L'opinione dei detenuti

 

Appello ai parlamentari che hanno visitato le carceri

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 31 agosto 2009

 

Le carceri d’estate sono luoghi desolati: si fermano quasi tutte le attività, entrano meno volontari, c’è poco personale. Ma quest’anno la situazione è ben più grave, ai limiti del disastro, la gente è accatastata in spazi ristretti, il caldo asfissiante, la tensione cresce in modo ormai incontrollabile.

È stata quindi importante la scelta di 167 tra deputati, senatori e consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici, su iniziativa del Partito Radicale, di visitare nei giorni di Ferragosto le galere italiane. Ma adesso, letti i comunicati stampa e gli articoli che hanno cercato di catturare la stanca attenzione dei lettori, servono proposte, serve la consapevolezza che bisogna fare qualcosa, e forse serve davvero un organismo straordinario, magari una "Commissione parlamentare di inchiesta sulle carceri" come quella che nel dopoguerra, su proposta di Piero Calamandrei, affrontò il problema dello stato delle nostre galere. O magari servono anche iniziative come quella messa in atto in questi giorni in Gran Bretagna, dove stanno distribuendo ai detenuti un questionario sulla vivibilità delle galere per avere un quadro davvero completo della situazione.

È difficile pensare che nel nostro Paese si arriverà mai a soluzioni come in Norvegia, dove c’è una lista d’attesa e la gente sconta la pena quando si libera un posto in carcere. Ma tornare a riflettere seriamente su tutte le possibili alternative al carcere, almeno per certi reati, questo non è davvero più rimandabile.

 

Buoni o cattivi che siano, tutti i cittadini vanno comunque rispettati

 

Finalmente qualcuno si è ricordato anche in tempo di ferie di noi rifiuti della società (questo siamo, se è vero che il carcere è una "discarica sociale") e ha trovato il coraggio di venire a dare un’occhiata. Molte personalità politiche hanno aderito alla iniziativa dei Radicali e questo è un motivo di sollievo per chi come noi cerca di avere un po’ di attenzione ai problemi dei detenuti e delle carceri. Viviamo in un periodo in cui le carceri si stanno riempiendo di persone di ogni fascia d’età, provenienti da Paesi diversi e anche da differenti strati sociali, ma questa multiculturalità rischia di esprimersi nelle forme più pericolose, se nella costrizione dobbiamo condividere spazi praticamente inesistenti, e la cosa non può andare avanti così. Noi detenuti abbiamo il dovere di far sentire la nostra voce, abbiamo l’obbligo per rispetto della nostra dignità di chiedere una diversa attenzione verso le nostre condizioni di vita, che non hanno nulla a che fare con i problemi della sicurezza, perché non c’è in atto nessuno stato emergenziale tale da giustificare forme di punizione, come quelle che stanno vivendo i condannati oggi in Italia.

È chiaro che pochi hanno voglia di rischiare la faccia per abbracciare una causa così impopolare come la difesa dei diritti dei detenuti, ma noi dobbiamo continuare a far sentire la nostra sofferenza affinché qualcuno si ricordi di avere delle responsabilità nei confronti di tutti i cittadini, buoni o cattivi che siano. Da noi si pretende giustamente la presa di coscienza del male che abbiamo fatto con i nostri reati, e noi chiediamo a tutti una presa di coscienza collettiva sulle condizioni inumane in cui moltissimi detenuti sono costretti a vivere.

 

Elton Kalica

 

In galere sovraffollate i comportamenti di tutti rischiano di degenerare

 

Quando si parla di posti sovraffollati, l'idea è quella di un posto caotico, disorganizzato, inadeguato a contenere così tanta gente, figurarsi se sovraffollato è il carcere, un luogo in cui c’è poco ordine anche in condizioni "normali". Oggi la situazione all'interno degli istituti di pena ha raggiunto picchi mai rilevati prima, e nella convivenza tra detenuti e con gli agenti si incominciano ad avvertire i primi segnali di intolleranza. La carenza di spazi vitali significa non solo che viene a mancare quello spazio di cui singolarmente un essere umano ha bisogno, ma anche che la struttura non riesce a sopportare un numero che va ben oltre la soglia consentita, e quindi vengono a mancare tutti quei beni primari che consentono a una persona di vivere decentemente - docce, vitto, passeggi che diventano carnai, dato che sono omologati a contenere un numero di persone molto più limitato di quello attuale. L’inevitabile mancanza di igiene può generare patologie anche contagiose, il vitto tende a peggiorare e a diminuire e la possibilità di movimento è limitatissima anche all'interno delle celle, e così i comportamenti di tutti rischiano di degenerare in atti di autolesionismo o di aggressività verso altri.

Ma, a mio avviso, il problema più grave sta proprio nel trattamento rieducativo, o meglio nei percorsi di reinserimento. L'art. 27 della Costituzione non avrà più la possibilità di essere applicato: infatti, laddove le istituzioni dovrebbero attivarsi per rieducare e reinserire la persona detenuta, mancheranno gli spazi e si aggraverà la carenza di operatori penitenziari, già ridotti al minimo. In pratica questo sovraffollamento azzera quasi di fatto quello che è il senso principale della pena, costruire per ogni persona un percorso di ritorno nella società graduale e accompagnato.

Questo aspetto è il più importante da far capire, perché se in carcere non si riesce a creare una seria possibilità di reinserimento nella società, quella massa di popolazione detenuta che oggi si trova in stato di detenzione con condanne brevi o comunque nei termini per usufruire di benefici penitenziari, avrà sempre più difficoltà ad accedere a misure alternative e dovrà scontare pene rese insensate dalla mancanza di prospettive, in galere sempre più piene e sempre meno gestibili.

Ma se già oggi una delle principali cause di questo sovraffollamento è proprio la mancata applicazione delle misure alternative alla detenzione, che possibilità ci sono in futuro che le misure vengano date a gente che in carcere non ha l’opportunità di fare niente, che non è impegnata in nessuna attività e non riesce neppure a vedere un educatore?

 

Sandro Calderoni

 

Meno galera almeno per chi è al primo reato

 

Vivere in una cella di circa 13 metri quadrati in tre, come succede a noi qui al quinto piano del Due palazzi, lascia un segno pesante nella vita delle persone, sia a livello psicologico che fisico. Se poi in questi 13 metri quadrati calcoliamo il posto occupato dalle brande, dal tavolino, dagli armadietti, dal lavandino, dal water, ci accorgiamo che lo spazio realmente si riduce a meno di 7 metri quadrati calpestabili, riservati a 3 persone.

Infine calcoliamo anche che tutta la struttura era destinata ad ospitare 350 detenuti, quindi gli spazi interni per le attività, i passeggi, gli ambienti lavorativi sono fisiologicamente e strettamente disposti per 350 detenuti.

Ora qui per lo meno hanno capito il problema, e così nell’arco della giornata tra il lavoro e le attività, con quelle ore di apertura in più delle celle che è stata concessa, si riesce a sopperire almeno momentaneamente al disagio di dover stare tutto il giorno in una cella in queste condizioni.

Ovviamente ci chiediamo cosa si potrebbe fare per risolvere questa situazione di costante aumento della popolazione detenuta, dovuto alle tante leggi emergenziali che prevedono più galera e basta. Bisognerebbe invece armarsi di buona volontà e prendere in mano la riforma del Codice penale, avendo una particolare attenzione a quella fascia di persone incensurate che cadono nella devianza per la prima volta, e lo dico proprio da persona più volte recidiva, che forse avrebbe potuto essere fermata all’inizio, con politiche diverse verso chi è al primo reato. E progettare per loro una più ampia condizione di "messa alla prova" fuori dal carcere con l’impegno di occupare una parte di tempo in attività sociali, e se necessario di seguire un programma di cura, o di riabilitazione, di responsabilizzazione rispetto al reato. Forse in questo modo si riuscirebbe a fare una scelta più corretta per le persone incensurate, che sicuramente meritano un approccio alla possibilità di reinserimento migliore che un recidivo.

 

Maurizio Bertani

 

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