Rassegna stampa 1 febbraio

 

Giustizia: Secchi (Anm); funzione rieducativa carcere è fallita

 

La Repubblica, 1 febbraio 2010

 

"Non sarà il processo breve a risolvere la crisi della giustizia. Anzi l’unico effetto che produrrebbe sarebbe l’estinzione dei procedimenti che vedono imputati i cosiddetti "colletti bianchi". Processi come quello di Lady Asl o delle Coop Casa Lazio". A lanciare l’Sos è Valerio Savio, componente della giunta distrettuale di Roma e Lazio dell’Anm. "Abbiamo fatto una ricognizione - ha detto Savio - Nessuna conseguenza ci sarà per i reati minori.

C’è il pericolo invece di una giustizia sommaria dove le garanzie difensive verranno sacrificate per favorire invece la velocità dei procedimenti". A mettere in crisi la giustizia sono le carenze di risorse economiche e di organico. Ne sono convinti i magistrati romani che ieri hanno protestato contro il governo. Una cinquanta di loro, con indosso la toga e stringendo tra le mani la Costituzione, hanno lasciato la cerimonia non appena è stata data la parola a Franco Ionta, responsabile del Dipartimento amministrazione penitenziaria, in rappresentanza del ministro della Giustizia. "Il nostro è un gesto che vuole esprimere il forte disagio della magistratura - ha affermato il presidente dell’Anm, Luca Palamara - per le mancate riforme del sistema giustizia".

Alla protesta non ha aderito una decina di magistrati della corrente di Magistratura Indipendente tra cui Fabrizio Gandini, ex gip del processo di Cogne ad Anna Maria Franzoni. E proprio la relazione sull’amministrazione della giustizia del presidente Santacroce ha evidenziato che "è aumentato notevolmente l’arretrato, favorito in buona parte da ricorsi spediti per posta (solo a Roma ne vengono inviati 500-600 al giorno). Le risorse a disposizione sono sempre di meno, il personale di cancelleria è ridotto all’osso, mancano computer e fotocopiatrici e quelli in funzione sono vecchi e lenti".

L’analisi è condivisa dal presidente del tribunale, Paolo De Fiore: "Questo tribunale da settembre a marzo perderà circa 40 addetti del personale amministrativo: un numero enorme. Sono a rischio processi delicati come quello per il crac Cirio". La protesta delle toghe denuncia l’agonia e i tagli di bilancio sempre più pesanti alla giustizia.

"La carenza di organico è a livelli allarmanti - incalza Marco Mancinetti, presidente della dell’Anm di Roma e Lazio -. Tutto ciò avviene non solo drammaticamente da anni nei tribunali del Meridione ma anche negli uffici giudiziari del Lazio. A questo si va ad aggiungere la valanga di contenziosi dovuti anche alla presenza di ben 34 mila avvocati tra Roma e il Lazio".

E ancora: "La mancanza di personale amministrativo è alla base della paralisi della sezione Lavoro del tribunale Civile dove sono bloccate le iscrizioni dei nuovi ricorsi" aggiunge Fabrizio Gandini. Ma lo sbando della giustizia si registra a tutti i livelli ed è evidente anche dalla emergenza-carceri. "Non solo la funzione rieducativa del carcere è fallita - accusa Zaire Secchi, componente dell’Anm - ma anche il livello di vivibilità è inqualificabile. L’aumento dei suicidi, avvenuti negli ultimi mesi, ne sono la dimostrazione".

Giustizia: più 100mila dipendenti per un sistema da rottamare

di Roberto Miliacca

 

Italia Oggi, 1 febbraio 2010

 

È partito il nuovo anno giudiziario. Come sempre, la cerimonia in Cassazione ha lanciato sul tappeto i canonici temi della giustizia malata. I numeri, d’altronde, per grandi linee, li aveva anticipati il 20 gennaio scorso, il ministro della giustizia Angelino Alfano nel corso della sua relazione al parlamento sullo stato della giustizia: 5.625.057 procedimenti civili pendenti, con un aumento del 3% rispetto al 2008; 3.270.979 quelli penali, con una riduzione modesta rispetto all’anno precedente.

"Questa enorme mole di lavoro, che non ha eguali negli altri paesi dell’Ue", spiegava il guardasigilli, "viene gestita da 9.080 magistrati togati (6.402 giudici e 2.090 pubblici ministeri); 3.513 giudici onorari; 40.456 unità di personale giudiziario; 1.399 addetti al settore minorile; 46.662 dipendenti dell’amministrazione penitenziaria.

Tra questi dipendenti, ben 5.183 (circa il 12%) sono impegnati ad effettuare 28 milioni di notifiche manuali ogni anno, pari a 112 mila notifiche al giorno, di cui oltre la metà destinate agli avvocati. Circa il 12% dei soli processi penali viene rinviato per omessa o irregolare notifica (dati Eurispes 2008) e lo stesso processo penale brucia, in media, 80 mln di euro ogni anno per dichiarare prescritti 170 mila processi (465 al giorno, festivi compresi). Soltanto con l’alleggerimento dell’enorme fardello dei procedimenti arretrati sarà possibile ottenere concreti benefici dalla riforma del processo civile". Le soluzioni? "In tempi brevi, verrà presentato al Consiglio dei ministri il Piano straordinario per lo smaltimento dell’arretrato civile". Sperando solo che la soluzione di rottamare e negare giustizia a qualcuno non sia peggiore del male.

Giustizia: la Cnvg sulle "Unità di ascolto di Polizia penitenziaria"

 

Ristretti Orizzonti, 1 febbraio 2010

 

Nei giorni scorsi una circolare del Dap ha deciso di predisporre un servizio di "Unità di ascolto di polizia penitenziaria" per contrastare il rischio suicidario tra i detenuti nelle carceri.

Nella circolare, il Dap dichiara necessario indirizzare ogni sforzo per arginare l’attuale impellente emergenza, riconoscendo tuttavia che non spetterebbe ai poliziotti penitenziari il compito di valutare se un detenuto è a rischio suicidio. Ma la decisione si motiva a causa delle note carenze delle figure professionali istituzionalmente deputate all’assistenza psicologica del detenuto. Tale "unità di ascolto" sarà composta, come indicato nella circolare, da "personale di polizia penitenziaria e dell’area educativa, ed integrato da appartenenti al volontariato". I contenuti di questa circolare suscitano alcune riflessioni:

- Se già manca parecchio personale in organico, come è possibile che con lo stesso personale esistente si possano svolgere nuove funzioni? La soluzione sembra un gioco di prestigio.

- Ogni formazione del personale, indubbiamente, costituisce un elemento positivo e andrebbe perseguita: naturalmente, rivestono un ruolo cruciale i contenuti formativi. L’idea dell’ascolto è anch’essa totalmente condivisibile; è, del resto, uno dei motivi fondanti del volontariato: è una dimensione umana, etica e psicologica. Ma in carcere, spesso, ascoltare dovrebbe significare essere in grado di dare risposte.

- Anche se ogni situazione è evidentemente unica, tuttavia andrebbero analizzate le ragioni dei suicidi o dei tentativi: si potrebbe vedere che forse, come elemento comune, vi sia proprio la dimensione di rottura di appartenenza al corpo sociale, di perdita della speranza di un futuro o di un nuovo progetto di vita, di frattura dei legami esistenziali che fondano la propria identità. Se le ragioni della detenzione in molti casi si motivano nella mancata messa in atto di risposte concrete ai bisogni dei detenuti, di mancata possibilità di misure alternative alla detenzione, quale potrà essere il peso di un ascolto che non sa dare risposte?

Quando a tali bisogni non vengono date risposte, il soggetto si trova in balia del proprio fallimento o ricerca meccanismi sostitutivi nel mondo sotterraneo della istituzione, disgraziatamente scuola di criminalità.

- Vi sono poi perplessità legate alle modalità di funzionamento della proposta. L’istituzione di un servizio di ascolto, composto da personale di polizia penitenziaria e dell’area educativa ed integrato da appartenenti al volontariato richiede riflessioni e approfondimenti.

Quali sono in tale organizzazione le reciproche responsabilità e ruoli dei vari componenti? In merito inoltre all’acquisizione da parte del personale di conoscenze e competenze specifiche nell’ambito di idonei percorsi formativi, evidentemente vediamo con estremo favore ogni percorso formativo: pensiamo infatti, da sempre, che l’operare in carcere richieda notevoli competenze e capacità personali e collettive. Ma quali sono i contenuti di tale formazione? In quale considerazione, per esempio, sarà tenuta l’esperienza e, soprattutto, la specificità del ruolo del volontariato?

Come già espresso in precedenti comunicati, ribadiamo che per una efficace azione sul problema dei suicidi sia indispensabile anche il potenziamento dei presidi psicologici e psichiatrici, che garantiscano una presenza ed una continuità di ascolto, oltre al necessario coinvolgimento della salute mentale del territorio (che dovrebbe immediatamente allertarsi ed agire).

La generosità del volontariato non deve divenire azione suppletiva. Ne va del fondamento etico del proprio compito.

 

Elisabetta Laganà

presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

Lettere: in ricordo di Pasquale caporedattore di Salute inGrata

 

Ristretti Orizzonti, 1 febbraio 2010

 

"Pasquale Forti ci ha lasciato. Un grande vuoto percorre la nostra redazione e i cuori di tanti amici che lo hanno conosciuto e apprezzato in questi anni. Da subito era diventato il nostro capo redattore per le sue innate capacità umane di aggregazione fra diverse "teste pensanti" e per la competenza nel ricercare informazioni sulle leggi che regolano il pianeta carcere.

Per noi che ci occupiamo di salute in carcere la devastante e galoppante malattia che lo ha portato via sembra un paradosso. In molti, qui a Bollate, appena scoperta la gravità della situazione clinica si sono adoperati per facilitare e ottenere la sospensione della pena che è arrivata e ha permesso a Pasquale di vivere libero gli ultimi mesi della sua vita e riabbracciare, riconciliandosi, i famigliari e i figli. Oggi lo ricordiamo con affetto, libero dal dolore e in pace".

 

La Redazione di Salute inGrata

Trieste: come mai i reati diminuiscono ma il Coroneo scoppia?

 

Il Piccolo, 1 febbraio 2010

 

"Non si potranno mai rispettare i due anni previsti per i processi di secondo grado. Spesso trascorrono sette mesi prima che il fascicolo venga trasmesso dai Tribunali alla Corte. E nessun procedimento può concludersi in 15-16 mesi quando vi sono otto giudici nell’organico della Corte d’appello. Non esiste la bacchetta magica".

Lo ha affermato l’altro ieri Mario Trampus, neo presidente della stessa Corte, commentando la nuova legge sul "processo breve" approvata di recente da uno dei due rami del Parlamento. "Trieste detiene il record italiano di produttività tra le Sezioni penali della Corti d’appello - 210 sentenze per magistrato nel corso di un anno contro le 140 a livello nazionale - ma nonostante ciò, i limiti di tempo che il Governo intende imporre per legge, pena la prescrizione, appaiono irrealistici, utopici, lontani dalla realtà di chi opera nei palazzi di Giustizia.

Il cosiddetto "processo breve" , secondo le previsioni, potrebbe mettere in crisi anche i cosiddetti "riti alternativi", patteggiamenti e abbreviati introdotti 22 anni fa nel tentativo di velocizzare i processi. Il ricorso a questi riti è stato di gran lunga minore del previsto nonostante gli sconti di pena, ma la possibilità che il processo breve agevoli le prescrizioni abbasserà ulteriormente le percentuali. Per evitare le prescrizioni alla Corte d’appello di Trieste è stato messa a punto una sorta di "scheda di tracciabilità" per ogni fascicolo.

"Viene inserita sul retro della copertina e vi sono indicati i tempi per evitare che il processo finisca con un nulla di fatto. Calcoliamo anche i mesi necessari per l’eventuale terzo grado di giudizio in Cassazione. E di conseguenze fissiamo le date delle udienze. Lo facciamo perché come giudici non possiamo dire alla gente,il tuo procedimento è prescritto" ha spiegato Mario Trampus.

Poi ha aggiunto che la Corte di cui da pochi giorni ha assunto la presidenza effettiva, ha una percentuale di prescrizioni del 6,79 per cento, contro una media nazionale del 16,35. Nel corso dell’incontro con i giornalisti sono emersi molti altri dati che consentono di definire più che "apprezzabili" i risultati di efficienza raggiunti nel Friuli Venezia Giulia.

Fa caso a se Gorizia, investita da centinaia di procedimenti penali collegati alle morti da amianto che stanno coinvolgendo da anni chi ha lavorato al cantiere navale di Monfalcone. Mario Trampus ha anche reso noto quanto è stato speso nell’ultimo anno per effettuare le intercettazioni telefoniche ed ambientali chieste della Procure e autorizzate dai Tribunali. In totale sono usciti nel Friuli Venezia Giulia dalle casse dello Stato sei milioni e 571 mila euro.

"Una spesa rilevante" l’ha definita l’alto magistrato. I "bersagli" finiti sotto ascolto sono stati 2929 con un incremento sull’anno precedente del 34 per cento. A queste intercettazioni vanno aggiunte quelle dell’Antimafia, fermatesi a quota 1129. La diminuzione complessiva dei reati è del 14 per cento, passando da 41.299 a 35.416 denunce.

Quasi tutti gli indici sono in discesa: furti (-9,6), rapine (-14,8), le rapine in banca (-46,6), in maggioranza compiute da stranieri e immigrati non integrati. Una decina gli omicidi, di cui sei a Trieste (uno nel periodo precedente), uno a Tolmezzo, tre a Udine (nove nel periodo precedente). Nel settore stupefacenti, sono aumentati gli arresti compiuti dai carabinieri nel primo semestre 2009 (173) e le denunce (389); la Guardia di Finanza ha arrestato 87 persone e ne ha denunciate 39.

I reati di corruzione e concussione sono stati definiti da Trampus "esigui e marginali", le violazioni ambientali "trascurabili" e i reati societari "quasi inesistenti". La situazione delle carceri è stata definita di "sovraffollamento cronico", non solo oltre la capienza ma anche la tollerabilità: a Trieste, il Coroneo può ospitare ufficialmente 155 detenuti mentre ne sono rinchiusi 230-260, il 60 per cento dei quali stranieri di una trentina di nazionalità diverse.

Como: 100 mila euro per un progetto contro i suicidi in carcere

 

Comune di Como, 1 febbraio 2010

 

"La mente oltre le barriere" è questo il nome del progetto promosso dall’assessorato ai Servizi sociali del Comune di Como, capofila dell’iniziativa, in collaborazione con la Provincia di Como e con l’Azienda Ospedaliera S. Anna - Dipartimento Salute Mentale.

Il progetto, che operativamente partirà a fine mese, prevede azioni specifiche all’interno del carcere di Como, azioni rivolte ai detenuti a rischio di disagio psichico che spesso può sfociare nel suicidio.

Il Progetto - finanziato dalla Regione Lombardia con 100mila euro e per la parte restante, 40mila euro, dai tre partner - sarà centrato sui detenuti di età compresa tra i 20 e i 35 anni, che stanno scontando la prima pena e nasce dalla necessità di prevenire i comportamenti aggressivi dei detenuti verso se stessi e verso gli altri, grazie all’intervento di psicologi che, dopo una valutazione dei bisogni scaturiti dall’impatto con il contesto carcerario, metteranno in atto azioni tempestive e personalizzate per aiutare la persona detenuta ad affrontare il percorso carcerario.

L’idea progettuale si basa sulla necessità di rafforzare il coordinamento delle risorse esistenti nell’Istituto Penitenziario, al fine di prevenire i comportamenti aggressivi dei detenuti verso se stessi e verso gli altri, grazie all’intervento di psicologi che, a seguito di una valutazione dei bisogni scaturiti dall’impatto con il contesto carcerario, attuino azioni tempestive e personalizzate, per aiutare la persona detenuta ad affrontare il percorso carcerario. Il coinvolgimento degli operatori interni ed esterni al carcere, per sviluppare una maggiore attenzione ai bisogni emotivi dei detenuti avrà un impatto positivo sulla condizione carceraria nella sua totalità.

Ulteriore obiettivo è la sensibilizzazione di tutti gli ambiti territoriali provinciali e di tutti gli operatori (sociali e del terzo settore) che, a vari livelli, operano all’interno e all’esterno del carcere, per armonizzare e coordinare gli interventi rivolti ai detenuti, affinché, alla loro dimissione, divengano parte di una "comunità" pronta ad accoglierli in un reale percorso di integrazione sociale.

Al fine di potenziare maggiormente quest’azione, si istituirà un "Tavolo Carcere" a livello provinciale per affrontare in modo coordinato le problematiche della vita carceraria. In linea con l’obiettivo della sensibilizzazione e il sostegno degli operatori che operano direttamente nella struttura penitenziaria e in accordo con la direzione Carceraria si concorrerà alla valutazione e agli interventi correttivi relativi allo stress lavoro-correlato e agli interventi per la riduzione dei fattori che possono influenzare negativamente la performance del personale, il clima ambientale e di riflesso tutta la popolazione carceraria, attraverso anche strumenti di supervisioni gruppi, di de-briefing e analisi di situazioni critiche.

Il "mondo carcere" è un mondo parallelo rispetto alla società, fatto di leggi, ristrettezze e di una propria cultura, che influenza inevitabilmente il modo di vivere dei detenuti. In questo mondo parallelo, in questi ultimi anni, è emerso fortemente il tema del disagio psicologico. Nelle carceri italiane sono purtroppo in incremento i decessi per suicidio e la frequenza maggiore si verifica proprio nella fascia d’età tra i 20 e i 30 anni: nelle carceri italiane, nell’anno 2008, sono morti 121 detenuti, 48 dei quali per suicidio.

Dalle ultime ricerche, inoltre, si evince che la persona in carcere ha un deficit della risposta di paura e, pertanto, tende a mettere in atto dei comportamenti di difesa e risposte emotive estreme. Da recenti rilevazioni, l’incidenza di autolesionismo fra la popolazione straniera è il doppio rispetto all’incidenza sulla popolazione italiana di detenuti, mentre i suicidi avvengono in proporzione inversa.

In questo scenario nazionale si colloca la realtà carceraria di Como, che ospita annualmente circa 600 detenuti, tra i quali circa 40 donne; di questi 182 sono adulti tra i 20 e i 30 anni, in esecuzione penale con disagio psicologico, individuati come target a rischio. "Il progetto - spiega il vicesindaco Ezia Molinari - oltre a confermare la forte sensibilità dell’amministrazione e dell’assessorato in particolare su questo grave problema, costituisce un’importante occasione per sensibilizzare tutti gli ambiti territoriali della Provincia di Como e tutti gli attori che operano, a vari livelli, sia all’interno sia all’esterno del carcere, per armonizzare e meglio coordinare tutti gli interventi rivolti alle persone detenute".

"La finalità ultima del progetto - aggiunge Paola Suriano, dirigente del settore Servizi Sociali - è che oltre a migliorare la propria condizione all’interno del carcere, al momento della loro dimissione, queste persone possano diventare parte di una "comunità", pronta ad accoglierli in un reale percorso di integrazione sociale".

Il progetto promuove, oltre al consolidamento della rete dei servizi, anche la costituzione di un "Tavolo Carcere" a livello provinciale, per affrontare in modo coordinato tutte le problematiche della vita carceraria.

Azione 1. Sensibilizzazione degli operatori del carcere. Il coinvolgimento di tutti gli operatori interni ed esterni al carcere è essenziale per attuare interventi che portino ad una maggiore attenzione ai bisogni emotivi dei detenuti.

La valorizzazione ed un maggior coordinamento degli interventi già in atto all’interno del carcere, attraverso gli educatori professionali, l’agente di rete e la polizia penitenziaria avrà, inevitabilmente un impatto positivo sulla condizione carceraria nella sua totalità e costituirà pertanto un valore aggiunto agli interventi specifici programmati.

Nello specifico, verrà costituita un’equipe multidisciplinare costituita da figure che già operano all’interno del carcere e dalle figure messe a disposizione dal presente progetto: psichiatra e psicologo del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedaliera, educatori dell’Istituto, che attueranno interventi coordinati con gli Agenti di polizia penitenziaria e gli operatori. L’equipe che verrà costituita avrà lo scopo di valutare, caso per caso, i vari interventi specifici per migliorare la condizione emotivo-psicologica del detenuto, con particolare riferimento al detenuto neo arrivato.

Tale azione si interseca con l’azione successiva che prevede da parte dell’equipe l’attivazione di specifici interventi di carattere psicoeducativo, finalizzati al potenziamento delle risorse psicologiche per migliorare l’adattamento alla vita carceraria e, nel contempo, in vista del futuro reinserimento sociale. Si concorderanno inoltre le modalità più idonee con l’amministrazione carceraria per l’effettuazione della valutazione dello stress psicosociale, del sostegno del personale coinvolto, all’interno dell’ambiente carcerario, nella gestione dei casi particolarmente complessi attraverso la costruzione di gruppi, e di de-briefing attraverso colloqui individuali.

Azione 2. Valutazione e sostegno psicologico. Questa azione è diretta ai detenuti neo arrivati del target d’età 18-30 anni, intesa come categoria potenzialmente maggiormente suscettibile a disturbi della sfera emotiva, soprattutto per persone alla prima pena detentiva. Essa si sviluppa in tre differenti sub-azioni: a) potenziamento del già esistente servizio di psichiatria finalizzato a potenziare l’azione psicodiagnostica, b) interventi specifici di screening dei nuovi giunti, finalizzati al sostegno psicologico, alla riduzione dell’aggressività e degli atteggiamenti lesivi contro sé e contro gli altri e alla prevenzione del suicidio. Tali interventi si basano su colloqui individuali che mirano alla raccolta dei dati necessari allo psicologo per determinare la persona potenzialmente "a rischio". c) interventi di gruppo di tipo psicoeducativo, intesi come training alle abilità sociali finalizzati al potenziamento delle risorse psicologiche sia nei confronto del disagio derivante dallo stress della condizione carceraria, sia in vista del futuro reinserimento sociale, all’uscita del carcere. Tali interventi si andranno ad integrare con le azioni e le attività già avviate all’interno dell’Istituto, sulla base di quanto viene definito, in termini di percorso individuale, all’interno dell’equipe multidisciplinare. In pratica, l’azione si esplica nei seguenti step: diagnosi - cura - trattamento/sostegno psicologico - intervento psico-educativo - restituzione al territorio.

Azione 3. Azioni di consolidamento e sviluppo della rete dei servizi. Il progetto dovrà sensibilizzare tutti gli ambiti territoriali della Provincia affinché il carcere sia considerato parte del territorio e i detenuti stessi parte di una "comunità", che dovrà riaccoglierli al suo interno prevedendo reali percorsi d’integrazione sociale.

Gli operatori sociali e del terzo settore che operano, a vari livelli, all’interno ed all’esterno del carcere, dovranno rapportarsi, attraverso l’operato degli educatori messi a disposizione dal progetto, per attuare interventi di accompagnamento sociale ed aggancio con il territorio, in vista della dimissione del detenuto dal carcere.

L’obiettivo è quello di pervenire ad una corretta definizione del bisogno espresso dal detenuto in procinto di uscire dal carcere e la conseguente attivazione dei servizi adeguati, in una prospettiva di autonomizzazione della persona, affinché la stessa si attivi rispetto ai propri bisogni con il supporto della rete dei servizi e d il tutoraggio dell’operatore del progetto.

Perugia: detenuti in aumento boom di processi per corruzione

 

Ansa, 1 febbraio 2010

 

C’è un problema di sicurezza in Umbria collegato alla presenza "di un numero così rilevante di detenuti sottoposti a regime carcerario differenziato". A lanciare l’allarme è il presidente reggente della corte d’Appello Emanuele Salvatore Medoro, nella relazione che ha aperto l’anno giudiziario caratterizzato anche qui dalla protesta dei magistrati che hanno lasciato l’aula. Nei quattro istituti di pena dell’Umbria il numero dei detenuti è salito da 858 a 1.125. Non solo: la situazione è "quanto mai critica" per la carenza di personale amministrativo e di magistrati. "Siamo arrivati al redde rationem, non è più rinviabile un ripensamento complessivo del sistema giustizia". Quanto ai reati, boom di quelli per corruzione in atti giudiziari (+50%) e di persona incaricata di pubblico servizio (+100%). Crescono anche i processi di natura ambientale (+31%), per traffico di stupefacenti (+19%) e quelli attinenti alla prostituzione (+86%).

Trento: apertura nuovo carcere; bando assunzione 200 agenti

 

Il Trentino, 1 febbraio 2010

 

La notizia insperata l’ha portata l’altro ieri all’inaugurazione dell’anno giudiziario, Calogero Piscitiello, il rappresentante del ministro della giustizia Maroni. Gli agenti della polizia penitenziaria attesi per potenziare il numero di agenti a Trento e quindi permettere l’apertura del nuovo carcere di Spini arriveranno. E questo, ha detto, è una certezza.

"Il piano straordinario per le carceri - ha spiegato dopo il suo intervento - prevede l’indizione di un bando per 200 agenti. La copertura finanziaria iniziale è di 600 mila euro che sono stati reperiti". Fra questi 200 agenti ci sono anche quelli che verranno a Trento. Poi stiamo discutendo sull’eventuale chiusura della struttura di Rovereto. Su questo aspetto della vicenda non c’è ancora nulla di certo ma è una scelta che deve ancora essere discussa. Certo la dismissione di questa casa circondariale potrebbe certamente aiutare ad incrementare il personale di polizia penitenziaria per il nuovo carcere di Spini che dovrebbe essere inaugurato in primavera".

Castrovillari (Cs): terreno in comodato gratuito per i detenuti

 

Agi, 1 febbraio 2010

 

Il ruolo dell’agricoltura per l’inclusione sociale e lavorativa dei detenuti, al fine di realizzare un progetto ambizioso: la valorizzazione delle risorse umane e culturali dei reclusi e la loro sempre maggiore interazione con il territorio. È questa l’idea che sarà sviluppata a Castrovillari grazie alla cessione in comodato gratuito, da parte del Comune, di alcuni terreni limitrofi alla Casa Circondariale, che vede insieme ente locale, provincia ed amministrazione penitenziaria regionale per la realizzazione di progetti volti a creare un laboratorio di floricoltura, finalizzato ad agevolare l’inserimento dei soggetti in esecuzione di pena.

L’iniziativa, illustrata nella sala convegni della casa circondariale di Castrovillari, è stata suggellata con la firma di un protocollo d’intesa tra il provveditorato dell’amministrazione penitenziaria regionale e l’assessorato all’ambiente della provincia. Il progetto - spiega una nota - nasce proprio dall’esigenza di offrire a chi sconta la pena un "percorso detentivo alternativo" com’è avvenuto in quello denominato "Argo" con l’importante, anche qui, apporto del Comune, oltre che dell’Asl, per la cura di alcuni cuccioli randagi che aiuta, facilita e migliora la riabilitazione ed il reinserimento dei reclusi. L’obiettivo è di giungere alla realizzazione di un’azienda vivaistica provvista di tutte le pertinenze necessarie. A tale scopo saranno realizzati negli spazi disponibili, luoghi di allevamento per mettere a dimora le essenze vegetali floricole. Al fine, poi, di qualificare i detenuti all’attività’ lavorativa sarà svolto anche un corso di formazione di floro-vivaistica.

Genova: carcere Marassi; arresto agente Polizia penitenziaria

 

Secolo XIX, 1 febbraio 2010

 

"L’arresto, ad opera della P.S., di un agente scelto della polizia penitenziaria, di origini laziali, in servizio a Genova Marassi effettuato nella tarda serata di ieri sera ci addolora profondamente anche alla luce dei gravi reati cui è imputato. Pur tuttavia vogliamo esprimere l’auspicio che in sede di giudizio possa dimostrare la sua completa estraneità ai fatti contestatigli". Così Eugenio Sarno, segretario della Uil Penitenziaria commenta l’operazione di polizia che ha portato all’arresto di un agente penitenziario in servizio presso la Casa Circondariale di Marassi , dove sempre nella serata di ieri in una perquisizione straordinaria all’interno delle celle è stato rinvenuto un telefono cellulare.

"Personale di polizia penitenziaria - conferma Sarno - ha rinvenuto, durante una operazione di servizio, un telefono cellulare occultato all’interno di una cella della seconda sezione di Marassi . Non è chiaro se tra l’arresto del collega e il ritrovamento del telefonino ci sia un nesso diretto. Le circostanze e le voci paiono confermare che tra i due eventi ci sia una correlazione. In ogni modo anche questi due episodi confermano la profonda crisi che investe Genova Marassi. Una crisi che affonda la sue radici nella gestione amministrativa del carcere di Marassi e, più in generale, nella gestione dell’intero sistema penitenziario ligure. Eugenio Sarno polemizza con toni molto duri con la Direzione di Marassi e con il Provveditore Regionale che, da alcuni giorni, hanno avviato un procedimento disciplinare nei confronti di un dirigente sindacale della Uil, accusato di aver abusato della sua posizione di sindacalista per diffondere notizie di eventi registratisi all’interno del penitenziario genovese. "La Uil Penitenziari non rinuncerà, mai, all’impegno di informare tempestivamente di quanto accade nelle carceri, per noi è un dovere morale e civico. Mentre i predetti funzionari hanno ritenuto di aver rilevato in tale attività una violazione disciplinare, noi possiamo solo prendere atto che il Capo del Dap, recentemente, ha manifestamente ed incondizionatamente aperto le porte delle carceri all’informazione. Quindi di quali violazioni si parla? Forse è il caso di parlare di intimidazione e soppressione della libertà di pensiero e comunicazione. Purtroppo quando ci si vuole chiudere ed isolare nei fortini del potere il rischio è di perdere di vista l’attualità, oltre che al buon senso . Se il caso non rientra in tempi brevi, non mancheremo di investire direttamente lo stesso Capo del Dap perché possa, competentemente, pronunciarsi".

Lanciano (Ch): parte il Progetto "Essere genitori in carcere…"

 

Agi, 1 febbraio 2010

 

Alleviare le difficoltà delle famiglie dei detenuti che versano in condizioni di disagio economico, dando la possibilità ai bambini che incontrano il padre rinchiuso in carcere di affrontare il colloquio in un ambiente più adatto alla loro età. Sono gli scopi principali dell’iniziativa "Essere genitori in carcere", inserito in un progetto del Ministero della giustizia per affrontare il problema della genitorialità in carcere e che ha coinvolto anche la Casa Circondariale di Lanciano.

Nell’ambito del programma sono stati raccolti - in collaborazione con il Banco di Solidarietà di Lanciano e Ortona, commercianti della zona e una scuola materna - 80 giocattoli che fino al 4 febbraio saranno consegnati ai bimbi che andranno a far visita ai padri detenuti nell’istituto di pena dai volontari del Banco e dagli agenti di polizia penitenziaria. "Un’iniziativa - commenta la direzione del carcere di Lanciano - che punta a confermare l’apertura dell’istituto della pena verso il territorio, avviata già da tempo con una serie di iniziative. Siamo infatti convinti che sia importante che i minori si avvicinino alla realtà penitenziaria in un clima di maggiore distensione e serenità. E questo obiettivo può essere raggiunto anche grazie a progetti come questo".

Lecce: giornale dei detenuti "Piano di fuga" compie dieci anni

 

Corriere del Mezzogiorno, 1 febbraio 2010

 

Il nome, Piano di Fuga, già rende l’idea. Non fuga in senso classico, ma nell’accezione metaforica: fuggire dall’isolamento sociale che il carcere impone e appropriarsi poco a poco della realtà, scrivendone. Piano di Fuga, la rivista ideata scritta impaginata e stampata all’interno del carcere di Lecce, compie dieci anni.

La copertina del periodico che celebra i 10 anni dalla prima pubblicazione E sono dieci anni che i detenuti-redattori raccontano l’attualità dal loro punto di vista. Il fuori, visto però soltanto da dentro. Una prospettiva insolita, che non significa poi sia quella sbagliata. "Un vero e proprio lavoro, che è diventato per loro ogni giorno più importante - dice Pompeo Maritati di Comunità Speranza, associazione di volontariato carcerario - si sentono più sicuri e motivati; pronti, si spera, per quando arriverà il momento di rientrare in società".

Una vera redazione, all’interno della Casa circondariale. Con computer, postazioni per scrivere, sala riunione, e tutto ciò che serve per la parte più tecnica: impaginazione e stampa. Sono ottocento in tutto i detenuti a Lecce; solo venti, a rotazione, partecipano al lavoro redazionale. Ognuno col proprio ruolo e le proprie mansioni, per cinque giorni a settimana: "C’è il capo redattore - dice Maritati (è anche grazie a Comunità e Speranza se questa rivista può essere realizzata) - ci sono i semplici redattori, poi i grafici, gli esperti di computer. È un’esperienza che sta arricchendo i detenuti professionalmente. Alcuni sono diventati bravissimi, perfettamente autonomi, non hanno più bisogno di alcun suggerimento. L’intento, del resto, è questo: preparali ad un dopo professionale, fortificarli, fornire loro un orientamento Bimestrale, formato A4, dalle sedici alle venti pagine, Piano di Fuga, che viene distribuito in tutta Italia tra educatori, associazioni di volontariato e operatori del settore, si occupa di attualità.

I temi sono i più vari tra quelli che interessano più da vicino la vita dei detenuti (il sistema carcerario, i progetti di recupero finalizzati al reinserimento, i problemi delle famiglie, il sistema giudiziario italiano). Una rivista che vuole fare un po’ da ponte, che racconta la realtà al di là delle sbarre, ma che dice tanto anche della realtà al di qua. "Ed infatti è nata proprio con questo obiettivo - spiega Maritati - e cioè cercare di costruire nuovi legami tra i detenuti e la società esterna, ma non è facile. Chi sta fuori si manifesta sempre più indifferente alle esigenze di socializzazione e di reinserimento di coloro che scontano una pena detentiva".

I detenuti coinvolti nel lavoro redazionale sono tutti giovani, ed hanno compiuto reati comuni ("si escludono gli stupratori e i pedofili, che non sono ben accetti dalla comunità carceraria, e partecipano ad altro tipo di progetti di recupero", precisa Maritati). Il 5 febbraio festeggeranno il loro traguardo, che non è tanto il decennale di Piano di Fuga, quanto quello di aver reso, con un giornale, la loro detenzione più sostenibile.

Bollate: l’11 febbraio un convegno in carcere contro il bullismo

 

Asca, 1 febbraio 2010

 

Una tavola rotonda con i detenuti del Gruppo della Trasgressione e gli insegnanti delle diverse scuole medie e superiori con le quali il gruppo collabora per la prevenzione di bullismo e tossicodipendenza. Per cercare le domande che chi è in carcere non aveva saputo porsi da adolescente: un modo per ascoltare meglio i ragazzi di oggi e prevenire gli episodi di violenza. Il convegno "Con i bulli di Bollate" si terrà l’11 febbraio nel carcere cittadino: il dibattito é aperto al pubblico

Il Gruppo della Trasgressione, coordinato da Angelo Aparo, psicoterapeuta e docente di Psicologia della devianza, è composto da detenuti delle tre carceri milanesi e da comuni cittadini, spesso studenti universitari. Studenti e detenuti si incontrano settimanalmente dentro e fuori dal carcere; studiano e si confrontano su temi che riguardano esperienze di sconfinamento, come la trasgressione, la sfida, l’abuso; producono scritti che da oltre 10 anni vengono raccolti nel sito www.trasgressione.net.

Fra le attività, una serie di convegni e incontri aperti anche a cittadini comuni. I relatori sono professionisti e docenti universitari di discipline diverse e gli stessi membri del gruppo. La competenza degli esperti e l’esperienza di chi ha abusato del proprio potere vengono poste sullo stesso tavolo per coltivare il piacere e il valore di porsi domande insieme.

Il giurista e il rapinatore, il giornalista e l’omicida, lo studioso d’arte e lo spacciatore si interrogano sulle condizioni, sulle relazioni, sulle rappresentazioni di sé e del mondo che possono favorire od ostacolare un rapporto costruttivo con se stessi e con gli altri. Lo scopo è conoscere l’immagine che ciascuno ha di sé e promuoverne l’evoluzione.

Sviluppando i temi di cui ci occupiamo, ciascuno attinge alla propria esperienza e alla propria cultura per offrire agli altri dubbi e riflessioni. I documenti scritti di detenuti e studenti diventano ad ogni incontro motivo di confronto e di rilancio. Tramite il sito la voce del gruppo esce dalle mura carcerarie, alimentando la comunicazione tra carcere e società.

Immigrazione: a proposito dei dati su stranieri e criminalità…

 

www.stranieriinitalia.it, 1 febbraio 2010

 

Pubblichiamo l’analisi dei dati Istat su immigrazione e criminalità, secondo Sergio Briguglio.

1) Per molti dei delitti che destano maggiore allarme sociale (omicidi, furti, scippi, etc.), il numero è in netto calo in Italia (era molto più alto negli anni ‘90). Alcuni delitti fanno eccezione (tra questi, le rapine, che vedono un aumento del 25 per cento rispetto ai dati del 1991).

2) Confrontando il numero di delitti commessi da italiani con quello dei delitti commessi da stranieri, per quasi tutte le fattispecie prevalgono nettamente i primi. Anche qui vi sono eccezioni (ad esempio, furti in abitazione), per le quali prevalgono i delitti commessi da stranieri.

3) Rapportando il numero di delitti commessi alla popolazione di riferimento, si ottengono tassi di criminalità molto più alti per gli stranieri che per gli italiani (es.: circa 25 volte più alti, con riferimento alle rapine). Il divario si riduce cospicuamente se per ciascuna popolazione si prende in considerazione solo la porzione "a rischio" (ad esempio, solo i giovani). Questo fatto mostra come la principale motivazione del maggior tasso di criminalità evidenziato dagli stranieri sia dovuto, piuttosto banalmente, al fatto che si tratta di un gruppo sociale che si colloca naturalmente nella parte della società dove più acuto è il disagio (giovani, meno abbienti, etc.).

4) Il numero di delitti commessi dagli stranieri, a partire dall’inizio degli anni ‘90, resta sostanzialmente costante. Nello stesso arco di tempo, però, la popolazione straniera è cresciuta di un fattore 5 o 6. Benché quindi i tassi di criminalità siano molto elevati per gli stranieri, essi vanno decrescendo nel tempo: i comportamenti medi della popolazione immigrata vanno cioè normalizzandosi.

5) Anche il tasso di criminalità degli italiani è in calo. I due tassi (lo ripeto: assai diversi tra loro) calano, in percentuale, con la stessa rapidità (stesso tempo di dimezzamento)

6) Una curiosità: prendendo in considerazione la nazionalità della vittima quando l’autore del crimine è italiano o straniero, si vede che, per gli omicidi o le rapine in strada, gli italiani sono prevalentemente vittime di italiani; gli stranieri, di stranieri. Per la violenza sessuale, invece, gli italiani sono prevalentemente vittime di italiani; gli stranieri, ancora di italiani...

7) Che il tasso di criminalità tra gli immigrati regolarmente soggiornanti sia dello stesso ordine di quello osservato tra gli italiani non è cosa molto significativa. La regolarità del soggiorno è infatti condizionata al fatto che lo straniero non incorra in condanne per reati anche relativamente lievi. Questo fatto seleziona una classe di immigrati regolari a bassissimo tasso di criminalità e lascia al bacino dell’immigrazione irregolare la sostanziale esclusiva dei reati di matrice straniera.

8) Da questo non discende, però, che la condizione di soggiorno illegale sia un buon indicatore di una più spiccata propensione alla delinquenza. L’attraversamento di una tale condizione è reso infatti quasi inevitabile, almeno nel caso dell’immigrazione per lavoro, da una normativa che impedisce l’incontro legale tra domanda e offerta di lavoro. Il trovarsi illegalmente soggiornanti non è quindi frutto di una scelta deliberata di violazione delle norme (che potrebbe preludere alla commissione di crimini), ma piuttosto un aspetto "fisiologico" di ogni percorso migratorio: l’immigrato ha bisogno di soggiornare illegalmente in Italia... per potervi essere ammesso legalmente per lavoro.

9) Non si può trarre quindi dalla condizione di soggiorno irregolare un pronostico sulla futura attività criminale dello straniero, così come non si può concludere che un adolescente si renderà responsabile di atti di bullismo, combinando con il dato anagrafico l’osservazione che la grande maggioranza di questi atti è compiuta da adolescenti.

10) È assai probabile che disfacendosi degli immigrati diminuirebbe il numero di criminali. Analoghe diminuzioni si possono ottenere, però, sbarazzandosi di quanti portano la scriminatura a destra, di chi preferisce il mare alla montagna o di chi eccelle nel gioco della lippa.

Immigrazione: italiani contro equazione clandestini=criminali

di Renato Mannheimer

 

Corriere della Sera, 1 febbraio 2010

 

A margine della riunione di governo dedicata alla lotta alla mafia e alla criminalità, tenutasi straordinariamente a Reggio Calabria, Berlusconi ha ribadito la necessità di lottare contro l’immigrazione clandestina, notando al riguardo che: "una riduzione degli extracomunitari significa meno forze che vanno ad ingrossare le schiere delle criminalità".

Questa affermazione ha suscitato un vivace dibattito e pareri contrapposti. C’è chi, come il segretario della Cei, ha obiettato che vi è somiglianza del livello di criminalità tra immigrati e autoctoni (ciò che, per la verità, è inesatto) e chi, come il sociologo Barbagli sul Corriere, più precisamente, ha ricordato come tassi di delinquenza più elevati si riscontrino specificatamente nei clandestini (e non negli immigrati in generale) e solo per certi tipi di reati.

Nel loro insieme, comunque, gli italiani non mostrano di avere un atteggiamento negativo verso il fenomeno migratorio e i suoi protagonisti. Ciò è dettato sia da motivazioni etiche, sia, ancor più, da considerazioni di carattere economico. Due italiani su tre affermano infatti che "gli immigrati sono necessari alla nostra economia". Non a caso, questa convinzione si riscontra in misura più accentuata nel Nordest, ove, come si sa, la presenza e l’impiego di immigrati sono più diffusi. E trova consenso tra gli elettori di tutti i partiti, compresi (con un grado di approvazione del 55%) quelli della Lega Nord. È forse questo orientamento che - almeno a parole - appare non colpevolizzante verso gli immigrati, a portare l’elettorato a contraddire in parte quanto affermato dal presidente del Consiglio. Tanto che di fronte alla frase, "gli immigrati sono la principale causa della delinquenza", il 65% degli italiani si dichiara, più o meno nettamente, in disaccordo.

Emergono però, in questo caso, significative differenziazioni in relazione all’orientamento politico. Gli elettori della Lega Nord, sono infatti, in grande maggioranza (71%), d’accordo con l’idea che la delinquenza si annidi prevalentemente tra gli immigrati, anche se quasi un terzo (29%) è di parere contrario. Sull’altro fronte, quasi tutti (81%) i votanti per il Pd appaiono, com’era prevedibile, di parere opposto, con solo poco meno del 20% d’accordo con la frase in questione. La stessa distribuzione è rilevabile per l’elettorato dell’Udc.

Ma il fenomeno più interessante è costituito, in questo caso, dalla base del Pdl, che, di fronte alla richiesta di esprimere un giudizio sulla relazione tra immigrazione e delinquenza, si spacca esattamente a metà. Se, infatti, il 50% dei votanti azzurri afferma di concordare con l’idea che gli immigrati rappresentino uno dei fattori principali della criminalità, l’altra metà si dichiara di parere diametralmente opposto.

C’è insomma, proprio nel partito di Berlusconi, un forte conflitto di opinioni, legato in parte alla zona territoriale di provenienza. Questa inclinazione non necessariamente ostile nei confronti degli immigrati emerge anche dalle reazioni all’affermazione: "Un immigrato clandestino deve essere espulso immediatamente, anche se non ha commesso reati". La maggioranza (54%) dei rispondenti, infatti, non è d’accordo, anche se, ancora una volta, gli elettori della Lega Nord appaiono invece favorevoli (al 72%) e quelli del Pdl si dividano nuovamente in due parti pressoché eguali, con opposti pareri.

Insomma, gli italiani sono restii ad associare così strettamente immigrazione irregolare e criminalità, come invece sostiene il presidente del Consiglio. Ciò nonostante, essi paiono apprezzare la politica sin qui condotta dal governo per fronteggiare la clandestinità. Non a caso, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, è, tra tutti i membri dell’esecutivo, quello che raccoglie maggiore consenso e approvazione. E anche nel corso dei recenti, drammatici episodi di Rosarno, le maggiori responsabilità sono state attribuite alle autorità locali e non all’azione di governo.

Gran Bretagna: gangster comunica con Facebook dal carcere 

 

Ansa, 1 febbraio 2010

 

Un pericoloso gangster britannico, che sta scontando una condanna a 35 anni perché accusato di essere il mandante di numerosi omicidi, dal penitenziario di massima sicurezza dov’è detenuto ha continuato a impartire ordini, minacciare e intimidire attraverso Facebook. Colin Gunn, descritto come uno dei più pericolosi criminali del Regno Unito, è riuscito per mesi, da dietro le sbarre, a comunicare con oltre 500 "amici" che vanta sul diffusissimo social network. L’impero criminale di Colin a Nottinghan è uno dei principali motivi per cui la città era conosciuta come "il capoluogo degli assassini". Grazie al suo legale è riuscito a farsi riconoscere il privilegio di Internet e, di conseguenza, di chattare online. Ed è così che ha continuato a controllare i cartelli della droga impartendo ordini dalla sua cella. In un messaggio scrive: "Un giorno sarò fuori, che nessuno si faccia cogliere sorpreso o impaurito per questo".

Il suo account, aggiornato ogni giorno con scrupolo, è stato immediatamente bloccato dopo che il Sunday Times ha dato l’allarme. Jack Straw, responsabile della giustizia, ha affermato che verrà chiuso l’accesso a Facebook per tutti i detenuti. Il suo reparto insiste però che i social network erano già stati vietati. Ciononostante, quello di Colin Gunn non è l’unico caso di questo genere: la settimana scorsa, infatti, Jade Braithwaite, in carcere per la morte della sedicenne Ben Kinsella, si è connesso a Facebook per contattare i familiari della sua vittima.

 

 

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