L'opinione dei detenuti

 

Cosa significa cosa significa avere un genitore da anni in galera

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 30 novembre 2009

 

Proviamo a pensare ogni tanto alle pene e al carcere, visti dalla parte dei famigliari dei detenuti, di quelle persone che quasi sempre sono a loro volta vittime. Il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Casellati ha dichiarato ultimamente, anche nella sua più recente visita alla Casa di reclusione di Padova, di essere favorevole, a titolo personale, alla possibilità che i detenuti incontrino periodicamente mogli o compagne nei colloqui intimi, senza la sorveglianza diretta degli agenti, come ormai avviene nelle carceri di tantissimi Paesi. Questi colloqui però, aggiungiamo noi, non servirebbero solo per ridare un po’ di normalità alla vita di tante coppie spezzate dalla galera, ma sarebbero anche di enorme importanza per i figli, che così avrebbero la possibilità di incontrare i genitori in condizioni decenti e di cominciare a ricostruire faticosamente un rapporto che si è rotto. Così come servirebbe che le persone detenute potessero fare un percorso graduale di reinserimento con le misure alternative, e non uscissero invece dal carcere a fine pena, dopo anni di galera, magari avendo perso anche tutti i legami affettivi. Quella che segue è una intervista alla figlia di una donna, che ha avuto una lunga esperienza di carcere, e che ora spesso mette al servizio degli altri la sua esperienza negativa, parlandone agli studenti nelle scuole, in un percorso dedicato alla legalità e alla devianza. È una intervista coraggiosa, che fa capire in modo straordinariamente chiaro quanto è difficile avere un genitore in carcere, e quanto è importante che la società riesca a superare la rabbia istintiva verso chi commette reati, e ritrovi la capacità di punire in modo umano e, sì, anche mite.

 

Come hai saputo dell’arresto di tua madre?

Quando hanno arrestato mia madre avevo15 anni. Me l’ha scritto lei per lettera, ma io all’inizio non mi rendevo conto di quel che era successo, però poi ho iniziato a capirlo. Non bene comunque, era l’unico genitore che avevo. Ero molto arrabbiata.

I nonni ci sono rimasti molto male, ma sono stati comunque abbastanza forti, specie la nonna, è stata lei che per prima ha detto che dovevano stare vicino alla loro figlia, comunque e in ogni caso, quindi hanno fatto secondo me la cosa giusta. Però io non volevo proprio più vederla mia mamma. Non volevo neppure sentirne parlare. L’avevo "cancellata" proprio. Sei l’unico genitore che ho, non sei mai stata presentissima, e vieni anche arrestata!

 

Secondo te perché tua madre si è trovata in quella situazione?

Crisi. Dopo che è morto mio padre è andata in crisi. C’è stato un errore dopo l’altro finché non ha toccato il fondo. Fortunatamente adesso si è ripresa, ha in mano la sua vita. E meno male sennò… Se dovesse commettere un altro errore per me sarebbe veramente morta. È stata una situazione molto pesante, però vedo che si è ripresa bene e l’importante è che stia bene lei adesso.

 

Ne hai mai parlato con i tuoi amici?

Alcuni lo sanno, quelli più stretti. Non son cose da dire a tutti. La mia migliore amica lo sa. L’ho messa al corrente dopo molti anni da quando è successo. Un mio carissimo amico d’infanzia con cui sono cresciuta, l’ha saputo quasi subito dal giornale e mi è stato molto vicino "senza dire niente", senza parlarne. Io sapevo che sapeva e che mi stava più vicino per questo. Ma non avevo voglia di parlarne e lui ha sempre rispettato questa mia volontà.

Le persone che mi conoscono bene comunque non mi giudicano negativamente per questo. Anzi questa cosa non ha influito sul loro giudizio su di me.

 

Come è stata la prima volta che sei entrata in carcere per andare a trovare tua mamma?

La prima volta che sono andata era estate, e poiché non ero ancora maggiorenne ho potuto fare il colloquio in giardino. Non era niente male e non sembrava di stare in un carcere. Invece all’interno, dove si svolgevano i colloqui "normali", non era molto, diciamo, accogliente. E comunque non era il problema di andare a trovarla, non era il problema della sala colloqui. Il problema era il fatto che LEI ERA IN CARCERE. Era più pesante sapere che lei era detenuta.

In effetti sono stati i nonni e la zia che pian piano mi hanno fatto capire che lei era comunque mia mamma e che dovevo andare a farle visita. Non so ma per me era pesante andarla a trovare. Ce l’avevo con lei comunque, e ce l’avevo perché mi aveva praticamente abbandonata.

 

Ti vergognavi di quello che lei aveva fatto?

All’inizio sì, ma adesso, conoscendola meglio, sono anche orgogliosa di come ne è uscita.

Le cose sono passate e lei ha reagito bene e ne è uscita bene, e questo è l’importante.

Sono molto fiduciosa sul fatto che non farà più "cazzate".

 

Ti ricordi i primi permessi che ha fatto a casa?

I ricordi non sono perfetti, ma so che non volevo che venisse a casa. A quel tempo ero ancora troppo arrabbiata con lei. Cambiavo umore, ero molto più nervosa. Poi era un po’ strano vedersela a casa dopo tutti quegli anni. Anche lì pian piano però le cose si sono sistemate.

Poi è arrivato l’affidamento ai servizi sociali, nell’ultimo anno di pena, e lei è venuta a vivere con noi, e il clima all’inizio in casa non era dei migliori, la tensione potevi tagliarla con il coltello. La mamma la sentivo di troppo a casa, non è stato facile ricostruire un rapporto, e le misure alternative sono servite a lei e a noi proprio per riabituarsi alla vita normale, ma devo anche dire che lei è stata molto brava a reagire.

 

Oggi che rapporto hai con lei?

Oggi ne sto costruendo uno, più che avere un rapporto. Sai, si era rotto. Già prima che finisse in carcere era abbastanza debole, era lei che era in crisi. Questo l’ho capito parlandole e leggendo qualcosa che ha scritto. Era in crisi da quando era morto mio padre. Era innamoratissima di mio padre, ha fatto un errore dopo l’altro ma importante è non commetterli di nuovo. Sono convinta che mia mamma non farà altre stupidaggini, anche perché in caso contrario non lo sopporterei! Insomma sono fiduciosa, adesso si può costruire ripartendo da zero.

Ma certo in carcere non è stato semplice. Andandola a trovare una volta al mese non era possibile instaurarci un rapporto. Da quando è uscita, anzi, da quando è andata a vivere da sola è stato un po’ più semplice. Prima sentendoci spesso al telefono, poi vedendoci più spesso al di fuori della famiglia. Io ero ancora un poco arrabbiata, non è che cose così vadano via in un lampo. Però poi ho visto che parlandoci, non dico "a cuore aperto" ma almeno sinceramente, hanno iniziato a cambiare le cose. All’inizio era lei che mi cercava e questo a volte mi infastidiva: spesso non le rispondevo al telefono. Era un po’ invadente, ma l’ha capito subito e ha aspettato che fossi io a cercarla, ha aspettato i miei tempi. Del resto me l’ha anche detto. Insomma è una donna intelligente e certe cose le capisce.

 

Quand’è che ti rivolgi a lei? In quali occasioni?

Se ho voglio di sentirla la chiamo, anche abbastanza spesso. Magari in questo periodo, tra l’università e il lavoro sono molto occupata, e quindi ci sentiamo un po’ meno. Ma comunque anche lei è parecchio impegnata.

Quest’estate mi ha lasciato le chiavi di casa sua dove qualche sera ho dormito, dove ho organizzato qualche cena con le amiche. Anche quello è un modo per entrare in contatto con lei. Mi faceva piacere il fatto che fosse casa sua e che io potessi andarci liberamente.

 

Conosci l’attività che fa tua mamma adesso con le scuole. Cosa ne pensi?

Per me è un’ottima cosa. Questo l’aiuta a vedere anche il punto di vista dei ragazzi. Un conto è il mio, un altro quello che pensano le altre persone. Un po’ mi racconta le domande che le fanno, così ha il modo di affrontare le questioni più difficili. Si mette in discussione.

 

Secondo te è utile anche per i ragazzi?

Sì, assolutamente. Un conto è vedere la persona che va in carcere e poi ci ricade, un conto è vedere le persone che ce la fanno come mia madre, che reagiscono bene, che sono forti. E serve anche come esempio per non commettere certi errori, per pensarci.

 

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