Rassegna stampa 8 settembre

 

Giustizia: in carcere incubo senza limiti, mai così tanti detenuti

 

Quotidiano Nazionale, 8 settembre 2009

 

Siamo oltre il limite tollerabile: le carceri non riescono più a contenere i detenuti che sono giunti a quota 64.179 superando non solo le previsioni su carta (di gran lunga inferiori) ma anche il livello di tollerabilità che fissa a 64.111 il numero massimo di "ospiti".

Il sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) lancia l’allarme e torna ad attaccare la politica del governo sulla giustizia. Lo fa attingendo ai dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aggiornati a ieri. Per Donato Capece, leader del sindacato, si tratta "del numero più alto di detenuti presenti nelle carceri italiane nella storia della Repubblica". Sullo sfondo resta il piano carceri annunciato dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e soprattutto la questione dei fondi che - accusa il Pd - il governo avrebbe drasticamente tagliato rendendo vana ogni ipotesi di ulteriori costruzioni.

L’allarme del sindacato dei poliziotti penitenziari ha risvegliato anche le proteste dei radicali che sollecitano indulti e amnistie già "bocciati" dal ministro Alfano senza possibilità di replica. Per Marco Pannella l’Italia ha ripristinato, silenziosamente, la pena di morte perché solo quest’anno sono già 40 i detenuti che si sono tolti la vita in cella. E altri 13 - sempre secondo Pannella - sarebbero morti in conseguenza delle condizioni di reclusione.

C’è la condizione difficile di chi sta dietro alle sbarre ma c’è anche quella, altrettanto problematica, di coloro che devono assicurare i dovuti controlli. Gli agenti di polizia penitenziaria lamentano da tempo le condizioni di vita impossibili, che ingenerano violenza e hanno portato alla moltiplicazione di aggressioni contro gli uomini in divisa.

La situazione - secondo il Sappe - non è più controllabile e per dimostrarlo si citano i dati di ben 12 regioni dove è stata superata la soglia della "tollerabilità". In tutte le altre, comunque, si è ben oltre la quota regolamentare. In totale la presenza dei detenuti è una volta e mezza, il 148%, la capienza regolamentare del sistema carcerario italiano che è di 43.327 posti contro i 64.179 detenuti allo stato attuale. Gli stranieri dietro alle sbarre sono 23.785, il 37% del totale. Da mesi il ministro della Giustizia ha annunciato un nuovo "piano carceri" che dovrebbe prevedere la realizzazione di nuove strutture. In teoria il via doveva essere in aprile ma i tempi sono slittati.

Giustizia: Bonino (Ri); l'amnistia è impopolare, ma necessaria

 

Agi, 8 settembre 2009

 

"L’amnistia è un atto necessario e di buon governo". Lo ha detto ai microfoni di Cnr media Emma Bonino, vicepresidente della Camera. "Lo stato di sovraffollamento nelle carceri è innegabile e intollerabile, - ha detto la Bonino - lo stato di scarsezza di personale penitenziario è altrettanto innegabile, abbiamo milioni di processi pendenti ed è indubbio che serve una riforma urgente del Codice, promessa dal Governo da lungo tempo, e credo che l’inizio di questa riforma debba passare da una soluzione come l’amnistia.

Del resto, - aggiunge - in Italia c’è già un amnistia di fatto che passa per le prescrizioni. Un’amnistia senza regole che si ripete ogni giorno. E quando abbiamo visitato le carceri, gente potente o ricca non ne abbiamo vista. È meglio allora assumersi la responsabilità di un’amnistia propedeutica alla riforma del codice penale. Può essere impopolare ma è un’azione di buongoverno".

Giustizia: troppi morti in carcere; l'interrogazione dei Radicali

 

Agenzia Radicale, 8 settembre 2009

 

La deputata Radicale-Pd Rita Bernardini, membro della Commissione Giustizia, ha presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro della Giustizia Alfano sulla vicenda del detenuto tunisino recluso nel carcere di Pavia, deceduto il 5 settembre scorso in seguito a un lungo sciopero della fame. L’uomo, 42enne, aveva smesso di alimentarsi da oltre un mese per contestare una nuova condanna emessa contro di lui per un’accusa di violenza sessuale. Il decesso è avvenuto in ospedale dove il tunisino era stato ricoverato dopo l’aggravarsi delle sue condizioni.

La deputata radicale si rivolge al ministro Alfano affinché si faccia luce sulle circostanze che hanno portato alla morte del detenuto. Nell’interrogazione si chiedono, in particolare, informazioni e chiarimenti sul tipo di assistenza prestata all’uomo durante il lungo digiuno e sulla tempestività del ricovero in ospedale.

In seguito a quest’ennesimo dramma che vede come protagonista un detenuto, Rita Bernardini torna a sollecitare il Guardasigilli affinché si avvii un’indagine sui decessi che avvengono nelle carceri italiane, inclusi i suicidi, per verificarne le cause reali e scongiurarne di nuovi. Una verifica quanto mai urgente anche alla luce dei dati preoccupanti raccolti attraverso l’iniziativa "Ferragosto 2009 in carcere": la più imponente visita ispettiva mai realizzata che ha registrato la partecipazione di 165 fra parlamentari e consiglieri regionali.

"Non vorrei che nell’indifferenza generale, come ha denunciato ieri Pannella, l’Italia stesse surrettiziamente re-introducendo la pena capitale", ha dichiarato Rita Bernardini.

 

Segue il testo dell’interrogazione

 

Al ministro della Giustizia, per sapere - premesso che: notizie stampa riportano che il giorno 5 settembre 2009 è deceduto un detenuto tunisino recluso nel carcere di Torre del Gallo a Pavia;

che l’uomo, 42enne, stava portando avanti uno sciopero della fame da oltre un mese ed è deceduto al policlinico San Matteo di Pavia dove era stato ricoverato per l’aggravarsi delle sue condizioni;

che il tunisino aveva deciso di intraprendere lo sciopero della fame per contestare una nuova condanna emessa a suo carico per un’accusa di violenza sessuale;

l’agenzia Ansa e Corriere.it riportano inoltre che il responsabile del carcere ha tentato invano di convincere l’uomo a riprendere ad alimentarsi e che l’uomo aveva deciso di interrompere, oltre a quella di cibo, anche l’assunzione di bevande;

dai dati raccolti in occasione dell’iniziativa "Ferragosto 2009 in carcere" che ha registrato la partecipazione di 165 fra parlamentari e consiglieri regionali, (dati aggiornati al 27 agosto 2009 e forniti dalla direzione stessa dell’istituto), emerge che nel carcere di Pavia vi è un esubero di 173 detenuti, un deficit di agenti penitenziari pari a 133 unità e che su un totale di 417 detenuti sono 223 quelli in attesa di giudizio;

dai suddetti dati - sicuramente sottostimati perché un detenuto che muore in ospedale, come nel caso del tunisino, non viene conteggiato fra i decessi di un istituto penitenziario - emerge inoltre che al 27 agosto u.s. erano già 53 i decessi registrati nel 2009 tra i detenuti nelle carceri italiane, dei quali 33 suicidi, e 3.974 gli atti di autolesionismo segnalati dall’inizio del 2008.

Per sapere:

se il ministro è a conoscenza dell’accaduto riportato dai suddetti organi di stampa e, nel caso, se ha raccolto ulteriori informazioni, e quali, sulla dinamica della morte del detenuto;

se quest’ultimo abbia ricevuto assistenza, e quale, nel corso del lungo sciopero della fame intrapreso;

se il ricovero in ospedale avrebbe potuto effettuarsi prima che le condizioni del detenuto peggiorassero in modo fatale come è avvenuto;

se il ministro intenda prendere provvedimenti, e quali, per fare chiarezza sulla vicenda che ha coinvolto il 42enne tunisino;

se, infine, il ministro non ritenga urgente, anche partire dalla grande mole di dati a sua disposizione grazie all’iniziativa "Ferragosto 2009 in carcere", avviare un’indagine sui decessi che avvengono tra i detenuti delle carceri italiane, inclusi i suicidi, per verificarne le cause reali e scongiurarne di nuovi.

Giustizia: Radicali; evitiamo di condannare i detenuti a morire

 

Agenzia Radicale, 8 settembre 2009

 

In seguito alla notizia della morte, nel carcere torinese delle Vallette, di Carlo Esposito, bidello astigiano schizofrenico incensurato condannato alla pena di 2 anni e 2 mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale, Salvatore Grizzanti, coordinatore provinciale dell’ Associazione Radicale Adelaide Aglietta, ha dichiarato:

"Credo che sia assolutamente necessario fare chiarezza, il detenuto era già stato ricoverato diverse volte nel reparto psichiatrico dell’Ospedale di Asti, ma di ciò non è stato tenuto conto in tribunale dove gli è stata inflitta una pena a 26 mesi, certamente sproporzionata per un incensurato. Invece, solo dopo il suo ingresso nel carcere astigiano di Quarto, ci si chiede se la detenzione sia compatibile con lo stato di salute dell’uomo che, non solo era schizofrenico, ma anche diabetico, iperteso, obeso, oltre ad aver già avuto delle ischemie. Dopo il trasferimento nel reparto psichiatrico delle Vallette, Esposito scrive, ad agosto, lettere nelle quali afferma di aver rischiato il collasso per una crisi cardiaca e che gli sarebbero stati somministrati farmaci non idonei o a dosaggi sbagliati. L’ultima crisi, quella fatale, martedì 1 settembre.

Questa non-giustizia italiana fa l’ennesima vittima, noi Radicali con l’iniziativa Ferragosto in carcere abbiamo portato nella galere di tutta Italia parlamentari e consiglieri regionali per mostrare loro quale sia lo stato attuale degli istituti di pena. Come ha affermato Marco Pannella oggi le carceri italiane sono un girone infernale, è necessario fare qualcosa e farlo subito, chiediamo e gridiamo: "Amnistia!" contro l’amnistia di classe che si verifica ogni giorno nei tribunali italiani: la prescrizione. Si rende urgente far ritornare l’in-giustizia italiana ed i suoi istituti di pena in un contesto di costituzionalità per evitare, inoltre, di condannare gli imputati a qualcosa di più che la detenzione: la morte".

Giustizia: Bernardini; avviare indagine sulle morti dei detenuti

 

Iris, 8 settembre 2009

 

Avviare un’indagine sui decessi che avvengono tra i detenuti delle carceri italiane e che secondo dati recenti ma "sottostimati" solo quest’anno sono stati 53 (di cui 33 suicidi), mentre sono circa 4mila gli atti di autolesionismo segnalati dall’inizio del 2008.

È quanto chiede la Deputata Radicale - Pd Rita Bernardini, membro della Commissione Giustizia, che in un’interrogazione invita il ministro Angelino Alfano a far luce anche su una specifica vicenda: quella del detenuto tunisino, Sami M.S., recluso nel carcere di Pavia, morto il 5 settembre scorso dopo un lungo sciopero della fame.

L’uomo, 42 anni, aveva smesso di alimentarsi da oltre un mese per contestare una nuova condanna emessa contro di lui per un’accusa di violenza sessuale. Il decesso è avvenuto in ospedale dove il tunisino era stato ricoverato dopo l’aggravarsi delle sue condizioni. Ad Alfano, Bernardini chiede di far accertare le circostanze che hanno portato alla morte del detenuto, e chiarimenti sul tipo di assistenza che gli è stata prestata durante il lungo digiuno e sulla tempestività del ricovero in ospedale.

Ma la deputata torna anche a sollecitare un’indagine sui decessi che avvengono nelle carceri italiane "per verificarne le cause reali e scongiurarne di nuovi". Un’iniziativa "quanto mai urgente anche alla luce dei dati preoccupanti raccolti attraverso l’iniziativa "Ferragosto 2009 in carcere". "Non vorrei che nell’indifferenza generale, come ha denunciato ieri Pannella - ha dichiarato Bernardini - l’Italia stesse surrettiziamente re-introducendo la pena capitale".

Lettere: detenuti di Oristano protestano "celle da terzo mondo"

 

Lettera alla Redazione, 8 settembre 2009

 

L’associazione "El Gato Obrero", esprime massima solidarietà nei confronti dei detenuti del carcere di Oristano, dai quali abbiamo ricevuto questo scritto, che riteniamo importante divulgare.

Noi detenuti del carcere di Oristano, siamo impossibilitati a dialogare con la direzione, in quanto tutte le nostre forme di protesta pacifiche si sono rilevate inutili. Tutte le petizioni in cui si elencavano i numerosi problemi sono state cestinate e chi si è fatto portavoce e promotore di petizioni è stato intimorito e ricattato.

Ad oggi, nel carcere di Oristano, si trovano 114 detenuti, in una situazione di vita da terzo mondo. Siamo stipati come sardine, in una cella da 4 ci troviamo in 7 persone, circa 1 m quadro a testa, con tre brande che sfiorano il soffitto. Il bagno, non ci sono parole per descriverlo in che condizione versa.

Si rischia di morire asfissiati! Le celle sono munite di bocche di lupo, già da anni fuori legge, e se non bastasse questo, abbiamo giorno e notte il blindo chiuso a braccetto, con temperatura di 40°. Il ricircolo d’aria non avviene a sufficienza e si rischia proprio di svenire.

La ditta appaltatrice per le forniture della spesa per i detenuti, ci deve aver scambiato per vecchi cassonetti della spazzatura, in quanto tutta la frutta e la verdura che ci viene rifilata e di pessima qualità. Ad oggi non è ancora stata fatta la disinfestazione, infatti l’istituto è invaso da topi, blatte giganti che circolano liberamente nelle celle.

Gli scopini dei piani vengono pagati per 1 ora sola, e in quell’ora vengono puliti solo gli uffici della direzione. La sala colloqui non è a norma di legge, spuntano chiodi dai banchi che spesso provocano lesioni a gli abiti e alla pelle dei detenuti e dei visitatori e per lo più è lercia.

Due detenuti sono stati trasferiti d’urgenza, senza permettere loro di prendere gli indumenti personali, ritenendoli ingiustamente promotori della la protesta di martedì 26 agosto 2009, che consisteva nella battitura delle sbarre.

 

Eleonora Casula

Associazione El Gato Obrero

Augusta (Sr): detenuto aggredisce agente Polizia penitenziaria

 

Ansa, 8 settembre 2009

 

Un Assistente Capo in servizio presso l’ingresso di un blocco detentivo ad Augusta è stato aggredito da un detenuto extracomunitario che lo ha colpito con calci e pugni per futili motivi. "Il collega vittima della aggressione - è scritto in una nota del Coordinamento nazionale di polizia penitenziaria - ha riportato escoriazioni al volto e una contusione ad un polso e la rottura degli occhiali.

Il sovraffollamento attuale della popolazione detenuta, il caldo asfissiante, l’annosa questione della mancanza d’acqua e della grave carenza dell’organico della Polizia Penitenziaria di oltre 100 unità, sempre più rimarcata, le gravi condizioni strutturali dell’intero complesso detentivo che necessita di interventi di ristrutturazione e di adeguamento alle nuove norme dettate dall’ordinamento penitenziario, costituiscono un mix esplosivo che rende di certo non felici le condizioni di vivibilità del carcere di Augusta, con conseguenti tensioni e criticità che spesso sfociano in atti di violenza come quello odierno.

Basti pensare che il penitenziario di Augusta attualmente ospita 605 detenuti - più della metà sono extracomunitari - a fronte di una capienza prevista di poco più di 310 reclusi ed è divenuto una bomba ad orologeria pronta ad esplodere se non saranno adottati i necessari interventi tesi a rafforzare l’organico della Polizia Penitenziaria ed evitare le continue assegnazioni di detenuti da altri Istituti considerato che i reparti detentivi sono stracolmi ed i reclusi sono costretti a vivere in tre in una cella di appena quattro metri quadrati.

Il Coordinamento nazionale di polizia penitenziaria aveva già denunciato ai vertici del Ministero della Giustizia, del Dap ed al Prefetto unitamente alle altre organizzazioni sindacali di categoria una situazione in peggioramento, sperando che si intervenisse, invece non è arrivato alcun segnale. Ora, unitariamente, si valuterà quali forme di protesta mettere in campo per garantire la sicurezza ed i diritti della Polizia Penitenziaria che attualmente si trovano ad operare in condizioni inaccettabili".

Bologna: il Sappe a Napolitano; ci salvi da tracollo della Dozza

 

Il Bologna, 8 settembre 2009

 

Continue aggressioni di agenti, sovraffollamento, carenza di organico ridotto ormai al lumicino, detenuti costretti a dormire per terra e condividere anche in dieci pochissimi metri quadrati: è questo il quadretto, tutt’altro che piacevole, del pianeta carcere. Una situazione che negli ultimi tre anni, nonostante il condono voluto dal governo Prodi e dall’allora guardasigilli Mastella, è andata via peggiorando. Una vera e propria polveriera pronta a esplodere da un momento all’altro. Lo sanno bene i sindacati che pur di invertire una rotta che punta dritta alla rovina le han no tentate tutte, manifestazioni comprese, ma senza alcun esito.

Nulla è cambiato e ora non resta che una carta: il presidente del la Repubblica Giorgio Napolitano. Al quale il Sappe affida il suo ultimo estremo appello. "Presidente Napolitano - scrive Donato Capece, segretario generale del Sappe - la Carta costituzionale prevede che le pene non possano consistere in tratta menti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Ma non è accettabile che nelle ultime settimane decine e decine di agenti di Polizia penitenziaria siano stati aggrediti da detenuti nelle celle sovraffollate delle carceri di Bologna, San Gimignano, Ravenna e molte altre ancora. La situazione nei penitenziari si fa ogni giorno più critica".

Il Sappe chiede risposte certe e rapide che possono arrivare solo attraverso nuove assunzioni per un Corpo di Polizia "carente - assicura Capece - di ben 5mila unità" e attraverso "provvedimenti veramente punitivi per i detenuti che in carcere aggrediscono gli agenti o provocano risse". Ma anche "attraverso provvedimenti deflattivi che potenzino il ricorso alle misure alternative alla detenzione con contestuale impiego nei lavori socialmente utili dei detenuti con pene brevi".

Una misura che potrebbe in qualche modo tamponare la situazione ma non risolverla. Perché c’è un problema più grande che andrebbe affrontato: i detenuti stranieri. La popolazione carceraria straniera, soprattutto extracomunitaria, alla Dozza come altrove, cresce a dismisura. "Quello dei detenuti stranieri è un problema serio - assicura Giovanni Durante, segretario generale aggiunto del Sappe visto che sono quasi il 40% del totale".

E continueranno ad aumentare. A poco sono serviti, infatti, i circa cento trasferimenti effettuati nell’ultimo mese. "Purtroppo se ne partono cento - continua Durante - ne arrivano altri duecento". Un po’ come il gatto che si morde la coda. "L’unica soluzione - conclude è che gli stranieri vadano a scontare la loro pena nei loro paesi d’origine. Ogni altra strada sarà temporanea è fallimentare".

Treviso: vescovo visita carcere; struttura in condizioni precarie

 

La Tribuna di Treviso, 8 settembre 2009

 

Ultima visita pastorale del vescovo di Treviso, monsignor Andrea Bruno Mazzocato, al carcere di Santa Bona, prima di lasciare la Marca per insediarsi alla guida della Diocesi di Udine. Monsignor Mazzocato, come già altre volte nel suo mandato trevigiano, ha voluto testimoniare la propria vicinanza ai detenuti della Casa Circondariale, in cui è stato accolto ieri mattina dal direttore Francesco Massimo e dal messaggio letto da un detenuto a nome di tutti gli "ospiti" del carcere.

"Un saluto sentito e affettuoso da tutti noi - si leggeva nel messaggio - Lei ha sempre ritenuto un detenuto una persona meritevole di sostegno, affetto e rispetto". Il vescovo Mazzocato - che nel corso della sua missione pastorale ha sempre dimostrato attenzione per l’ambiente carcerario - al termine della sua visita ha denunciato ancora una volta le condizioni precarie in cui versa la struttura carceraria trevigiana.

"Condizioni che - ha detto il presule - non sono migliorate con gli anni e se qualcosa è cambiato lo si deve solo alla volontà di chi lavora. La situazione del sovraffollamento è grave e il carcere minorile non è adeguato. Questi problemi, purtroppo, ancora non li vedo risolti". Prima della cerimonia di commiato dalla diocesi di Treviso (prevista per il 27 settembre), il vescovo Mazzocato visiterà anche gli anziani ospiti delle case di riposo cittadine.

Libro: Premio Bancarella; 3° posto ad "Un carcere nel pallone"

 

Agi, 8 settembre 2009

 

Straordinaria affermazione per "Un carcere nel pallone" di Francesco Ceniti (Laruffa Editore) che conquista il terzo posto al 46/mo Premio Bancarella Sport.

Dopo l’ammissione alla sestina finalista, il saggio di Ceniti ha raggiunto un altro significativo successo entrando nella terna dei vincitori del più prestigioso premio nazionale per i libri di sport.

Domenica sera, a Pontremoli (Massa Carrara), dopo lo spoglio pubblico dei voti pervenuti dalla qualificata giuria tecnica - composta da autorevoli esponenti del mondo della cultura, dello sport, del giornalismo e del mondo librario - il reportage del giornalista della Gazzetta dello Sport, di origine calabrese, è risultato terzo alle spalle di "Nelle terre estreme" di Jon Krakauer (Corbaccio), arrivato primo, e "Averti trovato ora" di Roberto Perrone (Mondadori), piazzatosi secondo.

Sulle 110 schede pervenute al notaio, 37 voti sono andati al vincitore, 36 al secondo classificato e 23 al libro di Francesco Ceniti, che ha così superato le altre tre opere in lizza per il podio, "A Pedate" di Marco Balestracci (Mattioli 1885), "Calcio d’addio" di Pier Francesco Pompei (Palomar) e "Tifare Contro" di Giovanni Francesio (Sperling & Kupfer), tutti selezionati tra la migliore produzione editoriale del settore sportivo per il 2008.

La serata conclusiva, condotta dal giornalista Paolo Liguori, ha visto la partecipazione del campione Claudio Sala, del giornalista Bruno Pizzul (che ha ricevuto il premio "Bruno Raschi") e degli autori finalisti.

Grande soddisfazione per l’autore e per la casa editrice reggina, che ha preso parte all’emozionante cerimonia di Pontremoli autorevolmente rappresentata dall’Editore Domenico Laruffa. Il saggio di Ceniti, arricchito dalla preziosa prefazione del compianto Candido Cannavò, ripercorre la straordinaria vicenda del "Free Opera", la squadra di calcio composta da detenuti del carcere di Opera (Mi) e iscritta - caso unico in Europa - dal 2003 al 2005, a un regolare campionato dilettantistico.

Ceniti ha vissuto quell’eccezionale avventura a fianco dei protagonisti, ha partecipato agli allenamenti, ha raccolto le vicende dello spogliatoio e, soprattutto, ha ascoltato le loro storie, con sensibilità e rispetto, collocando il suo lavoro nella migliore editoria socio-sportiva

Cinema: Milano Film Festival, nel carcere minorile "Beccaria"

 

Redattore Sociale - Dire, 8 settembre 2009

 

La XIV edizione (11-20 settembre) della rassegna ha in programma circa 400 appuntamenti di cinema da tutto il mondo. Il 15 settembre è l’Immigration Day.

La XIV edizione del Milano Film Festival entra nel carcere minorile Beccaria. È questa una delle tante novità della rassegna che ha in programma circa 400 appuntamenti, dall’11 al 20 settembre, di cinema da tutto il mondo. Il Festival è organizzato da Esterni e sostenuto dal comune di Milano. La scelta di proiettare alcuni dei film al Beccaria "l’abbiamo condivisa con gli organizzatori - afferma Alan Rizzi, assessore comunale allo sport e tempo libero -, nello spirito di scambio e partecipazione di tutti i giovani della città".

Martedì 15 settembre si terrà l’Immigration Day, giornata in cui verranno proiettati tre documentari sull’immigrazione e i "tragici effetti collaterali delle moderne politiche migratorie", scrivono gli organizzatori. L’Immigration Day è realizzato in collaborazione con il Naga, associazione volontaria di assistenza socio sanitaria e per i diritti di stranieri e nomadi. "Nell’anno in cui il nostro Paese ha chiesto ai medici di denunciare gli immigrati illegali mentre prestano la loro assistenza - spiegano gli organizzatori - e agli insegnanti di fare lezione separando i bambini italiani da quelli stranieri, e ha preparato pacchetti sicurezza in cui si afferma che la sicurezza ci sarà una volta rimandati indietro gli immigrati senza documenti, la giornata del 15 vuole essere un momento di incontro e dibattito importante per tutte le persone che si interrogano su questo tema".

Sono due i concorsi internazionali del Milano film festival: uno dedicato ai lungometraggi e uno ai cortometraggi. In programma c’è anche un retrospettiva su Ermanno Olmi. Largo spazio anche ai documentari con una retrospettiva sul registra israeliano Avi Mograbi, che incontrerà il pubblico il 12 settembre. "Colpe di Stato" è la rassegna, realizzata in collaborazione con Internazionale, di documentari che indagano storie poco conosciute, i meccanismi del potere.

Immigrazione: lo straniero che non esibisce documenti fa reato

di Debora Alberici

 

Italia Oggi, 8 settembre 2009

 

Stretta sui controlli territoriali contro l’immigrazione clandestina. Lo straniero che non esibisce il documento al posto di blocco incorre nella sanzione penale sancita dalla Bossi-Fini anche se, essendo irregolare, non è in possesso di validi documenti.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 34068 del 4 settembre 2009, ha annullato con rinvio l’assoluzione di un senegalese che non aveva mostrato i documenti a un posto di blocco giustificandosi che non ne aveva di validi. Ma a parere della seconda sezione penale del Palazzaccio questo non è un buon motivo per evitare la sanzione prevista dalla Bossi-Fini.

Di diverso avviso era stato il Tribunale di Venezia secondo cui "la contravvenzione prevista dall’art. 6 del dlgs 286 del 1998 intende sanzionare la mancata esibizione dei documenti di identificazione personale da parte di chi soggiorna regolarmente nel territorio dello Stato, per favorire i controlli degli immigrati regolari, mentre sarebbe stato incongruo e contraddittorio sanzionare penalmente la mancata esibizione di un documento d’identità da parte di immigrati clandestini essendo interesse precipuo dello Stato provvedere alla loro immediata espulsione".

Contro questa decisione la Procura di Venezia ha fatto ricorso in Cassazione e lo ha vinto nel merito anche se l’immigrato non sconterà la pena perché salvato dalla prescrizione. In particolare secondo i giudici di legittimità "integra il reato di cui all’art. 6 del dlgs 296 del 1998 la mancata esibizione, senza giustificato motivo, a richiesta degli ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza, del passaporto o di altro documento di identificazione da parte del cittadino straniero ancorché immigrato clandestinamente, a nulla rilevando che egli non ne sia in possesso per non esserne preventivamente munito".

Infatti, dice la Suprema corte poco più avanti, "il dettato letterale della norma, la sua ratio e la previsione dell’interesse tutelato, i precedenti storici, la conclusiva evincibile intenzione del legislatore inducono a ritenere che destinatario della norma, e quindi soggetto attivo del reato, è lo straniero in genere, quindi anche quello che abbia fatto illegale ingresso nel territorio dello Stato aggiungendo che il reato in questione si concretizza ove non sussista giustificato motivo che legittimi la mancata esibizione di un documento d’identificazione indicato dalla norma e che lo straniero soggiornante in Italia ha, solo per tale rapporto fisico col territorio nazionale, a prescindere dal suo status di immigrato regolare o meno, l’obbligo di munirsi di uno di tali documenti e di esibirlo a richiesta degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza". Anche la Procura generale della Suprema corte aveva sollecitato il Collegio di legittimità in questa direzione: infatti, nell’udienza tenutasi al Palazzaccio lo scorso 3 luglio il procuratore di Piazza Cavour aveva sollecitato un annullamento con rinvio dell’assoluzione pronunciata dai giudici veneziani in favore del senegalese.

Immigrazione: giudice contro il governo; i minori vanno accolti

di Alessandra Pieracci

 

La Stampa, 8 settembre 2009

 

La tutela dei minori viene prima di tutto, anche "in presenza di eventuali altre disposizioni": un richiamo alla legittima disobbedienza in caso di ordine illegittimo, firmato dal presidente del Tribunale minorile, Adriano Sansa, è arrivato ieri sulle scrivanie del comandante regionale dei carabinieri, del comandante della Guardia di Finanza, dei questori delle quattro province liguri e dei comandanti delle Capitanerie di Imperia, Savona, Genova e La Spezia. Il magistrato, richiamando convenzioni internazionali recepite dall’Italia, sostiene che in caso di arrivo sulle coste di barconi con bambini, questi devono essere soccorsi, portati in Italia e presi sotto tutela.

Una tesi destinata a creare polemiche politiche perché si distacca dallo spirito della legge sulla sicurezza appena entrata in vigore e dalla linea dura del governo in materia di immigrazione.

"Di fronte ai drammatici avvenimenti riguardanti l’immigrazione e i tentativi di ingresso in Italia lungo le coste - scrive Sansa - sento la necessità (...) di ribadire la preminenza della tutela dei minori su ogni altra istanza. Non solo la civiltà e l’onore, ai quali codesti corpi da sempre usano attenersi, ma le leggi nazionali e le convenzioni internazionali impongono, anche in presenza di eventuali diverse disposizioni, di salvaguardare l’interesse dei minori, accertando la loro identità, la presenza di genitori o altre persone esercenti la potestà, assicurando comunque quando occorra l’asilo o lo status di rifugiato (...) e informando il Tribunale dei minorenni per ogni intervento di sua competenza". Il magistrato cita in particolare la Convenzione di New York secondo cui "l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente".

"Sono intervenuto perché c’è molta confusione - spiega Sansa - e la confusione ha ucciso dei bambini. Ho voluto fare chiarezza, ricordare che c’è un diritto legittimo di non eseguire un ordine illegittimo, sia su nave che su terra. La Liguria con la sua lunga costa potrebbe diventare zona di sbarchi ed è bene che si sappia qual è la linea della magistratura, anche nella confusione di istruzioni difformi. Ad oggi incertezza e contraddizione sembrano aver caratterizzato alcuni interventi italiani e no".

Immigrazione: in sei fuggono dal Cie di Lamezia, tre già ripresi

 

Ansa, 8 settembre 2009

 

Sei immigrati sono fuggiti nella serata di ieri dal Centro identificazione ed espulsione (Cie) di Lamezia Terme. Tre di loro sono stati rintracciati e bloccati poco dopo dalle forze dell’ordine, mentre si aggiravano nelle campagne di Lamezia. I sei, provenienti dal nord Africa, sono riusciti a scavalcare la rete di recinzione esterna del centro. Gli agenti in servizio di vigilanza hanno lanciato alcuni lacrimogeni.

Brasile: caso Battisti; un inviato di Alfano in missione a Brasilia

 

Corriere della Sera, 8 settembre 2009

 

Le carte del diritto l’Italia le ha giocate tutte, ma per provare a vincere la partita ha messo in campo la diplomazia segreta. Quella dei contatti informali e riservati, per cercare di convincere le autorità brasiliane che dietro il "caso Battisti" non ci sono solo questioni tecnico-giuridiche, bensì anche di natura politica. Alle quali il governo di Roma - che da oltre cinque anni insegue all’estero l’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo condannato all’ergastolo per quattro omicidi commessi tra il 1978 e il 1979, con l’obiettivo di fargli scontare la pena in una patria galera - tiene moltissimo.

Non è un caso che ieri uno dei più stretti collaboratori del ministro della Giustizia, il capo del Dipartimento affari di giustizia Italo Ormanni, sia partito per Brasilia. Seguirà da vicino l’udienza fissata per domani alle 9,30 davanti al Tribunale supremo federale brasiliano, che dovrà pronunciarsi sullo status di "rifugiato politico" concesso a Cesare Battisti e sull’eventuale prosecuzione (o definitiva interruzione) della causa di estradizione. Né è casuale che questa vicenda sia una di quelle che finora ha tenuto maggiormente occupato il neoambasciatore italiano a Brasilia Gherardo La Francesca, insediatosi ad agosto.

A metà del mese scorso il diplomatico ne ha parlato direttamente col presidente brasiliano Lula, incontrato per la presentazione delle proprie credenziali, ricordandogli che l’esito del "caso Battisti" preoccupa personalmente il capo dello Stato Giorgio Napolitano. La conferma dello status di rifugiato politico concesso all’inizio di quest’anno all’ex militante dei Pac dal ministro della Giustizia locale Tarso Genro, ha spiegato l’ambasciatore, rappresenterebbe un precedente molto fastidioso per l’Italia; sarebbe come gettare un’ombra su un Paese, ha spiegato La Francesca, nel quale il rispetto della democrazia, dei diritti e delle garanzie non è mai venuto meno, nemmeno nel contrasto al sanguinoso fenomeno della lotta armata negli anni Settanta.

Più di recente lo stesso discorso è stato ripetuto dall’ambasciatore ad esponenti dell’entourage del presidente Lula, ma le risposte ottenute non sono del tutto tranquillizzanti per l’Italia. Perché contengono la conferma che per il Brasile la vicenda di Battisti s’è trasformata in un caso molto spinoso (evidentemente anche per pressioni di segno opposto arrivate da qualche altra parte), e perché gli argomenti dei collaboratori di Lula si sono risolti nell’auspicio che la decisione dei giudici supremi, qualunque essa sia, non incida sulle relazioni fra i due Paesi.

Più che sulla diplomazia sommersa, quindi, il governo deve fare affidamento sulle argomentazioni giuridiche che il legale scelto dall’Italia sosterrà domani nell’udienza davanti al tribunale federale. Spalleggiato dal capodipartimento del ministero della Giustizia Italo Ormanni, ex procuratore aggiunto di Roma che da pubblico ministero s’è occupato anche di processi di terrorismo. Nell’ultima memoria presentata al giudice Cesar Peluso, relatore della causa, l’avvocato Nabor A. Bulhoes sostiene che la decisione del ministro Genro è "illegale e abusiva"; affermazione motivata con oltre venti pagine di ragioni proprie del diritto costituzionale e amministrativo brasiliano, sottoscritte in nome e per conto della Repubblica italiana. Secondo l’avvocato, il titolo di rifugiato attribuito a Battisti (rimasto in carcere in attesa del verdetto del tribunale) "è stato concesso con la precipua intenzione di pregiudicare il processo di estradizione... Benché riguardasse presupposti estranei alla richiesta di estradizione, la costante preoccupazione del ministro della Giustizia era quella di intaccare l’estradizione stessa".

In sostanza l’Italia lamenta un’ingerenza del potere politico su quello giudiziario: con l’attribuzione dello status di rifugiato il governo avrebbe tentato di indirizzare la scelta del tribunale federale. Ma per l’avvocato i giudici possono ugualmente riconsegnare all’Italia il "rifugiato" Battisti, poiché "nel processo di estradizione il fulcro del problema è quello di chiarire se gli omicidi aggravati per i quali l’estradando è stato condannato costituiscono o no delitti di natura politica". L’Italia nega questa circostanza, ricordando che pure i giudici francesi (i quali avevano deciso di estradare Battisti, prima che fuggisse) e quelli della Corte europea di Strasburgo hanno riconosciuto che gli omicidi costati a Battisti una pena mai scontata non sono classificabili come reati politici.

Filippine: i volontari nelle carceri... per tenere viva la speranza

di Santosh Digal

 

Asia News, 8 settembre 2009

 

Nel carcere di Urdaneta a nord di Manila, oltre 300 detenuti sono "affamati di una guida spirituale". È quanto afferma suor Mary Audrey Bejer, benedettina responsabile per la diocesi di Urdaneta del servizio di cappellania nelle carceri, organizzato dalla Episcopal Comission of Prison Pastoral Care (Ecppc).

"Il nostro lavoro è quello di ascoltare le sofferenze dei detenuti e conservare la fiamma della speranza nel loro cuore malgrado il dolore e le avversità subite durante il periodo di detenzione". Racconta suor Bejer, aggiungendo che "questa è la grazia di Dio che opera nelle loro vite. I carcerati amano e vedono la mano del Signore che ancora li ama e si prende cura di loro."

Suor Bejer visita il carcere due volte a settimana insieme a un gruppo di volontari, che comprende preti laici e religiose. Durante queste giornate, che iniziano con la celebrazione della messa, essi offrono ai carcerati lezioni di catechismo, momenti di ascolto e preghiera. Inoltre i volontari, attraverso corsi professionali, aiutano i detenuti al reinserimento nella società una volta terminata la pena.

"Sono felice di poter servire Dio attraverso questo lavoro", dice suor Bejer, "poiché posso vedere in ciascuno dei carcerati il volto sofferente di Gesù, mentre ascolto le loro avversità e dolori". La religiosa conclude affermando che "ciò che io e gli altri volontari tentiamo di fare è mostrare la compassione di Dio attraverso piccole opere di amore. La Chiesa dice che i peccatori devono essere amati mentre sono i peccati da essi commessi a essere condannati". Nelle Filippine, dove l’87% della popolazione è battezzata, la Chiesa ha un ruolo fondamentale nella cura dei carcerati. Nonostante ciò i cappellani a tempo pieno, impiegati negli istituti di pena e con regolare retribuzione, sono solo 17.

Questi cappellani ufficiali riescono a malapena a svolgere il lavoro spirituale. I volontari dell’Ecppc offrono oltre a servizi di arricchimento spirituale e professionale anche un’assistenza legale gratuita per coloro che non possono permetterselo. In questo modo accelerano il rilascio nel caso di detenuti reputati innocenti o in attesa di processo, spesso mantenuti in cella solo a scopo preventivo e privi di assistenza. Ciascuna diocesi è poi in stretto contatto con le autorità degli istituti, con il fine di migliorare le condizioni di vitto e alloggio presenti nelle carceri, dove spesso sono ammassati in uno spazio di 30mq dai 40 ai 50 detenuti.

 

 

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