L'opinione dei detenuti

 

Non è l'Europa che può tirarci fuori dal disastro

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 7 settembre 2009

 

Chiedere aiuto all’Europa per costruire nuove carceri, come ha fatto il ministro Alfano, difficilmente può portare alla soluzione di un problema tutto nostro come il sovraffollamento. Con le leggi attualmente in vigore in Italia i detenuti aumentano ad un ritmo di mille al mese, questo significa che per risolvere il problema del sovraffollamento dovrebbero essere costruite immediatamente carceri per gli oltre 20.000 detenuti che già sono in eccesso rispetto al numero di posti effettivamente disponibili, e poi bisognerebbe pensare a un piano perpetuo con migliaia di nuovi posti in carcere ogni anno. E per tutti questi detenuti servirebbero sempre più agenti, educatori, risorse.

 

Per gli stranieri non c’è perdono

 

Parlare del problema carceri in Italia oggi non è affatto conveniente per chi vuole ottenere consenso. Se poi affianco a questo si vuol parlare anche di stranieri e affrontare questo fenomeno nel modo giusto, senza spacciare delle soluzioni illusorie come una formula magica che risolve il problema, si rischia la più totale impopolarità. A me pare che la via scelta nel vostro Paese sia proprio la demonizzazione dello straniero, ancora una volta dipinto come la causa di tutti i mali. Mi riferisco anche ad alcune recenti dichiarazioni del ministro della Giustizia sul sovraffollamento, secondo le quali le carceri in Italia sarebbero sufficienti per gli italiani, ma scoppiano per colpa degli stranieri che vi finiscono in massa.

Queste affermazioni rischiano di rendere più difficile l’operato della direzione e degli agenti della Polizia penitenziaria nel mantenere l’ordine e cercare di rendere più vivibile e dignitosa la vita in carcere. E rischiano anche di confondere le idee ai detenuti italiani, facendo aumentare gli attriti e generando una intolleranza verso gli stranieri, come se già le difficoltà della convivenza non bastassero.

Affermare che la causa del sovraffollamento delle carceri siamo noi detenuti stranieri a mio avviso è anche ingiusto, perché il problema del sovraffollamento non è un fenomeno nuovo in Italia, dovuto solo all’immigrazione, come dimostrano gli indulti dati più volte negli anni 1978-82- 86-90. In Italia si dice che "sbagliare è umano, perseverare diabolico". Ma ho l’impressione che gli stranieri non possano permettersi di sbagliare mai e allora mi domando se fanno ancora parte del genere umano.

Tra le tante leggi che aggravano la già difficile situazione degli immigrati, e non solo quella degli immigrati irregolari, la norma che più divide le persone tra categorie superiori e inferiori è quella che non permette più il rinnovo del permesso di soggiorno agli immigrati regolari che perdono il lavoro (come molti italiani) e che così, se non riescono a trovare un altro impiego entro sei mesi, diventano automaticamente clandestini e cioè criminali.

Trasformare in potenziali criminali queste persone non solo non porta sicurezza, ma riempirà ancor di più le carceri e intaserà la già lentissima giustizia italiana. Le leggi che non affrontano i problemi in tutta la loro complessità, ma nascono condizionate da continue emergenze, e puntano al carcere per qualsiasi tipo di devianza, vorrebbero dare una sensazione di sicurezza e invece illudono solo che con la galera si risolvano i problemi subito. Il vero antidoto ai veleni dell’insicurezza, che cura e crea condizioni di vita più sicure per i cittadini a lungo termine, sono i percorsi di reinserimento, che permettono di ricostruirsi una vita con meno galera e più pene alternative, pene utili davvero a diventare persone più responsabili.

 

Gentian Germani

 

Svanita la speranza di un futuro in Italia

 

Abbasso lo sguardo. Mi mordo un labbro. Stringo le spalle. Scuoto la testa. Mi accade sempre più spesso ultimamente, quando ascolto le domande che i detenuti, in particolare quelli di origine straniera, mi rivolgono allo Sportello di Orientamento giuridico e Segretariato sociale. Aumentano drasticamente le domande a cui non solo non sono più in grado di dare una risposta, ma che mi mettono in imbarazzo, mi fanno sentire profondamente a disagio. Mi verrebbe quasi da chiedere scusa: scusate perché in questo Paese essere stranieri è diventato il peccato originale, scusate perché il Paese in cui vivo pretende di educarvi alla legalità mantenendovi nell’illegalità di una situazione di umiliante sovraffollamento. Un ragazzo pochi giorni fa mi ha chiesto informazioni sulle procedure per sposarsi. Io gli ho spiegato che con l’approvazione del pacchetto sicurezza non è più possibile sposarsi senza permesso di soggiorno: lui mi guarda, spalanca gli occhi e sorridendo mi chiede: “Ma se due si amano?”. Eh, se due si amano...

Difficile spiegare che la legge non contempla la possibilità che una persona straniera senza permesso di soggiorno si voglia sposare per amore. Se si vuole sposare deve essere chiaramente per ottenere un permesso di soggiorno, cos’altro? (e fosse anche così, come biasimarli con le difficoltà che ci sono per avere un permesso di soggiorno in Italia oggi?).

Un altro mi chiede informazioni sull’asilo politico: ha paura di tornare in Nigeria, dove gli hanno già ucciso padre e fratello. È terrorizzato dall’idea di dover rientrare nel suo Paese, dice che andrebbe bene qualsiasi paese, ma non la Nigeria. Le possibilità di ottenere l’asilo politico sono già basse normalmente, ancora di più per una persona condannata, mi spiega un avvocato. Mi chiedo cosa c’entri con una vita a rischio, il fatto che una persona sia stata condannata o meno. Mi sento supplicare: aiutami a non tornare lì, mi uccideranno. Anche se, su dieci richiedenti asilo, uno solo fosse in pericolo reale, chi mi dice che non è proprio la persona che ho davanti?

Un terzo non riesce a comprendere che non ha possibilità di rinnovo del permesso di soggiorno una volta finita la pena. Mi spiega che ha trascorso in Italia la maggior parte della sua vita, che in Algeria non conosce nessuno, non ha nemmeno più parenti, la sua vita è qua. È penoso dovergli aprire gli occhi sulla sua situazione e mi accade sempre più spesso, troppo spesso. Mi chiedo vigliaccamente: ma perché glielo devo dire proprio io?

Alcuni non ci credono o si illudono o rimuovono. Altri si alzano dalla sedia attoniti e rispondono al mio sguardo quasi a dire, non preoccuparti, non è colpa tua. Mi chiedo quali pensieri li attraverseranno, adesso che la speranza di un futuro regolare in Italia per alcuni è praticamente svanita? Come fare a sopportare un periodo più o meno lungo in carcere senza coltivare un progetto? Ed è davvero una conquista per la sicurezza annullare qualsiasi possibilità di regolarizzare la posizione di persone che in molto casi rimarranno comunque in Italia? E mi chiedo anche quanto tempo deve passare perché una persona non sia considerata sempre e solo uno straniero legato indissolubilmente al suo Paese d’origine?

 

Francesca Rapanà, operatrice dello Sportello di Orientamento giuridico

e Segretariato sociale nella Casa di reclusione di Padova

 

 

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