L'opinione dei detenuti

 

Facciamo in modo che chi è al primo reato si fermi in tempo

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 14 settembre 2009

 

Non riusciamo a non parlare di carceri sovraffollate, ma questa volta vogliamo puntare l’attenzione su chi è al primo reato, perché è da lì che bisogna partire per ragionare su possibili soluzioni. Cominciamo allora a pensare che forse chi è entrato per la prima volta in carcere ci dovrebbe essere tenuto il minimo possibile, perché sono queste le persone sulle quali si può puntare per un percorso serio di reinserimento, sono loro che in qualche modo devono essere "preservate dal contagio" della vita carceraria. Ne parlano anche le testimonianze dei detenuti, che per primi si rendono conto che ci vogliono politiche diverse per chi non ha una carriera criminale alle spalle, ma un solo reato, che potrebbe davvero restare l’unico nella sua vita, se si riuscisse a intervenire in modo intelligente.

 

Il carcere non deve essere un luogo dove si finisce, ma da dove si ricomincia

 

Il dato che i costi del sistema penitenziario ogni anno si misurano intorno ai 3 miliardi di euro con risultati solo in casi limitati positivi sulla rieducazione, e che la diminuzione di un solo punto percentuale della recidiva corrisponde ad un risparmio per la collettività di circa 51 milioni di euro, impone una domanda: ma quei soldi pubblici non possono essere utilizzati in un altro modo per far risparmiare la società e nel frattempo restituirle persone intenzionate a vivere finalmente nel rispetto della legalità?

La soluzione possibile al sovraffollamento, ma anche quella che darebbe un senso alle pene credo sia semplicemente l’applicazione di quella legge che prevede di far scontare una parte della pena fuori dal carcere con le misure alternative. Quando i giudici ci hanno dato anni di galera senza andarci giù tanto leggeri, ci hanno detto che è stata rispettata la legge, però quando bisogna dare la possibilità di ricominciare sembra difficile fare la stessa cosa, cioè rispettare e applicare la legge.

Ai detenuti stranieri dovrebbero invece concedere in fretta le espulsioni e permettere a tutti, indipendentemente dai reati, di usufruire di questa possibilità di essere espulsi negli ultimi due anni della pena oppure, come opzione, fare le espulsioni a due terzi della pena come in Germania per certi reati. Io personalmente firmerei subito di andare via da qui e se poi tornassi so benissimo che dovrei accettare di fare tutta la pena rimasta senza lamentarmi, con in più uno o due anni aggiuntivi per la nuova violazione della legge.

E poi servirebbe un’attenzione particolare per chi è in carcere per la prima volta, ci sono tanti ragazzi giovani, immigrati ma anche italiani, che avrebbero bisogno di essere aiutati a uscire in tempo da certi giri, io personalmente non capisco che senso abbia che un uomo al primo reato debba farsi tutta la galera: dategli la possibilità, negli ultimi anni della pena, di ricostruirsi una vita, aiutatelo ad andare avanti, se c’è lavoro lasciatelo mettersi alla prova! Purtroppo la verità è che non si fa sempre quello che sarebbe oggettivamente sensato, ma si insegue spesso quello che fa soggettivamente comodo, e oggi la politica trova più conveniente dire che la sicurezza si ottiene cacciando la gente in galera per più tempo possibile.

 

Jovica Labus

 

In Germania il condannato al primo reato a metà della pena può essere scarcerato

 

Dopo 2 anni e mezzo di pena scontata in Germania, sono arrivata in carcere alla Giudecca dove, come è previsto sempre, mi hanno fatto transitare per l’infermeria che in quel momento era semivuota. Ho pregato allora il medico di non farmi scendere subito in sezione perché non sapevo come avrei fatto, dopo tutto il tempo trascorso in cella singola, a stare in celle dove si era minimo 7-8 persone. Avevo paura di iniziare la mia nuova vita da carcerata in Italia, per cui ho dilatato il tempo di permanenza nell’infermeria fino a quando è stato possibile!

Da quel momento ho iniziato a raffinare la capacità di isolarmi anche in mezzo alla gente, usando anche i tappi di cera nelle orecchie per non sentire il respiro di altre 8, 9, 10 persone che dormono con te, per non sentire la televisione che già mi ossessionava tutto il giorno, per illudersi di dormire sonni tranquilli. Alla Giudecca, che è comunque una delle poche "isole felici" - se felice può essere un aggettivo appropriato parlando di galera - per le opportunità di lavoro per tutte le detenute, gli spazi di solitudine sono inesistenti, bisogna saperseli inventare.

A un certo punto abbiamo raggiunto anche lì il "pienone", e nella mia cella eravamo in 12 donne di provenienze, culture, abitudini diverse. Che in continuazione dovevano ri-adattarsi a qualcuno che subentrava a qualcun altro, con un turn-over notevolissimo. Un esperimento vorrei che i lettori facessero: provate a chiudere, solo per 24 ore, nella stessa stanza, 12 persone della vostra famiglia, 12 persone che si conoscono da sempre e che hanno, grossomodo, le stesse abitudini: quanto tempo passerebbe prima che ci fosse un litigio? Tante delle donne che ho visto passare dalla mia cella erano al primo reato, o comunque avevano pene brevi o brevissime, io credo che avrebbero potuto scontarle in misure alternative alla detenzione, lasciando così spazio e tranquillità a quelle di noi che avevano pene lunghe e che ogni volta dovevano fare violenza su se stesse per riadattarsi ai cambiamenti.

Un’ultima considerazione: in Baviera il carcere è severo, ma c’è un rispetto diverso per la dignità del condannato: gli stranieri in carcere sono ben più numerosi dei tedeschi da ormai molti anni – ai tedeschi però non è proprio mai venuto in mente di chiedere l’intervento dell’Unione Europea - ma soprattutto hanno un sistema che prevede che il condannato al primo reato, per QUALSIASI reato che non sia di tipo mafioso o di terrorismo, a metà della pena inflittagli possa essere scarcerato completamente libero.

 

Paola M.

 

Prevenzione e sovraffollamento: occuparsi di chi è al primo reato

 

Sovraffollamento, carenza di educatori, mancanza di attività culturali e lavorative nelle quali impegnare le persone detenute. Tutto questo influisce pesantemente sul sistema carcerario, ma in particolar modo e con modalità a mio parere devastanti su chi entra al primo reato e alla prima condanna, abbandonato a se stesso in balia di un mondo sconosciuto. Se poi la condanna non supera qualche anno, allora proprio la persona rischia di venire dimenticata, quando invece dovrebbe essere la beneficiaria degli sforzi massimi congiunti della struttura penitenziaria e di chi ne fa parte. Questa situazione è ancora più paradossale se si guardano i dati di chi è rientrato dall’indulto: fra chi era dentro per il primo reato, solo uno su dieci è tornato a delinquere.

Tutto questo dovrebbe portarci a una riflessione sull’utilità del carcere come unico strumento di pena e rieducazione: siamo proprio sicuri che a quei 9 su 10 che non sono tornati a commettere reati servisse il carcere? Non è forse pericoloso togliere dalla società chi è al primo reato e rischiare che entri in un cortocircuito di devianza criminale stando in contatto con plurirecidivi e in condizioni di abbandono? Inoltre, dato che la prima carcerazione riguarda comprensibilmente in maggioranza giovani, non varrebbe la pena concentrare sforzi sul recupero, sul reinserimento di chi ha ancora tutto davanti ed è ben lontano dall’essere un delinquente patologico?

Penso che sarebbe il momento di iniziare seriamente a prevedere per loro soluzioni alternative al carcere, percorsi diversi dal resto della popolazione detenuta. Ne trarrebbero beneficio tutti: il reo, la sua famiglia, la società, il sistema carcere stesso, in quanto seri percorsi di riabilitazione (anche sotto l’aspetto psicologico, aiutando queste persone a una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità) sarebbero il migliore e più duraturo metodo per abbattere la recidiva e per affrontare in modo costruttivo il problema del sovraffollamento, che altrimenti non potrà che diventare sempre più ingestibile, creando solo più costi e insicurezza per la società.

 

Marco L.

 

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