Rassegna stampa 9 marzo

 

Giustizia: Caliendo; in istituti del nord 70% detenuti immigrati

 

Agi, 9 marzo 2010

 

La presenza di immigrati negli istituti penitenziari italiani è "prevalente" nel Nord-Italia "dove si arriva anche al 70%". Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, osservando che "i problemi da affrontare sono molteplici e tutti preceduti dalla necessità di creare un ponte di comprensione linguistica, senza la quale è difficile anche rapportarsi a quelle che sono le richieste più elementari".

Caliendo è intervenuto ieri al convegno, organizzato dal sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, su "Immigrazione e tossicodipendenza. Carcere, ambiente e territorio", ed ha detto di aver "apprezzato" la relazione del segretario generale del sindacato Donato Capece, "che ha richiamato alla nostra attenzione l’importante ruolo culturale assunto oggi dalla Polizia Penitenziaria".

Anche "di fronte alla piaga della tossicodipendenza, così tristemente presente anche nella nostra popolazione di immigrati, la Polizia Penitenziaria - ha aggiunto il sottosegretario - è stata capace di creare una rete di raccordo con gli operatori interni ed esterni al carcere, tale da consentirne una efficace e concreta partecipazione al recupero".

Caliendo ha infine dedicato un accenno al braccialetto elettronico, strumento di controllo a distanza del carcerato che, se non si è macchiato di reati gravi, può accedere alla possibilità di scontare la pena presso il proprio domicilio, in linea con quanto recentemente approvato dal Consiglio dei ministri in tema di detenzione domiciliare, in occasione del via libera al Piano carceri presentato dal ministro Alfano.

Giustizia: Sappe; 24 mila in sovrannumero, il piano non basta

 

Ansa, 9 marzo 2010

 

Rivedere il sistema penale in "un’ottica più leggera", per quei reati che non destano allarme sociale, prevedere l’affidamento terapeutico dei tossicodipendenti nel rispetto della legge Fini-Giovanardi e sostituire, nell’ambito del piano carceri, le strutture "galleggianti" con un "sistema modulare" di acciaio facilmente sopraelevabile e più economico. Sono alcune delle proposte che il sindacato di polizia penitenziaria Sappe ha formulato al governo e al Parlamento in un convegno dedicato al sovraffollamento degli istituti di pena.

"Oggi esiste un eccesso di presenze di circa 24mila detenuti, rispetto alla capienza regolamentare", ha detto il segretario del sindacato, Donato Capece. La conseguenza è "l’impossibilità di stare in piedi tutti insieme negli spazi liberi dalle brande". Un quarto dei 66.700 detenuti è tossicodipendente, 24.800 sono stranieri: "Di fronte a questi numeri - afferma Capece - il piano carceri è una prima importante risposta, ma bisogna fare di più: non si può non riflettere anche sui modelli di custodia". In primis, è l’idea del sindacalista, rafforzare i compiti investigativi della polizia penitenziaria e affrontare le carenze di organico del personale. Su questa linea anche il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, secondo il quale il governo deve fare uno sforzo ulteriore rispetto ai duemila rinforzi che "rischiano di essere insufficienti".

Il sindacato ha incalzato l’esecutivo sul braccialetto elettronico "introdotto, ma mai decollato". Lo stesso Caliendo ha ricordato "un solo detenuto ne ha usufruito". La questione delle pene alternative - ha assicurato il presidente dei Senatori del Pdl, Maurizio Gasparri - "la sosterremo purché ci sia la sanzione e non semplicemente l’assenza della pena".

Giustizia: Brattoli (Dgm); aggiornare il sistema penale minorile

 

Ansa, 9 marzo 2010

 

"Il sistema penale minorile è buonissimo, ma è tarato su un’Italia di 22 anni fa. Il dato si scontra con una società alla ricerca di sicurezza". È perciò necessario rivedere alcuni istituti della giustizia per minorenni: è di questa idea il capo del Dipartimento della Giustizia Minorile, Bruno Brattoli, che ritiene necessaria una verifica dei risultati della messa alla prova dei minorenni che hanno commesso reati e un ripensamento del ruolo della vittima e delle sue esigenze di tutela.

Intervenendo ad un convegno organizzato dal Dipartimento per la Giustizia Minorile, Brattoli ha definito il Codice di procedura per i minorenni un fiore all’occhiello, ma "l’applicazione di alcune misure cautelari era basata sulla prospettiva di dosare l’intervento della magistratura in maniera soft". Spesso la violenza degli adolescenti è perpetrata dagli stranieri, quindi "le misure cautelari hanno difficoltà ad essere applicate". Ma anche un giro di vite "sarebbe incompatibile con il risultato. Il carcere come extrema ratio è un pilastro", per questo i minori negli istituti di pena sono solo 500 di fronte ai 18.500 del sistema penale.

Occorre quindi instillare "degli anticorpi": nelle strutture meridionali c’è un tipo di devianza diversa da quella del Nord, con una commistione con la criminalità organizzata. Per questo - riflette Brattoli - occorre "ragionare su quello che succede dopo". "Se diamo un’immagine buonista - conclude - spesso i risultati sono quelli che vediamo: barboni bruciati e stupri di gruppo". Massima attenzione per i minori quindi, "ma non diamo l’impressione di una tendenza ad assolvere prima di giudicare".

Giustizia: il diritto alla salute vale anche per la signora Mokbel

di Luigi Manconi (Presidente Associazione "A Buon Diritto")

 

www.inoocentievasioni.com, 9 marzo 2010

 

Giorgia Ricci, 39 anni, è detenuta nel carcere di Rebibbia, in stato di isolamento giudiziario. La Ricci è affetta da sclerosi multipla attiva. Una patologia neurologica progressiva ed invalidante caratterizzata da varie fasi di remissione e di ripresa che può riattivarsi in coincidenza di particolari e violente reazioni emotive.

La signora Ricci è sottoposta regolarmente, presso l’ospedale Careggi di Firenze, a cure specialistiche mirate. La prossima e indispensabile terapia è prevista per il 12 marzo ed è somministrabile solo con un ricovero presso il centro clinico che assiste la paziente, necessariamente dotato di un reparto di rianimazione. Tutto ciò è stato oggetto di una puntuale segnalazione da parte di Melania Rizzoli, medico e parlamentare, membro della Commissione d’inchiesta Sanitaria.

Di fronte a tale situazione, prima ancora che a principi umanitari, ci si deve appellare al diritto irrevocabile di Giorgia Ricci di essere curata nei modi più appropriati. Non deve far velo al riconoscimento del pieno diritto alla salute il fatto che si tratti della moglie di Gennaro Mokbel, al centro di una clamorosa vicenda giudiziaria. Tanto più che la storia di Giorgia Ricci è simile a quella di tanti anonimi detenuti in condizioni analoghe o anche più gravi, in un sistema carcerario dove la popolazione reclusa sfiora il record di 67 mila presenze (il più alto dell’intera storia repubblicana). E dove ogni quattro giorni un detenuto si toglie la vita (l’ultimo appena qualche ora fa).

Lazio: Garante dei detenuti eletto con decreto ad personam?

di Matteo Bartocci

 

Il Manifesto, 9 marzo 2010

 

Anche il Pd non disdegna i decreti in corso d’opera e le leggi ad personam. Certo, se occorrono preferisce farli di nascosto e senza i toni trionfanti di La Russa o Calderoli. Ma la sostanza si assomiglia pericolosamente. Almeno, si parva licet, nel caso del garante dei detenuti del Lazio. Il presidente del consiglio regionale uscente Bruno Astorre ha infatti confermato per altri sette anni Angiolo Marroni all’authority che controlla il rispetto dei diritti dei detenuti. Una funzione delicata (e remunerata) che il Lazio ha istituito per prima tra le regioni italiane. Tanto più delicata dopo il passaggio della sanità penitenziaria agli enti locali deciso da Prodi.

Nel 2003 Marroni fu scelto dal consiglio regionale all’unanimità. Un voto di prestigio. Peccato che sette anni dopo, la sua conferma avvenga con un decreto fantasma, firmato dal solo Astorre a parlamentino sciolto e dopo le polemiche furibonde dell’ultima seduta prima del voto. Peccato che non sia stato nemmeno esaminato l’unico altro candidato, Antonio Marchesi, che aveva fatto domanda. Peccato perché l’ex presidente di Amnesty International è un esperto del Comitato europeo contro la tortura e professore di diritti umani e diritto internazionale all’università di Teramo e Roma Tre.

Un curriculum di tutto rispetto, indipendente, sostenuto da associazioni come Arci, A buon diritto, Caritas e Antigone. Astorre ha preferito puntare su un politico di lungo corso come Marroni (eletto nelle istituzioni dal 1965, il figlio è capogruppo Pd al comune) che al termine del suo mandato avrà 86 anni. A pensar male si potrebbe perfino pensare a uno scambio elettorale nella corsa alle preferenze che si è scatenata nel Pd romano a un mese dal voto (recentemente Marroni ha partecipato alle iniziative di Esterino Montino).

E l’opposizione? Muta come un pesce. Forse perché i due oscuri vice-garanti (remunerati anche se non attivissimi all’authority) sono indicati proprio dal Pdl. Io nomino, tu taci, l’altro acconsente, noi ci spartiamo le poltrone e i cittadini che votano non sanno.

 

La replica del Garante, Angiolo Marroni

 

Il consenso "bipartisan", rappresentato come un inciucio, è in realtà un riconoscimento molto ampio al ruolo ed alla funzione di Garante da me sempre interpretato al di sopra delle parti e con il massimo rispetto delle Istituzioni, così come il mio curriculum testimonia, avendo io ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo.

La mia candidatura è stata appoggiata da numerose Associazioni, Enti ed Istituzioni che operano in carcere e di cui di seguito ne elenco tra le più significative: Circolo Arci-Uisp - detenuti C.C. Rebibbia Nuovo Complesso; Circolo Arci-Uisp - detenuti C.R. Rebibbia; Comune di Roma - Assessorato Servizi Sociali; Comunità di S. Egidio; Consorzio Cooperative Sociali; Coop. Soc. Panta Coop; Coop. Soc. 29 Giugno; Coop. Cecilia; Coop. Gisocoop - Non solo chiacchiere; Coop. Soc. Antica Torre; Coordinamento Cappellani Penitenziari Regione Lazio; Direttivo Consulta Carceri di Roma; Enaip Lazio; Forum Sanità Penitenziaria Regione Lazio; Prefettura di Roma; Provincia di Roma - Assessorato Servizi Sociali; Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria Regione Lazio; Questura di Roma - Ufficio Immigrazione; Sindacato Uil Penitenziaria; Tribunale di Sorveglianza di Roma.

Infine, la mia nomina è avvenuta nel pieno rispetto della legge, che prevede l’auto candidatura o la proposta di un nominativo da parte di terzi, così come indica il Regolamento regionale da cui è tratto l’avviso pubblico di partecipazione.

 

Avv. Angiolo Marroni

Palermo: un detenuto si sta lasciando morire… di fame e di sete

 

www.linkontro.info, 9 marzo 2010

 

Giuseppe Fontana, detenuto nel carcere di Palermo, minaccia di lasciarsi morire attraverso uno sciopero della fame e della sete a oltranza cominciato alle 12.30 dello scorso 2 marzo per denunciare i soprusi che starebbe subendo da anni e il silenzio degli organi di informazione sul suo caso.

Nel settembre del lontano 1994 Fontana è stato arrestato con l’accusa di aver preso parte a un traffico di droga tra Stati Uniti e Italia. È stato condannato a ben 27 anni di carcere. Fontana, che si proclama innocente in questa vicenda, ha tentato inutilmente di far riaprire il processo sulla base di una prova a suo favore che a suo dire sarebbe stata fatta sparire e di alcune testimonianze che sarebbero emerse in seguito. In carcere si è sempre battuto per la difesa dei propri diritti e di quelli degli altri detenuti. Più volte sottoposto a periodi di isolamento, più volte trasferito da un istituto all’altro, a suo parere con intenti punitivi.

Oggi chiede la semilibertà, che ancora non riesce a ottenere. Fontana denuncia come, ripetutamente e a distanza di qualche mese, gli facciano credere prossima questa possibilità, salvo poi negarla all’ultimo momento con pretesti e cavilli ridicoli. Di nuovo, l’intento punitivo sarebbe a suo dire il solo movente. "Dopo il rigetto delle pene alternative", scrive nella sua denuncia, "si è intensificato il programma provocatorio atto a destabilizzare il mio equilibrio psicofisico per il conseguimento di una mia reazione strumentabile al boicottaggio del beneficio dei permessi premio, per i quali la buona condotta è una condizione necessaria".

La denuncia di Fontana si rivolge in particolare contro la persona della direttrice dell’istituto dove è ristretto, la dott.ssa Francesca Vezzana, la quale a suo dire non voleva autorizzare la visita del suo medico di fiducia così come l’acquisto di prodotto omeopatici da parte del detenuto, e che a ogni richiesta di beneficio di legge ha sempre apposto parere negativo.

Gli amici che conoscono Giuseppe Fontana sostengono che faccia terribilmente sul serio e che sia seriamente intenzionato a portare alle estreme conseguenze il suo proposito. Il problema fondamentale è ormai divenuto per lui quello di rompere il silenzio mediatico.

"La mia sarà una lotta dura, e forse anche l’ultima, lo so, ma non posso fare altrimenti perché difendere la mia vera libertà, il mio spirito, le mie idee, equivale a vivere", afferma. Ci auguriamo che non si compia questa ennesima tragedia nelle nostre carceri.

Padova: suicidio detenuto; denunciato personale del carcere

 

Corriere della Sera, 9 marzo 2010

 

Presentato in Procura esposto per accertare le responsabilità del direttore dell’istituto di pena. Sarebbe stata sottovalutata la labilità mentale del giovane salernitano.

Denunciato il direttore del carcere di Padova. L’obiettivo è quello di accertare le responsabilità del suicidio di Giuseppe Sorrentino che, domenica 7 marzo, si è tolto la vita, impiccandosi in cella. Il 35enne originario del Salernitano stava scontando una pena di 25 anni di reclusione per concorso in omicidio per la morte di Enrico De Prisco, ucciso dal clan Contaldo a Pagani, nel marzo del 1996. Il legale del ragazzo, Bianca De Concilio, aveva manifestato la sua intenzione di presentare un esposto alla procura competente al fine di attestare la presunta colpevolezza, del personale del carcere, di quella che era stata definita "una morte annunciata".

Secondo una perizia psichiatrica richiesta dalla difesa ed effettuata dallo psichiatra Antonio Zarrillo, il detenuto, psicolabile, soffriva di schizofrenia, tendeva all’autolesionismo ed era caduto, da tempo, in uno stato di depressione acuta che lo spingeva all’isolamento e alla reiterazione di scioperi della fame. Il personale medico dell’istituto di detenzione non credeva alla labilità psichica del ragazzo e il direttore del carcere si ostinava a parlare di simulazione.

Gravi le accuse della famiglia. Al di là della perizia medica che testimoniava lo stato di malattia di Sorrentino, pesanti responsabilità gravano sul personale del carcere di Padova, per la mancata sorveglianza di un soggetto considerato a rischio. Difatti, erano stati gli altri detenuti ad accorgersi che il corpo di Sorrentino pendeva, ormai senza vita, dalle sbarre della finestra della sua cella. L’autopsia del ragazzo avverrà nel pomeriggio, così da lasciare ai parenti la decisione sulle esequie nella giornata di mercoledì.

Perugia: gruppo d'auto aiuto per le detenute tossicodipendenti

 

Redattore Sociale, 9 marzo 2010

 

Avviato dal Sert della Asl 2, il progetto "Ama" coinvolge circa 13 detenute con problemi di dipendenza. Il gruppo, partito in forma sperimentale, è ormai un progetto organico all’interno del carcere.

La riflessione ed il confronto libero per guardare con fiducia al futuro. È l’obiettivo del progetto "Ama", gruppo di auto mutuo aiuto avviato dal Sert della Asl 2 di Perugia all’interno del carcere di Capanne. Il gruppo, rivolto alle detenute con problemi di dipendenza, è partito in via sperimentale qualche mese fa ma, visti i buoni risultati, è divenuto ormai un progetto organico all’interno del carcere. Sono circa 13 le detenute che ogni settimana, con il sostegno di una psichiatra e di un’assistente sociale della Asl, si incontrano per raccontare le loro difficoltà e condividere le proprie emozioni, ripensando alle esperienze più difficili e dolorose del proprio vissuto.

"Il progetto crea uno spazio dedicato alle emozioni - spiega Annalia Pettinari, assistente sociale e facilitatrice del gruppo Ama - cerchiamo di costruire una relazione di fiducia con le detenute che spesso vivono una condizione di forte sofferenza psicologica, non giudicandole o facendole sentire colpevoli; il nostro scopo è di entrare in sintonia con i loro problemi per poi farle seriamente riflettere e ritrovare così fiducia nel futuro una volta che saranno uscite dal carcere".

Il gruppo di auto aiuto non prevede alcuna forma di terapia, ma la "terapeuticità - come spiega ancora l’assistente sociale - scaturisce dal confronto libero tra le donne e fa emergere una presa di coscienza concreta verso il disagio della dipendenza e la necessità di iniziare un percorso riabilitativo. Molte delle donne che hanno partecipato al gruppo Ama, infatti, hanno maturato, chi più lentamente chi più in fretta, la decisione di affidarsi ad una terapia riabilitava per ricominciare a vivere e a guardare con fiducia al futuro".

"Tramite i gruppi di auto mutuo aiuto le persone si abituano a ragionare sulle emozioni non distruttive - commenta Antonella Buffo, educatrice, che al Sert di Perugia ha seguito un gruppo Ama - chi partecipa tenta di valorizzare le proprie risorse partendo dalle esperienze negative del passato. È un’esperienza che umanizza la condizione di sofferenza e permette, attraverso il confronto, di ripensare al proprio stile di vita".

Livorno: Corleone; in carcere c’è una condizione di invivibilità

 

Comunicato stampa, 9 marzo 2010

 

Non è purtroppo una novità. Il carcere di Livorno balza ancora una volta agli onori della cronaca per la morte di un detenuto, ucciso dal gas del fornellino. Non sappiamo se classificare la morte come suicidio o come conseguenza non voluta di una ricerca di uno sballo o di uno stordimento.

Certamente è il segno di una condizione di invivibilità nel carcere delle Sughere segnato negli anni da troppe morti sospette e da inaccettabili violenze. Il clima del carcere è reso più difficile dal cronico sovraffollamento. Oltre 400 detenuti ammassati come bestie e da una gestione assolutamente carente.

Infatti l’Amministrazione Penitenziaria si occupa di costruire un nuovo padiglione per aumentare la capienza dell’istituto (a proposito, a quale impresa sono stati affidati i lavori e qual è il loro costo?) ma lascia il carcere da mesi senza Direzione.

Da tempo è stato chiesto dalle associazioni di volontariato che il Comune nomini il Garante dei detenuti, una figura cioè di controllo e di promozione dei diritti fondamentali delle persone recluse. È davvero ora che il Sindaco Cosimi prenda una decisione indispensabile perché il carcere non sia abbandonato a se stesso e la città non deleghi la gestione del luogo di pena a chi sa solo violare le leggi e in particolare l’Ordinamento Penitenziario e il Regolamento.

 

Franco Corleone

Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze

Livorno: Filippi (Pd); nel carcere è altissimo il rischio di "caos"

 

Ansa, 9 marzo 2010

 

"Alle Sughere siamo di fronte a un rischio altissimo a causa del sovraffollamento dell’istituto che mette in pericolo non solo la sicurezza dei detenuti, costretti a vivere in condizioni inumane, ma anche quella degli agenti della polizia penitenziaria. Insomma si rischia il caos". Lo ha affermato il senatore livornese del Pd, Marco Filippi, che oggi ha compiuto una visita ispettiva in carcere insieme alla deputata Silvia Velo e al presidente dell’Arci di Livorno, Marco Solimano.

"A fronte di una capienza prevista di 260 detenuti - ha spiegato Filippi - in questo momento alle Sughere ce ne sono 451, controllati da appena 186 agenti su una pianta organica che ne prevede 303. Mentre sono solo quattro gli educatori in servizio. È una condizione inaccettabile". La visita dei parlamentari livornesi del Pd segue di pochi giorni la morte in cella di un detenuto. La quattordicesima in sette anni. "Una media - ha spiegato Velo - davvero insopportabile che dimostra quanto sia drammatica la situazione dell’istituto livornese. Non certo per colpa della direzione o degli agenti, anzi la loro professionalità evita che i numeri non siano ancora più gravi".

Secondo i parlamentari del Pd il sovraffollamento delle Sughere è lo specchio "del fallimento del pacchetto-sicurezza e della politica del Governo che stuzzica la paura dei cittadini e genera mostri giuridici con persone detenute per reati minimi anziché optare per misure alternative mettendo così a repentaglio la vita e la sicurezza dei detenuti e di chi opera nelle carceri". Infine, Filippi e Velo hanno "sollecitato il consiglio comunale ad accelerare l’istituzione di un garante per i diritti dei detenuti, così come - ha concluso Filippi - anche oggi ci hanno chiesto i detenuti stessi".

Bolzano: carcere non rispetta circolare Dap su diritto a difesa

 

Alto Adige, 9 marzo 2010

 

Anche la semplice nomina di un avvocato difensore di propria fiducia può costituire un problema di non facile soluzione per una persona che si trovi a dover affrontare, magari per la prima volta, la disavventura del carcere. È uno dei problemi che possono risultare di non facile soluzione soprattutto nel carcere di Bolzano, uno dei pochi carceri italiani che non ha ancora attuato la circolare del Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria) di due anni fa. In sostanza la Circolare cosa prevede? Semplicemente che sia proprio l’amministrazione del carcere a raccogliere l’indicazione del detenuto per la nomina del proprio avvocato di fiducia, segnalandola al Consiglio dell’Ordine degli avvocati la cui segreteria provvederà ad informare della nomina il legale interessato.

Si tratta di una indicazione organizzativa che in quasi tutta Italia viene rispettata. Il carcere di Bolzano fa eccezione e proprio per questo il tema è stato posto all’ordine del giorno della prossima assemblea della Camera penale altoatesina presieduta dall’avvocato Beniamino Migliucci. "Si tratta di trovare un’intesa operativa per garantire sin dall’inizio il diritto di difesa di chi si trova in carcere in difficoltà" ha puntualizzato il legale.

Pescara: intesa tra volontariato e carcere su misure alternative

 

www.primonumero.it, 9 marzo 2010

 

Protocollo l’intesa tra il mondo del volontariato e le carceri in applicazione delle norme sulle misure alternative alla pena detentiva. Alla sottoscrizione dell’accordo che si è svolta lo scorso 5 marzo a Pescara è intervenuto il centro di servizi "Il Melograno" anche in rappresentanza dell’Acesvo di Campobasso, insieme con la conferenza regionale del Volontariato Giustizia e Csv abruzzesi. A conclusione di trattative ed incontri protrattisi nell’arco dell’anno, il documento consentirà di aggiungere un sia pur piccolo tassello nella costruzione di un percorso capace di dare concretezza all’art. 27 della Carta Costituzionale secondo il quale "le pene devono tendere alla rieducazione del condannato".

In questo senso, da tempo, associazioni di volontariato sparse sul territorio della penisola continuano a profondere il loro impegno, creando anche una rete - la Conferenza Volontariato Giustizia - che raggruppa a livello regionale e quindi nazionale le associazioni di volontariato carcerario, ed ha stipulato importanti protocolli col Ministero della Giustizia. Tutto ciò è segno del valore di principio attribuito dall’ordinamento penitenziario alla partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa ed al reinserimento sociale del reo ed è prova del riconoscimento del ruolo di raccordo fra istituzioni e territorio svolto dal volontariato quale strumento di attenzione della società civile ai problemi dell’esecuzione penale.

L’accordo mira a perseguire obiettivi importanti a cominciare dalla creazione di un linguaggio comune tra operatori penitenziari e volontari al fine di stabilire una comunicazione efficace nell’operatività quotidiana; per giungere ad incrementare la riflessione circa i bisogni dei soggetti che scontano la pena in misura alternativa alla detenzione, e delle loro famiglie, allo scopo di promuovere, a livello distrettuale e locale, iniziative finalizzate a favorirne l’inclusione sociale. Accanto a ciò appare essenziale incentivare la cultura della legalità attraverso la promozione della riparazione del danno che l’illecito ha procurato alla società e la diffusione della conoscenza del significato delle pene alternative alla detenzione.

Azioni prioritarie da promuovere in vista della realizzazione di tali obiettivi sono individuate nella promozione di occasioni di formazione ed aggiornamento congiunti tra operatori degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna (Uepe) e volontari delle diverse associazioni del territorio in vista di progetti e collaborazioni diretti ad incrementare le opportunità di reinserimento dei condannati in esecuzione penale esterna agevolandone la partecipazione alle attività non retribuite svolte dalle associazioni di volontariato e dagli organismi del privato sociale: la partecipazione a tali attività oltre a realizzare la riparazione del danno nei confronti della società, aiuterà il reo a rielaborare in senso critico la sua condotta antigiuridica e ad adottare scelte di vita accettabili socialmente.

Napoli: Sdr; detenuto malato dev’essere trasferito in Sardegna

 

Agi, 9 marzo 2010

 

"Francesco Catgiu non può restare nel centro clinico penitenziario di Secondigliano. È evidente la sua incompatibilità con una struttura detentiva. Le condizioni fisiche si sono aggravate, in particolare il disturbo claustrofobico è ormai incontrollabile, è quindi opportuno un suo trasferimento in Sardegna in una struttura sanitaria specifica alternativa al carcere. L’uomo, esasperato dai problemi di salute, rifiuta per protesta i farmaci e rischia di aggravarsi in modo irreversibile". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme, dopo aver appreso il contenuto della comunicazione inviata all’avvocato Herica Dessi dalla Direzione Sanitaria del Carcere napoletano.

"Il detenuto, che compirà 69 anni a novembre, dopo 26 anni trascorsi in carcere, deve scontare ancora quattro anni, ma - sottolinea Caligaris - non è nelle condizioni di stare in una cella in quanto soffre, di una penalizzante claustrofobia. Il 12 febbraio scorso è stato sottoposto a visita psichiatrica disposta dalla direzione sanitaria e il referto è drammatico.

"Permane tuttora - si legge nel documento redatto dallo psichiatra - l’atteggiamento astioso, collerico e per niente collaborativo. Non intende comprendere alcuna ragione anzi pretende che di notte gli venga lasciato non solo il blindato ma anche la cella aperta per le sue problematiche fisiche. Gli viene spiegato dalla polizia penitenziaria che tale fatto non è possibile per regolamento. Pur se non pratica ormai da tempo alcuna terapia, si conferma la terapia a suo tempo prescritta". L’informazione della direzione sanitaria termina precisando che "inerentemente le condizioni cliniche attuali, il 3 marzo scorso chiamato a visita riferisce benessere e di non necessitare di alcun controllo sanitario. Tanto in presenza del personale di Polizia Penitenziaria".

"Francesco Catgiu - conclude Caligaris - non è più in grado di sostenere la detenzione e dopo 26 anni di lontananza dalla Sardegna forse è arrivato il momento di farvi ritorno prima che sia troppo tardi". Francesco Catgiu, 69 anni, di Orgosolo, detenuto nel carcere di Secondigliano verso Scampia, è ricoverato dal 16 ottobre 2008 nel centro diagnostico terapeutico dell’istituto di pena napoletano. È affetto dal morbo di Parkinson, da una forma di paraplegia che lo costringe a muoversi con le stampelle, dalla psoriasi, da un’artrosi progressiva che gli blocca un braccio e dalla claustrofobia. Arrestato il 5 marzo 1984, è stato condannato a 30 anni per concorso nel sequestro del dirigente industriale Leone Concato rapito il 27 maggio del 1977. Nonostante si sia sempre proclamato innocente, è stato incastrato da un pentito, Salvatore Contini poi ammazzato in carcere ad Ajaccio.

Pozzuoli (Na): Carfagna; vicina alle donne che hanno sbagliato

 

Ansa, 9 marzo 2010

 

Il ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, nel giorno della festa della donna, ha visitato il carcere femminile di via Pergolesi a Pozzuoli.

Accolta dal picchetto d’onore della guardia penitenziaria, il ministro, accompagnata dalla direttrice della casa penitenziaria flegrea, Stella Scialpi, ha visitato un padiglione dove sono ospitate le recluse e l’officina dove da qualche settimana viene tostato e confezionato il caffè Lazzarelle da parte delle ospiti del penitenziario. Al ministro è stato offerto un buffet preparato dalle stesse ospiti delle casa di pena.

"La mia visita a Pozzuoli è voluta - ha detto il ministro Carfagna -. In questo giorno di festa delle donne ho scelto di stare vicino alle donne che hanno sbagliato. Alcune di queste ora si stanno impegnando, scontando la loro pena, in una attività in attesa di riacquistare la propria libertà".

Il ministro oltre che dalla direttrice ha chiesto informazioni sull’attività di torrefazione ad una delle dieci ospiti della casa impegnata nell’attività. La donna, di Pomigliano d’Arco, mamma di quattro figli, condannata a due anni ed otto mesi con un anno ancora da scontare, si è intrattenuta a lungo con il ministro illustrando in maniera minuziosa l’attività che da qualche settimana è stata avviata nel carcere e che a breve dovrebbe consentire la creazione di una cooperativa in piena regola, e delle sue aspettative future. Anche altre compagne di pena, di Forcella, della Sanità e dell’hinterland flegreo, hanno salutato il ministro chiedendo interventi del governo seri per il dopo.

Il ministro Carfagna nel corso della visita ha affrontato anche il problema del sovraffollamento delle carceri italiane ed in particolare di Pozzuoli dove a fronte di 91 posti sono ospitate 180 recluse. "Comunque nel rispetto dei parametri della legislazione comunitaria" sottolinea la direttrice. "Un problema - afferma il ministro - di cui il governo se ne è occupato ampiamente in gennaio. Sono previste nuove case ed ampliamenti e miglioramenti per le carceri già esistenti". Il ministro ha poi parlato della forte percentuale di immigrati nelle carceri.

"Noi come governo - ha concluso - ci stiamo battendo perché il processo di integrazione avvenga e proceda in maniera costante. C’è una forte crescita di presenze straniere nel paese ed anche nelle carceri e per questo come governo siamo intolleranti verso i clandestini. Vogliamo dare la possibilità a chi entra in questo paese una reale occasione di integrazione e un posto di lavoro certo".

Torino: domani l'incontro "Giustizia minorile e minori stranieri"

 

Ristretti Orizzonti, 9 marzo 2010

 

Il 10 marzo, a Torino, presso la sala della Regione Piemonte in Corso Stati Uniti 23, alle ore 10.30, si terrà un incontro con rappresentanti delle Prefetture delle Province piemontesi.

Nella giornata dell’10 marzo il Centro per la Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria - in collaborazione con Aiccre, Istituto Don Calabria e Iprs - organizza un incontro

ristretto sulle tematiche inerenti ai minori stranieri coinvolti nel circuito penale con i rappresentanti delle Prefetture che insistono sul territorio di competenza. La riunione fa seguito alle giornate di formazione dedicata alle problematiche operative che si incontrano nella presa in carico dei minori stranieri che si sono tenute a Torino il 3 e 4 febbraio scorso nell’ambito del progetto "Oltre le discriminazioni - Comunicazione sociale sui minori immigrati e giustizia minorile - Annualità 2008 Fase II".

Il progetto, che si concluderà definitivamente con l’incontro del 10 marzo ha avuto l’obiettivo di promuovere l’informazione ed il raccordo stabile tra i componenti delle reti create per facilitare la piena inclusione sociale e lavorativa dei minori stranieri sottoposti a provvedimenti penali. La finalità dell’iniziativa ha come obiettivo rendere stabile e attiva la rete di collaborazione tra i diversi enti istituzionali che si occupano, a diverso titolo, dei minori stranieri che commettono reati, in primis Prefetture, Questure e Centro per la Giustizia Minorile.

Milano: Ristretti Orizzonti, con AltraCittà, a "Fà la cosa giusta!"

 

Ristretti Orizzonti, 9 marzo 2010

 

Ristretti Orizzonti è presente con la Coop AltraCittà a "Fà la cosa giusta", sezione "Sprigioniamoci". 12-13-14 marzo 2010, Fieramilanocity - pad. 1 e 2 - Porta Scarampo 14. Viale Scarampo, Milano. Orari: Venerdì 12: ore 09-21, Sabato 13: ore 09-23, Domenica 14: ore 10-19. Vi aspettiamo numerosi! Tantissime proposte in carta naturale e rinata.

Libri: una "vita dentro", viaggio attraverso l’Italia delle carceri

 

Agi, 9 marzo 2010

 

Un viaggio nell’Italia delle carceri, ma anche attraverso gli anni del terrorismo, dei misteri e della mafia quello proposto da Luigi Morsello, funzionario dirigente e direttore di ben 22 istituti penitenziari, che per i tipi di Infinito edizioni licenzia "La mia vita dentro".

Uno spaccato di storia del Belpaese che va dal 1969 al 2005, passando per Gorgona e Pianosa, attraverso racconti e persone più e meno conosciuti. "C’è chi conta le pecore per addormentarsi - scrive Morsello, 72 anni - un direttore di carcere vede sfilare facce, divise, sbarre, manette, agenti e detenuti. Soprattutto detenuti, come in una galleria di ritratti. Una mostra del passato".

Il libro offre non solo la storia di grandi e piccoli tentativi di riforma di una realtà spesso rimossa fino a quando la cronaca non riporta di detenuti suicidi o celle sovraffollate; quanto piuttosto ritratti, appunto, ma da una angolazione insolita, di attori secondari e non di "uno dei periodi più bui della storia del nostro paese", come scrive nella sua prefazione l’ex responsabile della Direzione nazionale antimafia Piero Luigi Vigna, nel quale "si collocano con i loro ripetuti delitti, alcuni di portata storica, le azioni più devastanti del terrorismo e della mafia".

Ritratti quali quello di Angelo Epaminonda, il primo pentito di mafia, mandante dell’omicidio del re delle bische Francis Turatello; o del fondatore delle Brigate Rosse Renato Curcio e dell’ex "comandante Alberto" di Prima Linea Marco Donat-Cattin; ed ancora del "banchiere di Dio", Michele Sindona, avvelenato dal cianuro, simbolo delle commistioni tra politica, mafia e finanza anche oltreoceano.

E ci sono anche le rivolte nelle carceri del 1974 e del 1977 a San Gimignano, l’evasione nel 1981 sempre da San Gimignano di Gianni Guido, uno dei "massacratori" del Circeo, poi riarrestato a Buenos Aires, e la sezione speciale di Gorgona voluta dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Il volume è curato da due giornalisti, Francesco De Filippo e Roberto Ormanni.

Libri: le Colonie Penali nell’Arcipelago toscano tra ‘800 e ‘900

di Martina Rafanelli

 

Il Tirreno, 9 marzo 2010

 

Risale alla fine dello scorso anno una proposta del Ministro della Giustizia Angelino Alfano per la riapertura di un carcere di massima sicurezza per detenuti in regime di 41bis sull’isola di Pianosa; progetto immediatamente contrastato anche da esponenti della stessa maggioranza di governo quali il Ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, che ricorda le enormi spese di gestione già tra le cause della chiusura del carcere nel 1998, e da Stefania Prestigiacomo, Ministro dell’Ambiente, che invece difende il valore ambientale dell’isola.

La proposta di Alfano è però solo l’ultimo tassello nella storia delle isole dell’Arcipelago toscano che inizia a Pianosa, con un progetto risalente al 1858, e che continua con la creazione e la chiusura di altre colonie penali nelle isole di Capraia, dell’Elba (Porto Azzurro) e della meno celebre Gorgona.

Ora c’è un libro, "Le colonie penali nell’arcipelago toscano tra l’Ottocento e il Novecento", edito da Ibiskos/Ulivieri, che racconta e analizza proprio questo interessante percorso storico-carcerario. Il saggio è la tesi di laurea in giurisprudenza dell’avvocato pratese Alfredo Gambardella. Il libro nasce, ancor prima che per una ricostruzione storica, come omaggio dell’autore al nonno, uno degli ultimi direttori delle colonie penali di Capraia e Pianosa.

"Nel libro - spiega Gambardella - il punto più importante è la dimostrazione, dati alla mano, di un minor tasso di recidive nei detenuti nelle colonie penali rispetto ai detenuti nelle carceri chiuse, dovuto ad un modo più responsabile di scontare la pena, in cui il lavoro e il contatto con la natura sono fondamentali nel percorso di riabilitazione".

Gambardella percorre le varie fasi di trasformazione delle colonie penali da case di pena intermedie, secondo il codice Zanardelli, dove si arrivava per buona condotta e quindi con una connotazione di detenzione privilegiata, passando per il carattere altamente punitivo assunto negli anni 70, con la trasformazione in carceri di massima sicurezza per reati di mafia, fino alla chiusura di Pianosa e di Capraia e a un presente che, da un lato vede uno stato di abbandono di queste isole con conseguente degrado e spreco di denaro (i fabbricati abbandonati di Capraia sono stati dichiarati proprietà della cittadinanza dalla Corte di Cassazione nel 2008 ma è ancora in discussione la loro possibile riqualificazione), mentre dall’altro vede in Gorgona un "istituto a trattamento avanzato", dove i detenuti acquisiscono capacità professionali nei settori agricolo, ittico, zootecnico, edilizio, turistico, utili nel presente, nel futuro e anche come conquista di dignità e autostima; un modello che è la realizzazione dello scopo originario dell’isola carceraria.

Quanto alle nuove proposte su Pianosa, Gambardella come Alessandro Margara, già presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze e autore della prefazione, è scettico sulla fattibilità e sull’efficacia di un nuovo carcere blindato sull’isola. "Gorgona - continua Gambardella - è un modello da esportare e che in parte potrebbe essere riproducibile anche a Pianosa, magari con detenuti a fine pena impegnati in progetti legati al turismo e all’agricoltura biologica".

Messico: "bellezza prigioniera" concorso carcere Ciudad Juarez

 

Ansa, 9 marzo 2010

 

Un concorso denominato "Bellezza prigioniera": è l’iniziativa organizzata oggi in un carcere per donne di Ciudad Juarez, la città messicana da tempo al centro delle vendette incrociate tra i cartelli del narcotraffico, e dove negli ultimi 15 anni sono state uccise, spesso dopo essere state violentate, oltre mille donne. Oltre alla scelta della più bella del carcere, il concorso prevede anche premi in altre categorie ("signorina simpatia", "signorina eleganza", ecc.) e punta "al reinserimento delle detenute, e a mettere in risalto le loro qualità femminili".

Gran parte delle prigioniere sono finite in carcere accusate di narcotraffico o omicidio, hanno precisato gli organizzatori del concorso, che hanno contattato alcuni grandi magazzini della città per pagare le spese affrontate dalle aspiranti "miss". A Ciudad Juarez, da tempo una delle città più pericolose al mondo, le vittime di quasi il 50% degli omicidi degli ultimi due anni sono state donne, precisano organizzazioni locali di difesa dei diritti umani.

 

 

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