L'opinione dei detenuti

 

Violenza e punizioni poco umane generano solo altra violenza

A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 27 ottobre 2008

 

Inasprire le pene, chiedere più carcere per qualsiasi reato, non "accontentarsi" mai degli anni di galera che deve farsi chi viola la legge non è affatto detto che porti più sicurezza, mentre è sicuro che genera un clima di violenza e di odio che intossica la vita sociale. E comunque, se un detenuto si fa anni e anni di galera senza iniziare un percorso di reinserimento, il pericolo che torni a commettere reati è infinitamente superiore che non per chi esce prima gradualmente, dunque se non si accetta questa seconda soluzione, si deve per lo meno essere consapevoli che, facendo uscire chi è in galera solo a fine pena, metteremo molto più a rischio la società. Così come la metteremo a rischio, se pensiamo di stroncare l’illegalità usando sempre e solo la galera come punizione.

 

La severità richiede prudenza, altrimenti mette a repentaglio la vita di tutti

 

Ricordo che negli anni ottanta, quando al mio Paese, la Nigeria, c’era ancora in vigore la pena di morte per molti reati violenti e per quelli connessi alla droga, tanti banditi erano pronti ad uccidere per non essere arrestati ed andare incontro a una morte sicura. E parlo anche di semplici ladri e rapinatori. Simili situazioni mi hanno insegnato che quel principio, che ci spinge a chiedere sempre più punizione, quella voglia di veder soffrire gli altri punendoli sempre più pesantemente, spingono spesso le persone che vivono ai margini alla disperazione e a commettere altri atti delittuosi, che alla fine danneggiano ancora di più la collettività.

In Nigeria, a causa di simili leggi, molti innocenti venivano uccisi a volte soltanto perché erano presenti durante una rapina, o perché forse i rapinatori temevano di essere riconosciuti da qualche persona come un vicino di casa, o un conoscente – e per non lasciar traccia del loro atto criminoso finivano per usare molta più violenza di quella che di solito veniva messa in atto in queste situazioni. Questo vuol dire che la severità richiede al tempo stesso prudenza, altrimenti diventa pericolosa per tutti e non garantisce sicurezza agli innocenti, anzi ne mette a repentaglio l’incolumità, all’interno di situazioni rese ancor più pericolose. Alla fine nel mio Paese si era creata una spirale di violenza fuori controllo, e un senso di diffidenza e di paura tra i cittadini. Poi però nel tempo a quel clima di violenza abbiamo cominciato a fare l’abitudine, cosi è quasi diventata una prassi che tutti dovevano difendersi da soli perché non volevano aspettare le forze dell’ordine quando succedeva qualcosa. In tanti hanno deciso così di munirsi di armi, creando uno stato di caos con diversi omicidi causati da una paura del tutto irrazionale di essere uccisi per primi. Questi miei ricordi della Nigeria possono essere anche paragonati a quello che spesso succede in America e in tanti altri Paesi dove si esalta la severità, anzi l’intransigenza nella punizione di ogni atto criminoso, invece di rieducare e di cercare di recuperare sempre e in ogni caso chi commette reati.

Gli italiani invece secondo me dovrebbero essere contenti che la pena di morte non fa più parte della loro cultura e che i condannati in carcere non si comportano da disperati, perché hanno sempre una piccola speranza di uscire un giorno di galera non del tutto rovinati.

 

Prince Obayangbon

 

Morire subito o più tardi, lentamente?

 

Vorrei tornare sulla questione della semilibertà a Pietro Maso, "dopo soli 17 anni", come ho letto su molti giornali. Mi viene in mente di chiedere a chi ha scritto questa cosa se sa che cosa sono 17 anni trascorsi in una cella. L’Italia è un paese dove vediamo ogni giorno partecipanti a vari programmi come il Grande fratello, l’Isola dei famosi, La talpa, persone che sono pagate e avranno porte spalancate per fare carriera nel mondo dello spettacolo, che dopo una decina di giorni trascorsi fuori casa o fuori del loro ambiente abituale, vedendo il loro cane o le foto della loro infanzia cominciano a piangere. Che commozione, quasi quasi mi commuovo anch’io per loro. Mi verrebbe da dire: quanta sofferenza, quante sono le persone sensibili in questo Paese quando si tratta di loro e dei loro affetti!

Sono anche io un detenuto, ho preso più di 20 anni per traffici illeciti, anche se non appartengo alla mafia e non ho l’aggravante dell’associazione a delinquere. Sono dal 1999 in carcere, altro che storie che leggo nei giornali, che nessuno si fa la galera! Si, non se la fanno forse quelli che hanno soldi, quelli che hanno amicizie nella politica, quelli che sono collaboratori di giustizia, e neanche le persone note per scandali finanziari che hanno fregato diecine di migliaia di cittadini. La galera se la fa soprattutto quello che vive alla giornata, o la zingara che fa un borseggio, o l’ultimo tossico abbandonato a se stesso, o persone che piuttosto di stare in mezzo a una strada tentano di arrangiarsi per non morire di fame, questa è la maggioranza dei detenuti.

In Italia la pena ha la funzione di rieducare, di reinserire la persona. Mi chiedo qualche volta quanto tempo è necessario che uno stia in galera, per essere considerato veramente recuperato e reinserito. Qualcuno ha fatto qualche studio per definire il tempo necessario, o è più comodo sbattere l’individuo dentro e lasciarlo lì perché tanto è difficilmente recuperabile? Che differenza c’è tra la morte fisica e la morte psicologica, non è come la morte stare rinchiusi anni e anni? Io capisco le vittime dei reati, cerco di mettermi nei loro panni, secondo me bisogna chiedere a loro se vogliono davvero la giustizia o la vendetta. Se vogliono che gli autori del reato muoiano con una morte lenta, e che non escano dalla galera se non nel momento in cui sono completamente distrutti. Allora dico che è meglio morire fisicamente e subito, piuttosto che morire lentamente. E a questo punto chiederei che si introducesse la pena di morte: non ha senso fare finta di essere buoni, è meglio togliersi la maschera, e dire a voce alta "noi vogliamo che muoiano", vogliamo la pena di morte!

 

Milan Grgić

La paura che uccide

 

L’ondata di nuove leggi, che come risposta ai problemi di sicurezza propongono soprattutto l’inasprimento delle pene, non preoccupa solo noi che viviamo in carceri sovraffollate, ma sta diffondendo un senso di paura pure in tante persone che vivono in ambienti "perbene". Oltre a colpire clandestini, lavavetri, mendicanti e prostitute, misure drastiche sono state prese anche nella prevenzione degli incidenti stradali, con l’introduzione di pene fino a quattordici anni di carcere se uno guida sotto gli effetti di droga o alcool e investe una persona uccidendola.

Questo clima però, che è venuto a crearsi da quando si parla sempre più spesso di punizioni esemplari, non sono convinto che serva a ridurre gli incidenti per guida pericolosa, perché non risolve il problema a monte, ma pretende di eliminare gli effetti con la paura.

E questo vale per tanti reati. In Italia, per lo spaccio di stupefacenti ci sono le pene più alte d’Europa, ma la droga gira lo stesso, e tanta, e le carceri scoppiano per le migliaia di spacciatori condannati; i clandestini che vengono fermati e non lasciano il paese fanno anche due anni di galera, e qui nel carcere di Padova ce ne sono tanti, ma ugualmente tutti i giorni continuano a sbarcare immigrati; e anche per l’abuso di alcool da parte dei giovani continuerà ad essere così, indipendentemente dalle sanzioni.

Minacciare i giovani con la galera produce allarmismi pericolosi. Ad esempio, l’ultimo caso dei due ragazzi incensurati, fuggiti in moto e uccisi durante un inseguimento della polizia, fa pensare: sono morti perché erano sprovvisti di una polizza assicurativa e avevano paura delle conseguenze, e questo è un forte segnale di come questo clima di intransigenza si tramuta facilmente in una paura che porta i giovani a compiere gesti estremi. Se questi due ragazzi fossero stati dei pregiudicati, magari usciti con l’indulto, forse avrebbero fatto più notizia, ma una tragedia così deve far riflettere.

Certo è giusto punire chi viola la legge, per cercare di rendere più sicure le strade e la vita delle persone, ma nello steso tempo bisognerebbe puntare di più sulla educazione dei giovani, fare dei progetti che aiutino a creare una cultura della legalità, per prevenire gli incidenti, e non pensare solo a leggi severe per punire dopo che le tragedie sono ormai compiute.

Inasprire le pene e puntare sul carcere è, secondo me, il modo più incivile e meno efficace per rendere una società migliore. Mettendo la gente qui in galera non si avranno dei guidatori più responsabili. Invece, se ci si convincesse di punire alcuni reati scegliendo dei percorsi alternativi, come far lavorare al Pronto Soccorso i giovani che hanno provocato incidenti per colpa dell’alcol tutti i fine settimana per lunghi periodi, si riuscirebbe a ridare alla collettività delle persone più responsabili. La lezione che si può trarre dalla morte dei due ragazzi è che la paura genera insicurezza, inciviltà e intolleranza: la paura porta ulteriore paura, quella che a volte uccide.

 

Gentian Germani

 

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