza di elevata conflittualità e violenza intra familiare (genitori e genitori figli), presenza di problemi psichiatrici e di tossicodipendenza dei genitori, mancanza di una rete sociale di riferimento con conseguente isolamento sociale della famiglia. Per quanto riguarda i minori che incorrono nell’iter penale, invece, solitamente nella famiglia allargata (genitori, zii, nonni, ecc.) sono presenti adulti di riferimento con precedenti penali, e la figura del padre è solitamente assente.

Rispetto al funzionamento dei ragazzi, è stato evidenziato che sono ragazzi che fin dalla prima infanzia sono in carico ai servizi sociali e alla neuropsichiatria, dopo segnalazione della scuola a causa di difficoltà negli apprendimenti per cui necessitano molto spesso del sostegno scolastico, difficoltà nel sopportare la frustrazione (aspettare prima di soddisfare un bisogno) e fatica nel gestire la rabbia, che solitamente si manifestano con comportamenti aggressivi, violenti e esplosivi dirompenti (es. spaccano tutto ciò che è a portata di mano), senza valutare le conseguenze per sé e per gl’altri. Questa modalità di funzionamento della personalità, che può evolvere nell’età adulta nel disturbo borderline di personalità o antisociale, si viene a strutturare a causa di una modalità di relazione tra genitori/figure di attaccamento, caratterizzata da imprevedibilità, incoerenza comunicativa, ambivalenza, atteggiamenti espulsivi e difficoltà del genitore nel comprendere i reali bisogni del figlio a causa delle proprie gravi condizioni psicosociali e sanitarie. Tali modalità di accudimento e di relazione favoriscono l’insorgere di sentimenti di sfiducia nel figlio verso le figure di attaccamento, che vengono percepite come disinteressate rispetto ai propri bisogni e sentimenti, inaffidabili ed inattendibili (dicono una cosa e poi non la fanno), per cui i ragazzi, sentendosi rifiutati nella loro complessità, non sviluppano un sentimento di rispetto dell’altro, e ciò in molti casi, può portare anche a commettere reati come rapine, spaccio e furti, che soddisfino il legame voglio una cosa, la prendo. In altri casi il reato, o la condotta disadattiva, possono avere invece la funzione, per il ragazzino, di richiamo dell’attenzione delle figure di riferimento, soprattutto in momenti di svincolo, o di passaggio evolutivo.

Da questa presentazione, le domande si sono concentrate su due fronti: uno più di tipo istituzionale (Es. rapporti con le scuole, rapporti con il territorio), l’altro più di tipo personale-operativo (Es. come curate i rapporti con le famiglie, come vivono questi ragazzi).

Natalia ha quindi spiegato che il rapporto con i servizi sociali e le neuropsichiatrie del territorio è fortissimo, così come quello con le scuole, in quanto la metodologia di lavoro si basa sul lavoro di rete, facendo riferimento al modello teorico sistemico relazionale. La comunità svolge la funzione di ponte, favorendo la comunicazione tra i vari sottosistemi (servizi, famiglia, scuola, ecc) coinvolti nella gestione del progetto individualizzato elaborato con i servizi, il minore e la famiglia, in fase di presa in carico. In altre parole la comunità serve da collegamento e punto di riferimento per tutte queste realtà, così come queste sono una risorsa per la comunità stessa. Ha poi sottolineato che uno dei punti cardine della comunità è proprio la relazione con le famiglie e che forse, una delle ragioni per le quali non si sono praticamente mai verificate fughe, è proprio che i ragazzi percepiscono la comunità come una sorta di collante protetto fra loro e le famiglie d’origine.

Il lavoro con le famiglie viene effettuato anche nei casi di affievolimento e/o sospensione/decadimento della potestà genitoriale, la famiglia viene coinvolta fin dall’inizio mediante incontri finalizzati alla ricostruzione della storia familiare dal loro punto di vista (in alternativa a quello dei servizi), definizione degli obiettivi del progetto del figlio (es. scuola, sport,salute, visite incontri con genitori ecc), colloqui di sostegno ai genitori, incontri genitori figli finalizzati ad affrontare e gestire problemi relazionali intrafamiliari.

Rispetto alla vita quotidiana, ha spiegato che l’obiettivo è quello di sviluppare gli aspetti positivi di ogni singolo ragazzo, ovvero di intervenire primariamente sulle risorse individuali, per esempio con la scuola, ambiente però spesso difficile da tenere per loro, con attività sportive, con l’apprendistato che ne permetta l’inserimento lavorativo, oltre che con attività specifiche per ogni singolo. In questo panorama si inscrive la situazione particolare dei ragazzi in messa alla prova, che devono portare avanti le prescrizioni del loro progetto indicato dal tribunale minorile. Se questo è il quadro generale, la quotidianità è fatta dalle difficoltà a dare continuità alle attività intraprese e fare sì che i ragazzi rispettino gli impegni assunti, al fine di sviluppare abilità e competenze che favoriscano l’innalzamento del sentimento di efficacia personale e di autostima funzionale al rispetto verso sé e verso l’altro.

Lo strumento educativo elettivo per il contenimento delle condotte disadattive, quindi, è rappresentato dal saper creare relazioni flessibili e sincere caratterizzate da ascolto attivo e curiosità verso l’adolescente e la sua storia, così che questi possano sviluppare sentimenti di appartenenza e di riconoscimento, che stanno alla base del sano funzionamento della personalità.

Ovviamente, nessuno ha la bacchetta magica, come si suol dire, quindi non si può sapere che futuro potranno avere questi ragazzi, ma ciò che è importante è riuscire a costruire una rete sociale che dia una possibilità di scelta, fornire un sostegno emotivo e pratico nel quotidiano e fare sì che questi ragazzi escano con uno zaino di informazioni, relazioni e competenze che gli possano essere utili nella loro vita futura. A loro rimane l’arduo compito di effettuare scelte utili alla costruzione di una vita sana e per loro dignitosa.

(A cura di Alessandro Busi, psicologo)

 

L’Associazione Mimosa cerca volontari e tirocinanti per le sue attività

 

L’Associazione Mimosa è nata nel 1996 a Padova, con la finalità principale di promuovere l’integrazione sociale delle persone in stato di disagio, con particolare attenzione alle realtà dell’immigrazione, della prostituzione e alle situazioni di indigenza e svantaggio sociale. Per perseguire tale finalità, Mimosa promuove e gestisce servizi residenziali e diurni, offre supporti di segretariato sociale e formativi, e realizza iniziative per promuovere e difendere i diritti fondamentali delle persone.

L’Associazione, laica e aconfessionale, si fonda su cinque principi chiave: centralità della persona; presenza non giudicante; ascolto attivo; consapevolezza dei limiti e formazione permanente.

 

Le attività si possono suddividere in tre aree:

 

Area Contatto 

Comprende i servizi a bassa soglia rivolti a persone che, in diverse forme e modi, vivono il contesto della strada. L’ambito principale, particolarmente complesso, è quello della prostituzione, italiana e straniera, nelle sue varie componenti: persone che esercitano tale attività e persone che accedono a questo "mercato".

Vengono realizzate attività di contatto con il target di riferimento direttamente sulla strada (nei territori di Padova e di Vicenza), attraverso le Unità Operative di Strada, che intervengono con la distribuzione di elementi concreti di prevenzione, materiali informativi espliciti rispetto alle malattie sessualmente trasmissibili (MTS) e profilattici. Tale distribuzione ha un valore preventivo e di educazione rispetto ai comportamenti sessuali corretti, ma è al contempo uno strumento importante per l’instaurarsi di una relazione di fiducia tra operatori e utenza, che crea le condizioni per eventuali altri tipi di richieste da parte delle persone contattate (quali, ad esempio, quella di essere sostenute nella loro decisione di intraprendere un percorso di inserimento sociale e lavorativo di altra natura).

Obiettivo generale degli interventi è, infatti, quello di favorire l’inserimento di chi esercita la prostituzione nella rete dei servizi territoriali, prevenendo forme di emarginazione e di esclusione sociale. Centrale in questo senso è, per esempio, l’accompagnamento sanitario gratuito, che rappresenta un bisogno fondamentale per queste persone, se si considera il rischio di diffusione delle MTS; per questo tipo di attività Mimosa si avvale della cooperazione con realtà del settore pubblico (ULSS, ASL) e del privato sociale. Per tutti questi interventi è fondamentale che gli operatori adottino un atteggiamento di ascolto e sospensione del giudizio.

L’Unità mobile esce normalmente due sere/notti alla settimana, seguendo percorsi prestabiliti in modo da garantire la copertura del territorio nel quale l’Associazione opera. Ogni 6 mesi vengono effettuate delle mappature che hanno lo scopo di rilevare gli spostamenti sul territorio del fenomeno, al fine di ridefinire i percorsi di uscita dell’Unità mobile.

È attiva una linea telefonica 24h/24h rivolta alle persone che esercitano attività di prostituzione (335 781 44 67), finalizzata all’accesso ai servizi (gratuiti) offerti dall’Associazione; mentre le persone che accedono al mercato della prostituzione possono invece contattare Mimosa al n. 049 875 2638 negli orari di ufficio.

 

Area Accoglienza

Comprende i servizi ad alta soglia, rivolti a persone che intendono sviluppare un processo di inserimento sociale e lavorativo.

Attualmente l’Associazione gestisce due comunità residenziali: una maschile e una femminile.

Nella comunità maschile sono presenti soprattutto minori stranieri non accompagnati, che effettuano un percorso di inserimento sociale con i Servizi Sociali, e pochi ragazzi, italiani e stranieri, che hanno commesso un reato e stanno svolgendo la "messa alla prova".

La scelta degli educatori di inserire nella comunità queste due tipologie di utenza diverse è legata al fatto che da una parte si vuole far sì che i ragazzi che hanno commesso reati possano condividere un percorso con altri ragazzi "non devianti" (per evitare di "ghettizzarli"), dall’altra è così possibile far vedere ai minori stranieri non accompagnati come esistano anche "altre realtà". L’ambiente è, perciò, molto stimolante e permette che si sviluppino dei percorsi di educazione reciproca.

La comunità femminile è nata, invece, come "casa di fuga protetta" per vittime di tratta, ma successivamente sono state accolte anche ragazze italiane allontanate dalla famiglia, in carico ai Servizi Sociali, che le affidano alla comunità (in questi casi è stato previsto un lavoro anche con le famiglie, al fine di un successivo reinserimento). Questa comunità rimane comunque "protetta", per motivi giudiziari.

Obiettivo generale dell’attività di accoglienza è accompagnare la persona all’autonomia, attraverso un processo individualizzato, che comincia con la formulazione, assieme alla persona interessata, di un progetto educativo individualizzato (PEI), nel quale, tenuto conto delle sue risorse, aspirazioni e potenzialità, si definiscono obiettivi specifici e strategie educative.

 

Area comunicazione e sensibilizzazione

Obiettivo generale di questa attività è promuovere una riflessione culturale intorno agli aspetti sociali legati ai fenomeni dell’immigrazione (in generale) e della prostituzione migrante (in particolare).

Per perseguire l’obiettivo generale sono individuati una serie di obiettivi strategici:

- Sensibilizzazione del territorio al fenomeno ed alla sua complessità, attraverso incontri con gruppi giovani degli Istituti Superiori, con le rappresentanze territoriali locali e sociali, creando momenti di pubblico confronto con personalità politiche e sociali e realizzando mostre ed eventi di natura culturale;

- Mediazione dei conflitti nel territorio, attraverso la rilevazione analitica dei bisogni territoriali locali, la sensibilizzazione delle amministrazioni locali alle problematiche emergenti e la mediazione dell’Unità Mobile con la popolazione di strada;

- Promozione e organizzazione di seminari/eventi di carattere specifico

Destinatario dell’attività di comunicazione è, conseguentemente, il territorio, con particolare attenzione alle fasce giovanili (dai 16 ai 18 anni), alle rappresentanze cittadine (istituzionali ed associative) ed al singolo cittadino in generale.

 

Volontari e tirocinanti cercasi

L’Associazione Mimosa è alla ricerca di volontari e tirocinanti da inserire nelle attività sopradescritte. In particolare per quanto riguarda l’Unità di Strada i volontari/tirocinanti affiancherebbero gli operatori solo nel momento delle uscite serali e notturne, nei territori di Padova e/o Vicenza.

Per le comunità si cercano persone disponibili ad affiancare gli educatori soprattutto nelle ore serali e notturne. I volontari/tirocinanti in questo tipo di servizi hanno un ruolo completamente diverso da quello degli educatori, ma la loro presenza è molto importante, perché permette ai ragazzi di relazionarsi in modo tranquillo e socievole.

Per le persone interessate è previsto un corso di formazione di 3-4 incontri, in cui verranno date informazioni di base, pratiche, e informazioni di carattere più teorico sui fenomeni di cui si occupa Mimosa (in particolare, a chi andrà ad affiancare gli operatori delle Unità di Strada verranno date informazioni sulla realtà del fenomeno della prostituzione nei territori di riferimento).

In seguito al corso di formazione, verrà fatta una selezione: i potenziali volontari/tirocinanti potranno decidere se "se la sentono" di inserirsi nelle attività e gli operatori valuteranno se sono in sintonia con le linee dell’Associazione. Per informazioni e contatti: comunicazione@associazionemimosa.org cell: 335/1346372

 

Indice di che cosa? di Marco Crimi, avvocato

 

Indice di che cosa? La domanda parrà innocua, ma le risposte, data la provenienza della stessa, sono invece assai inquietanti: perché l’indice non è quello di gradimento e neppure quello di crescita, ma quello fisico che Mario, detenuto presso la Casa di Reclusione di Padova, maggior istituto carcerario del nord-est, si è volontariamente staccato dalla mano sinistra solo la scorsa settimana e non per protestare contro il sovraffollamento del carcere in cui si trova (dove dormono, ma anche dovrebbero vivere in tre in celle costruite e progettate per un solo recluso...) e neppure per portare all’attenzione pubblica e/o del Magistrato di Sorveglianza la propria situazione di disagio, ma solo e solamente perché lo stato attuale delle detenzioni è tale da far sì che anche un condannato ritenuto "difficile", tanto da esser ricoverato presso l’infermeria del carcere (reparto sicuramente più morbido di qualsiasi altro), si trovi in un così profondo stato di abbandono da poter porre in atto anche i gesti più scellerati e meno probabili ed il tutto può venir iscritto sotto la voce di un totale nonsense: così come senza senso è l’attuale giurisprudenza di molti Tribunali di Sorveglianza, quegli stessi che, introdotti dalla legge Gozzini ormai più di vent’anni fa, avrebbero avuto il compito di utilizzare la presenza dei requisiti richiesti dalla legge stessa per concedere misure alternative alla pena e/o alla detenzione e che invece pare cerchino ogni minimo pretesto per evitare di farlo e che, non certo preposti allo svuotamento degli istituti carcerari, ma col potere non indifferente di poter incidere significativamente su tale situazione, si trincerano nella difesa di parametri obsoleti o slogan sulla sicurezza.

Insomma ci troviamo davanti a soggetti che, al primo reato di cui scontano la condanna, muniti di offerta di lavoro e con una famiglia alle spalle, chiedono di poter scontare la seconda metà della pena, ovvero gli ultimi tre anni della stessa in regime diverso da quello carcerario, i quali si sentono rispondere dalla Magistratura di Sorveglianza che non avendo ancora sperimentato i permessi premio (per ottenere i quali occorre avere la sintesi di osservazione dall’equipe del carcere, che per carenza di personale provvederà in nove mesi se va bene, e poi sarebbe meglio che i primi di tali permessi fossero trascorsi in struttura protetta, dove posti e disponibilità sono minimi, e fra un permesso e l’altro dovranno trascorrere almeno due mesi, tutte regole non previste dalla legge, ma dovute alle prassi dei vari Magistrati) o, avendone già fatto esperienza positiva, siccome sarebbe opportuno un aggiornamento della sintesi (di quella stessa per cui avevano già atteso mesi ed ora richiederà altrettanto), che non è ancora maturato il momento per concedere in maniera tranquillizzante la misura richiesta, come dire che i requisiti previsti dal legislatore non bastano e il giudice chiede tutta una serie di ulteriori step e paletti, introdotti per pura prassi, che fanno sì che una misura come la semilibertà (uscire dal carcere per il solo tempo del lavoro) diventi impresa titanica e questo è sì già indice del tutto!

(l’articolo ci è stato inviato dall’avvocato Marco Crimi, del Foro di Padova)

 

Notizie da Venezia

 

Le attività della Cooperativa Sociale Co.Ge.S nella C.C. di Santa Maria Maggiore

 

La Cooperativa Sociale Co.Ge.S. - altrimenti detta Agenzia di Sviluppo e Progettazione Sociale - nasce nel 1995 come Centro Studi dedicato ad attività di ricerca, analisi e progettazione sociale, con l’obiettivo di individuare nuovi modelli di intervento e rispondere alle esigenze emergenti, attraverso la costruzione e la sperimentazione di nuovi servizi. Grazie all’esperienza maturata negli anni, l’Agenzia si è potuta evolvere in una struttura progettuale a supporto di operatori terzi, pubblici e privati, impegnati a vario titolo in interventi di promozione della persona e delle comunità territoriali locali. Co.Ge.S. si avvale di una propria equipe di professionisti con specifiche competenze in campo sociale, psicologico, economico, giuridico, manageriale e progettuale, alla quale si aggiunge una rete di collaboratori provenienti dalla ricerca, dalla cooperazione sociale e dall’intervento operativo.

L’Agenzia si occupa principalmente di tre settori: orientamento e integrazione socio-lavorativa; migranti e nuove marginalità; promozione della salute e del benessere.

Co.Ge.S opera da diversi anni all’interno della Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore, grazie ai finanziamenti Regionali e del Fondo Sociale Europeo (FSE).

Per l’anno 2009-2010 la Cooperativa promuove tre tipologie di interventi:

1) Un percorso sulla paternità, organizzato in tre moduli di 10 incontri ciascuno, aperto a 36 detenuti padri o nonni.

A questo tema sono stati dedicati, nel corso degli anni, numerosi laboratori, che hanno portato, ad esempio, all’allestimento - in collaborazione con U.O.C. - Comune di Venezia - della sala colloqui, per renderla più accogliente al momento dell’incontro settimanale padri-figli, e alla creazione del Dvd "La Nosara", una sorta di fiaba, e del libro di Favole "Magico Indaco". Nell’anno 2008-2009, i detenuti hanno inventato delle battute sul tema della paternità, con cui hanno poi doppiato il film "I Simpson", offrendo così stimoli per la riflessione e il confronto.

Questi laboratori hanno come obiettivo principale quello di promuovere l’assunzione di responsabilità rispetto al proprio ruolo di padre, riflettendo anche sull’importanza di una continuità relazionale, che consente di rispondere alle esigenze affettive ed educative dei figli.

Su richiesta dei partecipanti, quest’anno l’opera finale degli incontri sarà una sorta di "mini guida per padri", che verrà prodotta in formato cartaceo e multimediale. Tale guida sarà frutto di un percorso di gruppo, durante il quale ciascun partecipante potrà ripercorrere la propria esperienza di genitore e confrontarsi con gli altri rispetto ad essa; si discuterà, inoltre, dei diritti e dei doveri di padre, in riferimento ai figli, nell’età dell’infanzia e dell’adolescenza, ma anche rispetto ai rapporti con la madre e con l’ambiente esterno. Le riflessioni saranno stimolate da letture di brani estrapolati da guide dedicate ai genitori e dalla visione di film, ma lo strumento principale sarà proprio la condivisione di esperienze affettive legate alla genitorialità.

2) Incontri di Filosofia e Tai Chi, aperti a 36 detenuti.

L’obiettivo è avviare un percorso maieutico di conoscenza e cura di sé, che, a partire dalla propria esperienza autobiografica, faccia scoprire la filosofia nella sua originaria accezione di auto-terapia. Verrà insegnata la tecnica corporea di rilassamento "Tai Chi" per combattere l’atrofizzazione articolare e muscolare, determinata da un lungo periodo di inattività.

Mentre lo scorso anno è stata dedicata particolare attenzione alla tematica dell’interculturalità, quest’anno ci si dedicherà maggiormente al tema delle differenza di genere.

3) Un Servizio di Orientamento al Lavoro, che si propone l’attivazione di percorsi di orientamento al lavoro e bilancio di competenze, che aumentino la consapevolezza dei punti di forza e di debolezza di ciascun beneficiario. Questo servizio si rivolge prevalentemente a detenuti in uscita e viene realizzato tramite attività di sportello rivolte ai singoli, ma anche attraverso percorsi di gruppo. Nell’anno 2008-2009 sono stati promossi, in collaborazione con "Villa Renata" e grazie ai finanziamenti del FSE, 4 corsi di formazione professionale (help desk, data entry e programmatore web). Per ulteriori informazioni e contatti: www.cogescoop.it consulenzasociale@cogescoop.it

 

Le attività dei mediatori della Cooperativa Sociale Novamedia nel carcere femminile della Giudecca

 

La Cooperativa Sociale Novamedia nasce a Venezia-Mestre nel 2007, da un gruppo di mediatori linguistico-culturali italiani e stranieri, che da anni operano in collaborazione con i servizi del territorio nei settori scolastico-educativo, socio-sanitario, sociale, culturale e penale.

Sostiene l’integrazione, la convivenza pacifica, la promozione dei diritti e della cittadinanza, la cooperazione internazionale, la valorizzazione delle diversità di genere e di cultura, realizzando progetti e servizi in un’ottica interculturale, attenta ai bisogni di accoglienza di bambini e adolescenti, adulti e famiglie.

Nello specifico svolge interventi di: mediazione linguistica e culturale; progettazione e conduzione di laboratori linguistici, didattici, ludici, tematici, educativi, di sensibilizzazione; insegnamento di italiano come lingua seconda (L2); traduzione e interpretariato; consulenza e sportelli informativi; progettazione e organizzazione di percorsi di orientamento e formazione; progettazione e organizzazione di eventi; ricerca scientifica e produzione di elaborati editoriali.

Per il 2010 la Cooperativa Novamedia ha ottenuto un finanziamento dalla Regione Veneto per effettuare un progetto all’interno del carcere femminile di Venezia, rivolto alle detenute straniere.

Esso prevede l’affiancamento, da parte dei mediatori di Novamedia, degli educatori del Comune di Venezia durante i colloqui, qualora siano necessari interventi di mediazione linguistico-culturale.

D’altro canto, verranno organizzati due laboratori di gruppo (12-15 partecipanti), finalizzati a favorire la socializzazione, che si terranno uno in primavera e l’altro in autunno. L’anno scorso la Cooperativa ha già sperimentato un percorso di questo tipo e, visto l’esito positivo, ha deciso di ripetere l’esperienza: quest’anno saranno coinvolte due mediatrici (una algerina e una croata), che realizzeranno assieme alle detenute dei prodotti di sartoria. Lavorando assieme con diverse stoffe e colori, le partecipanti potranno imparare a svolgere attività in gruppo, conoscersi meglio e superare eventuali tensioni.

 

Notizie da Verona

 

E ora il carcere produce energia pulita. Fotovoltaici sui tetti di Montorio

 

Un carcere che produce energia elettrica pulita, garantendo insieme inclusione sociale. Un’ipotesi che presto potrebbe concretizzarsi nella nostra città, sempre che da Roma arrivi l’ok.

La proposta, che tra i finanziatori avrebbe una serie di privati, è stata presentata ufficialmente al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria nelle scorse settimane da tre realtà veronesi, ognuna per le proprie competenze: la società Safem (società di servizi e consulenza) di Bovolone, Lavoro&Futuro e Cooperativa Segni, queste ultime già entrambe attive in carcere, dove formano e danno lavoro a oltre 50 detenuti.

L’idea di ricoprire di pannelli fotovoltaici gli 11 mila metri quadri di tetti della Casa Circondariale di Verona (oltre che un eventuale parcheggio esterno) ha già avuto il parere positivo della direzione del carcere e del provveditorato e ora, spiega il titolare di Lavoro&Futuro, Giuseppe Ongaro, "siamo in attesa di un ulteriore incontro con il Dap per un parere definitivo. Il che speriamo possa avvenire entro una sessantina di giorni".Il progetto apporterebbe vantaggi sia ai privati, che, con un impegno totale di 4 milioni e 300mila euro e beneficiando di incentivi Gse per l’energia pulita, avrebbero un tornaconto di 7,5 per cento fisso all’anno di investimento, sia, naturalmente, alla struttura penitenziaria.

Il carcere di Montorio, oltre al guadagno sull’affitto dei tetti, potrebbe garantire lavoro ai detenuti che vi sono reclusi. A loro infatti, dopo un’adeguata formazione, il compito di montare e mantenere per vent’anni l’impianto stesso.

Ma dove andrebbe a finire l’energia elettrica prodotta? Continua Ongaro: "L’elettricità andrebbe venduta a un gestore terzo di energia pulita. In un primo momento non sarebbe utilizzabile dal carcere, che altrimenti dovrebbe vincolarsi ad acquistare la corrente dal gruppo di privati. Un passaggio delicato che potrebbe avvenire nel tempo. Intanto anche Banca Etica sta valutando se diventare partner del progetto, oltre che eventuale finanziatore".

 

Redazioni a confronto: a Verona sempre più lavoro nelle scuole

 

Nell’incontro dell’8 febbraio nella Casa di reclusione di Padova tra le varie redazioni presenti nelle carceri italiane, erano presenti parecchi operatori dell’informazione che operano nel carcere di Verona. Si è parlato molto anche dei progetti di sensibilizzazione sul territorio che sono rivolti in particolare alle scuole, e della proposta di dedicare uno spazio del sito di Ristretti a tutti questi progetti. In questo senso, Paola Tacchella, insegnante del Ctp Carducci di Verona e responsabile della redazione della rivista "Microcosmo" realizzata a Montorio, ha raccontato di quanto quest’anno il lavoro con le scuole sia più che raddoppiato. Una boccata d’aria rispetto alle difficoltà oggettive nella realizzazione del giornale, soggetto al continuo turn over delle persone coinvolte. Con gli incontri nelle scuole, l’obiettivo non si limita al solo portare i detenuti nelle classi, ma il grosso del lavoro è quello di coinvolgere gli insegnanti e con loro concordare le possibili tematiche a cui agganciarsi per presentare agli studenti il mondo del carcere. Il tutto per tastare le idee degli studenti e ricavare una sorta di fotografia tra come fossero prima degli incontri e come poi vadano eventualmente a mutare, grazie alle informazioni che i ragazzi ricevono sulla realtà del carcere e delle pene.

 

Dialogo e mediazione: "Ti chiameranno riparatore di brecce"

 

Più complesso dei precedenti, il terzo incontro del corso "Ti chiameranno riparatore di brecce" sulla giustizia riparativa, organizzato dall’associazione La Fraternità e dall’Asav (Associazione scaligera assistenza alle vittime di reato) in vista dell’apertura del centro di ascolto di fronte al carcere di Montorio. Come nel precedente appuntamento, a intervenire è stato ancora l’avvocato e dottore di ricerca in Filosofia del diritto Federico Reggio, che ha trattato il tema "L’etica del dialogo e il concetto di mediazione".

Già nel giro iniziale di racconti sui tentativi male (o ben) riusciti di rimediare a brutte figure si è capito che non è facile muoversi nel conflitto, ci vuole prudenza, evitando l’improvvisazione, ed è sconsigliabile pretendersi mediatori essendone anche parti.

Il reato spezza la relazione tra persone, provoca cioè un danno alle persone in relazione. Con la destrezza, con il ricatto, con la violenza, impone comunque qualcosa contro la volontà di chi subisce: lo esclude dal dialogo, dall’essere ascoltato; lo costringe al silenzio.

La dimensione riparatoria non obbliga la vittima, ma le offre una possibilità di essere ascoltata. Ed è riparazione già constatare che altri non sono indifferenti, che ad altri importa affermare che quel che è accaduto non avrebbe dovuto accadere e non dovrebbe accadere ancora.

Nel processo tradizionale al depotenziamento subito dalla vittima si aggiunge il depotenziamento inflitto all’autore del reato, che ha quindi solo interesse a difendersi.

Nella RJ (restorative justice) si parla al contrario di ripotenziamento, per dare all’offensore la possibilità (non coattiva) di riparare. Si richiedono fatti esterni, visibili, senza entrare nella segreta libertà delle coscienze. Anche il perdono apre un percorso, ma non necessariamente implica un incontro, e non necessariamente l’incontro ricrea il dialogo.

La RJ àncora e commisura l’intervento penale al fatto indebito, al riconoscimento che non doveva essere commesso e alla valenza relazionale del danno, al comportamento riparatorio; non pretende invece una mai ben definita "rieducazione".

La proporzionalità non è cercata con altro male, ma col rimedio al male.

La riparazione quindi, anziché segregare fissando la persona nel fatto commesso, le consente di ricominciare a scrivere la propria storia vedendosi in altra luce, come chi è capace di fare altre cose oltre all’illecito.

La dimensione dialogica non è solo comunicazione, scambio di opinioni, ma condizione esistenziale della persona, che non può bastare a se stessa con la sua pretesa verità, ma è consapevole che la sua verità può essere discussa e che gli argomenti sostenuti da altre persone in relazione non sono mai irrilevanti, proprio perché l’altro non è mai irrilevante, ma condizione della mia esistenza.

Per questo, se il reato separa dall’altro, la reazione simmetrica nega anche l’offensore come soggetto e chiude per la seconda volta il rapporto dialogico. Invece il paradigma restituivo ha la forza di rimettere in discussione lo stesso ordinamento, le funzioni e i limiti del potere pubblico.

La mediazione non è una tecnica alternativa al processo, ma una struttura concettuale che si riscontra fin dall’antichità. L’Iliade descrive, nello scudo di Achille, due gruppi in lite sul compenso riparatorio per un’uccisione, circondati dagli anziani che ascoltano le ragioni di entrambi per poi decidere. Nelle Eumenidi un sistema di vendette incrociate sembra senza soluzione, finché ognuno resta nell’assoluto del proprio argomento; solo l’intervento divino istituisce il primo tribunale, l’aeropago, che costringe Oreste e le Erinni a diventare "parti" esponendo le loro ragioni, delle quali è riconosciuta appunto la parzialità. E perfino con una conclusione come la condanna a morte, come nel processo di Norimberga, può esserci dialogo nell’ascolto e discussione delle giustificazioni che gli accusati sono indotti ad esporre.

Il primo effetto della mediazione è quello di fermare la reciproca violenza, obbligare le parti a parlare e ad ascoltarsi, ma obbligare anche il potere al dialogo, cioè ad ascoltare e a motivare la decisione, che non è più emanazione assoluta.

Gli argomenti delle parti in conflitto sono obbligati a dar conto di sé. Non farlo è violenza.

Nel modello "perdi/perdi" ognuno rinuncia a qualcosa nella ricerca di un compromesso; sarebbe una transazione e, nel processo penale, il patteggiamento, che non è mediazione.

La fase di accertamento della colpevolezza può ancora essere rappresentata dal modello "vinci/perdi". Ma la vera mediazione, nella fase di determinazione della sanzione, dovrebbe rispondere al modello "vinci/vinci", che non è a somma zero (il male di una parte considerato bene per l’altra parte) ma positivo per entrambi.

Il giudice, terzo, deve saper valutare le proposte. Mediazione non è compromesso, se questo non dà conto di sé. La proposta di mediazione da parte del reo non deriva dalla conclusione giudiziale di imputabilità, né basta il riconoscimento della propria responsabilità, ma dal sentirsi realmente responsabile con il dovere di riparare.

 

Notizie da Vicenza

 

Ultime notizie dalla commissione carcere di Vicenza

 

Progetti in carcere bloccati e problemi con i colloqui, oltre a uno sciopero della fame a sezioni alterne. Questa la realtà del carcere di Vicenza, emersa durante un recente incontro tra la Commissione carcere e la comunità cristiana, avvenuto nella sede della Caritas Diocesana Vicentina. Prosegue intanto l’attività legata alle uscite, oltre al progetto Carcere&Scuola che vede coinvolte 11 scuole del territorio, tra cui anche alcune medie inferiori. L’associazione il Lembo del mantello fa poi sapere che le strutture residenziali a disposizione sono ormai strapiene, con detenuti in lista d’attesa. Per fortuna dall’interno una buona notizia: grazie a un finanziamento della Regione, lo scorso novembre i detenuti hanno potuto riprendere l’attività in palestra.

 

Appuntamenti

 

Verona: "Da Abramo al Talmud: l’identità religiosa dell’ebreo credente"

 

Lunedì 15 febbraio alle 20.45 al Teatro Stimate, incontro sul tema "Da Abramo al Talmud: l’identità religiosa dell’ebreo credente". Relatore Benedetto Carucci Viterbi. La serata rientra nel ciclo di incontri organizzati dal Segretariato Attività Ecumeniche - Gruppo di Verona dal titolo "Facciamo l’uomo a nostra immagine (Gn.1,26), identità di Dio e identità dell’essere umano". Di fronte alla globalizzazione e al meticciato, sempre più estesi, in molte parti del mondo si reagisce erigendo barriere, talora materiali e giuridiche, sempre culturali. Anche la nostra città non è immune da questo fenomeno: a Verona, come altrove, si assiste al diffondersi di un clima di diffidenza, quando non di intolleranza, che induce alla chiusura identitaria della singola persona e del gruppo di appartenenza religioso, politico, culturale, etnico. Siamo tutti responsabili di questi recinti, determinati dalla paura, che non ci permettono di rispondere in modo adeguato, originale e creativo, alle sfide del nostro tempo. Il contrario dell’amore non è l’odio, ma la paura che ci blocca.

Possiamo scegliere di vivere dominati da questo sentimento senza riconoscerlo, cercando di occultarlo sotto altri nomi, o possiamo divenire consapevoli del valore arricchente delle differenze.

 

Verona: serata organizzata dal Circolo culturale "Gruppo del lunedì"

 

Giovedì 18 febbraio alle 20.45 nel Centro Sociale di Quaderni di Villafranca, si terrà l’incontro con il dottor Gianpaolo Trevisi (Capo della Squadra Mobile della questura di Verona), scrittore autore di "Fogli di via" e "Un treno di vita". Nel corso della serata, organizzata dal Circolo culturale "Gruppo del lunedì" con il patrocinio del Comune di Villafranca, l’attore Roberto Puliero leggerà alcuni racconti tratti dai libri di Trevisi. Conduce la serata Luigi Grimaldi, giornalista del quotidiano L’Arena.

 

 

Il Progetto "Dal carcere al territorio" è finanziato dall'Osservatorio Nazionale per il Volontariato - Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direttiva 2007 sui progetti sperimentali delle Organizzazioni di Volontariato.

 

Precedente Home Su Successiva