Rassegna stampa 23 gennaio

 

Giustizia: dietro al "piano carceri"… i signori del calcestruzzo

di Ermanno Gallo

 

Liberazione, 23 gennaio 2010

 

Intervista a Cesare Burdese Architetto, esperto di progettazione carceraria ispirata ai modelli riabilitativi della pena.

Cesare Burdese è un architetto torinese che da vent’anni si occupa di progettazione carceraria in stretto rapporto con la concezione istituzionale della pena. Recentemente è stato relatore in un seminario tenuto presso il carcere di Sollicciano (13 giugno 2009) con un intervento critico rivolto alla tipologia di edilizia penitenziaria contemplata dal piano carceri proposto dal governo.

 

Esiste un modello architettonico di carcere trattamentale e riabilitativo distinto dal penitenziario afflittivo di mera custodia?

I vecchi modelli penitenziari, diciamo ideologici, a volte di matrice utopistica, sono tramontati o vanno rinominati.

 

Intende che quei laboratori sperimentali per la modificazione del comportamento dei detenuti, come Pentonville, o il carcere-paradigma di Filadelfia (isolamento diurno e notturno del detenuto) e di Auburn (lavoro collettivo di giorno agli affidabili, isolamento notturno), o ancora il Panottico del controllo invisibile "interiorizzato", non hanno più corso storico?

Oggi siamo di fronte a "derivati" ottocenteschi, con prigioni a pianta crociata e radiale oppure a strutture moderne a palo telegrafico. Per fare fronte alla cosiddetta "emergenza" vengono evocate carceri galleggianti, veri modelli protostorici, o carceri grattacielo, strutture obsolete e futuriste al contempo. In ogni caso ogni tipologia dovrebbe essere contestuale, posto che sia replicabile fuori del suo tempo.

 

Il sovraffollamento attuale, che enfatizza il carattere afflittivo e patogeno della pena, non inficia qualsiasi visione architetturale che si proponga il cambiamento dell’essenza reale del castigo, attraverso la modificazione delle strutture murarie, della camicia di pietra del sistema cellulare, in funzione, ad esempio, del "carcere democratico", della "dolcezza delle pene"?

Il ritardo casuale o colpevole dell’edilizia rispetto alla legge penitenziaria non può che aggravare lo stato presente delle cose. Constato, oggi più di ieri, che anche nella facoltà di Architettura, dove tengo seminari e ho seguito tesi sull’argomento, per non parlare delle sedi decisionali, pochi considerano l’architettura carceraria una materia di studio e ricerca.

 

Il circuito carcerario italiano è obsoleto ed esplosivo. Nel piano carceri proposto dal governo esiste una visione architettonica adeguata che potrebbe trasformare questa situazione degradata?

La promessa di 22 mila posti cella in più nel 2012, può essere solo un tappabuchi. Il carcere ha paura del vuoto. Più aumentano i posti - oggi li chiamano "posti letto", come se fosse un albergo o un dormitorio - tanto più aumenta la bulimia penale e penitenziaria. Un detenuto tira l’altro.

 

Fino ad oggi sembra che siano stati stanziati in finanziaria solo 500 milioni di euro per l’ampliamento della capienza…

Si prevedono circa cinque mila posti come primo intervento di sostegno. Celle ricavate da ristrutturazioni, ampliamenti o costruzioni di nuovi padiglioni nelle strutture esistenti. Cpt riconvertiti, oppure riutilizzo di strutture prerecintate, come ex caserme, fabbriche dismesse ecc. 150 milioni sarebbero stanziati dal ministero della Giustizia, altri contributi sono attesi dal fondo unico della giustizia e dalle cassa ammende. Mancherebbero al momento oltre 600 milioni, non attingibili dalla casse pubbliche. Stando così le cose, è impossibile creare entro il 2012 i 22 mila posti promessi. D’altronde il settore privato non sembra particolarmente allettato dalle promesse dello Stato.

 

Come si presentano gli schemi architettonici del piano?

Le premesse di progettazione e costruzione, avallate dal ministro Alfano, con la supervisione del commissario plenipotenziario Ionta, non fanno prevedere grandi innovazioni. Nell’allegato D del documento ministeriale c’è lo schema di un penitenziario-tipo per circa 400 posti detentivi. Si tratta di un prototipo ad aggregazione radiale. Un modello derivato dai vecchi sistemi di fine ‘800. Questo modello tipologico rappresenta l’immagine della regressione dell’edilizia penitenziaria italiana. E dimostra che la progettazione carceraria è estromessa dal circuito del libero mercato della progettazione.

 

Pensa che sia tutto riconducibile ad una mancanza di "concorrenza progettuale?"

La circostanza incide molto perché il progetto è demandato acriticamente agli uffici tecnici ministeriali, che non sembrano molto competenti. Poi gli stessi schemi approvati a occhi chiusi passeranno ai cartelli delle imprese di costruzione, che sono puri comitati di affari Quanto meno lo Stato appare ingenuo, in contraddizione con i suoi stessi organi legislativi, rendendo pubblico uno schema tipologico assurdo.

 

Non le pare che si vada verso un idealtipo di carcere-cubo, gestito dal settore privato che capitalizza lucrando sul detenuto e il lavoro coatto. Insomma una industria-carcere, o come dicono gli americani: un "complesso carcerario industriale"?

Finora, in Italia, la componente produttiva è sempre stata trascurabile nella gestione delle pene. La carenza di personale, l’articolazione degli spazi nel carcere cellulare, hanno permesso solo piccole attività di riproduzione interna, manutenzione e lavori artigianali appaltati da piccole imprese. Difficile parlare di lavoro industriale.

 

Quindi non è in vista una forma-carcere caratterizzata dalla produttività incentivata dal privato?

Non direi, tenuto conto della legge vigente e della dislocazione cellulare esistente. Casomai vedo la potenziale capitalizzazione a monte della carcerazione.

 

Cioè attraverso la progettazione e costruzione di nuove strutture carcerarie?

L’Italia è un grande cementificio. Per questo, più che fare dei containers o dei cubi prefabbricati, ai costruttori conviene costruire con colate di cemento. In questo modo, edificando strutture fotocopia, l’edilizia penitenziaria diventa particolarmente redditizia.

 

E chi potrebbe vincere queste gare di appalto?

I signori del calcestruzzo.

Giustizia: gli Opg hanno fallito è l’ora di chiuderli per sempre

di Alessandro Margara (Presidente Fondazione Michelucci)

 

Il Manifesto, 23 gennaio 2010

 

Opg: una sigla per Ospedale Psichiatrico Giudiziario, una ditta con fama pessima. Sta cambiando con il passaggio del servizio sanitario in carcere alla Sanità pubblica? La partenza è in forte salita.

Il sistema della misura di sicurezza dell’Opg, introdotta dal Codice penale Rocco per i soggetti autori di reati ma prosciolti per vizio totale di mente, si fondava su tre presupposti assolutamente condizionanti: la incurabilità e sostanziale perpetuità della malattia mentale; l’esistenza della pericolosità sociale, alla base del sistema giuridico delle misure di sicurezza, che potevano essere prorogate senza limiti (venne usato il termine "ergastolo bianco"); una condizione detentiva assolutamente priva di possibilità terapeutiche, con strutture e personale carcerari.

Questo sistema è crollato nei primi due punti: la malattia mentale può essere superata con interventi terapeutico-riabilitativi, che si possono giovare anche di nuovi farmaci, consentendo o la guarigione o, comunque, la vivibilità sociale per la persona; grazie all’apporto di sentenze costituzionali e di interventi legislativi, oggi nessuna misura di sicurezza può essere eseguita se non si accerti la pericolosità sociale attuale della persona.

Se vogliamo, resta scalfito anche il terzo punto: una sentenza costituzionale (n. 253/2003) ha affermato che il giudice non è obbligato ad applicare il ricovero in Opg: quando le condizioni della persona lo consentono, basta la libertà vigilata e la presa in carico da parte del servizio psichiatrico pubblico. Il che significa, però, che, in mancanza di quelle condizioni, la persona può ancora finire in Opg; e qui, allora, si finisce per sbattere contro il vecchio Opg, le sue solite mura, la solita organizzazione.

Sta, però, passando un modello diverso, che relega la sorveglianza e la sua gestione al perimetro esterno delle strutture, mentre, all’interno, l’istituto è gestito interamente dal personale sanitario, che ha responsabilità, assistenza e cura degli internati.

Queste strutture dovranno dimenticare non solo il modello carcerario, ma anche quello ospedaliero e cercare un modello comunitario di vita. Dovranno inoltre essere limitate a un numero modesto di utenti, anche se questo traguardo potrà non essere immediato, specie per regioni con un alto numero di ricoverati. D’ora in poi, l’Opg dovrebbe essere riservato alle sole persone sottoposte a misura di sicurezza definitiva. Per gli altri, i soggetti in attesa di giudizio, dovranno essere create apposite sezioni negli istituti di pena, sotto la responsabilità del Servizio Sanitario Nazionale: come già avviene per le sezioni di osservazione psichiatrica, dove vengono inviate le persone che necessitino di una diagnosi. Tali sezioni sono già presenti in varie regioni e dovrebbero essere istituite in tutte.

Nonostante i disegni riformatori, attualmente il numero dei ricoverati in Opg sta crescendo, particolarmente il gruppo degli internati a misure di sicurezza provvisorie, problematici per vari aspetti. Questo accade perché l’Autorità Giudiziaria si avvale raramente del ricovero in strutture civili previsto dall’art. 286 del Codice di Procedura Penale. Per gli internati con misura provvisoria, non si possono utilizzare le aperture del regime giuridico relativo agli internati definitivi, così che essi devono restare continuativamente chiusi negli Opg. Il loro ingresso è privo di garanzie, nel senso che, sempre più spesso, arrivano negli Opg dalla libertà senza una valutazione psichiatrica, che giustifichi la gravosità di quel ricovero. La perizia è generalmente disposta successivamente, la sua durata è tutt’altro che breve e può anche concludersi con il disconoscimento della malattia o la curabilità della stessa senza ricovero.

Rimane il problema dei soggetti giudicati "seminfermi di mente", attualmente ristretti nelle "case di cura e custodia": in attesa della loro soppressione (obbiettivo di tutti i progetti di riforma del Codice Penale), ci sarebbe ancora da ridurre il numero dei ricoverati individuando soluzioni esterne per i molti internati definitivi che hanno terminato il periodo minimo di durata della misura di sicurezza e che restano dentro perché non si trova una qualche accoglienza per loro fuori. I condizionamenti del vecchio sistema sono tanti. Non sarebbe l’ora di chiudere la ditta Opg per indiscutibile fallimento?

Giustizia: Rizzoli (Pdl); dubbi su compatibilità malattie-carcere

 

Adnkronos, 23 gennaio 2010

 

"In Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario abbiamo deciso di effettuare una nostra indagine nelle carceri italiane, anche perché sollecitati dai sospetti sui tanti casi di morte all’interno degli istituti, derubricati come suicidi". Lo ha annunciato Melania Rizzoli, capogruppo Pdl nella Commissione parlamentare che oggi ha cominciato la sua inchiesta nei penitenziari da Milano.

"Al carcere giudiziario di S. Vittore a Milano il centro clinico è in buone condizioni, l’assistenza sanitaria è garantita 24 ore su 24 e ho registrato efficienza". "Mi sono intrattenuta a dialogare con pazienti che all’interno del centro medico del carcere effettuano la dialisi per malattie renali irreversibili o vengono sottoposti a chemioterapia e radioterapia perché ammalati di cancro - continua Rizzoli -.

Francamente trovarsi di fronte a casi come quelli da me conosciuti questa mattina, casi umani particolarmente dolorosi, solleva il dubbio sulla possibilità che la detenzione sia compatibile con le cure necessarie a chi soffre patologie particolarmente gravi. È un dubbio che consegnerò agli organismi competenti insieme a tutti i dati che raccoglieremo in un giro che comincia oggi, ma che nelle prossime settimane toccherà numerose strutture sanitarie interne a carceri giudiziari e penitenziari.

Da medico - conclude l’esponente del Pdl - dico che ci sono casi, dal tossicodipendente morto per avere inalato gas, al detenuto malato di cancro al cervello e il cui decesso è stato definito improvviso, che mi lasciano sgomenta. Rispetto a tutto questo è necessario fare chiarezza, proprio il compito della commissione di cui faccio parte".

Giustizia: Napoli; botte a no global condanne per 10 poliziotti

di Dario Del Porto

 

La Repubblica, 23 gennaio 2010

 

Un vero e proprio sequestro di persona si consumò all’interno della caserma Raniero della polizia di Napoli, dove 85 manifestanti furono condotti e trattenuti per ore, il 17 marzo 2001, a margine degli scontri di piazza esplosi mentre in città si teneva il vertice Global Forum: è la tesi dei giudici che per questo reato hanno condannato ieri dieci poliziotti fra i quali due funzionari. Il verdetto giunge a conclusione del processo di primo grado sugli eventi che anticiparono i fatti ancor più tragici che solo quattro mesi più tardi, e sotto un governo di diverso schieramento, sarebbero avvenuti a Genova durante il G8.

La pena più severa, due anni e otto mesi di reclusione ciascuno, è stata inflitta ai due funzionari Carlo Solimene e Fabio Ciccimarra, entrambi molto stimati negli ambienti del Viminale. Due anni e mezzo sono stati inflitti a Raffaele Manna, due anni e due mesi a Damiano Tedesco. Le pene per questi quattro imputati risultano comunque condonate per effetto dell’indulto. Sempre per sequestro di persona sono stati condannati a due anni di reclusione ciascuno, e tutti con il beneficio della sospensione condizionale, i poliziotti Pietro Bandiera, Michele Pellegrino, Francesco Incalza, Paolo Chianese, Damiano Avallone ed Espedito Avellino.

Undici le assoluzioni, dieci i proscioglimenti per intervenuta prescrizione. Commenta Paolo Mancuso, oggi procuratore capo a Nola, che come procuratore aggiunto di Napoli aveva coordinato l’indagine dei pm Marco Del Gaudio e Francesco Cascini: "Una sentenza di condanna non può mai essere accolta con soddisfazione, soprattutto se viene emessa nei confronti di servitori dello Stato. Ma questo verdetto, pur se al termine del solo primo grado di giudizio, riconosce un principio importante: non è lecito trattenere delle persone in una caserma senza titolo e in condizioni disumane". I manifestanti aveva sottolineato il pm Del Gaudio durante la requisitoria, erano stati portati in caserma senza ragione e "senza avvisare il pubblico ministero. Costretti a stare inginocchiati, picchiati, insultati".

Di tutt’altro tenore i commenti degli imputati condannati e dei loro difensori. Afferma l’avvocato Eugenio Cricrì, legale di Solimene: "Non ci aspettavamo una sentenza di questo genere visto che il Riesame prima e la Cassazione poi avevano escluso la sussistenza del reato di sequestro di persona. Evidentemente il Tribunale è stato di diverso avviso. Il dottor Solimene - aggiunge Cricrì - ha accolto la decisione con grande dignità e amarezza, nella convinzione di aver fatto esclusivamente il proprio dovere".

L’avvocato Arturo Frojo, che assiste Ciccimarra, evidenzia: "La sentenza appare francamente incomprensibile perché non rende giustizia ai protagonisti di questa vicenda. Riteniamo che questo verdetto possa però essere ben modificato in grado di appello". L’avvocato Sergio Rastrelli dice: "Dal punto di vista giuridico la pronuncia appare sconcertante. Aver riconosciuto il sequestro di persona costituisce un precedente pericolosissimo perché afferma la tesi in base alla quale personale di polizia che si trova all’interno di una caserma nella esecuzione di un ordine può compiere sequestro di persona. Per quanto ci riguarda comunque la battaglia continua".

Molise: in Regione; si discute di tutela della salute dei detenuti

 

Asca, 23 gennaio 2010

 

Ieri mattina, presso l’Assessorato alle Politiche Sociali, alla presenza degli Assessori Angiolina Fusco Perrella, Politiche Sociali e Nicola Passarelli, Politiche Sanitarie, dei direttori delle Case Circondariali di Campobasso Isernia e Larino, dei rappresentanti dei distretti sanitari e dell’UEpe (Ufficio Penale Esecuzione Esterna) si è discusso sulle Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario Nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale. Tra gli argomenti all’ordine del giorno, tre sono stati i principali punti individuati: realizzare protocolli locali tra e per le Amministrazioni Penitenziarie di Campobasso, Isernia e Larino, elaborare un documento progettuale per le Amministrazioni Penitenziarie succitate, realizzare linee guida per i Centri di giustizia minorile.

"L’iniziativa - sottolineano gli Assessori Fusco e Passarelli - nasce in seguito agli accordi e ai protocolli di intesa, sottoscritti a livello regionale (tra Regione, Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e Centro di Giustizia Minorile) e territoriale (tra azienda sanitaria, singolo istituto e servizi minorili) e alla valutazione dell’efficienza e dell’efficacia degli interventi sanitari, sia sotto il profilo della qualità organizzativa che della qualità di processo, affidata ad un Osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria, con rappresentanti della Regione, dell’Amministrazione Penitenziaria e della Giustizia Minorile, competenti territorialmente. Tali organismi, ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze, sulla base delle eventuali criticità rilevate, anche attraverso la valutazione dei dati dei Sistemi informativi operanti, provvedono a proporre le azioni e gli strumenti correttivi più appropriati. La Regione Molise è stata la prima regione, a livello nazionale, a recepire e attuare il decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230 Riordino della medicina penitenziaria, emanato dai Ministeri della Salute e della Giustizia".

Sardegna: cure sanitarie in carcere, Cappellacci incontra Fitto

 

Adnkronos, 23 gennaio 2010

 

Il ministro ha assicurato che convocherà per la settimana prossima la Commissione paritetica Stato-Regione per affrontare la questione e concordare misure adeguate alla soluzione del problema.

Il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, interpretando le numerose sollecitazioni provenienti da più parti del territorio, ha incontrato il ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, per evidenziare la necessità di un intervento immediato affinché nell’Isola venga assicurata un’adeguata assistenza sanitaria nelle strutture penitenziarie. Il ministro ha assicurato che convocherà per la settimana prossima la Commissione paritetica Stato-Regione per affrontare la questione e concordare con la Regione misure adeguate alla soluzione del problema.

Teramo: Dap; su morte Uzoma, nessuna responsabilità agenti

 

Il Centro, 23 gennaio 2010

 

Non ci sono responsabilità degli agenti di polizia penitenziaria nella morte di Uzoma Emeka, il detenuto nigeriano di 30 anni testimone del presunto caso di pestaggio in carcere e morto qualche mese fa in cella per un tumore al cervello che non era stato diagnosticato. Lo hanno accertato gli ispettori del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che hanno inviato un rapporto in procura. L’attenzione dei magistrati, dunque, ora si concentra sul personale medico, anche se per il momento non ci sono ancora indagati. È probabile che nei prossimi giorni il sostituto procuratore Roberta D’Avolio, titolare del caso, affiderà una consulenza medica per accertare eventuali omissioni. E, intanto, nei giorni scorsi un agente di polizia penitenziaria è stato spintonato da un detenuto. Il poliziotto non ha riportato ferite.

Verona: il marito è morto in carcere, la moglie vuole chiarezza

 

L’Arena, 23 gennaio 2010

 

L’ingresso del carcere di MontorioGiacomo Attolini si suicidò in carcere a Montorio il 7 gennaio. Una situazione di difficoltà, la sua, che lo aveva portato a tentare di farla finita altre volte. Così se in novembre si tagliò i polsi e si trattò di un gesto dimostrativo, una richiesta di aiuto perché non corse alcun pericolo, in dicembre provò altre due volte a togliersi la vita: il 6 e il 17. Un dato che emerge dalla documentazione presente nel fascicolo aperto dalla procura sul suicidio del pizzaiolo di Villafranca che era in carcere perché in marzo uccise una giovane rumena, Andrea Sutic (che lo aveva denunciato per violenza sessuale). E nonostante i due tentativi non era sottoposto a sorveglianza visiva. Ricoverato in infermeria in cella con un altro detenuto, la sera del 7 gennaio riuscì a farla finita usando la maglietta come corda e si impiccò alla grata della finestra del bagno.

E ieri mattina la vedova di Attolini ha depositato una denuncia-querela in procura chiedendo che vengano accertate, se ve ne sono, "le eventuali responsabilità di natura colposa che saranno ravvisate in relazione al suicidio" e al tempo stesso di essere informata sulla eventuale richiesta di archiviazione del procedimento dichiarando di opporsi a tale eventuale decisione. Lo ha fatto nominando come legale Guido Beghini, lo stesso che assisteva il marito per la vicenda più drammatica, quella segnò la vita di due famiglie, quella della vittima e la sua. E sempre attraverso il legale ha chiesto formalmente che venga acquisita la cartella clinica giacente in casa circondariale, questo perché dalla nota pervenuta in Procura emerge quel secondo tentativo, sventato ma comunque messo in atto.

"Un gesto suicidario prevedibile", sostiene il legale, "ma non risulta siano stati richiesti approfondimenti relativamente al fatto che non era sottoposto a sorveglianza visiva nonostante i due tentativi di dicembre. Personalmente ero a conoscenza di uno solo, quello che fu sventato dai compagni di cella. Il secondo non mi era stato comunicato, per questo l’unica cosa che la signora vuole comprendere è se ci si trovi di fronte ad un errore di valutazione circa le sue condizioni psichiche".

Firenze: nuovo carcere; si decide martedì, due ipotesi al vaglio

di Francesco Pini

 

Metropoli, 23 gennaio 2010

 

Un nuovo penitenziario in Toscana; a Firenze o nei dintorni, con tutta probabilità. L’anticipazione del Nuovo Corriere coglie di sorpresa un po’ tutti, fra gli amministratori locali. Molti infatti si aspettavano un ampliamento di Sollicciano, e infatti si parla di una nuova ala da realizzare, con una capienza da duecento posti. Ma nei pensieri del ministro della Gustizia Angelino Alfano ci sarebbe la realizzazione di una struttura completamente nuova, nell’ambito del piano che dovrebbe portare a 80mila unità la capienza delle prigioni di tutta Italia.

La decisione è prevista per martedì prossimo. Nel frattempo, le ipotesi più probabili in campo sarebbero due. La prima: costruire il nuovo penitenziario a Novoli, magari nelle vicinanze del palazzo di giustizia. La seconda: individuare un luogo nell’area della "Piana" tra Firenze, Prato e Pistoia.

Dove esattamente sia l’area immaginata per quanto riguarda la Piana, resta un mistero. Il piano carceri elaborato dal Guardasigilli Alfano prevede, oltre al raggiungimento di 80mila posti nelle celle italiane, l’aumento di duemila unità degli agenti di polizia penitenziaria. Nei progetti di Alfano, oltre all’ampliamento delle strutture, c’è anche la loro riorganizzazione, in modo da prevedere una "attenuazione" del sistema sanzionatorio per chi è arrivato a scontare un piccolo residuo di pena.

Il ministro nei giorni scorsi, riferendo in aula alla Camera, ha rivendicato quanto già fatto negli ultimi venti mesi, con un incremento di 1.600 posti: lo stesso incremento, secondo Alfano, ottenuto nei precedenti dieci anni. Tra gli altri progetti che riguardano il sistema carcerario toscano, il Guardasigilli a novembre aveva manifestato l’intenzione di riaprire sull’isola di Pianosa il carcere di massima sicurezza, da destinare ai boss mafiosi. Un’idea che però ha diviso il consiglio dei ministri, con la contrarietà di Altero Matteoli e di Stefania Prestigiacomo. L’isola oggi è una riserva naturale e all’ipotesi di riaprire la struttura a Pianosa si sono opposti anche il presidente della Regione Claudio Martini e le associazioni ambientaliste Legambiente e Wwf.

 

Corleone: folle un nuovo padiglione a Sollicciano

 

Un nuovo penitenziario a Firenze o nella Piana? Improbabile secondo il garante per i diritti dei detenuti del comune di Firenze, Franco Corleone. "L’amministrazione penitenziaria ha in programma invece la realizzazione di due padiglioni, uno a Sollicciano, l’altro a Livorno".

 

Un’ipotesi che a Corleone non piace affatto…

"Sarebbe un disastro architettonico. Ci sono problemi di energia, acqua, personale; si farebbe, insomma, una baraccopoli. Togliendo spazi esterni, come il campo sportivo o l’azienda agricola".

 

E il sovraffollamento, come si risolve?

"Secondo me serve un piano per svuotare Sollicciano: fare uscire i tossicodipendenti prevedendo per loro misure alternative, agevolare il rientro in patria degli stranieri".

 

Quindi il piano Alfano va nella direzione sbagliata?

"Il ministro ha avuto il coraggio di dire in Parlamento che vuole raggiungere gli 80mila posti nelle carceri. Ma se oggi ci sono 65mila detenuti, di cui la metà sono tossicodipendenti? Forse vuole incarcerare tutto il mondo? Ma la linea mi sembra chiara: ai potenti nemmeno il processo, i disgraziati ammucchiati in carcere".

 

Le misure alternative, diceva: come funziona a Firenze l’esperienza del "Gozzini"?

"Ha un problema: è nato come istituto di custodia attenuata, inizialmente solo per i tossicodipendenti. Poi sono stati limitati gli accessi, e la struttura ha iniziato a svuotarsi; a quel punto sono stati aggiunti i detenuti semiliberi di Santa Teresa e i detenuti a scarsa pericolosità e vicini alla fine della pena. Dunque, in una stessa struttura ci sono tre categorie diverse di detenuti".

 

Poco tenero con il piano del ministro Alfano è anche Eleuterio Grieco, segretario provinciale della Uil penitenziari...

"Si parla di nuove carceri, ma non ci sono gli agenti: le duemila unità che saranno assunte non bastano a coprire neppure i nuovi istituti che si apriranno; solo nel 2010 andranno in pensione 950 unità. Il rischio è di avere le prigioni e non poterle usare, come avviene a Milano con Bollate, che funziona al 50% perché manca il personale".

 

E a Sollicciano?

"A Sollicciano dovremmo essere 600 agenti in servizio per 470 detenuti; invece la popolazione carceraria ha superato le mille unità e, di fatto, gli agenti che fanno il servizio di guardia sono appena 300. Gli educatori sono appena cinque; cinque, per mille detenuti. È ovvio che aumenti il rischio di suicidi".

 

La Cgil Funzione Pubblica ieri ha addirittura proclamato lo stato di agitazione...

"Niente è stato fatto per rendere accettabili, o quantomeno sopportabili, i carichi e le condizioni di lavoro sul fronte del personale e delle risorse che nel solo 2009 in Toscana ha visto uscire ben 61 poliziotti, in minima parte per raggiunta età pensionabile, tutti gli altri perché risultati non più idonei al servizio di Polizia Penitenziaria", ha spiegato il sindacato in una nota. A fronte delle duemila assunzioni in Italia annunciate da Alfano "ogni anno si perdono mille lavoratori di polizia penitenziaria".

Trento: carcere non deve essere contenitore di disagio sociale

 

Il Trentino, 23 gennaio 2010

 

Il carcere non deve essere un contenitore di disagio sociale. Così la pensano coloro che lavorano all’interno della struttura a pochi mesi dal trasferimento a Spini. Del problema se ne è discusso nella conferenza di ieri "Carcere: le figure professionali che vi operano e l’imminente trasferimento della sede". "Non può che essere positiva l’apertura della struttura che dovrebbe garantire ai detenuti diritti che nell’edificio di via Pilati non possono essere previsti, viste le sue condizioni - ha spiegato la direttrice Antonella Forgione - rovescio della medaglia è che, se 240 sono i posti, in realtà ci saranno il doppio di persone".

Molte sono le cose che cambieranno: innanzitutto dovranno almeno triplicare gli agenti della polizia penitenziaria (ora sono 90) e saranno molto di più le attività.

"Ci sono dei corsi e dei laboratori per favorire il reinserire cosa che spesso non è possibile con gli stranieri. Molti di loro vengono espulsi e quindi si rischia che il carcere diventi un passaggio e quindi un contenitore sociale" ha specificato Tommaso Amadei, educatore. Si dovrebbero favorire le esecuzioni penali esterne non previste, però, per gli extracomunitari senza permesso di soggiorno. "In questo modo si riesce a raggiungere il risultato sperato visto che nessuno ricommette dei reati" ha detto Antonina Tuscano Monorchio, direttrice dell’ufficio esecuzione penale esterna.

Savona: per nuovo carcere si attende la Conferenza dei servizi

 

Secolo XIX, 23 gennaio 2010

 

Potrebbe arrivare giovedì 28 gennaio una prima svolta al progetto del nuovo carcere di Savona in località Passeggi, ai confini tra i Comuni di Quiliano e Savona. Per quel giorno è stata infatti convocata una conferenza dei servizi al Provveditorato delle Opere Pubbliche di Genova. Al vaglio il progetto della nuova casa circondariale, che prevede un costo complessivo di 50 mln di euro.

L’opera era stata inserita nel piano di potenziamento delle carceri italiani dal Dap, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, tuttavia non mancavano all’appello una grossa tranche di risorse per la realizzazione del carcere da 265 detenuti, soluzione che andrebbe a risolvere in via definitiva i problemi di sovraffollamento spesso registrati all’attuale carcere Sant’Agostino. Forse dalla prossima conferenza dei servizi si potranno avere le prime risposte certe sul progetto. A partire dalle risorse stanziate dal Governo per il piano carcere, e se questa volta Savona rientra tra le "urgenze" di intervento.

Pescara: agenti Polizia Penitenziaria, protestano davanti Prap

 

Asca, 23 gennaio 2010

 

A Pescara, davanti al Provveditorato Abruzzo e Molise del dipartimento di Polizia Penitenziaria, adiacente al carcere San Donato, alcuni agenti hanno manifestato questa mattina esponendo striscioni nei quali chiedono, tra l’altro, un nuovo provveditore. In un altro manifesto dicono "basta con doppi turni, assumete personale".

Gli esponenti di alcune sigle sindacali, tra cui Cgil e Sappe, lamentano il fatto che il provveditore non abbia mai convocato gli organismi territoriali di Pescara, anche a seguito di proteste degli agenti di polizia penitenziaria per le condizioni in cui sono costretti a lavorare.

Il consigliere nazionale del Sappe Aldo Di Giacomo ricorda che l’attuale situazione abruzzese è legata al piano nazionale delle carceri che nel 2001 non "prese in considerazione come dovuto" le dimensioni delle strutture nella regione, soprattutto dal punto di vista della proporzione fra detenuti e agenti, costretti a lavorare in certi casi con "turni massacranti".

Ormai la protesta sta montando in tutti penitenziari della regione. Martedì scorso i sindacati della Casa Circondariale di Lanciano hanno avuto un incontro con il prefetto di Chieti Vincenzo Greco per spiegare tutte le difficoltà del penitenziario. "Abbiamo descritto una carenza organica di almeno 40 unità", hanno detto i sindacati, "e nessuna prospettiva di incremento del personale, a causa di una pianta organica completamente disancorata dalla realtà lavorativa dell’istituto e dalle particolari tipologie di detenuti presenti nel carcere lancianese".

Il presidente Di Giuseppantonio ed il sindaco Paolini hanno confermato l’intenzione di segnalare ai massimi vertici politici le problematiche del carcere di Lanciano. Sempre nei giorni scorsi la Commissione Consiliare "Affari sociali e politiche della salute" ha proceduto all’audizione dei Direttori del Carcere di Pescara, Franco Pettinelli e della sostituta del Carcere di Sulmona, Celeste D’Orazio e annunciato un sopralluogo nel penitenziario peligno.

Roma: presentazione intesa tra Osservatorio sicurezza e Uepe

 

Comunicato stampa, 23 gennaio 2010

 

Conferenza stampa di presentazione del "Protocollo di intesa fra Osservatorio sicurezza e legalità della Regione Lazio e Uepe Lazio - Dap - Ministero Giustizia". Lunedì 25 gennaio p.v., alle ore 11, presso la Sala Tirreno della sede della Regione Lazio (entrata da via Rosa Raimondi Garibaldi, pal. C - II piano).

L’Osservatorio tecnico scientifico per la Sicurezza e la legalità della Regione Lazio e l’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna del Provveditorato regionale del Lazio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Uepe Lazio) presentano il protocollo d’intesa per la promozione di attività finalizzate al recupero e l’inclusione sociale dei detenuti e al contrasto alla recidiva criminale. Il protocollo prevede un rapporto di collaborazione fra l’Osservatorio regionale e l’Uepe Lazio per favorire la realizzazione di attività scientifiche, convegni ed ogni altra iniziativa comune idonea ad accrescere il livello di conoscenza circa le dinamiche della criminalità nel Lazio, nella prospettiva della prevenzione della delinquenza e del recupero sociale del reo.

Alla conferenza stampa parteciperanno: Riccardo Turrini Vita, Direttore Generale dell’Esecuzione Penale Esterna - Dap - Ministero della Giustizia; Angelo Zaccagnino, Provveditore Regionale del Lazio - Dap - Ministero della Giustizia; Rita Andrenacci, Direttore dell’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna del Lazio - Provveditorato Regionale del Lazio - Dap - Ministero della Giustizia; Enzo Ciconte, Presidente Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio; Luisa Laurelli, Presidente Commissione Sicurezza e Lotta alla Criminalità della Regione Lazio.

Guantanamo: detenzioni tempo indeterminato per 50 detenuti

 

Adnkronos, 23 gennaio 2010

 

Detenzione a tempo indeterminato sotto la legge marziale. È quanto raccomanda la task force di esperti legali guidati del dipartimento di Giustizia americano per 50 dei 196 ancora detenuti a Guantanamo considerati troppo pericolosi per essere rilasciati ma non processabili. Lo rendono noto, riporta oggi il Washington Post, fonti dell’amministrazione Obama, che, proprio nel giorno in cui si sarebbe dovuta festeggiare la chiusura definitiva di Guantanamo, ora rimandata a data da destinarsi, fa sapere che si è conclusa la lunga e complicata revisione di tutti i casi dei prigionieri ancora rinchiusi a "Camp Delta".

Un lavoro enorme che ha portato alla suddivisione dei detenuti in tre gruppi: il primo, di 35 persone, composta da quelli che verranno processati di fronte a corti marziali o federali; il secondo da 110 che possano essere rilasciati. Per 80 di loro, tra i quali anche 30 yemeniti, il rilascio potrebbe avvenire immediatamente, in forma di rimpatrio o trasferimento in paese terzo. Mentre per altri 30 yemeniti il rilascio viene subordinato alla stabilizzazione della situazione del loro paese dove è sempre più attiva al Qaeda nella Penisola Arabica.

Per tutti gli yemeniti, che sono 92 e quindi il gruppo nazionale più grande ora a Guantanamo, ogni ragionamento però per il momento è del tutto teorico: dalla fine dello scorso anno, nell’ambito delle misure scattate dopo il fallito attentato di Natale, organizzato nello Yemen, la Casa Bianca ha sospeso ogni rilascio. Anche per rispondere al fatto che a capo della cellula yemenita di al Qaeda, responsabile di aver organizzato all’attentato, vi siano due ex detenuti di Guantanamo, rilasciati ai tempi dell’amministrazione Bush.

Per quanto riguarda l’ultimo gruppo, è la prima volta che l’amministrazione Obama fornisce un numero preciso, appunto 50, in prevalenza afghani e yemeniti, per i quali non resta altra opzione che quella che l’amministrazione Bush aveva applicato, senza tante sottigliezze ed analisi legali, per tutti: la detenzione a tempo indeterminato senza processo.

La task force giustifica questa scelta, che fa gridare al tradimento le organizzazioni per i diritti umani, come il male minore e come una conseguenza degli errori commessi dalla passata amministrazione: le prove a carico per questi 50 sospetti terroristi infatti sarebbero facilmente impugnabili per il modo in cui sono state raccolte, soprattutto per quanto riguarda il ricorso a metodi duri e coercitivi durante gli interrogatori. Ma le associazioni, che avevano già mal digerito il rinvio della chiusura di Guantanamo, non rimarranno in silenzio. "Non c’è nessuna legge in America che ci permetta di trattenere delle persone senza incriminazioni o processo a tempo indeterminato", ha già dichiarato Anthony Romero, direttore esecutivo dell’American Civil Liberties Union.

"Le raccomandazioni della task force sono basate su tutte le informazioni note su ciascun detenuto - spiegano ancora dall’amministrazione americana, ricordando che al team hanno lavorato esperti della Difesa, del dipartimento di Stato, della Sicurezza interna, della Cia e dell’Fbi - ma ci sono variabili che possono cambiare uno status, come l’ordine di rilascio da parte di un tribunale, il cambiamento della situazione di sicurezza nel paese dove viene proposto il trasferimento".

L’applicazione di queste raccomandazioni, comunque, non sarà meno complessa del lavoro degli esperti che hanno raccontato come abbiano esaminato caso per caso il file di ogni detenuto, dividendosi e litigando a volte ma raggiungendo sempre alla fine un accordo, proprio come nelle giurie americane. I trasferimenti dei detenuti infatti richiedono tempi lunghi: nello scorso anno sono stati 44, tra rimpatri e trasferimenti in paesi terzi, 11 dei quali in Europa. Altri 20 rimpatri sono in cantiere da qui all’estate prossima, assicurano dall’amministrazione, che parla anche di paesi terzi disposti ad accoglierne altri 20.

Rimane poi in salita il piano dell’amministrazione di trasferire alcuni detenuti del carcere di massima sicurezza acquistato dallo stato dell’Illinois a Thompson. Per farlo è necessario abolire il divieto votato al Congresso di trasferire detenuti di Guantanamo sul territorio nazionale se non per il processo: un’abolizione a cui si opporranno sicuramente i repubblicani, ma anche alcuni democratici liberal contrari alla detenzione a tempo indeterminato. Su questo fronte Obama potrebbe incontrare obiezioni da parte di alcuni alleati europei, che preferirebbero veder finire insieme a Guantanamo anche il periodo delle detenzioni a tempo indeterminato.

E, scrive il Post, alcuni paesi europei sono pronti a sollevare la questione alle prossime conferenze per lo Yemen e l’Afghanistan, il 27 ed il 28 gennaio a Londra, caldeggiando la creazione di un centro, finanziato internazionalmente, per la riabilitazione di ex terroristi, nello Yemen o in Afghanistan. Secondo il piano questa struttura, sul modello di quella creata ai tempi dell’amministrazione Bush in Arabia Saudita, potrebbe permettere gradualmente il trasferimento di tutti gli ex detenuti ai loro paesi d’origine. "Siamo a corto di opzioni e l’amministrazione deve prendere in seria considerazione questa", afferma Sarah Mendelson, ricercatrice del Csis che ha scritto un rapporto sulla chiusura di Guantanamo. Sia Bush che Obama hanno pensato in passato ad avviare un programma di riabilitazione nello Yemen, ma poi hanno avuto dubbi sull’effettiva capacità di Sanàa di gestirlo.

Guantanamo: Amnesty; Usa voltano spalle a violazione diritto

 

Agi, 23 gennaio 2010

 

A un anno dall’impegno del presidente Usa Barack Obama di chiudere Guantanamo, il centro di detenzione continua a ospitare 198 detenuti senza accusa né processo, e tanto i procedimenti giudiziari contro i responsabili quanto i risarcimenti per le vittime delle violazioni dei diritti umani nel contesto della "guerra al terrore" sono lontani dall’essere realizzati. La denuncia arriva da Amnesty International che segnala, tra gli altri, il caso di Abu Zubaydah, "arrestato in Pakistan, tenuto per quattro anni e mezzo in custodia segreta da parte della Cia e sottoposto, in questo periodo, a torture".

In una nota l’organizzazione per la tutela dei diritti umani spiega che il detenuto "ha trascorso gli ultimi tre anni a Guantanamo senza accusa né possibilità di contestare la legittimità della propria detenzione". E accusa: "L’amministrazione Obama continua a non fornire informazioni sul trattamento riservato a lui e ad altre persone tenute in custodia segreta da parte della Cia". All’inizio dell’anno, continua Amnesty, "in una corte federale sono state rese note informazioni che la Casa Bianca avrebbe voluto mantenere riservate sulla vicenda di Ahmed Khalfan Ghailani: il detenuto sarebbe stato sottoposto a ‘tecniche di interrogatorio rinforzato’, 14 ore al giorno per cinque giorni, durante il periodo trascorso in custodia segreta da parte della Cia.

Di fronte alla corte, l’amministrazione Obama ha sostenuto che chi l’aveva preceduta aveva trattato giustificatamente Ghailani come risorsa di intelligence più che come imputato, nonostante questi avesse dovuto già comparire di fronte a una corte federale all’epoca dell’arresto in Pakistan nel 2004". Secondo Amnesty, il memorandum della presidenza Obama aggiungeva che l’amministrazione Bush aveva preso la decisione "del tutto ragionevole" di continuare a trattenere Ghailani senza accusa in quanto "combattente nemico". Dopo due anni di custodia segreta e più di tre a Guantanamo, Ghailani è stato trasferito a New York per essere processato solo nel giugno 2009 e nessuno è stato chiamato a rispondere del trattamento che gli è stato riservato.

E la lista delle "vittime" è ancora lunga. Amnesty teme che "nessuno sarà chiamato a rispondere di queste e altre violazioni, se l’amministrazione Obama non riporterà veramente l’assunzione di responsabilità e l’adesione agli obblighi internazionali tra i suoi principi di governo". Quando nel 2009 gli Usa sono entrati a far parte del Consiglio Onu dei diritti umani, l’amministrazione Obama aveva affermato: "Non c’è alcun dubbio, gli Usa non volteranno le spalle di fronte a gravi violazioni dei diritti umani". Ma un anno dopo quella stessa amministrazione "continua a voltare le spalle quando si tratta di fornire informazioni e risarcire le vittime delle violazioni commesse nel contesto della lotta al terrorismo".

Corea Nord: sono oltre 200 mila i prigionieri politici e religiosi

 

Asia News, 23 gennaio 2010

 

I prigionieri politici in Corea del Nord "sono oltre 200mila, divisi in sei campi di concentramento diversi". Lo denuncia il nuovo rapporto della Commissione coreana per i diritti umani, pubblicato ieri nella capitale sudcoreana. Secondo un rappresentante della Commissione, "abbiamo compiuto un lungo lavoro di indagini per questo rapporto. Nei sei campi, escluse alcune aree di quello di Yodok, i prigionieri politici sono tenuti in catene".

Per quanto riguarda la situazione dei diritti umani nel Paese, uno degli ultimi regimi stalinisti al mondo, la Commissione non ha dubbi: "Si commette praticamente ogni tipo di abuso, fra cui senza dubbio il più grave è la condanna a morte in segreto e senza processo dei dissidenti. Il governo sudcoreano dovrebbe persuadere quello del Nord a risolvere questi problemi tramite la cooperazione con le organizzazioni, domestiche e straniere, che si occupano di diritti umani".

Una fonte di Asia News nella penisola coreana sottolinea: "La situazione è ancora più grave se si pensa che non esistono dati, ufficiali o ufficiosi, su queste incarcerazioni. Il regime di Kim Jong-il porta avanti una legge secondo cui, se sei un ladro, tuo figlio e tuo nipote saranno ladri. Con questa folle teoria iscritta nel codice penale, le carceri e i campi di concentramento si riempiono molto presto".

Va poi considerato che, secondo il governo di Pyongyang, "ogni attività religiosa, escluso il culto del leader, è un atto di sottomissione all’imperialismo straniero. Per questo, i credenti di ogni fede sono fra i più colpiti dalla repressione statale. Infine non aiuta la crisi economica durissima che colpisce il Paese: la gente che non mangia da giorni è più pronta a commettere un reato".

Il rapporto della Commissione è il primo condotto da un ente statale sudcoreano. Per ottenere i dati, i funzionari di Seoul hanno intervistato 17 esuli dal Nord che sono stati incarcerati nei campi ed altri 322 che sono passati nel corso dell’anno dalla Corea del Sud. Tuttavia, i risultati presentati sono stati anche oggetto di critica. Seo Bo-hyuk, professore presso il Centro per gli studi sulla pace dell’Università di Ewha, dice: "I risultati sui diritti umani si ottengono soltanto con la cooperazione fra le due Coree. Chiedere e basta non servirà a nulla, specialmente in questa situazione politica".

Congo: interviene Croce Rossa, migliorano condizioni detenuti

 

Agi, 23 gennaio 2010

 

Migliorano le condizioni sanitarie e alimentari dei prigionieri del carcere centrale di Bunia, città nel nord-est della Repubblica democratica del Congo. Da più di un mese, infatti, la Croce Rossa locale, le organizzazioni religiose e quelle umanitarie assistono regolarmente i detenuti sia dal punto di vista alimentare sia sanitario con forniture regolari di cibo e medicinali. Secondo il responsabile della prigione, Jean Pierre Tika, si stanno già vedendo i frutti di questa azione umanitaria. Da più di un mese, ha detto, si registrano meno casi di evasione e il numero dei decessi in seguito alla malnutrizione sono sensibilmente calati. Dal mese di dicembre si è registrato un solo caso di morte a seguito di una malattia, mentre tra ottobre e novembre 2009 i decessi erano stati 16.

 

 

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