Rassegna stampa 2 febbraio

 

Giustizia: sondaggio Ipsos; la criminalità fa un po’ meno paura

 

Il Sole 24 Ore, 2 febbraio 2010

 

Cresce la percezione di sicurezza degli italiani. Dalla rilevazione che l’Ipsos ha effettuato per Il Sole 24 Ore, il 47% degli intervistati dichiara di sentirsi "molto sicuro" nella zona in cui vive. Due punti in più rispetto al novembre scorso. A questi bisogna aggiungere quel 30% (contro il 31% di due mesi fa) del campione che si ritiene "abbastanza sicuro". Al tempo stesso si assottiglia anche il plotone di coloro che hanno una percezione di sicurezza praticamente nulla: dal 9% passano al sette per cento.

Abbandonando la criminalità e passando al piano più generale della qualità della vita, il giudizio complessivo degli italiani è incoraggiante. Interrogato su come si vive nel proprio comune di residenza, il 30% del campione dà un giudizio "molto positivo" e un altro 44% si limita a definirlo "positivo".

Di quel 74% di ottimisti citati poc’anzi è possibile delineare anche un profilo tipo: donna, con età compresa tra 31 e 60 anni, diplomata, studente o operaia. Laddove la fetta più ampia del 25% di pessimisti (il restante 1% è formato dagli indecisi, ndr) risultano essere gli uomini, compresi nella fascia d’età 46-60 anni e impegnati nell’attività di commerciante, artigiano o lavoratore autonomo.

Dal punto di vista territoriale è al centro-nord che il quadro sembra più roseo, con punte dell’87% nelle regioni "rosse". Mentre al Mezzogiorno e nelle isole il giudizio positivo sulla qualità della vita si ferma, rispettivamente al 64 e al 59 per cento. Soddisfatti sono soprattutto gli abitanti dei comuni con meno di 10mila abitanti (il 76% del campione a fronte del 71% registrato nei municipi con oltre 100mila abitanti). Specie quelli che hanno votato Pd (83%) o Lega (80%).

Chiamato al confronto con il recente passato, nel complesso, il 44% del campione si dice "soddisfatto" per le proprie condizioni di vita. Un altro 30% è invece preoccupato. Del 25% che rimane solo il 5% si dichiara "fiducioso" guardando all’avvenire.

Giustizia: caso Cucchi; secondo periti pestaggio "non mortale"

 

Ansa, 2 febbraio 2010

 

Le lesioni riscontrate non sono mortali ma comunque sono riconducibili al presunto pestaggio subito, mentre risale ad un’epoca precedente all’arresto per droga la frattura alla vertebra lombare rilevata sulla salma di Stefano Cucchi, il detenuto finito in carcere il 15 ottobre scorso e morto una settimana dopo nell’ospedale Sandro Pertini.

È quanto avrebbe accertato uno degli esperti, il radiologo, nominati dai titolari degli accertamenti, Vincenzo Barba e Francesca Loy, per fare luce sulla morte del giovane. Ulteriori accertamenti, tra questi un esame istologico, sono in corso per stabilire con assoluta certezza a quando risale la frattura alla vertebra anche alla luce di discordanze che, secondo le indiscrezioni, ci sarebbero tra l’equipe di medici che partecipano agli esami.

Sembra prospettarsi, se tale circostanza fosse confermata, una ricostruzione dei fatti in base alla quale Cucchi non sarebbe morto per le conseguenze del presunto pestaggio subito in una delle celle del tribunale di Roma. Nella vicenda sono indagati tre agenti di polizia penitenziaria indagati per omicidio preterintenzionale e sei medici del Sandro Pertini per omicidio colposo. "Non mi risultano tali conclusioni sulla vertebra", ha dichiarato l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi. Il collega Diego Perugini, difensore di uno degli agenti, ha commentato: "Preferisco non commentare la notizia di cui, ovviamente, il mio consulente mi aveva da tempo messo a conoscenza. Posso solo aggiungere che ciò conferma quanto sapevo ed ho sempre sostenuto: il mio cliente non ha usato violenza su quel ragazzo".

Giustizia: Ionta va in Commissione inchiesta su errori sanitari

 

Apcom, 2 febbraio 2010

 

Domani alle 14.30, a Palazzo San Macuto, la Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari e i disavanzi sanitari regionali, presieduta da Leoluca Orlando, audirà il direttore del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, all’interno del filone di indagine sulla salute nelle carceri e il diritto alla salute dei carcerati avviato dalla stessa Commissione nel dicembre 2009.

Giustizia: Pd; 40 carceri nuove… non sono mai state utilizzate

 

Oggi Treviso, 2 febbraio 2010

 

Mentre il carcere di Treviso è sovraffollato, in Italia ci sono 40 istituti penitenziari nuovi ma mai utilizzati. Per denunciare questa situazioni l’on. Simonetta Rubinato nei giorni scorsi ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Angiolino Alfano perché faccia chiarezza in Parlamento su questa vicenda.

"Sembra che il penitenziario di Gela, il carcere di Morcone (Benevento), quello di Busachi in Sardegna e l’Istituto di Castelnuovo della Daunia (Foggia), integralmente completati, non abbiano mai aperto le porte - sottolinea l’esponente trevigiano del Pd -, prima firmataria dell’interrogazione sottoscritta anche da altri colleghi, tra i quali Andrea Orlando responsabile Giustizia del Pd e Donatella Ferranti, componente della Commissione Giustizia della Camera.

In Puglia si contano addirittura quattro istituti penitenziari costruiti, allestiti e mai inaugurati: il carcere di Bovino (Foggia) con 120 posti, di Minervino Murge (Bari), di Orsara (Foggia) e di Monopoli (Bari)". Di fronte ad una situazione esplosiva denunciata più volte in Parlamento, soltanto di recente il Governo ha deciso di intervenire, dichiarando lo stato di emergenza.

"Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Ma prima di procedere a stanziamenti ed appalti per la realizzazione di nuovi istituti di pena - auspica l’on. Rubinato - il ministro Alfano provveda a spostare i detenuti dalle carceri sovraffollate (dove spesso sono reclusi in condizioni disumane) agli istituti non utilizzati o quasi deserti e a disporre le necessarie misure per aprire ed avviare gli istituti penitenziari costruiti e mai entrati in funzione".

Con l’interrogazione parlamentare la parlamentare trevigiana chiede al ministro di censire gli istituti penitenziari esistenti mai entrati in attività, capire le motivazioni che hanno portato al loro mancato utilizzo e valutare i costi sostenuti per la realizzazione e le spese che si rendono ora necessarie per garantirne l’effettivo impiego nel sistema carcerario. Il Parlamento e i cittadini - conclude Rubinato - debbono sapere come sono stati impegnati i soldi pubblici, se ci sono stati sprechi e di chi sono le eventuali responsabilità. Lo stato di emergenza deciso dal Governo deve essere gestito con la massima trasparenza".

Liguria: Rosso (Pdl); impiegare detenuti in progetti ambientali

 

Secolo XIX, 2 febbraio 2010

 

Impiegare anche nelle quattro province della Liguria i detenuti in progetti per il recupero del patrimonio ambientale, la pulizia dei greti dei molti torrenti e delle spiagge del territorio ligure. A chiederlo, con un ordine del giorno presentato in Consiglio regionale, è Matteo Rosso (Pdl), anche a seguito della stretta collaborazione con il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria.

"La recente dichiarazione dello stato di emergenza del sistema penitenziario contenuta nel Piano carceri approvato il 13 gennaio scorso dal Consiglio dei Ministri - spiega Rosso - lascia intravedere, per il prossimo futuro, concrete prospettive di un progressivo ampliamento del lavoro di pubblica utilità con l’impiego di soggetti condannati a pene detentive brevi. Lo stesso Piano carceri introduce la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua e la messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni, che potranno così svolgere lavori di pubblica utilità".

"L’impegno assunto dal Governo - avanza ancora l’esponente del Pdl - presuppone il contributo concreto di tutti gli enti locali per una ricognizione puntuale ed analitica, nel distretto territoriale di competenza, delle opportunità lavorative in cui utilmente impiegare i detenuti in lavori di pubblica utilità". Con l’ordine del giorno, dichiara Matteo Rosso "chiedo l’impegno della Regione Liguria - anche attraverso il coinvolgimento delle Province e dei Comuni liguri e d’intesa con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, le direzioni delle sette case circondariali regionali ed il qualificato e fondamentale contributo del personale di polizia penitenziaria - a promuovere concretamente l’impiego dei detenuti in progetti per il recupero del patrimonio ambientale ligure".

Interviene anche Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto Sappe, che aggiunge: "L’attivazione sul territorio nazionale di iniziative inerenti la promozione del lavoro è diventato obiettivo primario che l’Amministrazione penitenziaria persegue al fine del coinvolgimento consapevole e responsabile dei soggetti in espiazione di pena in attività lavorative volte all’integrazione e al reinserimento nella comunità sociale. Tutto questo - prosegue - nella convinzione che il lavoro è uno degli elementi determinanti su cui fondare percorsi di inclusione sociale non aleatori. Impiegare in detenuti in progetti di recupero del patrimonio ambientale e in lavori di pubblica utilità è una delle richieste storiche del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, motivata dalla necessità concreta di dare davvero un senso alla pena detentiva".

"I detenuti hanno prodotto danni alla società? Bene - sottolinea Martinelli -, li ripaghino mettendosi a disposizione della collettività ed imparando un mestiere che potrebbe essere loro utile una volta tornati in libertà. Sono pochissimi i carcerati che lavorano nei penitenziari: la percentuale nazionale indica il 21% dei circa 65 mila detenuti, mentre quella ligure scende addirittura al 14%. Lavorano infatti circa 240 dei 1.664 detenuti presenti: la maggior parte, dunque, ozia tutto il santo giorno. E allora, se è vero che il lavoro è potenzialmente determinante per il trattamento rieducativo dei detenuti (perché li terrebbe impiegati per l’intero arco della giornata durante la detenzione e perché permetterebbe loro di acquisire un’esperienza lavorativa utile fuori dalla galera, una volta scontata la pena), l’iniziativa di Matteo Rosso è assolutamente meritoria e condivisibile".

 

Le esperienze già svolte in Liguria

 

Gli istituti penitenziari della Regione hanno avviato numerose iniziative ed attività progettuali. Tra queste:

- la Casa Circondariale di Chiavari ha instaurato rapporti di proficua collaborazione con il Comune di Lavagna, finalizzati all’inserimento lavorativo dei detenuti che, previo svolgimento di tirocini di orientamento e formazione, vengono adibiti ad attività di manutenzione delle aree verdi del territorio comunale;

- le Direzioni di Imperia e Sanremo, nel tentativo di fornire nuove opportunità lavorative e di formazione professionale, nell’ambito del progetto "Hansel e Gretel", hanno avviato una serie di attività volte alla realizzazione di due parchi verdi pubblici, di proprietà dei rispettivi enti comunali, atti ad essere fruibili anche da soggetti portatori di handicap; a ciò segue anche la pulizia delle spiagge comunali;

- la Casa Circondariale di Genova Marassi ha realizzato un progetto di recupero del verde urbano in cui sono stati impiegati 20 detenuti in semilibertà e/o in regime di lavoro all’esterno;

- i detenuti dell’istituto di La Spezia hanno partecipato ad un’operazione di pulizia delle aree verdi e del litorale del Comune di Porto Venere, prestando la propria attività a titolo di volontariato, mediante lo strumento del permesso premio;

- la Direzione dell’Istituto di Savona, sulla scorta di un protocollo di intesa sottoscritto con il Comune di Savona e A.T.A. S.p.a., favorisce l’impiego in lavori di pubblica utilità di due soggetti in esecuzione di pena, nelle forme previste dall’art. 21 O.P., in un progetto integrato di pulizia delle spiagge libere del territorio.

Al fine di implementare la rete di rapporti con enti locali ed imprese presenti sul territorio, nella giornata del 15 luglio 2009 si è svolta, presso la Camera di Commercio di Genova, un incontro volto a promuovere e valorizzare il lavoro penitenziario, non solo come elemento cardine del trattamento, ma anche come opportunità per le forze economiche e produttive della comunità locale. Nell’occasione sono state fornite informazioni sulla possibilità di avviare attività lavorative mediante l’impiego di detenuti, avvalendosi dei benefici fiscali e degli sgravi contributivi previsti dalla legge "Smuraglia".

Basilicata: attività formazione, nelle carceri di Potenza e Melfi

 

www.lucanianews24.it, 2 febbraio 2010

 

"Il Programma di intervento per l’inclusione sociale e lavorativa di soggetti, adulti e minori, sottoposti a provvedimento dell’autorità’ giudiziaria nella regione Basilicata, presentato nei giorni scorsi dall’Assessore regionale alla F.P.-Lavoro Antonio Autilio e da funzionari dell’Amministrazione Giudiziaria, prevede l’affidamento di progetti ed interventi specifici all’Apof-Il in tema di formazione ed orientamento riconoscendo all’Agenzia della Provincia di Potenza un ruolo importante nelle azioni contro il disagio sociale".

È il commento del presidente dell’Apof-Il Antonio Giansanti ricordando che, nell’ambito delle attività 2008-2009, l’Agenzia ha svolto nel carcere di Potenza corsi di 200 ore per operatore informatico, sciampista e vivaista e nel carcere di Melfi corsi di 400 ore per addetti alla legatoria, alla lavorazione della pelle e vivaista e di 200 ore per informatica di base. Si tratta di attività finalizzate - precisa Giansanti - al reinserimento lavorativo dei detenuti e all’utilizzo di base dei sistemi informatici di cui c’è un’ assoluta necessità. Di qui il riconoscimento che è venuto dal Dipartimento Formazione della Regione e dagli organismi nazionali, interregionali e locali del Ministero di Grazia e Giustizia del lavoro svolto dall’Apof-Il e della positiva esperienza dei nostri operatori.

Le nuove attività che saranno affidate all’Apof-Il - continua Giansanti - rispondono all’obiettivo strategico nell’area della istruzione-formazione professionale di potenziare i fattori soggettivi nella persona del detenuto o ex detenuto o comunque sottoposto a provvedimento dell’autorità giudiziaria che sono funzionali per agevolarne l’inclusione sociale e lavorativa, attraverso l’offerta degli strumenti conoscitivi, sperimentali e professionali necessari per contrastare le condizioni di discriminazione nel mercato del lavoro e assicurare all’individuo una capacità competitiva, in condizioni di parità, nel sistema delle relazioni nella famiglia e nella società.

Brescia: Pd; chiudere Canton Mombello, situazione disumana

 

www.quibrescia.it, 2 febbraio 2010

 

"Canton Mombello va chiuso", parola di Giuseppe Ungari, consigliere del Pd a Brescia, e Arturo Squassina, consigliere in Regione dello stesso partito. La richiesta dopo la visita che i due hanno effettuato lunedì mattina, "e dopo la quale, come dopo ogni volta che entro in quel posto, ci vuole tempo per riprendersi", ha garantito Squassina, che ha descritto una situazione "disumana e pericolosa per la salute". Un esempio? Mancano stoviglie e quindi i detenuti sono costretti a mangiare in bacinelle, aumentando il già altissimo rischio di trasmettere malattie di ogni genere. Ancora, mancano specchi per radersi, "tutte piccole cose che però sono fondamentali", ha ribadito il consigliere regionale.

Canton Mombello ha una capienza di 205 persone e ad oggi i detenuti sono 506, di cui l’80% stranieri, mentre il 67% in attesa di giudizio immediato. La media annua di ingressi è di 3mila, con una media giornaliera di una decina di persone. Dal punto di vista strutturale questo carcere "è oggi inconcepibile, con un cortile centrale e due raggi, celle che vanno dai 9 ai 20 metri quadrati, con un locale adibito a bagno dove c’è posto solo per una turca e un lavandino senza acqua calda", ha descritto Ungari: "Per ogni reparto, quindi ogni 60 persone, ci sono tre docce, che nei giorni scorsi non avevano acqua calda".

Ma non solo i detenuti sono costretti a sopravvivere in una condizione disastrosa: anche chi lavora è in forte disagio: "per esempio per accedere al cortile dell’ora d’aria c’è solo una scala, usata sia dai detenuti sia dalle guardie", ha spiegato ancora Ungari, "contro ogni norma di sicurezza". Grave è poi la carenza di personale educativo, così come è pressoché nulla la possibilità di tracciare dei percorsi di lavoro e rieducazione.

Dopo la denuncia i consiglieri del Pd sono passati alle rimostranze verso l’amministrazione comunale, che "non dovrebbe demandare il problema ad altri enti ma farsene carico, come del resto ha scritto nel suo programma di mandato". In particolare si chiede di trattenere nelle celle di sicurezza, presenti in altre strutture di polizia (nella caserma dei vigili di via Donegani per esempio, ma anche in altri luoghi, come nelle caserme dei carabinieri) i detenuti in attesa di giudizio immediato; oppure di ripetere l’esperimento attuato dalla giunta Corsini di fornire un kit a chi viene arrestato con dentro il minimo indispensabile per l’igiene personale, dal dentifricio al sapone: "Non è pensabile che una prostituta arrestata di notte la mattina dopo debba presentarsi dal giudice senza avere la possibilità di lavarsi o cambiarsi", ha sottolineato Ungari, che ha ricordato che l’investimento per questo kit è minimo, "se però l’amministrazione non riesce che faccia appello ai privati".

Piazza Armerina (En): i detenuti al lavoro in terre Don Sturzo

 

Redattore Sociale, 2 febbraio 2010

 

Coinvolgerà 28 persone il progetto di qualificazione professionale e recupero nella tenuta agricola appartenuta a don Luigi Sturzo e al fratello Mario (vescovo di Piazza Armerina).

Fra una settimana si definiranno le procedure, che comprendono pure il reperimento delle fonti di finanziamento, per dare il concreto avvio all’attività di recupero a favore di detenuti ed ex detenuti nel "Fondo Sturzo", una grande tenuta agricola appartenuta a don Luigi Sturzo e al fratello Mario che fu vescovo di Piazza Armerina. Tramite l’Anrel, l’Agenzia nazionale reinserimento e lavoro rivolta a detenuti ed ex detenuti, potranno essere impiegati in lavori socialmente utili 28 ex detenuti: 14 saranno adibiti all’attività agricola e 14 invece saranno avviati alla lavorazione delle ceramiche e del restauro del "Baglio lucerna", una masseria, con 6 immobili disposti su tre lati contigui, che vedrà nascere la scuola-laboratorio di arti e mestieri. Questa attività di restauro potrebbe diventare un "campo di formazione di manodopera specializzata" come ha sottolineato l’architetto Carla Maurano, consulente dell’Unesco.

Al dirigente generale dell’agenzia generale per l’impiego Rino Lo Nigro è stato affidato il compito di coordinare il gruppo di lavoro che entro la prossima settimana dovrà predisporre gli atti per le iniziative di competenza regionale. Salvatore Martinez si sta attivando per avviare le convenzioni sottoscritte con i ministeri della Giustizia, Beni Culturali e Pubblica Istruzione e con l’istituto nazionale del microcredito.

La spinta a dare inizio al progetto è avvenuta dal Presidente della Regione Raffaele Lombardo in seguito ad una recente visita di una sua delegazione dell’azienda agricola e della casa-museo di Caltagirone. In occasione dell’incontro il presidente Lombardo ha presieduto un vertice a cui hanno preso parte il vescovo di Piazza Armerina Michele Pennisi, Salvatore Martinez, presidente nazionale dell’associazione cattolica "Rinnovamento nello spirito", l’assessore all’economia Michele Cimino e l’assessore ai beni culturali Gaetano Armao.

Sita in contrada Russa dei Boschi, la residenza estiva della famiglia Sturzo, oggi si è trasformata in una "cittadella" per il reinserimento lavorativo dei detenuti nella fase finale della pena e degli ex detenuti con il coinvolgimento delle loro famiglie. Saranno loro i protagonisti della nuova vita che il Fondo, oltre 50 ettari di macchia mediterranea, sta ritrovando con una serie di attività: dall’artigianato alla coltivazione di prodotti biologici attraverso un’azienda agricola e la Cooperativa sociale "Cura et Natura".

Nel Fondo Sturzo sono previste 20 villette monofamiliare che ospiteranno le famiglie degli ex detenuti. Salvatore Martinez ha illustrato alla delegazione regionale presieduta dal presidente Lombardo, gli obiettivi dell’Agenzia rivolta a detenuti ed ex detenuti. Si tratta del primo progetto in rete in Italia per il reinserimento lavorativo fortemente voluto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, che proprio il 4 ottobre a Caltagirone ha firmato la Convenzione per la nascita dell’agenzia in 5 regioni: Sicilia, Lombardia, Veneto, Lazio e Campania. Grazie ad un altro protocollo d’intesa fra il ministero dell’Istruzione e la Fondazione Mons. Francesco Di Vincenzo, inoltre, verranno avviati in sinergia con l’assessorato Regionale competente progetti formativi per lo sviluppo di iniziative connesse all’insegnamento della disciplina "Cittadinanza e Costituzione".

Salerno: poco personale, chiusa sezione ospedaliera detenuti

di Petronilla Carillo

 

Il Mattino, 2 febbraio 2010

 

"L’ospedale San Leonardo prevede una sezione detentiva ma, nonostante i ripetuti e numerosi impegni presi dai responsabili dell’azienda sanitaria, e nonostante gli interventi strutturali fatti dall’amministrazione penitenziaria, la sezione rimane "inspiegabilmente" non funzionante da circa quattro anni, provocando delicatissime criticità operative per quanto riguarda l’aspetto della sicurezza esterna, soprattutto in un momento di massimo sovraffollamento di detenuti e di particolare attenzione sanitaria come raccomandato dal ministero della Sanità".

La denuncia arriva da Umberto Marconi, presidente della Corte d’Appello di Salerno nella relazione presentata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, sabato scorso. Una denuncia che diventa quanto mai importante alla luce degli ultimi dati raccolti in materia di assistenza sanitaria in carcere.

Nell’ultimo anno, leggendo la relazione del presidente Marconi, difatti, si è registrato un aumento di alcune patologie infettive, molte delle quali "correlate allo stato di tossicodipendenza dei detenuti, circa il 20%". In aumento, dunque, i casi di epatite C e cirrosi epatica ma anche di micosi, sindromi da Hiv e odontopatie. Malattie che tendono ad "aumentare - si legge sempre nella relazione - a causa del sovraffollamento per lo stato di forzata convivenza in spazi molto ristretti che favorisce il diffondersi di affezioni respiratorie e dermatologiche".

Insomma la salute dei carcerati in primo piano, anche all’inaugurazione dell’anno giudiziario. E non potrebbe essere altrimenti alla luce degli ultimi eventi che portano le condizioni di vivibilità delle carcere in primo piano. Sotto accusa, invece, i ritardi dell’amministrazione ospedaliera nell’attendere gli accordi presi. La sezione detentiva presso l’ospedale si trova in una palazzina adiacente al reparto di Infettivologia.

Dall’azienda sanitaria fanno sapere che il vero problema dell’apertura della sezione è legato alla mancanza di personale, richiesta che sarebbe già stata inoltrata alla Regione Campania tra la fine del mese di novembre e gli inizi di dicembre dello scorso anno. In particolare sarebbe stato chiesto il trasferimento di personale specializzato: medici, infermieri e ausiliari. Si attende dunque il personale per poter aprire un reparto già pronto. Fatto è che, per il momento, i detenuti continuano ad essere ricoverati nei reparti normali mettendo a rischio la sicurezza e l’incolumità di pazienti, familiari e dello stesso personale.

Della questione si è occupato, appena il 4 gennaio di quest’anno, anche il Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria inviando una lettera al presidente della Provincia Edmondo Cirielli. "Tale reparto - aveva scritto Vincenzo Pizzicara, segretario provinciale - e la sua entrata in funzione assume una valenza fondamentale e nevralgica non solo per l’istituto di Fuorni ma anche per gli altri istituti della Provincia. Infatti, in caso di ricovero di più detenuti in reparti diversi comporta la presenza di almeno due agenti.

Cosa, questa, che crea problemi ad un organico già ridotto". Anche il presidente della Provincia ha assunto impegni con il sindacato di polizia in merito alla possibilità di attivarsi, in tutte le sedi competenti, per giungere in tempi brevi all’apertura della sezione. Secondo i dirigenti dell’Asl, l’apertura dovrebbe avvenire in tempi brevi. Non più tardi di qualche mese.

Milano: nasce laboratorio "networking" nel carcere di Bollate

 

www.italianinnovation.it, 2 febbraio 2010

 

D-Link prima azienda di networking ad aver affidato a WSC, inserita all’interno dell’Istituto Penitenziario di Bollate, le attività di test dei propri prodotti.

Il carcere di Bollate rappresenta un esempio di eccellenza nell’ambito del recupero socio-lavorativo dei detenuti e della gestione interna della struttura. Non tutte le carceri italiane risultano sovraffollate e l’Istituto Penitenziario di Bollate, seconda casa di reclusione a Milano, ne è la prova. Il carcere di Bollate ospita 1.040 detenuti su 1.400 posti letto disponibili ed è il primo carcere in Italia ad avere avuto un laboratorio certificato (WSC) al proprio interno, finalizzato al recupero socio-lavorativo dei detenuti.

Ed è proprio al laboratorio WSC che D-Link, azienda da sempre attenta alle problematiche sociali d’impresa, ha affidato la gestione delle attività di test e riparazione dei propri prodotti, diventando la prima azienda di networking ad intraprendere un’esperienza di questo genere a Bollate.

A tal proposito Stefano Nordio Vice Presidente di D-Link ha commentato: "D-Link è la prima azienda produttrice di networking ad intraprendere questo cammino presso il carcere di Bollate, e sono certo che saremo un valido incentivo per altre multinazionali del settore presenti sul territorio. Credo infatti che la responsabilità sociale di impresa in ambito penitenziario sia un percorso ancora parzialmente da costruire in comunione di intenti tra l’amministrazione pubblica e le aziende private".

Grazie a questo progetto i detenuti riescono infatti a trasformare il periodo di detenzione in un’esperienza altamente formativa, accrescendo le proprie capacità nell’ambito lavorativo in maniera tale da poterle sfruttare in seguito nella fase di reinserimento sociale.

Il 2 febbraio 2010 un nuovo laboratorio WSC verrà inaugurato all’interno del carcere e per l’occasione il Vice Presidente di D-Link, Stefano Nordio, insieme ad esponenti della Regione Lombardia, interverranno a sostegno di questo progetto.

Conclude Nordio: "Come Vice Presidente di D-Link mi congratulo con WSC per l’inaugurazione ufficiale del nuovo laboratorio, grazie al quale si incoraggia il coinvolgimento di un sempre maggior numero di detenuti nelle più differenti attività d’impresa; sono certo che questa iniziativa nasce da una riflessione profonda e di ampio respiro e dunque con costanza e passione otterrà il successo che merita".

D-Link, "Building Network for People", nei suoi 24 anni è cresciuta fino a diventare un’azienda mondiale da un miliardo di dollari nel campo della progettazione, sviluppo e produzione di soluzioni di rete, broadband, elettronica digitale e prodotti per la trasmissione di voce e dati. D-Link produce il 21% delle porte LAN switching a livello mondiale, seconda solo a Cisco.

Le soluzioni D-Link sono ideali per la casa digitale, ambienti SMB (small-medium business) e aziende di grosse dimensioni. D-Link è stata recentemente inclusa nell’"Info Tech 100" della rivista BusinessWeek, la classifica delle 100 aziende IT più importanti del mondo. D-Link, con direzione generale a Londra (UK), conta 20 sedi in Europa, regione strategicamente importante perché rappresenta un terzo dei profitti globali.

D-Link Mediterraneo - con uffici diretti a Milano e Roma - è presente in Italia da più di 10 anni, che l’hanno vista crescere fino a diventare uno dei principali fornitori di soluzioni di rete per aziende e privati con un’offerta che copre i mercati delle connessioni wireless e broadband e soluzioni pensate per la sicurezza ed il networking di rete.

WSC (World Startel Communications) opera da oltre un decennio sul mercato nazionale ed internazionale ed ha conquistato negli anni un ruolo fondamentale come partner nell’outsourcing di servizi.

Oggi WSC è una delle principali società operante nel settore dei servizi alle aziende (Call Center, Assistenza Post Vendita, Riparazione Prodotti Elettronici, Installazione Apparati Elettronici, Archiviazione Documentale, ecc.).

Il Gruppo è articolato su base multinazionale in Italia (con 2 sedi), in Romania e Svizzera.

Nata con una spiccata missione di Assistenza Tecnica sulla Telefonia Mobile, WSC si è diversificata con una strategia di Servizio Globale su tutto l’universo dell’Elettronica Consumer e Professionale, IT e TLC, con una gamma di servizi che spaziano dall’Assistenza tecnica in garanzia e fuori garanzia (sia per le Aziende che per i Clienti finali) ai Servizi di Logistica, dal Customer Care all’archiviazione elettronica, nonché a varie attività di assemblaggio e confezionamento.

Noto (Sr): Sappe denuncia; carcere sempre più sovraffollato

 

La Sicilia, 2 febbraio 2010

 

Il coordinatore dell’Mpa di Noto, Corrado Sallicano, si immerge nel vortice di polemiche fra sindaco Corrado Valvo e partiti d’opposizione, tutti. Vi entra con i toni e lo spirito di chi si considera a tutti gli effetti "all’opposizione". Riferendosi alla soddisfazione manifestata da Valvo per l’approvazione della deliberazione riguardante l’atto di indirizzo di un piano per la realizzazione di medie strutture commerciali, che il sindaco con grande enfasi ha definito "passo importantissimo per lo sviluppo economico e per la creazione di posti di lavoro", Sallicano di rimando sostiene: "Se fosse sufficiente a promuovere lo sviluppo economico di Noto il profluvio di dichiarazioni roboanti che accompagnano la sequela di atti inutili di cui puntualmente si rende responsabile questa maggioranza, noi saremmo sicuramente a tassi di crescita superiori a quelli di Cina e India.

Questo atto non fa che certificare l’incapacità di questa amministrazione, a distanza di quattro anni dall’insediamento, di provvedere a dotarsi degli strumenti veramente indispensabili quali il piano commerciale ed il piano regolatore generale. Ma gli strali di Sallicano piombano anche nella polemica sull’Aspecon, dove si trovano coinvolti il presidente di quest’ente definito inutile, ed i dirigenti del Pd.

Sallicano ricorda di avere definito il consiglio d’amministrazione di tale ente, il guardiano di un bidone vuoto, e di averlo considerato sperpero di danaro pubblico. Ricorda che Corrado Caruso di An rifiutò il regalo della presidenza, ritenendo immorale andare a ricoprire un posto che non aveva alcun significato. Per Sallicano "proclamare ad ogni piè sospinto l’attenzione verso lo sviluppo della città e nei fatti gravarla di costi inutili, significa operare con assoluto disprezzo dell’intelligenza dei cittadini".

Monza: 1 milione di libri per i detenuti della casa circondariale

di Marco Mologni

 

www.mbnews.it, 2 febbraio 2010

 

Leggere per ricominciare. Può iniziare da un buon libro la rinascita di un uomo. Ecco perché da oggi la biblioteca della sezione maschile della Casa Circondariale di Monza è entrata a far parte del circuito di Brianza Biblioteche: la grande "biblioteca di biblioteche" della Provincia di Monza e Brianza.

Nato nel 2005 dalla collaborazione fra Brianza Biblioteche, la casa circondariale, la Provincia e il Comune di Monza, il progetto ha consentito nel 2007 l’apertura della biblioteca per i detenuti delle sezioni comuni, estesa nel 2009 anche ai detenuti delle sezioni di alta sicurezza. Il prestito interbibliotecario renderà possibile ai detenuti accedere al patrimonio librario di Brianza Biblioteche, costituito da 1,1 milioni di documenti per un totale di 400mila titoli.

Per l’organizzazione e la gestione della biblioteca interna, sono stati realizzati dal 2006 ad oggi corsi di formazione in biblioteconomia che hanno coinvolto 90 detenuti, di cui 10 della sezione alta sicurezza e proprio nella mattinata di oggi sono stati consegnati i diplomi ai detenuti che hanno frequentato l’ultimo corso nel 2009.

Oggi la biblioteca della sezione maschile dispone di un patrimonio di circa 7mila documenti collocati a scaffale aperto ed è gestita da tre detenuti (da poco retribuiti dalla Direzione della Casa circondariale) nei seguenti orari: dalle 9 alle 11.30 e dalle 13 alle 15, dal lunedì al venerdì.

"L’inaugurazione del Servizio Interbibliotecario caratterizza la Biblioteca come un vero e proprio Centro Culturale, ove i detenuti possono chiedere libri in prestito, leggere, studiare e partecipare ad eventuali convegni o conferenze promosse da Enti esterni - ha detto il Direttore della casa circondariale di Monza, Massimo Parisi - Il servizio, così, non è più lasciato alla logica di singoli finanziamenti, ma grazie al contributo economico della Provincia di Monza e Brianza e di Brianza Biblioteche è ormai attivo in modo strutturale e continuamente alimentato attraverso appositi corsi di formazione destinati ai detenuti. La sensibilità dimostrata dagli Enti è il fondamento primario per tutti i percorsi di inclusione sociale che coinvolgono i detenuti".

La biblioteca della sezione maschile è stata protagonista di un vero e proprio boom di prenotazioni e richieste di consultazione: sono stati 1516 i prestiti registrati nel 2008 e 1476 quelli del 2009. Tra i titoli più richiesti la narrativa straniera e libri di poesia.

"Mi piacerebbe esportare questa positiva esperienza anche nella sezione femminile del carcere - ha aggiunto Martina Sassoli, Assessore alle Pari opportunità del Comune di Monza e Presidente di Brianza Biblioteche, che ha seguito questo progetto fin dagli esordi - convinta del valore delle attività culturali svolte all’interno del carcere quali importantissimi contributi per un cambio culturale e per il pieno svolgimento della funzione rieducativa.

La giornata di oggi rappresenta uno dei tanti obiettivi che il Comune di Monza, insieme agli altri attori del territorio, tra cui BB, si è posto di raggiungere per un pieno miglioramento dell’offerta culturale e rieducativa del carcere".

L’Assessore alla Cultura e Formazione professionale della Provincia MB Enrico Elli, ha assicurato la disponibilità a sviluppare nuove iniziative culturali all’interno del carcere, mentre il Presidente Dario Allevi ha sottolineato che con l’ingresso nel circuito bibliotecario, il carcere è sempre più parte integrante del territorio "Investire sulla cultura e sulla formazione professionale dei detenuti - ha detto il Presidente - è senza dubbio una formula vincente per promuovere percorsi utili di reinserimento sociale dei detenuti".

Roma: concorso; se carta e penna diventano le ali della libertà

 

Adnkronos, 2 febbraio 2010

 

La scrittura in carcere, il racconto autobiografico, l’incontro tra persone recluse e scrittori. Con il Premio letterario "Racconti dal Carcere" carta e penna diventano le ali della libertà e la scrittura il mezzo per riuscire ad esplorare la propria esistenza. Ideato da Antonella Bolelli Ferrera (giornalista e autrice di Radio3 Rai), promosso dalla Siae (Società Italiana Autori ed Editori) e dal Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), il concorso vuole essere un contributo concreto al principio della rieducazione del condannato sancito dall’art. 27 della Costituzione.

Rivolto ai cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari, senza limiti di età, condannati con sentenza di primo grado, attualmente detenuti negli istituti penitenziari del territorio nazionale, con questo premio "la scrittura diventa l’immaginazione che vola fuori dalla finestra", proprio come ha affermato, nel corso della presentazione, nella sala convegni della Biblioteca e Museo Teatrale del Burcardo, a Roma, la scrittrice e madrina del concorso, Dacia Maraini.

"Quasi tutte le persone che sono dentro le carceri - ha proseguito Maraini, che già in passato ha lavorato con le carceri, partecipando a seminari di scrittura, di poesia e alla creazione di una biblioteca - hanno creduto nelle leggi dell’azione, dando nella loro vita precedenza all’azione. Quando si trovano chiusi, forzati, costretti, dietro una porta, improvvisamente scoprono che l’azione non esiste più, scompare e viene fuori qualcosa che non avevano mai preso in considerazione: il tempo, la vita interiore, la riflessione, il pensiero e, quindi, anche la voglia di migliorare i propri rapporti comunicativi".

Un’iniziativa capace di cambiare la cultura di una persona ed il suo rapporto con il mondo, "Racconti dal Carcere" è intitolato a Goliarda Sapienza, figura intellettuale di spicco, che, come ha ricordato Bolelli Ferrera, "per un incidente di percorso" trascorse otto giorni nel carcere di Rebibbia, luogo in cui trovò l’ispirazione e la forza per scrivere il libro "L’Università di Rebibbia".

Inoltre, proprio perché tra i promotori di questo concorso all’insegna della cultura, dell’immaginazione e della libertà di espressione, la Siae, come ha spiegato il presidente, Giorgio Assumma, non deve essere considerata "solo un ente gabelliere" ma, anzi, una società che "di fronte a un’iniziativa culturale ha il dovere di impegnarsi" continuando a "stimolare soggetti di qualsiasi specie a creare in ogni campo dell’attività intellettuale", procedendo inoltre "alla formazione dei giovani autori" e "alla divulgazione delle opere in qualsiasi settore".

I partecipanti al concorso dovranno far pervenire presso la Siae - Comitato Organizzatore Premio Letterario Goliarda Sapienza "Racconti dal carcere" un elaborato dai contenuti autobiografici. Degli elaborati pervenuti ne verranno selezionati 20, che saranno integrati sulla base di interviste dirette a cura di Bolelli Ferrera. Ogni elaborato, così integrato, verrà affidato, per una più compiuta espressione letteraria del racconto, ad uno scrittore con funzione di tutor, il primo ad avere già aderito è Giordano Bruno Guerri.

I 20 racconti, che includeranno l’Introduzione degli scrittori-tutors e la prefazione dell’intervistatrice, verranno pubblicati e distribuiti nella rete commerciale editoriale. Infine, i racconti verranno esaminati da una giuria, che si potrà avvalere anche dell’espressione di un più vasto pubblico di lettori - per la successiva assegnazione dei Premi.

I premi ("la migliore storia", "il più intenso processo di riflessione interiore" e " la descrizione più suggestiva della propria vita dentro il carcere") saranno destinati a scopi culturali a favore dei detenuti-vincitori e il ricavato delle vendite delle opere a stampa, al netto dei costi, verrà destinato a finalità socio-culturali d’intesa con il ministero della Giustizia. Nel corso della cerimonia conclusiva gli scrittori-tutor ritireranno i premi per conto dei detenuti-vincitori, che potranno eventualmente assistere alla serata di premiazione in collegamento video dalle strutture carcerarie.

Immigrazione: Msf; nei Cie manca una tutela dei diritti umani

 

Redattore Sociale, 2 febbraio 2010

 

In sei anni nessun miglioramento dei Centri sparsi sulla Penisola: servizi scadenti,autorità sanitarie assenti. La fotografia in un rapporto di Medici senza frontiere, che denuncia: "Malfunzionamento e scarsa tutela dei diritti umani".

Malfunzionamento, scarsa tutela dei diritti umani, assistenza sanitaria, psicologica e legale insufficiente, ma anche uno stato di profondo malessere che sfocia in continue risse, rivolte ed episodi di autolesionismo. È un quadro con molte ombre e nessuna luce quello presentato questa mattina a Roma dall’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere, che ha condotto un’indagine sui Centri per migranti sparsi su tutta la Penisola.

Dopo l’indagine condotta nel 2003 e pubblicata l’anno successivo su 16 centri per stranieri, la Missione Italia di Msf è tornata sull’argomento con una nuova ricerca svolta in due momenti differenti: nell’autunno 2008 e nell’estate del 2009, dopo l’estensione da 2 a 6 mesi del tempo massimo di trattenimento all’interno dei Centri di espulsione e il brusco ridimensionamento degli arrivi dei migranti via mare. La ricerca, intitolata "Al di là del muro. Viaggio nei centri per migranti in Italia" indaga, ancora una volta, le condizioni socio-sanitarie, lo stato delle strutture, le modalità di gestione, gli standard dei servizi erogati e il rispetto dei diritti umani nei Centri di identificazione e di espulsione (Cie) per migranti senza permesso di soggiorno, nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo e migranti (Cara) e nei Centri di accoglienza (Cda).

L’esigenza di effettuare una nuova ricerca - spiega l’organizzazione - è nata sia dal "persistere di un sistema impermeabile a osservatori esterni" sia dalla volontà di verificare se qualcosa fosse cambiato in seguito alle denunce raccolte dalla Commissione istituita dal ministero dell’Interno e presieduta dal rappresentante delle Nazioni Unite, Staffan De Mistura, che ha visitato i centri nel corso del 2006. Ebbene, dalle 35 visite effettuate da Medici senza frontiere tra il 2008 e il 2009 è emerso che poco o nulla è cambiato rispetto ai tempi della prima indagine.

In primo luogo - rileva Msf - "nonostante siano stati istituiti da più di un decennio, la gestione dei Centri per migranti sembra ancora ispirata da un approccio emergenziale e in larga parte lasciata alla discrezionalità dei singoli enti gestori". In particolare, l’indagine mette in rilievo la "scarsa trasparenza verso l’esterno" testimoniata "dal rifiuto del ministero dell’Interno di rendere disponibili a Msf le convenzioni stipulate tra i singoli enti gestori e le locali Prefetture".

Un altro problema, poi, è la mancanza di controlli esterni e di indicatori di qualità. Gli enti gestori - sottolinea il Rapporto - forniscono un insieme estremamente eterogeneo di servizi, che spazia dalla manutenzione delle strutture all’assistenza sanitaria, psicologica e sociale, dalla fornitura di beni di prima necessità all’accoglienza e all’orientamento legale. Le Aziende sanitarie locali, inoltre, non hanno alcuno ruolo nella verifica dei livelli igienici, della vivibilità degli ambienti, delle condizioni sanitarie e dei protocolli e presidi sanitari adottati. Insomma, tira le somme Msf, "ogni ente gestore appronta come meglio crede il servizio sanitario, rispondendo esclusivamente alle osservazioni della Prefettura, che non dispone di competenze specifiche in ambiti cruciali come quello sanitario e psicologico".

Immigrazione: i Cie di Trapani e di Lamezia Terme vanno chiusi

di Cinzia Zambrano

 

L’Unità, 2 febbraio 2010

 

"Autorità sanitarie locali assenti. Molti migranti non si fanno curare: la paura è di tornare nel Cie più che in patria". Dopo 5 anni, unica organizzazione indipendente a scrivere un rapporto su Cie e Cara, Msf è tornata nei luoghi di detenzione per gli immigrati privi di permesso di soggiorno.

Assistenza sanitaria insufficiente. Come pure quella legale, sociale e psicologica. Servizi scarsi e scadenti. Impianti di riscaldamento spesso non funzionanti. Beni di prima necessità carenti: niente coperte, né carta igienica. Spazi ridotti, 25 metri quadrati da condividere in 12. Strutture fatiscenti. Episodi di autolesionismo. Risse. Rivolte. Ecco come si vive "al di là del muro", la cortina che nasconde agli occhi di tutti (o quasi) il dramma di migliaia di persone trattenute nei Cie, (Centri di identificazione ed espulsione), Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) e Cda (Centri di accoglienza) italiani.

A fornirci la drammatica fotografia è Medici senza Frontiere. Che a distanza di cinque anni, unica organizzazione indipendente a scrivere un rapporto sui Cie e Cara, è tornata nei luoghi di detenzione per gli immigrati privi di permesso di soggiorno per verificare le condizioni igienico-sanitarie, lo stato delle strutture e gli standard dei servizi erogati.

Il risultato? Una netta bocciatura. Per Msf nulla, o poco, è cambiato: nei centri visitati la scarsa tutela dei diritti fondamentali è diventata la norma. E per due di essi, i Cie di Trapani e Lamezia Terme, l’organizzazione umanitaria arriva a chiederne la chiusura.

L’indagine, riportata nel rapporto "Al di là del muro. Viaggio nei centri per migranti in Italia", mostra come a più di dieci anni dall’istituzione dei centri per migranti, la gestione generale sembra ispirata ancora oggi a un approccio emergenziale. Un paradosso se si pensa che l’anno scorso il governo di centro-destra ha esteso il periodo massimo di trattenimento all’interno dei Cie da 2 a sei mesi. Determinando uno stravolgimento definitivo della funzione originaria della detenzione amministrativa: non più misura straordinaria e temporanea di limitazione della libertà per attuare l’allontanamento, ma percepita come sanzione, estranea, tuttavia, alle garanzie e ai luoghi del sistema penale. Una misura, che rischia di rendere ancora più esplosivo il clima all’interno dei centri.

21 quelli osservati sotto la lente d’ingrandimento di Msf. In alcuni, come i centri di Lampedusa e Bari, agli operatori è stato negato l’ingresso nonostante la visita fosse stata comunicata con diverse settimane di preavviso. "Rispetto alle visite condotte nel 2003 poco è cambiato, molti sono i dubbi che persistono, su tutti la scarsa assistenza sanitaria, strutturata per fornire solo cure minime, sintomatiche e a breve termine. Stupisce inoltre l’assenza di protocolli sanitari per la diagnosi e il trattamento di patologie infettive e croniche. Mancano sopratutto nei Cie come ad esempio in quello di Torino, i mediatori culturali senza i quali si crea spesso incomunicabilità tra il medico e il paziente. Sconcerta in generale l’assenza delle autorità sanitarie locali e nazionali", racconta Alessandra Tramontano, coordinatrice medica di MSF in Italia.

Il rapporto evidenzia come di fatto nei Cie convivono negli stessi ambienti vittime di tratta, di sfruttamento, di tortura, di persecuzioni, così come individui in fuga da conflitti, altri affetti da tossicodipendenze, da patologie croniche o della sfera mentale. Sono luoghi dove coesistono e s’intrecciano in condizioni di detenzione storie di fragilità estremamente eterogenee tra loro da un punto di vista sanitario, giuridico, sociale e umano, a cui corrispondono esigenze molto diversificate. Quasi sempre non soddisfatte.

"Tra i Cie, Trapani e Lamezia Terme andrebbero chiusi subito perché totalmente inadeguati a trattenere persone in termini di vivibilità. Ma anche in altri Cie abbiamo riscontrato problemi gravi: a Roma mancavano persino beni di prima necessità come coperte, vestiti, carta igienica, o impianti di riscaldamento consoni", continua Tramontano.

"Nei Cara abbiamo rilevato invece servizi di accoglienza inadeguati. Il caso dei centri di Foggia e Crotone ne è un esempio: 12 persone costrette a vivere in container fatiscenti di 25 o 30 metri quadrati, distanti diverse centinaia di metri dai servizi e dalle altre strutture del centro. Negli stessi centri l’assenza di una mensa obbligava centinaia di persone a consumare i pasti giornalieri sui letti o a terra", conclude Tramontano.

La gestione complessiva dei centri per migranti, sia dei Cie che dei Cara e dei Cda, appare dunque in larga parte inefficiente. I servizi erogati sono spesso scarsi e scadenti e non si riesce di fatto a garantire una effettiva identificazione, protezione e assistenza dei soggetti vulnerabili che rappresentano una parte consistente (se non prevalente) della popolazione ospitata.

 

 

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