Rassegna stampa 27 marzo

 

Giustizia: carceri in condizioni disumane, Governo intervenga

 

Ansa, 27 marzo 2010

 

"Questo Governo non perde occasione per rubare la dignità ai cittadini del nostro Paese, che siano essi adulti, bambini, liberi o reclusi". È quanto dichiara Antonio Palagiano, capogruppo Idv in commissione Affari sociali, che oggi ha depositato un’interrogazione al ministro per la Salute Ferruccio Fazio sulle condizioni dei sistemi sanitari negli istituti di pena italiani.

"Questo Governo vorrebbe annientare la dignità umana anche nelle carceri - prosegue Palagiano - che ospitano persone che sì, si sono macchiate di colpe gravissime, ma che meritano il rispetto e soprattutto che devono vedere tutelato il proprio diritto alla salute sancito dall’Articolo 32 della Costituzione.

"Ho deciso così di interrogare il ministro Fazio, dopo aver visitato personalmente il carcere di Poggioreale e aver riscontrato grosse carenze nell’assistenza sanitaria dei detenuti. Promiscuità, non continuità della terapia, assenza di scorte di medicinali, anche salvavita, sono questi i problemi principali degli istituti di pena italiani in ambito sanitario - conclude il deputato Idv - e sono questi che chiediamo al Governo di risolvere per non mettere a repentaglio, oltre alla dignità, anche la vita dei carcerati italiani".

Giustizia: Berselli (Pdl); unica soluzione è rimpatriare stranieri

 

Ansa, 27 marzo 2010

 

"La popolazione carceraria italiana aumenta di 700 unità al mese. Nessun piano carceri può risolvere il problema, e quindi l’unica soluzione possibile è ridurre il numero degli stranieri, visto che sono loro ad affollare le Case Circondariali". Non ha dubbi il senatore Filippo Berselli, presidente della Commissione Giustizia di Palazzo Madama: l’unico modo per far respirare le strutture di detenzione italiane è ridurre la popolazione carceraria, rimpatriando i detenuti stranieri. L’esponente del Pdl lo ha detto durante una visita alla casa circondariale di Sant’Anna, a Modena, organizzata insieme al sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe e al candidato alle regionali del Pdl Enrico Aimi.

"Anche questa struttura - ha detto Berselli - ha troppi detenuti in rapporto al numero di agenti in servizio. Per questo motivo mi impegno a parlare con il capo dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta: gli chiederò di trasferire altri detenuti da Modena. Il provveditore regionale Nello Cesari ha detto che in Romagna c’è la possibilità di ospitarne ancora. Cercherò anche di fare in modo che in questa struttura arrivino altri agenti, oltre ai 31 già previsti. Quelli vanno già bene, ma se sono di più è sicuramente meglio".

Giustizia: Alfano; pubblicare albo dei boss detenuti con 41-bis

 

Apcom, 27 marzo 2010

 

Pubblicare un albo dei detenuti al 41-bis per dimostrare che la lotta alla mafia sta producendo risultati concreti, perché tutti i boss sono in carcere. È la proposta del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, secondo cui "sarebbe bello che venisse pubblicato l’albo dei detenuti al 41-bis: farebbe emergere chiaramente come i vecchi boss mafiosi, quelli meno noti che stavano tentando di riorganizzare la Cupola arrestati più di un anno fa e quelli nuovissimi arrestati negli ultimi giorni, sono tutti nelle patrie galere e per di più al 41-bis".

Il ministro ha replicato poi alle parole del procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, dopo l’arresto di Giuseppe Liga, l’architetto palermitano finito in manette per mafia: Cosa Nostra "è entrata nei salotti buoni di Palermo", ha detto Ingroia. "Bisogna capire - ha affermato Alfano al forum di Confagricoltura a Taormina - se ne era mai uscita. Io con prontezza ho applicato il 41-bis a Liga e sono convinto che i mafiosi devono sapere che delinquere e mafieggiare è assolutamente sconveniente". "I giovani - ha concluso quindi Alfano - devono guardare l’elenco degli arrestati per capire che lo Stato prevale sempre e, prima o poi, il mafioso finisce in galera".

Giustizie: analogie tra morti di Stefano Cucchi e Giuseppe Uva

di Luigi Manconi (Associazione "A Buon Diritto")

 

Il Manifesto, 27 marzo 2010

 

Alle ore 11.10 del 14 giugno 2008 Giuseppe Uva, 43 anni, gruista, muore nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Circolo di Varese. Attenzione alla data: 14 giugno 2008, quasi due anni orsono. Intorno alle 3 di quella notte Uva e l’amico Alberto Biggiogero erano stati fermati in stato di ebbrezza da una pattuglia dei carabinieri. Portati nella caserma di via Saffi, sempre a Varese, erano stati separati e Biggiogero, dalla sala di aspetto, aveva potuto ascoltare per ore le grida strazianti dell’amico.

Intorno alle 6 di mattina, poi, Uva era stato ricoverato nel pronto soccorso dell’ospedale: da qui, trasferito in psichiatria e sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio e alla somministrazione di farmaci incompatibili con il suo stato etilico. Da qui la morte, qualche ora dopo.

Questi i fatti essenziali (tutte le circostanze e le testimonianze si trovano sul sito www.innocentievasioni.net). Per quasi due anni le indagini sono state completamente ferme. Dopo che l’opinione pubblica e i familiari di Uva hanno sollevato con forza il caso, ecco la prima iniziativa della Procura: ieri un giornalista della Prealpina e uno della Provincia di Varese sono stati sentiti da un pm per "sommarie informazioni testimoniali" (evidentemente i loro articoli non sono stati apprezzati in procura).

Ma non è stato ancora mai ascoltato il principale testimone, Biggiogero, l’uomo che quella notte era stato fermato con Uva. Si spera che accadrà presto, così come ci si augurano nuove indagini e nuovi rilievi autoptici (la procura starebbe pensando alla riesumazione della salma), per rispondere ai molti quesiti rimasti elusi. Questi i principali:

1. Esisteva un rapporto pregresso tra Uva e un appartenente alle forze dell’ordine? Testimonianze delle ultimissime ore parlano di una relazione tra Uva e la moglie di un carabiniere, e questo spiegherebbe il risentimento personale che determinò l’accanimento persecutorio di quella tragica notte.

2. Come mai l’autopsia sul corpo di Uva non ha contemplato gli esami radiologici necessari a individuare eventuali fratture?

3. Perché non sono state considerate le dichiarazioni del comandante del posto di polizia presso l’ospedale? Quest’ultimo ha scritto che la morte di Uva non sarebbe "un evento non traumatico"; che è rilevabile "una vistosa ecchimosi rosso-bluastra" sul naso e che "le ecchimosi proseguivano su tutta la parete dorsale"; che il corpo di Uva risultava privo degli slip e che sui suoi pantaloni "si evidenzia tra il cavallo e la zona anale una macchia di liquido rossastro". Fatto confermato dalla testimonianza della sorella, che afferma di aver visto "tracce di sangue dall’ano".

Siamo in presenza, come si vede, di un altro (l’ennesimo?) "caso Cucchi". Balzano agli occhi le analogie. La prima: Uva e Stefano Cucchi (il giovane morto nei mesi scorsi a Roma dopo l’arresto e il ricovero all’ospedale Pertini) subiscono violenze mentre si trovano nella disponibilità di apparati statuali, che hanno come primo dovere istituzionale quello di garantire l’incolumità di chi si trovi sotto il loro controllo (è questo che fonda la legittimità giurido-morale dello Stato). Ancora: Uva e Cucchi, a seguito delle violenze subite, vengono ricoverati in una struttura sanitaria pubblica.

Qui trovano la morte a causa di precise responsabilità del personale medico. Infine: nel caso di Cucchi e di Uva (ma anche in quello di Marcello Lonzi, Giovanni Lorusso e di molti altri ancora), a rompere il muro del silenzio è una figura femminile, madre o sorella della vittima che trova in sé la forza, disperata e intelligente, per fare del proprio dolore più intimo un’occasione di denuncia pubblica.

Lunedì scorso il procuratore capo di Varese Maurizio Grigo ha convocato una conferenza stampa per affermare che "il 30 settembre 2009 la dottoressa Sara Arduini ha aperto un nuovo procedimento proprio per verificare le nuove accuse della famiglia e le dichiarazioni rese dal signor Biggiogero".

In altri termini ha ammesso candidamente qualcosa di enorme: la testimonianza, dettagliata e puntualissima, resa da Biggiogero il 15 giugno 2008 ha indotto il magistrato ad aprire un fascicolo contro ignoti il 30 settembre 2009. Ovvero a distanza di oltre 15 mesi dall’evento. E a distanza di quasi 6 mesi dall’apertura di quel fascicolo, come si è detto, quel testimone prezioso ancora non è stato ascoltato. Così come non sono stati ancora interrogati i carabinieri e i poliziotti presenti in caserma quella notte. Come dire: i tempi della giustizia.

Giustizia: italiano detenuto negli Usa, al ritorno nuova odissea

 

Ansa, 27 marzo 2010

 

Ha trascorso sette anni di carcere negli Stati Uniti, un’autentica odissea vissuta tra penitenziari della Virginia, New Jersey e infine in Texas dove temette il peggio quando si trovò suo malgrado nel mezzo di una violenta rivolta provocata da detenuti messicani. Dentro c’era finito per accuse (traffico di hashish e utilizzo di monete false) che lui ha sempre respinto sostenendo con forza la propria innocenza e dicendosi vittima di calunnie di due narcos i quali, puntando l’indice contro di lui, avrebbero inteso beneficiare delle immunità che si concedono ai pentiti.

La vicenda di Tommaso Cerrone, 38enne napoletano con la fedina penale immacolata fino a quando non incappò in quella brutta storia, fu negli anni scorsi al centro di una mobilitazione, con interrogazioni parlamentari promosse da esponenti politici (Prodi, Siniscalchi, Russo Spena, e altri) e interventi delle autorità italiane sul piano diplomatico, che consentirono infine al giovane napoletano di poter finalmente tornare in Italia dove, scontato un breve residuo di pena a Rebibbia, è tornato a casa.

Ma la nuova vita per Tommaso Cerrone non si prospetta semplice e, per quanto temprato dalla dura esperienza di carcerato aggravata dalla condizione di chi si sente vittima di una storia kafkiana, sta attraversando nuovi momenti di sconforto dovuti agli ostacoli incontrati sulla strada per un pieno reinserimento nella società. "Non sono riuscito a trovare un lavoro - racconta all’Ansa - e l’attività che svolgevo prima, nel commercio di mobili di antiquariato, è andata in crisi a causa del denaro che è occorso ai miei familiari per affrontare le ingenti spese legali e venire a trovarmi in America per farmi sentire il loro affetto".

Tutti i tentativi di trovare una nuova occupazione sono andati finora a vuoto, anche in conseguenza della sua vicenda giudiziaria. "La sospensione della patente di guida - continua Cerrone - che avrà termine ad agosto del prossimo anno, ha bruciato la possibilità di ottenete il lavoro che mi era stato offerto dal Comune di Pozzuoli, la città dove mi sono trasferito. Rivolgo un appello accorato alle autorità, le stesse che mi sono state vicine della mia disgrazia, perché mi aiutino a tornare a una vita normale. Mi rivolgo al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, al sindaco di Napoli: un lavoro per risarcire un cittadino italiano di sette lunghi anni di sofferenza indicibile che mi sono stati inflitti senza alcuna colpa".

Cerrone ha avuto modo di riabbracciare la moglie, le due figlie (l’ultima - racconta - al ritorno non lo riconobbe perché era troppo piccola quando fu arrestato). La bella notizia di un figlio in arrivo ("si chiamerà Pasquale, come mio padre che si è battuto con tutte le sue forze per farmi tornare a casa"), contrasta con il dolore per le cattive condizioni di salute della madre. "Si è ammalata dopo il mio arresto e sono convinto che la malattia sia una conseguenza del dolore terribile che ha provato. Ora prego, prego tanto per lei".

Toscana: Uil; mancano 4mila agenti, carceri sono alla deriva

 

Il Tirreno, 27 marzo 2010

 

"Siamo alla deriva completa nel più clamoroso degli allarmi che nessuno di chi ha competenza sembra voler raccogliere". Con queste parole Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziaria illustra le cifre e i numeri della disastrata situazione nei penitenziari della regione. "Al 28 febbraio, a fronte di una capienza massima pari a 3229 detenuti si registrava la presenza di 4396 ristretti. Un dato che conferma la Toscana come una delle regioni le cui carceri sono maggiormente sovraffollate. Le condizioni sono disumane e incivili". La speranza è che intervenga il ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Secondo il coordinamento nazionale penitenziari urge l’assunzione di 4mila unità. "In Toscana mancano 14 dirigenti penitenziari, 52 educatori, 28 assistenti sociali, 29 contabili, 103 collaboratori e 37 tecnici. La polizia penitenziaria conta su 2493 unità a fronte delle 3021 previste".

Catania: detenuto muore d’infarto, la vedova presenta esposto

 

Ansa, 27 marzo 2010

 

La moglie di un detenuto del carcere catanese di piazza Lanza, Marcantonio De Angelis, di 49 anni, morto il 19 marzo scorso a causa di un arresto cardiaco, Maria Zappalà, ha presentato alla Procura della Repubblica di Catania una denuncia-querela in cui rileva le "condotte omissive e negligenti dei medici della struttura che avrebbero determinato la morte" del marito.

Sull’episodio la Procura della Repubblica del capoluogo etneo ha aperto una inchiesta ed affidato ad un medico legale l’autopsia sul corpo dell’uomo, che è già avvenuta, i cui risultati si potranno avere solamente dopo un esame istologico. La querela è rivolta anche nei confronti del direttore del carcere, che "non avrebbe vigilato sulle condotte perpetrate dai medici". Nell’esposto la donna parla di "gravissima negligenza da parte dei medici e del direttore del carcere nel sottovalutare i sintomi dell’infarto". De Angelis, raggiunto da una ordinanza di custodia cautelare il 5 marzo scorso dalla Procura di Grosseto con l’accusa di rapina, si era presentato lo stesso giorno nella struttura carceraria accompagnato dal suo legale.

La donna nell’esposto rileva che il marito durante un colloquio avvenuto il 12 marzo scorso le aveva detto di accusare forti dolori sotto la cassa toracica e di aver fatto ricorso alle cure dell’infermeria, dove aveva avuto somministrati degli antidolorifici "per sospetta ulcera o gastrite". "Se i medici della struttura carceraria - scrive Maria Zappalà - avessero capito che i sintomi erano preludio ad un infarto con molta probabilità si sarebbe salvato solo se si fossero osservate delle regole basilari di comune esperienza nel campo medico".

"I medici, ai primi sintomi, se avessero intuito quello che stava succedendo - conclude la moglie dell’uomo - avrebbero potuto trasferire mio marito in una struttura specializzata e con molta probabilità non sarebbe morto. Tutto questo non è stato fatto". "Non si sono accorti che c’era un infarto in corso ed hanno somministrato degli antidolorifici per sospetta ulcera o gastrite - ha affermato il legale di Marita Zappalà, l’avvocato Salvatore Cannata - ma se la diagnosi fosse stata fatta in maniera corretta, probabilmente De Angelis, che tra l’altro si è proclamato sempre innocente, si sarebbe potuto salvare".

Livorno: morte Marcello Lonzi; verso definitiva archiviazione?

 

Il Tirreno, 27 marzo 2010

 

Se la Procura ha chiesto l’archiviazione dell’indagine sul decesso di Marcello Lonzi, il detenuto morto in carcere l’11 luglio del 2003, è perché a detta del pubblico ministero non è "emerso il minimo elemento di riscontro alla denuncia" presentata da Maria Ciuffi, la madre dello stesso Lonzi, secondo la quale invece la morte del figlio sarebbe stata il prodotto di un pestaggio avvenuto dietro le sbarre da parte del personale di custodia.

È questo il motivo per il quale il sostituto procuratore Antonio Giaconi ha chiesto che vengano prosciolti i tre indagati: il compagno di cella di Lonzi, Gabriele Ghelardini, e i due agenti di polizia Nicola Giudica e Alfonso Scuotto. Il pubblico ministero, nella sua richiesta di archiviazione (contro la quale Maria Ciuffi potrà opporsi, ma su questo non ha ancora detto una parola definitiva), ricostruisce il contesto nel quale è avvenuto il decesso di Lonzi.

E alla fine, citando l’ultima delle consulenze medico-legali (effettuata dalle dottoresse Monciotti e Vannuccini), arriva alla conclusione che la causa della morte è da attribuirsi alle patologie cardiache del detenuto mentre le sue fratture sterno-costali sono dovute dalle manovre rianimatorie tentate su Lonzi ormai agonizzante.

Nel suo ripercorrere le vicende dell’indagine, il pm Giaconi cita numerosi testimoni, una ventina in tutto, fra cui diversi compagni di detenzione di Lonzi, che ricordano il carattere di "Marcellino", il fatto che non di rado litigava con gli agenti di polizia penitenziaria "ma solo a parole", precisa uno dei detenuti.

E nessuno fra coloro che sono stati ascoltati fa riferimento a possibili incursioni in cella da parte degli agenti nelle ore che precedettero la morte. Fra le persone interrogate, c’è anche quella che era stata la fidanzata di Lonzi, detenuta anche lei all’epoca del decesso, che parla del suo compagno come di una persona talvolta violenta. "Aveva un carattere dolce, ma era geloso e a volte mi ha anche picchiato", ha detto agli inquirenti, aggiungendo anche particolari sul rapporto fra Lonzi e la famiglia.

A far da filo conduttore al comportamento di Marcello Lonzi alle Sughere, l’abitudine di "sniffare" il gas dalle bombolette usate per cuocere il cibo o scaldare il caffè, altro elemento di tensione con il personale di polizia penitenziaria. Anche le dichiarazioni di alcuni esponenti dell’area antagonista sono finite nella richiesta di archiviazione: incontrarono, infatti, insieme a Maria Ciuffi, l’ex compagno di cella Ghelardini che a loro dire rispose in modo un po’ contraddittorio.

Ed è questo lo spirito con cui il pm ha deciso di iscriverlo nel registro degli indagati ipotizzando l’omicidio preterintenzionale, salvo poi apprendere da successive sue dichiarazioni che al momento della morte di Lonzi lui era a letto, sotto l’effetto di psicofarmaci. Omessa vigilanza era invece l’accusa rivolta ai due agenti di polizia penitenziaria, Giudica e Scuotto. Accusa, anche questa, da ritenere caduta, secondo il pm.

 

La madre si oppone

 

"Abbiamo depositato oggi l’opposizione alla richiesta di archiviazione proposta dalla Procura di Livorno dell’indagine sulla morte di Marcello Lonzi". Lo ha detto l’avvocato Matteo Dinelli, che tutela gli interessi di Maria Ciuffi, la madre del detenuto livornese morto in carcere l’11 luglio 2003. "Riteniamo che su questa vicenda servano ulteriori approfondimenti - spiega il legale - perché nelle indagini condotte finora ci siano ancora vuoti investigativi che vanno colmati. In particolare, chiediamo al giudice per le indagini preliminari di ordinare nuovi accertamenti di carattere medico-legale, ma anche di carattere testimoniale. È francamente poco credibile che le vaste ferite e lesioni presenti sul corpo di Marcello siano state procurate dalla caduta dal letto della cella in conseguenza di un infarto".

Genova: accusato per morte del figlio, pericolo suicidio in cella

 

Ansa, 27 marzo 2010

 

Giovanni Antonio Rasero, accusato in concorso con Katerina Mathas della morte del piccolo Alessandro e detenuto nella casa circondariale di Marassi, è stato sottoposto stamani a stretta sorveglianza con controlli ogni quindici minuti per il timore che tenti il suicidio. Dopo l’interrogatorio e il confronto con la Mathas la scorsa notte in procura, Rasero al ritorno in cella è apparso fortemente scosso e non mostrava più l’apparente distacco dei giorni scorsi. Così stamani è stato visitato da uno psichiatra e gli sono stati somministrati dei tranquillanti. La direzione del carcere ha poi disposto il controllo da parte della polizia penitenziaria ogni quindici minuti per verificare le condizioni del detenuto ed evitare atti di autolesionismo.

Rasero è sempre recluso in una cella al piano terra in isolamento totale, senza la possibilità di ricevere posta, né guardare la televisione, né ricevere visite, compresi i familiari. Per questo motivo oggi pomeriggio non ha incontrato neppure la candidata dei Verdi alle prossime regionali Cristina Morelli e il presidente dei Radicali Bruno Mellano che hanno effettuato un sopralluogo nel carcere genovese.

Pistoia: Radicali; carcere peggiore regione, detenuti sono triplo

 

Ansa, 27 marzo 2010

 

L’Istituto penale di Pistoia "è il più critico della Toscana e vi sono violate le norme europee". Lo ha detto il senatore radicale Marco Perduca al termine della sua visita al carcere. "146 presenze in un carcere che dovrebbe ospitare 50 detenuti rappresentano la maggiore sovrappopolazione carceraria della regione - ha detto Perduca -. La presenza dappertutto di letti a castello a tre livelli e nei cameroni anche materassi per terra violano norme europee e complicano qualsiasi tipo di attività all’interno del carcere". Perduca ha annunciato una interrogazione al guarda sigilli Alfano sulle condizioni del carcere di Pistoia e per capire "cosa osti la nomina del direttore mancante ormai dall’estate scorsa".

Modena: Sappe; metà detenuti esce, dopo pochi giorni in cella

 

Dire, 27 marzo 2010

 

Stop al fenomeno della "porta girevole" al carcere di Modena, dove la metà dei detenuti esce dopo pochi giorni. Un fatto che "determina un inutile aggravio di lavoro per la polizia penitenziaria e per tutta l’istituzione carceraria".

È quanto sottolinea Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, che stamane ha visitato il carcere modenese con una delegazione di cui faceva parte anche il presidente della Commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli.

"Questa mattina, nel carcere modenese, c’erano 530 detenuti - riferisce il Sappe in una nota - la maggior parte dei quali stranieri extracomunitari. Da gennaio ad oggi sono entrati in carcere 200 detenuti, dei quali il 50% usciti dopo pochissimi giorni". Un dato che evidenzia "il fenomeno della cosiddetta porta girevole", spiega Durante, ovvero "la metà dei detenuti che entrano in carcere ci restano solo il tempo necessario affinché venga celebrata l’udienza di convalida dell’arresto, dopo di che, se non viene emesso un provvedimento di custodia cautelare, tornano in libertà". Oltretutto "il più delle volte siamo costretti a portare noi i detenuti in Tribunale per le udienze di convalida - prosegue il leader del Sappe - quando, invece, il codice di procedura penale prevede che, di regola, siano i giudici a venire in carcere. Ogni anno, a livello nazionale, la polizia penitenziaria effettua più di 50.000 traduzioni nelle aule di giustizia".

Ma la "porta girevole" non è certo l’unico problema. "Fino a poco tempo fa - prosegue il segretario generale aggiunto del Sappe - nel carcere di Modena c’era una sezione "Alta Sicurezza" destinata ai detenuti appartenenti alla criminalità organizzata. Di recente, tale sezione è stata dismessa ma, nonostante ciò, i detenuti appartenente alla criminalità organizzata continuano a rimanere a Modena".

Il Sappe ha perciò chiesto che la sezione "Alta Sicurezza" venga ripristinata, "anche in considerazione del fatto che il territorio modenese, così come quello emiliano in generale, non è esente dalla presenza della criminalità organizzata. Lo dimostrano sia gli arresti dei Casalesi, avvenuti proprio a Modena in questi ultimi tempi, sia le indagini di polizia effettuate in questi anni".

Il senatore Berselli, stando a quanto riferisce il sindacato autonomo, ha condiviso sia l’analisi, sia la richiesta fatta dal Sappe. "Mi impegnerò - ha affermato Berselli - affinché a Modena venga ripristinata la sezione "Alta Sicurezza". Contatterò il ministro Alfano, al quale prospetterò quest’esigenza, così come informerò il Capo del Dipartimento, Franco Ionta, della necessità di incrementare l’organico della polizia penitenziaria del carcere modenese. Inoltre, chiederò che una parte dei detenuti presenti a Modena vengano inviati in altri istituti".

Modena: Cgil-Uil; Berselli usa carcere per campagna elettorale

 

Comunicato stampa, 27 marzo 2010

 

Un nuovo inquietante episodio che mette in evidenza la mancanza di rispetto di qualsiasi regola all’interno della casa circondariale Sant’Anna si è consumato oggi in occasione di una iniziativa di un sindacato di polizia penitenziaria che è stato un misto di conferenza stampa e assemblea del personale.

Oggi infatti l’onorevole Filippo Berselli ha presenziato all’iniziativa sindacale nel corso della quale ha riproposto le già note promesse fatte nel corso della precedente campagna elettorale per risolvere i problemi dell’istituto di reclusione modenese, problemi che come è noto sono ancora tutti presenti. Fin qui non ci sarebbero elementi di contestazione del rispetto delle regole visto che l’onorevole Berselli è sottosegretario alla Giustizia.

Il problema sorge nel momento in cui, accanto alla visita istituzionale si associa anche la propaganda elettorale essendo presente anche un candidato modenese del Pdl alle elezioni regionali. Quindi - denunciano Fp-Cgil e Uil Modena - all’interno di una sede istituzionale, contrariamente a quanto previsto dai regolamenti, si sono utilizzati tutti gli elementi per fare campagna elettorale. Si continua quindi nella caduta di stile da parte dei rappresentanti del Governo che utilizzano il loro ruolo per fare di tutto, meno che rispettare gli impegni che si sono assunti nei confronti dei cittadini che per quanto riguarda il carcere modenese - continuano i Sindacati - erano quelli di aumentare l’organico di polizia e ridurre la popolazione detenuta.

Infatti oggi a Modena non ci sono 41 agenti in più, ma sole 23, e i detenuti continuano ad essere oltre 534 a fronte di una capienza di 220. Il problema della carenza di personale e del sovraffollamento è peraltro presente ed ancor più grave a Saliceta e Castelfranco ove tra l’altro è previsto anche l’arrivo di detenuti con problemi psichiatrici. La passerella elettorale, che va precisato è vietata nei luoghi di lavoro della pubblica amministrazione, ed in particolare in un istituto penitenziario, è l’ennesima dimostrazione della volontà di passare al di sopra di qualsiasi regola pur di affermare la propria volontà.

 

Vincenzo Santoro, Fp-Cgil Modena

Raffaele Mininno, Uil-PolPen Modena

Venezia: progetto "Mi associo"; reinserire i detenuti è possibile

 

La Nuova Venezia, 27 marzo 2010

 

La Municipalità di Marghera aderisce al progetto "Mi associo", mirato al reinserimento sociale di persone svantaggiate attraverso le associazioni e a creare occasioni per le persone sottoposte alle misure alternative alla detenzione. Ieri pomeriggio, nella sede municipale di via della Rinascita, l’assessore comunale alle Politiche sociali Sandro Simionato e Chiara Ghetti, del ministero di Grazia e Giustizia, hanno firmato un protocollo d’intesa per il rinnovo del progetto "Mi associo" che avrà una durata triennale, un anno in più delle passate edizioni che si sono tenute a partire dal 2002.

La crescita dell’iniziativa ha visto anche aumentare il numero delle Municipalità aderenti che prima erano quattro e oggi sono diventate sei con l’adesione anche di Marghera. Le associazioni che partecipano al progetto nel 2002 erano otto, ora sono diventate ben 24. L’iniziativa è rivolta a persone adulte che si trovano in temporanea condizione di disagio sociale e a persone sottoposte a misure alternative alla detenzione ed offre l’opportunità di fare delle esperienze, per migliorare la qualità della vita attraverso nuove relazioni all’interno delle associazioni convenzionate.

In particolare per chi è sottoposto al regime delle misure alternative alla detenzione, "Mi associo" dà la possibilità di riparare nei confronti della società attraverso una riparazione. Gli obiettivi del programma sono la valorizzazione delle risorse individuali, la promozione di legami personali solidi e la sensibilizzazione di chi vive nel territorio. Nell’ultimo biennio, il progetto ha attivato complessivamente 73 reinserimenti sociali attraverso le associazioni di cui 53 sono state realizzate dai servizi sociali del Comune e 20 dall’ufficio Esecuzione penale esterna di Venezia, Treviso e Belluno. Dei 53 inserimenti comunali la maggior parte (38) è rappresentata da uomini e una minoranza (15) da donne d’età media di 47 anni. Per quanto riguarda gli inserimenti fatti dal ministero, invece, due sono partiti nel 2008, 15 nel 2009 e tre sono stati realizzati nel 2010.

Piacenza: finanziare nuovi progetti borse-lavoro per i detenuti

 

Piacenza Day, 27 marzo 2010

 

Un totale di 418 detenuti, con tre brande per ogni cella singola (11 mq, in media 3,5 mq a persona) e 3 docce comuni a corridoio (25 celle) con un sistema di riscaldamento a boiler che esaurisce in breve tempo tutta l’acqua calda disponibile. È solo un primo sguardo sullo stato di sovraffollamento del carcere piacentino di via delle Novate.

Una condizione d’emergenza che è in continuo peggioramento. "Se la tendenza rimarrà invariata, a Natale avremo oltre 500 detenuti - precisa la direttrice Caterina Zurlo - a Piacenza finiscono anche i carcerati in eccesso di San Vittore e entro il 2012 sarà costruito un nuovo padiglione a cui sono già stati assegnati altri 200 nuovi detenuti".

Ma i problemi non si esauriscono con un semplice sguardo alle tabelle numeriche. Negli ultimi anni infatti i progressivi tagli hanno ridotto a tal punto le risorse destinate alla struttura da non permettere più percorsi di lavoro interni al carcere per i detenuti (oggi i pochi attivi sono pagati circa 40 € al mese) e rendere fondamentale l’apporto esterno che arriva dalle associazioni di volontariato. Un esempio emblematico su tutti: per rifornire il carcere di nuove coperte, il principale interlocutore è diventata la Caritas con le sue donazioni.

"Altro che riabilitazione costituzionale, una tale condizione è al limite dei diritti umani - commenta il consigliere comunale Giovanna Calciati in visita alle Novate insieme al candidato Pd Paolo Botti - mentre il Governo presenta un piano carceri di edilizia giudiziaria, dimentica il degrado di quelle già esistenti, senza contare le oltre 40 strutture disponibili sulla penisola e mai utilizzate".

Paolo Botti valuta misure da adottare nel prossimo quinquennio regionale. "Le competenze della Regione sono ovviamente limitate - sottolinea il candidato consigliere - un punto su cui dovremo senz’altro lavorare è quello di cercare di finanziare il maggior numero di nuovi progetti borse-lavoro, strumenti fondamentali per facilitare il reinserimento del detenuto e combattere in positivo il sovraffollamento".

"Nella scorsa legislatura la giunta Errani ha lavorato in questa direzione, istituendo anche la figura del Garante regionale dei detenuti - prosegue Botti - per tenere monitorato il caso piacentino e favorire la messa in rete con le possibilità offerte dalla Regione, proporrò di rendere permanenti all’interno del comitato locale carcere-città anche consiglieri regionali e deputati".

Trieste: detenuto ha sclerosi multipla, visitato da medico legale

 

Il Piccolo, 27 marzo 2010

 

È stato visitato nella sua cella del carcere del Coroneo dal dottor Raffaele Barisani, il giovane detenuto sloveno affetto da sclerosi multipla che gli ha leso il nervo ottico e lo costringe ogni 10-15 minuti a ricorrere al bagno. Il medico legale era stato incaricato dal Tribunale del riesame di verificare se lo stato di salute o meglio la malattia del giovane è compatibile con la carcerazione.

L’esito della visita verrà riferito ai giudici il 30 marzo e nella stessa data verrà presa una decisione. Il difensore, l’avvocato Sergio Mameli, ha chiesto una attenuazione della misura cautelare tale da consentire al detenuto di curarsi adeguatamente. Finora le fiale di "Copexone" gli sono state portate in carcere dalla moglie anche perché l’amministrazione penitenziaria sembra non avere le risorse finanziarie necessarie per comprare l’unica farmaco capace di rallentare l’evoluzione della sclerosi multipla.

L’acquisto del "Copexone" - 1.650 euro per 28 fiale - potrebbe protrarsi per mesi rischiando di mandare fuori controllo la spesa farmaceutica del Coroneo. Senza queste cure, il decorso della sclerosi multipla, una malattia degenerativa che non lascia scampo, subirebbe una vistosa accelerazione. In altre parole in un paio d’anni, il giovane sloveno, indagato per un piccolo spaccio di droga, potrebbe finire su una carrozzina.

"Abbiamo l’obbligo non solo morale di salvaguardare la salute delle persone che ci vengono affidate in custodia, ma l’acquisto di questo farmaco rischia di travolgere la spesa farmaceutica del Coroneo", ha affermato un paio di giorni fa Enrico Sbriglia, direttore del carcere cittadino e segretario nazionale del sindacato di categoria.

Padova: colombe pasquali fatte in carcere "sbarcano" sulle tv

 

www.padova24ore.it, 27 marzo 2010

 

Il periodo pasquale si annuncia molto caldo per il sistema carcerario padovano, ma una volta tanto non per qualche cattiva notizia di cronaca, ma per l’attenzione delle testate giornalistiche nazionali che alla casa di reclusione padovana dedicheranno vari servizi.

Si parte dal mensile Gambero Rosso, leader editoriale e della formazione in Italia nel campo della cultura del gusto. Nel numero in edicola in questi giorni le colombe artigianali prodotte all’interno del carcere penale Due Palazzi di Padova sono inserite nella "top ten" dei dolci pasquali del 2010. Un risultato di prestigio per il prodotto da forno della pasticceria interna alla casa di reclusione, gestita dal consorzio sociale Rebus, che d’altra parte in questi anni ha fatto incetta di premi e riconoscimenti.

Secondo il prestigioso mensile la colomba "I dolci di Giotto" è "una delle migliori colombe italiane". "Buona e bella, vestita di una glassa croccante coronata da ottime mandorle dolci sgusciate e da un fitto strato di zucchero a velo e in granelli. Impasto color giallo antico scarico, appena un po' asciutto, con canditi ben visibili. Naso molto delicato in cui si avvertono la mandorla dolce e l’agrume. Sapore gradevole e persistente, forse leggermente troppo dolce, sia nell’impasto che nella glassa, con una sfumatura agrumata e un lieve sentore di aromi".

Anche Retequattro il giorno di Pasqua dedicherà un ampio servizio di circa mezz’ora con inizio alle 9.30 con il significativo (e molto in linea con la festività) titolo "Nati due volte", realizzato a cura di Key Adv, sponsorizzato da Acqua Group per la regia di Riccardo Denaro. Si racconterà la storia di persone all’interno del carcere che, grazie al lavoro nella cooperativa sociale Giotto e al contatto con i volontari e gli operatori, sono ripartiti con una nuova speranza e un diverso senso del vivere.

Lo speciale è stato realizzato in stretta collaborazione con la direzione del carcere, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e il comune di Padova - direzione dei Musei civici. Alle immagini di via Due Palazzi si aggiungeranno riprese dall’interno della cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto, nella quale Wellington, un detenuto sudamericano, racconterà la sua esperienza di lavoro e reciterà i versi della preghiera alla Vergine di san Bernardo del Paradiso dantesco. "Ci sembra importante la collaborazione di tutti questi soggetti", spiega Nicola Boscoletto, presidente del consorzio, "in questo caso si tratta di una collaborazione con tutto il territorio padovano e il mondo del carcere nazionale che mostra un’efficace sinergia su tutto il tema del lavoro in carcere. Guardando insieme al bene comune si producono grandi risultati".

Di un ritorno si tratterà invece per la puntata pasquale di Alle falde del Kilimangiaro, il programma di RaiTre in onda la domenica alle 15.05 condotto da Licia Colò, che già a Natale ospitò le storie dei detenuti padovani. In questo caso non si tratterà di uno speciale o di un servizio e nemmeno di ospiti in studio. Intorno alle 17.15 sarà la conduttrice a fare gli auguri a tutti gli italiani e in particolare ai detenuti con il taglio della colomba prodotta in carcere. "Un gesto semplice di amicizia", commenta ancora Boscoletto, "che dice della grande sensibilità di Licia Colò, che abbiamo potuto apprezzare quando siamo stati suoi ospiti in studio a Natale".

Non è tutto: domani alle 12.25 ci sarà uno speciale del settimanale veneto di RaiTre sulle attività lavorative del carcere e sulla risorsa che il lavoro può offrire in vista del recupero più pieno della persona. È il servizio che Valentina Antonello ha realizzato per Rai International e che in questi giorni ha fatto il giro del mondo. Sabato 3 aprile infine, vigilia di Pasqua, dalle 10.40 alle 11.30 RadioRai uno all’interno della rubrica La terra presenterà un approfondimento sulla qualità e sul valore sociale delle colombe pasquali.

Napoli: ex detenuti e indultati, ecco la caccia a voto di scambio

di Daniela De Crescenzo

 

Il Mattino, 27 marzo 2010

 

Di fogliettini come quelli che Salvatore mostra speranzoso è piena la Sanità. Si scaricano da un normalissimo computer e chiunque può stamparli da casa propria: sono l’iscrizione a un progetto regionale rivolto agli indultati. Un progetto che ha portato sussidi per circa 500 persone che hanno usufruito dei benefici della legge del maggio 2006.

Dal 15 marzo è possibile censire i propri dati e manifestare interesse per la partecipazione alle prossime work-experiences sia per i disoccupati che hanno terminato i percorsi di orientamento e formazione, sia per gli ex detenuti che hanno beneficiato dell’indulto. Si tratta di una dichiarazione di disponibilità per un futuro possibile lavoro. Ma Salvatore è convinto che quel fogliettino stampato dal computer nella sede di una delle liste sia il passaporto per il famoso assegno, meta indiscussa di molti senza lavoro con precedenti penali.

"Così mi hanno detto gli organizzatori", spiega. Gli stessi che gli hanno fatto il nome della persona da votare per "far andare avanti il progetto". Un’illusione? Salvatore è sicuro di no. La sua convinzione si basa sull’esperienza. Nel suo quartiere molti hanno ottenuto il cosiddetto assegno, mito e speranza della Sanità. Lo hanno intascato perfino quelli che dell’indulto avevano beneficiato senza fare nemmeno un giorno di carcere. Possibile? Certo. La legge, infatti, indultava anche le condanne penali per i reati minori, come la guida senza patente o il piccolo abuso edilizio che possono essere commutati in pene pecuniarie.

Se si stampa il certificato penale compare la scritta "indultato" e così molti hanno avviato la pratica che ha portato alla riscossione del sussidio. E questo anche se nel modulo che compare sul computer è scritto che l’indultato dichiara di aver terminato la pena detentiva dopo il 1 agosto 2006. Di fronte alla prova evidente che i miracoli esistono, Salvatore ha deciso di provarci ed è pronto a votare il candidato indicato dai "signori delle liste".

Sport: Uisp - Vivicittà; il prologo nelle carceri di Brescia e Bari

 

Ansa, 27 marzo 2010

 

È iniziato il conto alla rovescia della XXVII edizione di Vivicittà, che si correrà tra quindici giorni, domenica 11 aprile. La corsa dell’Uisp lancia due prologhi in carcere, coerenti con le finalità sociali della manifestazione: sabato 27 marzo Vivicittà si corre nel penitenziario di Brescia e domenica 28 marzo nel Fornelli di Bari.

Anche per la conferenza stampa nazionale l’Uisp ha scelto quest’anno una collocazione significativa, quella di piazza Vittorio, al centro del quartiere più multietnico di Roma, visto che l’edizione di quest’anno è dedicata alla multiculturalità e all’antirazzismo. Appuntamento giovedì 8 aprile, ore 11 presso la Scuola omnicomprensiva Di Donato, Roma, via Bixio 83/84. A Brescia, la 15ma edizione di Vivicittà "Porte Aperte" si terrà sabato 27 marzo alle ore 10.30 nella Casa di Reclusione di Verziano. La corsa agonistica vedrà scendere in campo i detenuti di Canton Mombello, la sezione femminile e maschile di Verziano, gli agenti di polizia penitenziaria, atleti esterni e scuole superiori cittadine e della provincia. Sono attesi al via circa 60 detenuti e oltre 150 podisti provenienti dall’esterno che si contenderanno il podio.

A Bari, domenica 28 marzo, ore 10.30 si corre all’interno del carcere minorile dell’Istituto Fornelli. L’Appuntamento con la gara riservata a 35 giovani detenuti dell’istituto e ad alcuni rappresentati di diverse parrocchie locali, è alle ore 10.30, per un totale di 60 atleti al via. Si correrà per dieci volte lungo il circuito di 600 metri interno all’istituto Fornelli e adiacente al campo di calcio. Vivicittà in carcere coinvolgerà 15 città italiane: si corre negli istituti penitenziari e minorili di: Bari, Biella, Brescia, Caltanissetta, Civitavecchia, Cremona, Eboli (Sa), Ferrara, Livorno, Milano, Pavia, Reggio Emilia, Roma, Siena e Vigevano.

"Collocazione significativa" anche per la conferenza stampa nazionale: l’Uisp ha scelto la Scuola omnicomprensiva Di Donato in piazza Vittorio, al centro del quartiere più multietnico di Roma, visto che l’edizione di quest’anno è dedicata alla multiculturalità e all’antirazzismo.

Sport: Sassari; gol oltre le sbarre, regala un sorriso per la vita

 

La Nuova Sardegna, 27 marzo 2010

 

Un gol oltre le sbarre per regalare "Un sorriso per la vita". È in programma domani pomeriggio nel campetto all’interno del carcere di San Sebastiano l’iniziativa benefica organizzata a favore dell’Opera Gesù Nazareno di Sassari. Il particolarissimo evento sportivo rappresenta soltanto il culmine di un progetto portato avanti dall’Msp Italia: attraverso una lotteria, che in questi giorni ha già visto volatilizzarsi seimila biglietti, è stato infatti possibile acquistare un nuovo forno per il laboratorio della ceramica da donare alla Gena: un supporto fondamentale per le attività svolte dai ragazzi diversamente abili seguiti dalla Onlus sassarese.

La consegna ufficiale del forno avverrà domani mattina a mezzogiorno nella struttura di Valle Gardona, mentre ieri mattina i dettagli della manifestazione sono stati illustrati nella sala giunta del Palazzo della Provincia. All’incontro sono intervenuti in forze i rappresentanti di tutti gli enti coinvolti: Teresa Mascolo, direttrice della casa circondariale di San Sebastiano, Francesco Corgiolu, presidente provinciale dell’Msp, Michele Marras, responsabile della Gena, l’assessore provinciale allo Sport, Roberto Desini, e Gian Nicola Montalbano: il presidente del Coni ha sottolineato l’importanza di "coinvolgere due realtà delicate, come il carcere e la Gena".

"La nostra amministrazione sostiene sempre volentieri le iniziative sportive con valenza sociale - ha detto Desini -. Verranno coinvolti i detenuti di San Sebastiano, i ragazzi della Gena e la rappresentativa Msp. L’obiettivo, è evidente, va ben oltre l’evento sportivo".

"A San Sebastiano ho riscontrato attorno a questa iniziativa una sensibilità che non mi aspettavo - ha detto Teresa Mascolo -. Sono felice che siano state coinvolte anche persone di solito dimenticate". Entusiasta anche Marras, che promette spettacolo in campo con i ragazzi della Gena, e Corgiolu, che ha messo a punto l’iniziativa con grande impegno e che è stato ripagato "con diversi momenti emozionanti".

Libri: "Il Giudice della Pena"… sul magistrato di sorveglianza

 

Il Velino, 27 marzo 2010

 

"La figura del giudice di sorveglianza va rivalutata, serve l’esecutorietà dei provvedimenti per offrire risposte concrete ai detenuti". Lo dice in un’intervista Angelica Di Giovanni, ora reggente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, che ha guidato per oltre otto anni. Nelle 136 pagine del suo libro "Il Giudice della Pena" affronta un argomento complesso quale è il ruolo del magistrato di sorveglianza. Un tema che sarà al centro del dibattito per la presentazione del Volume in Campidoglio il 13 aprile alla presenza del sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Ionta, l’ex presidente della Camera Luciano Violante, il numero uno dell’Ordine degli Avvocarti Conte, il consigliere del Csm Giulio Romano e il prof. Giuseppe Riccio ordinario di procedura penale avanzata all’Università Federico II di Napoli.

 

Presidente, qual è questo ruolo?

"Il Giudice di Sorveglianza è il giudice della legalità della pena, dei diritti del detenuto".

 

Un ruolo di garanzia: compreso e apprezzato?

"Compreso direi poco, apprezzato dipende dai punti di vista".

 

Qual è il principale problema di quest’ufficio?

"È il rapporto con tutte le altre istituzioni. Manca ancora la centralità della cultura della pena. Ecco perché ho intitolato il libro "Il Giudice della Pena", proprio per evidenziare il punto giuridico. Si è giudice dei diritte e dei doveri dei detenuti".

 

Se non erro lo ha stabilito nel 2009 una sentenza della Corte Costituzionale.

"Esatto. A conferma di quanto fosse necessario comprendere la tematica centrale: l’esecutorietà immediata dei provvedimenti firmati dal magistrato di sorveglianza".

 

Qual è l’aspetto positivo di questo ruolo?

"È la voce giuridica e giudiziaria del rapporto con il detenuto. Ne tutela i diritti e vigila sui doveri".

 

Analizza alcuni aspetti critici del "Giudice della Pena"?

"Il libro si conclude con delle proposte, io parlo da tecnico non penso a riforme, prospetto delle soluzioni a problemi evidenti".

Immigrazione: Malta; 4mila "prigionieri" in hangar e container

di Gilberto Mastromatteo e Marco Benedettelli

 

Avvenire, 27 marzo 2010

 

In un hangar della Seconda guerra mondiale un folto gruppo di immigrati, con obbligo di firma tre volte la settimana, pena la decurtazione del contributo di sopravvivenza. Altri abitano in container e tendopoli, donne e ragazzi separati.

È una gigantesca scatola, tutta di lamiera. Giace sotto il sole. Senza finestre, senza porte. Nell’hangar di Hal Far, estremo Sud Est di Malta, sono accampate 800 persone. E questa è solo una piccola parte dei 4mila rifugiati che vivono negli open centre dell’isola, gli accampamenti destinati ai migranti che hanno già scontato la detenzione amministrativa.

L’hangar era una rimessa di aeroplani usata dalla Raf durante la Seconda guerra mondiale. È stato riadattato a dormitorio nel giugno del 2008. Si entra solo dalla fessura lasciata aperta fra i due portelloni scorrevoli dell’ingresso. Dentro è quasi buio, l’odore buca le narici. Cibo, corpi umani e aria viziata, tutto mescolato. Alcuni occhi sbirciano da dietro veli e asciugamani stesi a fare da divisorio nell’alveare di letti a castello che si estende in quell’immenso androne, grande come un campo di calcio. Il tempo, qui, quello della clessidra, sembra annegato.

Un ragazzo somalo dallo sguardo scavato parla un po’ di italiano e si capisce che ha voglia di fare da guida. Racconta che prima della guerra, in Somalia, la sua famiglia era benestante. Ora ha perso tutto. Ha 22 anni, si chiama Mohammed Weli, ci mostra la sua tessera per gli approvvigionamenti mensili. Vive con ottanta euro al mese, il suo "vitalizio" è stato decurtato di 50 euro. La multa per chi tenta di abbandonare l’isola, ma non può perché gli accordi di Dublino lo vietano. A Malta è arrivato per sbaglio. In realtà voleva approdare in Italia. Naufrago per errore. Qualcosa di simile accadde a san Paolo. Quest’anno ricorrerà l’anniversario numero 1950 del naufragio che portò l’Apostolo sull’isola, mentre era in viaggio verso Roma. E per l’occasione, il 17 e 18 aprile, papa Benedetto XVI sarà a Malta, dove, probabilmente, parlerà anche d’immigrazione. Anche se il Santo Padre difficilmente potrà osservare come vivono gli inquilini degli open centre.

Negli ultimi due anni il numero degli immigrati accolti in queste strutture è quasi raddoppiato. "Fino alla scorsa estate l’emergenza era nei detention centre - spiega Alexander Tortell, direttore dell’Awas, l’agenzia che si occupa dei richiedenti asilo -, ma ora che non ci sono più sbarchi i centri di detenzione si sono progressivamente svuotati, e tutti gli immigrati vivono nei centri aperti" . Chi vi risiede percepisce dal governo maltese 130 euro al mese. Poco più di 4 euro al giorno. Bisogna mettersi in fila e apporre la propria firma, tre volte alla settimana, la pena per ogni assenza è una decurtazione di 10 euro sul ‘ vitaliziò. Chi tenta di lasciare l’isola, come Mohammed Weli, perde in un colpo 50 euro. E così dal campo ci sia allontana poco, anche perché trovare lavoro a Malta è un’impresa disperata. Qualcuno ci prova. All’alba ci sono gruppetti di africani che attendono, un po’ spauriti, nella piazza antistante l’ingresso alla Valletta. Aspettano qualcuno che gli paghi una giornata, spesso invano.

Ad Hal Far, oltre all’hangar, ci sono sedici container, stipati oltre ogni limite. Per cucinare si utilizzano pericolosi fornelli da campo, mentre l’espletamento dei bisogni corporali è delegato a otto bagni chimici in tutto. Il governo sta costruendo nuovi servizi igienici e uno spazio per le cucine. Ma i lavori sono appena iniziati. Immagini che riportano alla mente quelle di Rosarno e degli accampamenti nella ex cartiera di San Ferdinando e Rizziconi. In alcuni edifici a ridosso del campo vivono, invece, le famiglie, i minorenni non accompagnati e le donne.

A poche centinaia di metri sorge la tendopoli di Tent Village, che negli ultimi anni ha quasi raddoppiato la sua estensione per via dei nuovi arrivi. Qui, fra tende piene a dismisura e servizi igienici insufficienti, sono accampate altre 800 persone. E la promiscuità tra uomini e donne rende abituali i casi di violenza e stupro. I più fortunati - quasi un migliaio - vivono a Marsa, il centro aperto maschile, adiacente alla Valletta e ricavato da un ex edificio scolastico. Sono queste le strutture che si dividono il peso di 4mila rifugiati.

Tutti hanno un solo obiettivo: continuare il proprio viaggio, non fermarsi lì. Sono arrivati dall’Ovest e dall’Est dell’Africa. In molti con le dita della mano rappresentano dei numeri: tre, sette, dieci. Sono i compagni di viaggio che hanno visto morire accanto a loro. Raccontano di aver subito percosse e violenze dalla polizia di Gheddafi: "In Libia, chi aveva i soldi per corrompere la polizia, continuava il suo viaggio verso Nord. Per gli altri, erano solo botte e prigione", racconta un somalo, seduto sul suo letto mentre nella sua pentola sta bollendo del riso.

A Malta non vogliono mettere radici, ma sono bloccati qui dal regolamento europeo "Dublino II", secondo il quale a doversi far carico dell’assistenza burocratica è il primo Paese dove il richiedente asilo ha messo piede. E dal quale, quindi, non può andarsene. Chi lascia l’isola, vi è riportato di peso una volta scoperto. Come Ale, un ingegnere chimico arrivato dalla Somalia cinque anni fa per scappare dalla guerra. È stato in Olanda, è stato in Svizzera, ma poi è dovuto sempre ritornare a Malta perché qui c’è la sua pratica di richiesta d’asilo. Ha 47 anni, la sua famiglia è sparpagliata tra Africa ed Europa. Un figlio è ancora in Somalia con la nonna, un altro in Svizzera con la madre. Parla perfettamente l’italiano e dal fondo della sua voce cantilenante emerge un tormento rassegnato. "Qui ci sono tantissimi problemi, la gente è stanca, c’è chi parla da solo, chi si è completamente isolato dagli altri, chi si attacca al bere", dice Ale.

Il governo si sta affidando a programmi europei ed extraeuropei per l’accoglienza degli stranieri ancora sul suo territorio. Per il 2010 gli Stati Uniti si sono offerti di ricevere 550 persone. Ma per tutti gli altri i tempi si annunciano molto lunghi.

"Sono sempre di più gli immigrati con forti disagi psicologici - conferma padre Joseph Cassar, responsabile dei Jesuit Refugee Service di Malta che ha sede a Birkirkara -. Depressi, poverissimi. Il loro numero è aumentato negli ultimi anni. Molti di loro sono uomini senza famiglia, senza un mestiere che dia scopo alla loro vita" . Soprattutto, senza un orizzonte cui approdare.

 

Le torture in Libia e ora… speranze finite

 

I cancelli di Tà Kandja si spalancano alle 10 in punto. Il centro di detenzione si sviluppa lungo una fila di palazzine basse, a un solo piano, tirate su a tufi, com’è d’uso qui a Malta. Tutto attorno reti metalliche alte sei metri e sormontate da filo spinato. Dentro vivono recluse 48 persone, 13 uomini e giovani donne il resto. I ragazzi ci aspettano già nell’androne del loro blocco. Sono tra gli ultimi arrivati nell’arcipelago-Stato, lo scorso 6 ottobre. Sbarcarono in 106, 86 uomini e 20 donne, a bordo di un barcone che, oltre al naufragio in mare, è riuscito a sfuggire anche al respingimento. Sono "fortunati", ma non lo sanno. È probabile che saranno gli ultimi inquilini di quelle celle.

Durante la visita un funzionario vigila su tutte le domande che poniamo e su ogni foto che scattiamo. Pane e latte non mancano, appoggiati sul pavimento vicino ai letti. Dal soffitto penzolano ancora gli addobbi natalizi, ritagli di foto di calciatori riempiono il vuoto alle pareti. Il tutto però sembra artefatto, quasi asettico, estraneo al senso estetico degli africani e ai loro ritmi sincopati. Come se le camerate fossero state tirate a lucido prima della visita.

Tà Kandja è il detention centre gioiello di Malta, quello che più spesso viene fatto visitare ai giornalisti, da quando, a metà del 2008, sono stati autorizzati dal governo della Valletta. Nei restanti due campi, quello di Lyster Barracks e quello di Safi Barracks, gestiti dall’esercito, la situazione è sensibilmente diversa. Tanto che, in entrambi, sono scoppiate rivolte, all’inizio dello scorso anno. Ogni irregolare può rimanere in detenzione fino a 18 mesi. Ma c’è chi vi resta anche più del consentito. In alcuni centri sono riconosciute solo 4 ore d’aria alla settimana. Non c’è riscaldamento e il cibo è sempre lo stesso. In ogni caso, dopo la drastica riduzione degli sbarchi, gli internati nei tre campi sono ora circa 300. Erano oltre 2mila lo scorso anno.

Gli sguardi dimessi, la stanchezza che emerge dalle parole dei reclusi, quella non la si può nascondere. Uno dei detenuti è stato in Libia, a Garabulli, in una delle prigioni di Gheddafi. È un eritreo, sui trent’anni. Racconta di torture patite ogni notte, anche con l’ausilio di cavi elettrici. Conferma che molte donne hanno subito violenza sessuale da parte dei militari libici. Garabulli, Kufra, Ganfuda, Zleitan, Misratah, Twaisha. I nomi delle carceri libiche sono stampati nella memoria di chi ha avuto la sfortuna di passarci. Nella camerata femminile, nigeriane e somale appena vedono un estraneo, reclamano subito il proprio diritto alla libertà e al lavoro. Una ragazza nigeriana di 24 anni vuole fare la parrucchiera. Anche per lei la parola ‘ libertà’ significherà dormire sotto una tenda o all’interno di un hangar di lamiera, a tempo indeterminato e senza lavoro.

 

Dopo l’intesa Italia-Libia sbarchi quasi azzerati

 

Nessuno sbarco dallo scorso mese di ottobre. Circa 300 persone ancora in detenzione e quasi 4mila nei centri aperti. La fotografia della situazione attuale sull’isola di Malta restituisce qualche tono chiaro e parecchie zone d’ombra. Ad alleggerire la pressione ci ha pensato il calo negli arrivi, diretta conseguenza dell’accordo italo-libico. Il 2008 è stato l’anno di picco degli sbarchi nell’isola: 2.275. Nel 2009 sono stati 1.475. Simile anche l’andamento delle tragedie in mare. Se nel 2008 i dispersi nelle acque maltesi sono stati 1.274, nel 2009 assommano a 425. A Malta, poi, ogni immigrato senza permesso di soggiorno compie un illecito amministrativo, pertanto viene trattenuto in detenzione. Il limite massimo, secondo la legislazione locale, è di 18 mesi. Fino allo scorso anno quella maltese era considerata un’anomalia in Europa. Oggi è la regola, dopo la direttiva adottata dalla Commissione europea all’inizio del 2009.

Eppure, la muraglia libica mostra già i primi segni di cedimento: il 24 gennaio, una barca con 25 immigrati tunisini è attraccata a Lampedusa, a tre mesi dall’ultimo arrivo di irregolari. E la crisi diplomatica in atto tra Libia e Svizzera rischia di far saltare l’intesa raggiunta nel canale di Sicilia. Le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani in Africa, non di rado spalleggiate dai governi locali, continuano a riversare migranti sulle coste nord-africane. Basta un cenno perché il rischio di nuove stragi riprenda.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

Precedente Home Su Successiva