L'opinione dei detenuti

 

Galera, galera, galera… e ancora e soltanto galera

A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 20 ottobre 2008

 

Viviamo in una società che si convince ogni giorno di più che gli autori di reato stanno troppo poco in carcere, e che la soluzione di ogni problema passa per la detenzione, perfino se il problema è un ragazzo che scrive su un muro o una casalinga che butta una vecchia lavatrice, tutti comportamenti da sanzionare, per carità, ma non andando a riempire le galere. Allora, suona piuttosto velleitario che noi, che in carcere ci stiamo davvero, ci sforziamo di convincere i nostri concittadini che la galera non cura nessuna malattia, né ci rende più sicuri, ma vogliamo continuare a provarci lo stesso.

 

Puntare al recupero di chi ha sbagliato

 

Ho l’impressione, stando in galera, che in Italia sia cresciuto e prosperi un virus strisciante, che alimenta paura e insicurezza. Tutto fa paura: nomadi, autori di reati in libertà, ubriachi al volante, i graffitari che scrivono sui muri. Per debellare il diffondersi del morbo si ricorre all’unica medicina conosciuta: Più carcere. Aumento delle pene. Meno misure alternative. I dati del Ministero della Giustizia indicano però una certa stabilità nei reati e non fanno dell’Italia un Paese meno sicuro di altri con lo stesso livello di sviluppo. Però tv e giornali ci raccontano il contrario, facendo spesso aumentare la paura e spingendo a chiedere pene più dure. Nasce così l’ennesimo pacchetto anticrimine, ancora con la logica che ci vogliano, appunto, "pacchi" di misure emergenziali. Mai che si parli di "problemi", no è sempre meglio parlare di "emergenze", perché questo permette di fare leggi frettolose e sempre più punitive, che poi non durano mai solo la stagione di una emergenza, ma restano a tempo indeterminato. Io credo però che non si curi un tumore con l’aspirina.

Il ricorso spregiudicato alla carcerazione allontana momentaneamente il virus dalla società, ma nello stesso tempo non lo debella. La società non ha paura di un malato guarito, teme invece un ricoverato dimesso senza essere stato curato adeguatamente. Per la stessa ragione, se un detenuto è stato allontanato dalla società per scontare la sua pena, quella pena deve avere un senso, e il ritorno alla libertà deve essere quello di una persona nuova, diversa. Cosa succede invece? Che lo Stato individua il malato, lo incarcera, lo isola, il tutto in nome della sicurezza dei cittadini. Poi spesso lo abbandona a se stesso.

Il recente decreto legge "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica" usa questa interessante parola, "pubblica", cioè di tutti i cittadini. A me pare che con il sistema attuale non esisterà mai una sicurezza degna di questo nome, non esisterà un senso da dare alla pena, se non quello di creare ex detenuti che dopo anni di carcere usciranno uguali a quando sono entrati, e non pronti a convivere nel rispetto dei diritti altrui. Ci sono norme studiate proprio per la sicurezza, per riportare gradualmente nella società chi deve scontare una pena, e invece si pensa che sia meglio far stare la gente in galera di più. Io cittadino, perché comunque prima di essere detenuto sono stato un cittadino, sarei incazzato se il carcere mi restituisse non persone in via di guarigione, ma malati terminali. Io cittadino vorrei giuste condanne, ma soprattutto il recupero di chi ha sbagliato. Perché io cittadino so che un domani queste persone, scontata la propria pena, faranno ritorno fra di noi.

 

Franco Garaffoni

 

La pena non deve essere una vendetta della società

 

C’è un principio sancito dalla Costituzione secondo il quale un imputato può essere dichiarato colpevole solo al termine dei tre gradi di giudizio. Ma un recente rapporto dell’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione (I.s.p.o.) ha indicato un dato molto significativo del clima che si respira oggi in Italia: il 60% degli intervistati è favorevole a tenere un innocente in galera piuttosto che rischiare che un presunto colpevole resti in libertà. A questo dato sconcertante se ne deve aggiungere un altro che interessa tutti, cioè anche voi cittadini liberi, che è quello relativo alle persone detenute in custodia cautelare. Il 55% delle persone detenute nelle carceri italiane è in attesa di giudizio. Un vecchio film di Alberto Sordi, "Detenuto in attesa di giudizio", potrebbe essere utile a capire cosa succede a una persona innocente che finisce in galera. Circa la metà di questi detenuti in attesa di giudizio al processo risulterà innocente! Quando una persona è incarcerata, con lei vengono risucchiati in un vortice di paura, ansia, dolore i suoi famigliari.

Anche se poi vieni riconosciuto innocente, anche se ti liquidano un danno materiale per l’ingiusta detenzione, tu e la tua famiglia non siete più quelli di prima, gli onesti con fedina penale pulita. Nel nostro sistema penale l’accusa deve provare la colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. Nei fatti non è quasi mai così. L’imputato è già colpevole sui giornali o sui telegiornali, poi si vedrà al processo. Cito un fatto recente: il papà dei fratellini di Gravina di Puglia morti per la caduta in un pozzo, incarcerato come la belva che ha barbaramente trucidato i figli, messo alla gogna mediatica con la sua famiglia. Chiediamoci tutti cosa hanno provato lui e i suoi cari.

Quale devastazione dell’anima ma anche del corpo incarcerato. Siamo veramente sicuri che è meglio un innocente in galera che un presunto colpevole in libertà? Chi ha scritto la nostra Costituzione, basata sul rispetto della libertà, era veramente cosi buono e ottuso o ha pensato di garantire i diritti inviolabili di tutti i cittadini onesti? Un innocente in carcere l’ho incontrato più di una volta, e credo che prima di mettere una persona in galera con la facilità e la creatività che c’è oggi in Italia tutti devono pensare: se quella persona fossi io? Mio padre? Mio fratello? Pensateci con calma, migliaia di presunti innocenti sovraffollano le carceri italiane in condizioni precarie, ha senso aggiungerne altri? Aggiungere qualche nostro famigliare? Io penso di no, bastano già i colpevoli, che non sempre espiano una pena giusta. Una pena che non dovrebbe essere una vendetta della società sull’individuo che ha sbagliato, ma un percorso di responsabilizzazione e di umanità per poter divenire persone migliori.

 

Daniele Barosco

 

Quello di Tommaso non sia un privilegio

 

Qualche giorno fa, sfogliando il Mattino di Padova, mi sono imbattuto in un titolo inconsueto: "Tommaso torna libero, obbligo di firma. Ha ammesso al gip: "Ero molto ubriaco". Il sottotitolo aggiungeva che Tommaso ha cercato di investire un carabiniere ed è accusato di tentato omicidio. I titoli dei giornali a volte sembrano degli slogan che, oltre a voler colpire l’attenzione del lettore, lanciano anche messaggi di paura.

Ma in questo caso il titolo non ha suscitato in me alcuna preoccupazione, e incuriosito dall’insolito messaggio mi sono fermato a leggere la storia del giovane Tommaso, un venticinquenne che un sabato ha bevuto cinque drink e poi, messosi alla guida del suo Suv e avendo incontrato un posto di blocco, ha pigiato sull’acceleratore tentando di investire un carabiniere, che si è salvato buttandosi per terra. Il giornalista sottolineava che il giovane non è un delinquente ma uno studente "tradito dai fumi dell’alcol". Sono da dodici anni in un carcere italiano e tutti i giorni leggo almeno un giornale e ascolto diversi telegiornali, ma è davvero raro trovare un giornalista che ci informi in modo pacato di un crimine.

E non posso nascondere la felicità che mi dà vedere che ci sono giornalisti capaci di conservare l’onestà intellettuale di non calcare la mano su chi commette reati. Tuttavia mi sento confuso, se penso che gli incidenti stradali sono diventati un’emergenza, guidare ubriachi è considerata un’infrazione grave e uccidere un appartenente alle forze dell’ordine è punito con l’ergastolo, stando alle nuove leggi di questo Governo. Mi vengono in mente casi di cronaca in cui le responsabilità penali del reo non erano più gravi di quelle di Tommaso, ma i titoloni dicevano "Rumeno sorpreso a rubare è già fuori dal carcere!", "Albanese alla guida ubriaco uccide ed è già fuori", e poi gli articoli descrivevano criminali senza un’anima, senza una storia.

Ricordo molti articoli in cui la notizia di una scarcerazione dopo pochi giorni era lanciata come un atto d’accusa verso una giustizia che non funziona, o verso dei magistrati buonisti. L’Italia ha un sistema giudiziario che offre la possibilità agli incensurati accusati di un reato, se non sono ritenuti pericolosi, di attendere il processo fuori dal carcere, e di entrarci solo a condanna avvenuta per espiare la pena. Così il giudice non deve stabilire una cauzione in denaro, e quindi anche i poveri possono usufruire di questa garanzia.

Io sono contento che Tommaso attenda il processo vicino ai suoi cari, ma spero tanto che da ora in poi tutti i giornalisti pensino al suo caso quando dovranno dare la notizia di un immigrato o di un rom che, dopo aver fatto un reato, usciranno dal carcere in attesa di giudizio. La compassione e la comprensione non devono essere date solo a chi ha dietro alle spalle una famiglia in grado di pagare i danni, ma a tutti quanti.

 

Elton Kalica

 

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