L'opinione dei detenuti

 

Gli stranieri non sono i responsabili di tutti i nostri mali

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 7 dicembre 2009

 

In un’intervista, il prefetto di Padova Ennio Mario Sodano, ha dichiarato: "Si dice che Germania e Inghilterra hanno più stranieri dell’Italia, ma che qui gli stranieri fanno quello che vogliono. Io rispondo che è così perché vedono gli italiani fare quello che vogliono". Alcuni detenuti italiani della redazione di Ristretti Orizzonti che hanno letto l’intervista, hanno provato a ragionare sul rapporto che c’è tra gli stranieri che trasgrediscono le regole e il senso che la popolazione locale ha della legalità.

 

Bisogna sapere richiedere agli altri quello che noi italiani sappiamo dare

 

Le affermazioni del prefetto sono interessanti e hanno il potere di far pensare. C’è senz’altro del vero nel sostenere che vivendo in una società in cui c’è un’illegalità diffusa se ne possono assorbire facilmente le cattive abitudini. Personalmente ricordo gli anni settanta e i miei viaggi in terra elvetica, dove le strade cittadine sembravano passate con l’aspirapolvere e io italiano con l’abitudine di gettare a terra carte, mozziconi o pacchetti di sigarette vuoti, non mi sarei mai sognato di ripetere un gesto del genere dopo essere stato richiamato da un’attempata signora che mi rimproverava di sporcare il suolo dove lei viveva. Però, quando sono tornato in Italia, le mie cattive abitudini sono riprese e così carte, mozziconi e pacchetti di sigarette vuoti sono ritornati a finire sui marciapiedi e sulle vie del mio paese.

Quindi vivere in un contesto sociale dove i comportamenti viaggiano in linea con la legalità ti porta a rispettare le leggi del posto, mentre se ci sono comportamenti illegali diffusi, anche solo di costume, questo condiziona anche i comportamenti degli stranieri. Questo anche perché i comportamenti illegali sono più facilmente assimilabili e quando la vita è difficile il rispetto delle regole è ancora più faticoso. Il passo è poi breve e da piccole trasgressioni si può sconfinare anche in reati gravi.

Certo il tracimare da un comportamento scorretto al reato penale non è mai giustificabile, poiché comunque a suo fondamento vi è sempre una scelta individuale, ma non si può neppure negare che l’immigrato che arriva in Italia si confronti con il lavoro in nero, affitti senza contratto, che a volte sono il triplo o il quadruplo del costo normale e vendita sottobanco a minorenni di prodotti come alcol e sigarette che dovrebbero di regola essere vietati. Di fronte ad una situazione così, penso che diventi poi difficile concepire un atteggiamento di legalità, ritornando alla mia attempata signora svizzera, che mi rimproverò per quel pacchetto di sigarette vuoto gettato distrattamente sul marciapiede, e raccogliendolo e mostrandomi il cestino dei rifiuti mi diede quella sonora lezione di educazione e legalità civile, non mi rimane che condividere appieno il concetto di legalità espresso dal prefetto Ennio Mario Sodano: possiamo pretendere dagli stranieri quello che noi italiani sappiamo dare e solo allora potremo poi lamentarci dei loro comportamenti illegali.

 

di Maurizio Bertani

 

Il paese delle regole che le regole non le rispetta

 

Che questo sia il paese della regole non c’è dubbio. Il problema è capire a chi siano dirette quelle norme sanzionatorie che ogni anno vengono emanate dal nostro Parlamento.

Gli immigrati, anche se ormai sono diventati indispensabili per l’economia del nostro paese, si sentono ribadire la necessità del rispetto delle regole del paese che li ospita, cui dovrebbero essere grati per l’ospitalità ricevuta. In sostanza è contestato loro il fatto di essere sempre più spesso al centro di numerosi episodi di cronaca che quotidianamente avvengono sulle nostre strade, e di diffondere la paura, aumentando anche l’insicurezza delle nostre città.

Sarà anche così, ma non si può negare che in fatto di rispetto delle regole, purtroppo, noi italiani non abbiamo da insegnare niente a nessuno, visto che il nostro senso civico è uno dei peggiori tra quelli dei paesi cosiddetti civili, e questo da molto prima dell’arrivo degli immigrati. Forse io l’ho capito dopo aver conosciuto la galera, ma anche per chi è fuori basterebbe guardarsi in giro per accorgersi come la furbizia sia oggi il valore che più risalta nel nostro paese, molto più di quello dell’onestà.

Io penso che si possono capire le regole anche senza la paura della galera. Ma come si fa a capire i valori a cui la nostra società si ispira? Agli stranieri, così come a noi detenuti che dovremmo essere rieducati alla legalità, basta fare un po’ di zapping sulle reti televisive per accorgersi che, dalla velina al calciatore, i modelli imperanti sono quelli fondati sulla possibilità di arricchirsi in fretta e facilmente.

D’altro canto nel nostro "bel paese" sono presenti tre tra le maggiori organizzazioni criminali del panorama internazionale, delle loro collusioni con la politica ne parla tutto il mondo. Così come i tanto onesti imprenditori del nord, appena vincono gli appalti nel sud d’Italia, la prima cosa che fanno è quella di cercare il referente locale a cui versare il pizzo.

Infine ci sono le carceri sovraffollate, ormai contenitori in cui relegare le fasce più emarginate della società: la maggioranza dei detenuti infatti, è rappresentata da stranieri e tossicodipendenti. Uno spaccato incompleto però, se si pensa che l’Italia è un paese in cui si commettono un numero altissimo di reati finanziari, i quali, anche se sono meno visibili dello spaccio, dei furti o degli scippi, hanno quasi sempre conseguenze gravissime sui cittadini che perdono i risparmi di una vita.

Alla fine della mia riflessione mi viene da chiedere se non sia stato un po’ avventato nelle mie considerazioni e la mia ricostruzione pessimistica della società italiana non sia solo figlia della galera. Forse allora è vero il contrario, noi italiani siamo diversi: non siamo razzisti, siamo il paese dell’accoglienza, siamo onesti e abbiamo un senso civico tra i più sviluppati al mondo, e io che sono detenuto sono solo un’eccezione. Forse.

 

di Pietro Polizzi

 

Quando la discriminazione dei francesi portava gli italiani a commettere reati

 

L’intervista al prefetto di Padova, Ennio Mario Sodano, ha fatto riflettere anche me sulle varie problematiche che attraversano attualmente la nostra società. Certo l’alcol è un problema per i giovani d’oggi, così come l’uso delle droghe e la tendenza delle nuove generazioni a spingere i loro comportamenti illegali verso direzioni da cui spesso è molto difficile far ritorno. E poi ci sono gli stranieri, che hanno sempre più difficoltà ad integrarsi nel nostro paese.

Mi viene in mente una sola considerazione ed è quella che il nostro stato non sia più in grado di trasmettere alle nuove generazioni un’educazione adeguata, fondata su valori come la fratellanza, l’uguaglianza e il sentimento di appartenenza.

Uno stato che è assente e quando si fa sentire è per emanare nuove leggi più repressive solo per alcune persone, peggiorando la loro situazione spesso già drammatica.

Quello che mi spinge a fare queste valutazioni, sta nel fatto che i vari problemi che sono costretti ad affrontare gli stranieri che immigrano oggi nel nostro paese, io li ho già vissuti ventisette anni fa.

Come clandestino in Francia, quando mi recavo in un’agenzia per chiedere di poter affittare una casa, la risposta era sempre la stessa "siamo nell’impossibilità di poterle affittare un alloggio, in quanto lei non dispone di un lavoro regolare". Invece, quando mi recavo in un’agenzia di lavoro, con la speranza di ottenerne uno, mi veniva detto "siamo spiacenti, ma considerando che lei non dispone di un alloggio, non è possibile".

Costretto quindi ad accettare un lavoro in nero e ad affittare una stanza anch’essa in nero in quartieri malfamati, era per me più facile prendere la strada sbagliata. Nella pensione in cui vivevo c’erano diversi immigrati italiani che pernottavano in nero come me, anche loro incontravano le mie stesse difficoltà d’inserimento e accettazione e molti alla fine hanno finito per commettere piccoli reati, come furti e spaccio. Alcuni sono poi finiti in carcere per reati gravi.

Io invece ho sempre evitato di lasciarmi trascinare in attività illegali, anche perché avevo già conosciuto il carcere in Italia. Oltre all’esperienza passata, altri due fattori che mi hanno permesso di non superare la sottile linea che separa quello che è lecito da quello che non lo è, sono stati la mia scelta personale di non voler ritornare in galera e il fatto che non avevo bisogno di soldi, poiché lavorando in nero riuscivo a coprire le mie spese. Sono andato avanti così per diversi anni, finché un giorno ho incontrato una ragazza francese e sposandola sono riuscito a regolarizzarmi.

Mi ricordo comunque che anche in quegli anni il problema dell’alcol era molto presente fra i giovani che frequentavo, la sola differenza stava nella discrezione, si evitava di farsi vedere, anche coloro che spacciavano erano molto discreti. Oggi invece dalle nuove generazioni tutto viene fatto alla luce del giorno e le loro problematiche sono per questo maggiormente al centro del dibattito pubblico e delle scelte politiche.

Vorrei comunque ricordare, che nella prima meta del novecento anche noi italiani siamo stati un popolo di migranti e lo siamo in parte ancora, e forse ci siamo dimenticati come siamo stati accolti, come ci hanno emarginato e umiliato.

Stiamo trattando gli stranieri che attualmente immigrano da noi nella stessa maniera in cui siamo stati trattati noi, eppure anche loro, come noi in un tempo non troppo lontano, sperano in un’esistenza migliore. Tutte le sofferenze che ci sono state inflitte come stranieri non sono allora servite a niente? Da quello che sento e vedo, direi di no.

 

di Walter Sponga

 

 

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