L'opinione dei detenuti

 

Lanciamo un appello in difesa dell'articolo 27 della Costituzione

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 6 luglio 2009

 

Un appello in difesa dell’articolo 27 della Costituzione; la ricerca di un docente universitario che dimostra che l’indulto non ha avuto affatto le conseguenze disastrose di cui tutti parlano; la testimonianza di un detenuto, che spiega quanto inutile sia la pena scontata in carceri sovraffollate senza far niente: che cosa hanno in comune questi tre testi che pubblichiamo? Hanno in comune il clima di paura e insicurezza, che ha portato a stravolgere la realtà, facendo passare l’indulto come il peggiore dei mali e illudendo la gente che solo lasciando chi commette reati in carcere a lungo e senza prospettive di uscita graduale con le misure alternative, si può vivere più sicuri.

 

La vera sicurezza per i cittadini

 

Educhereste i vostri figli al rispetto della legalità facendoli crescere in un ambiente dove è impossibile rispettare la legge? Nelle carceri italiane ci sono 43.117 posti regolamentari e quasi 64.000 detenuti. Stipati uno sull’altro. Il personale sotto organico è costretto a lavorare in condizioni di disagio e tensione.

In questa situazione viene meno anche la dignità e l’umanità delle persone detenute. Nelle sovraffollate carceri italiane, le persone che dovrebbero iniziare un percorso graduale di reinserimento nella società, sono invece sempre più spesso rinchiuse nelle celle a non far niente. L’articolo 27 della Costituzione italiana dice che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

I cittadini italiani chiedono sicurezza. Hanno diritto alla sicurezza. Ma in che modo parcheggiare in celle invivibili i detenuti a non far nulla contribuisce alla sicurezza? Non conviene a nessuno che una persona che ha commesso un reato esca di galera peggiore di come ci è entrata. Se i cittadini liberi ci riflettessero più spesso, forse smetterebbero di pensare che la soluzione a ogni problema sia prevedere sempre più galera per chi viola la legge.

Oggi abbiamo superato non solo la capienza regolamentare delle carceri, ma anche quella ritenuta dal Ministero della Giustizia "tollerabile". E le previsioni parlano di aumento esponenziale di "tempo inutile" del carcere, perché manca il personale, mancano attività lavorative, mancano spazi. Ci serve davvero più carcere, o ci serve un carcere diverso? L’articolo 27 della Costituzione ci fornisce la più moderna soluzione ai problemi della sicurezza: una pena che abbia un senso e che dia speranza. Teniamocelo stretto.

 

La redazione di Ristretti Orizzonti

 

Indulto e "panico morale"

 

Dove nasce la ricerca "Indulto. La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?". Noi abbiamo cercato di fare un monitoraggio sulla recidiva dei beneficiari dell’indulto, sostanzialmente perché si è sviluppato un dibattito pubblico che ha dato per scontato che l’indulto sia stato un fallimento e questo fallimento è stato attribuito a vari motivi, uno dei quali è che le persone che ne hanno beneficiato uscivano dal carcere e commettevano nuovi reati. Gli ultimi dati che abbiamo raccolto, a 26 mesi dalla concessione dell’indulto, sono che la recidiva dei provenienti dal carcere è del 26, 97% e del 18, 97 per cento di coloro che provengono dalle misure alternative.

Dato che larga parte dei rientri in carcere avviene entro i primi due anni, questo ci porta a valutare la recidiva dei beneficiari dell’indulto come più bassa rispetto all’ordinario. Del resto, già negli anni ottanta sono stati svolti alcuni monitoraggi dal Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale, che avevano mostrato proprio come chi beneficia di un provvedimento di clemenza non ha tassi di recidiva più elevati rispetto alle altre persone che concludono la pena. Noi però possiamo raccontare quanto vogliamo che i dati ci danno tassi di recidiva più bassi, ma l’opinione pubblica non cambia. In tutti i luoghi in cui vado a presentare i dati, l’uditorio è convinto che la recidiva sia molto più elevata.

Un dato significativo è che, fra coloro che alle spalle non avevano nessuna precedente carcerazione, circa 10.714 persone uscite dal carcere per effetto dell’indulto, soltanto il 12 per cento sono rientrate in carcere. Questo vuol dire che per quasi 9 persone su 10 di quelle che sono uscite dal carcere essendo alla prima esperienza detentiva, l’indulto è stata l’occasione per non rientrarci più. Però, nonostante tutto, si è creato quello che i sociologi chiamano "panico morale".

C’è stata in tempi brevissimi una progressiva ondata di informazioni secondo cui l’indulto era criminogeno. Da questo punto di vista l’informazione è stata assolutamente univoca ad attaccare l’indulto, definendolo come fallimento. Di conseguenza i politici, dopo aver votato a larga maggioranza la legge, hanno progressivamente rinnegato il provvedimento definendolo un errore, un ricatto. Tale atteggiamento appare come lo specchio di una degenerazione del sistema politico che, lungi dall’adottare scelte chiare e coerenti, va dietro le spinte emozionali, senza preoccuparsi della corrispondenza fra tali spinte e la realtà, ma esclusivamente inseguendo il consenso elettorale espresso dall’ultimo sondaggio di opinione.

 

Giovanni Torrente

docente di sociologia giuridica

dell’ateneo della Valle d’Aosta

 

La "prevenzione" è la parola giusta

 

Io sono stato giudicato dalla società un violento, non rispettoso delle regole della convivenza civile, ed è giusto che da quella società venga allontanato per il tempo che la legge stabilisce. Tuttavia posso dire che oggi le istituzioni non hanno una grossa capacità di recuperare quei loro membri, che si spingono sulla via della delinquenza: si preferisce invece vedere ogni problema come una emergenza da affrontare applicando la massima severità nelle sanzioni.

Intanto le galere sempre di più si riempiono di persone che non sono i delinquenti che hanno fatto una scelta di illegalità, sono piuttosto giovani, tossicodipendenti, persone con disagio mentale, e questo mi fa pensare che la società dovrebbe predisporre ogni forma di prevenzione nei confronti di quei modelli di vita trasgressivi e spericolati messi in atto soprattutto dai giovani. L’uso di bevande alcoliche, di sostanze stupefacenti, la guida sotto effetto di queste sostanze, portarsi un coltellino in tasca, non sono considerati dai ragazzi possibili reati, ma comportamenti sopra le righe, solo che queste righe sono estremamente labili, e il loro superamento veramente pericoloso. Ecco che allora la parola "prevenzione" non solo è quella giusta, ma è anche molto più logica di "emergenza".

Dei miei trent’anni di carcere già scontati posso affermare che in buona parte sono stati inutili: sono entrato in carcere 7 volte, ma forse questa è la prima volta che "mi faccio davvero il carcere", la prima volta che mi trovo a dover rivedere i miei comportamenti, assumendomi le mie responsabilità. E questo succede perché mi ritrovo coinvolto in attività come la redazione di Ristretti Orizzonti, che mi ha "costretto" a un confronto importante con le vittime di reati.

Purtroppo però questi spazi di confronto nelle carceri sono rari, e soprattutto si stanno restringendo per il sovraffollamento sempre più intollerabile. In questa situazione la pena non ha un senso, la paralisi dell’articolo 27 della Costituzione è evidente, ma nessuno se ne cura, forse perché si tratta di detenuti, quindi parte di quella società che occupa l’ultimo gradino della scala sociale.

 

Maurizio Bertani

 

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