Rassegna stampa 2 settembre

 

Giustizia: siamo un Paese che non conosce più la misericordia

di Don Gino Rigoldi (Cappellano Carcere Beccaria di Milano)

 

La Stampa, 2 settembre 2009

 

La scorsa domenica ho letto sulla Stampa l’intervento di Barbara Spinelli che segnalava lo scarso senso delle leggi, soprattutto delle leggi umanitarie da parte di molti italiani. Diceva la giornalista che la cultura corrente, il modo di pensare degli italiani ha perso il senso della pietà ed è sempre più portata a fare legge i propri interessi veri o presunti con scarso rispetto per i diritti sanciti dai parlamenti o dalle organizzazioni internazionali.

Io non posso che essere d’accordo con la Spinelli ma vorrei aggiungere, da cristiano, un’altra osservazione e preoccupazione che come credente mi affligge, preoccupazione che si aggrava quando osservo i comportamenti di certa gerarchia ecclesiastica e del Vaticano.

Lunedì trentuno agosto, in un articolo su di un quotidiano nazionale il direttore dell’Osservatore Romano in pratica rimproverava al direttore dell’Avvenire di aver esagerato nei giudizi sui comportamenti morali del premier. Aggiungeva il direttore del giornale vaticano che i giornalisti "sono a caccia di prelati" più o meno competenti sul tema dei rapporti con il governo e ripeteva per l’ennesima volta che l’opinione di molti prelati non era quella della Santa Sede. Quando ci diranno una volta per tutte quale è l’opinione della Santa Sede? Mi piacerebbe conoscerla.

Io vorrei esprimere, modestamente, il punto di vista di un cristiano che ama leggere tutti i giorni il Vangelo e pregare lungamente sulla parola di Gesù. Nel Carcere dei minorenni di Milano e in diverse città, io cammino a piedi, prendo il tram o la metropolitana, bazzico in alcuni bar di quartiere, nei cortili. Respiro una brutta aria di ostilità, di diffidenza, di domanda di sicurezza fatta con le forze dell’Ordine o dalle ronde, come fossimo non i cittadini della stessa città, persone che sono chiamate a costruire collaborazione e comunità, ma nemici. Non sento più da anni la parola misericordia, solidarietà, accoglienza, vita sociale.

Nemici siamo un po’ tutti, in modo speciale tutti i poveri, soprattutto gli stranieri. Nel Vangelo che leggo ogni mattina la scelta di fede è chiara: cercare il volto di Dio ed amare i fratelli. Il Dio dei cristiani non è un soggetto sconosciuto ed i suoi comandi non sono vaghi e la fede consiste non tanto nel credere che in qualche parte del cielo Dio esiste quanto, ubbidire ai suoi comandi.

Se la indagine di Sky24 afferma che il 71% degli italiani intervistati ha chiesto il carcere per i cinque scampati dal terribile naufragio che ha fatto annegare nel Mediterraneo quasi settanta somali, si può affermare che la pietà l’è morta, ma anche che viene celebrata la bestemmia più grande contro Dio che in Gesù ci ha comunicato che ogni uomo e donna è figlio o figlia di Dio.

Grandi scandali per i temi familiari e sessuali, grande prudenza a tenere i buoni rapporti con il governo in carica, bacchetta per chi si dimostra moralista. E diciamolo che non è buonismo predicare la fraternità, che Gesù era bravo anche a litigare ma non disprezzava nessuno, che la punizione è uno strumento ma non può andare senza la misericordia e la fraternità. "Non sono i tuoi fratelli, sono i tuoi nemici". Non è la voce del grande nemico, di "colui che separa"?

Non credo che la responsabilità di questa cultura sia soltanto dei media o dei politici in carica anche se questo governo ci mette molto del suo ma non si tratta forse della immoralità fondamentale per un cristiano e per la Chiesa? Perfino nelle confessioni il grande peccato che troppi giovani adulti denunciano è quello del "non essere andati a messa qualche domenica" come se la giustizia, la solidarietà, la politica, l’accoglienza fossero eccezioni per cristiani eccezionali, forse debolezza. Saremmo discepoli di Uno che è stato arrestato, condannato e ucciso per quello che faceva e diceva, il sospetto di essere troppo diversi io ce l’ho non poco.

Giustizia: Pannella; serve un’amnistia, per riportare la legalità

di Marco Pannella (Radicali Italiani)

 

www.radiocarcere.com, 2 settembre 2009

 

Massimo Calearo, dopo l’ispezione ferragostana alle carceri promossa e organizzata da Rita Bernardini con il sostegno di Antonella Casu, l’ha evocata come un’immersione in un dantesco girone infernale. Chi l’ascoltava non avvertiva l’enfasi, ma il dolore per la verità scoperta e la determinazione di darle seguito.

In molti, fra i quasi duecento che hanno esercitato la prerogativa attribuita dalla legge a parlamentari e consiglieri regionali, hanno condiviso la sua emozione e la volontà di impegnarsi. La comunità penitenziaria aveva assoluto bisogno - sperava - di trarre ulteriore conforto e coraggio dall’attualità emersa e dal dibattito così suscitato. Invano! Raiset, servizio pubblico e privato, era in vacanza, tranne che per le solite desolanti cronache "politiche" e criminali. Dibattiti, "approfondimenti", zero. Erano e restano invece maledettamente urgenti e necessari, per comprendere il da farsi, per sperare anziché disperare, per meglio concepire il nuovo possibile che c’è e urge. S’accentua la maledetta urgenza di condividere la ricerca delle vie d’uscita da questa Gehenna.

Ma occorre non cadere nell’errore di sempre. La tragedia, che c’è, non è di per se è il carcere: epifenomeno, conseguenza, indotto, di quella della Giustizia.

Lasciamo, per un attimo, la parola - preziosa - al Ministro della Giustizia Alfano, in un suo intervento alla Camera, il 27 gennaio 2009: "Quello che di impressionante vi è da sottolineare è la mole dei procedimenti pendenti, cioè, detto in termini più diretti, dell'arretrato o meglio ancora del debito giudiziario dello Stato nei confronti dei cittadini: 5 milioni e 425 mila i procedimenti civili pendenti, 3 milioni e 262 mila quelli penali. Ma il vero dramma è che il sistema non solo non riesce a smaltire questo spaventoso arretrato, ma arranca faticosamente, senza riuscire neppure ad eliminare un numero almeno pari ai sopravvenuti, così alimentando ulteriormente il deficit di efficienza del sistema".

Il Ministro insomma denuncia il carattere strutturale della crisi della Giustizia italiana: ne vengono distrutti Stato e società. Massima tragedia, quindi, istituzionale e sociale del Paese.

La nostra proposta trentennale ha un nome semplice, tanto da suscitare nello sfascismo di Regime e nella sua partitocratica classe dominante, nei ruoli di governo e di opposizione, la scontata accusa d’essere idiota e mentecatta; il suo nome è Amnistia. Contro - tra l’altro - l’ignobile realtà del sistema di potere e di classe che consiste nel termine impronunciabile: prescrizione.

È questa infatti l’immonda realtà strutturale, necessaria al sessantennale Regime sfascista e al suo Disordine Costituito: nei soli ultimi dieci anni 1.800.000 beneficiari di prescrizioni. Almeno due milioni con il prossimo 2010. Fra i quali, certo, Berlusconi e berlusconidi a gogò; ma anche i due coimputati Massimo D’Alema e Pinuccio Tatarella.

Che il sessantennale Regime italiano sia sempre più (se possibile!) corrotto e corruttore pochi oserebbero negarlo. Che sia criminogeno e anche tecnicamente (non "moralmente"!) equiparabile non più alla figura del "delinquente abituale" ma a quella del delinquente " professionale", anche. Luigi Ferrajoli, giurista e persona liberale, annotava di recente quanto segue: "Il nostro è uno dei paesi più sicuri del mondo, in cui la criminalità è in costante calo da decenni. In Italia abbiamo 600 omicidi all’anno, nella sola Rio de Janerio sono 6.000. Negli Stati Uniti sono 20-25.000 (circa 40 volte in più che l’Italia) con una popolazione che è 6 volte quella italiana. Con tutte le nostre mafie, non c’è paragone. Lo stesso vale per i reati contro la persona. È chiaro, però, che se racconti ogni delitto in modo ossessivo, pensiamo di vivere nella giungla". Da Radio Carcere, da Radio Radicale ormai abbiamo deciso. Si continua, si rilancia e si otterrà: amnistia!

Giustizia: Vietti (Udc); fu errore non fare amnistia con l'indulto

 

Agi, 2 settembre 2009

 

"È stato un errore fare l’indulto a suo tempo senza abbinarlo all’amnistia, come era invece sempre stato fatto in passato. Ad oggi non è facile immaginare la possibilità di creare il consenso che la Costituzione chiede per un provvedimento di amnistia, soprattutto con il clima di criminalizzazione generale che la maggioranza ha indotto.

Tuttavia se il governo e il ministro della giustizia continueranno a non dare risposte sul fronte della edilizia carceraria e della accelerazione dei processi penali, una riflessione su qualche soluzione che consenta di decongestionare il sistema bisognerà tornare a farla". Lo ha detto a Radio Radicale il vicesegretario dell’Udc Michele Vietti intervistato sulla proposta di amnistia avanzata oggi dalle colonne del quotidiano Il Riformista da Marco Pannella.

Giustizia: Casellati; costruire carceri e rimpatriare gli stranieri

di Giuseppe Pietrobelli

 

Il Gazzettino, 2 settembre 2009

 

Dormire nel prestigioso Hotel Danieli a Venezia, per un single può costare anche meno di 250 euro a notte, dipende dal periodo. Soggiornare dall’altra parte del Bacino di San Marco, nella casa di reclusione per donne alla Giudecca, oppure nella lugubre Santa Maria Maggiore strapiena di detenuti maschi, costa in media allo Stato 400 euro al giorno per ogni ospite. Vitto incluso, naturalmente.

Ma senza le spese sanitarie. E se pensiamo che in una cella di detenuti ce ne stanno anche sei o otto, quelle quattro mura con sbarre vengono a costare come una suite d’angolo dell’Hotel Gritti, con vista sul Canal Grande.

Con tutto il rispetto per chi è costretto alla detenzione, le cifre del costo pro-capite sono davvero strabilianti. A confermarle è la padovana Elisabetta Casellati Alberti, sottosegretario alla Giustizia, che spiega: "Le spese sanitarie non sono conteggiate nella media, ma hanno un’incidenza pesante se si pensa alla presenza di tossicodipendenti o di malati".

Che il pianeta carcerario sia sovraffollato lo sanno tutti. L’ultima denuncia del Sappe (il sindacato degli agenti penitenziari) diffusa ieri indica dodici regioni italiane in cui la presenza supera la soglia di decenza. Tra queste anche il Veneto e il Friuli. Leggere per credere, la tabella di questa pagina. Ma il governo sta correndo ai ripari. E ha pronto un Piano straordinario per le carceri che verrà presentato tra un paio di settimane. E a fine mese potrebbe essere approvato dal consiglio dei ministri.

Finora se ne conosceva solo l’esistenza, non la sostanza, con i numeri per quanto riguarda le strutture penitenziarie del Nordest che vedranno un incremento di oltre 600 posti.

"Nei prossimi anni - spiega il sottosegretario Casellati - realizzeremo 18 mila nuovi posti attraverso la costruzione di 18 nuovi penitenziari. Ma il tempo è tiranno, perché le opere vanno appaltate e non si realizzano subito. Eppure possiamo dire che nei prossimi due anni saranno completati 5 mila posti in 9 carceri che sono in fase di costruzione. E in tutta Italia ultimeremo 46 nuovi padiglioni".

Delle nove carceri in fase di costruzione, due sono a Nordest: Rovigo e Trento. Le altre si trovano a Cagliari, Sassari, Forlì, Savona, Perugia, Oristano. Ma i posti che verranno realizzati in Veneto, Friuli e Trentino Alto Adige sono, sulla carta, in totale 546. Duecento saranno ricavati dall’ampliamento del carcere di Vicenza, 121 a Trento, 66 nella nuova struttura di Rovigo. Altri 159 posti verranno ricavati negli istituti di Bolzano e di Pordenone, ma i finanziamenti sono ancora da trovare. Non viene neppure escluso il ricorso a sistemi di project financing.

Un libro dei sogni? "Non direi - risponde il sottosegretario - perché quest’anno i nuovi posti saranno 546, di cui 46 a Cassino, 180 a Noto, 200 a Perugia e 120 a Regina Coeli. Il problema però non risolve solo con l’edilizia penitenziaria o con gli indulti, che si sono rivelati un fallimento. Anche perché, aumentando il numero di celle, si aumenta il bisogno di agenti penitenziari che, stando alle richieste dei sindacati, sarebbero sotto organico di 5 mila unità".

La strategia d’attacco al problema da parte del ministero della Giustizia parte da un’analisi precisa. "Il sovraffollamento è dato dall’elevato turnover, ovvero dal fenomeno della "porta girevole". Molti entrano in carcere per uscirne dopo pochi giorni. "Nel 2007 sono passate per le carceri italiane 94 mila persone - sciorina il sottosegretario Casellati - ma 24 mila di loro sono uscite entro il terzo giorno". Si tratta dell’esercito di arrestati che vengono rimessi fuori dopo l’udienza di convalida, molti dei quali extracomunitari. Conclusione: "Il sovraffollamento non è determinato dai detenuti definitivi, ma da chi entra ed esce quasi subito. Per questo va rivisto il sistema di procedura, ridefinendo la carcerazione preventiva. Bisogna poi dividere le carceri "pesanti" da quelle "leggere", a seconda dei reati".

Ma la vera sfida, secondo il sottosegretario, è quella degli accordi bilaterali con i paesi stranieri. "Gli extracomunitari sono quasi il 40 per cento della popolazione carceraria. Bisogna arrivare ad accordi che permettano di scontare la pena nel paese d’origine. Il che svuoterebbe subito le celle, funzionerebbe da deterrente perché non ci farebbe più passare per il Paese di Bengodi e consentirebbe forme di integrazione e recupero". Insomma, si guarda agli accordi internazionali. "Basterebbe raggiungerne con quattro paesi per avere un evidente beneficio: Romania, Albania, Marocco e Algeria" conclude Elisabetta Casellati Alberti.

Il sottosegretario non lo dice, ma con quei 400 euro che lo Stato spende per un solo giorno di detenzione di uno straniero, ci sta abbondantemente un posto in aereo. Per far tornare il detenuto al proprio paese.

Giustizia: rimpatrio detenuti stranieri? accordi non decollano

di Ilaria Sesana

 

Avvenire, 2 settembre 2009

 

Le carceri scoppiano? E allora perché non fare in modo che i detenuti stranieri (circa 24mila) scontino la pena nel proprio Paese? Una proposta che piace a molti, compresi i sindacati di polizia e al ministro Alfano, ma molto difficile da mettere in pratica anche quando, apparentemente, ci sarebbero tutte le condizioni necessarie per far sì che la pratica scorra via in poco tempo. È il caso di un cittadino romeno di 39 anni, detenuto nella casa circondariale "Lorusso e Cotugno" di Torino che vorrebbe poter finire di scontare la propria pena nel suo Paese d’origine "così da avere vicino la mia famiglia, dove è più facile l’inserimento", scrive in una lettera arrivata nei giorni scorsi alla redazione di Avvenire.

Arrestato nel 2003 e condannato in via definitiva a 8 anni e 11 mesi, Aurel Cornel Ulucean ha presentato subito al ministero della Giustizia la domanda per essere trasferito in Romania, in base alla Convenzione di Strasburgo sul trasferimento dei condannati. Una richiesta presentata ufficialmente altre due volte (12 settembre 2008 e il 27 marzo 2009) al Dipartimento per gli affari di giustizia presso il ministero della Giustizia e, per non lasciare niente di intentato, anche "con due lettere direttamente inviate al ministro Alfano". La sua richiesta però non ha avuto risposta, scrive Ulucean. Una vicenda di cui si è interessato anche il ministero della Giustizia romeno che, nell’aprile 2009, ha fatto richiesta di estradizione all’Italia. La procedura per ottenere il trasferimento però, spiegano dal carcere di Torino e dal ministero, è molto lunga "perché l’iter non è semplice".

La normativa. L’Accordo bilaterale per il trasferimento delle persone condannate è un patto siglato tra due Paesi ai fini dell’esecuzione di condanne definitive. Accordi che si aggiungono alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, stipulata a Strasburgo nel 1983 e ratificata dall’Italia nel 1989. Il nostro Paese ha siglato accordi di questo tipo con sei nazioni: Thailandia e Perù (1994), Hong Kong (1999), Cuba (1998), Albania (2002) e Romania (2003). Ma sull’effettivo funzionamento di questi accordi qualcosa pare non funzionare: innanzitutto è necessario il consenso del condannato al trasferimento (e, com’è facile immaginare, non sono molti). Inoltre l’accordo è applicabile solo a quanti sono stati condannati in via definitiva (ma il 58% dei 24mila detenuti stranieri è in custodia cautelare, ndr). I numeri dei trasferimenti sono comunque molto bassi: 216 nel 2005, passati a 46 l’anno successivo, per poi risalire a 111 nel 2007. Lo scorso anno infine, sono stati trasferiti 87 detenuti stranieri.

Il codice negato. Con l’entrata in vigore del Pacchetto sicurezza "alcune Agenzie delle entrate regionali - fanno sapere dal centro studi "Ristretti Orizzonti" del carcere di Padova - hanno rifiutato di rilasciare il codice fiscale ai detenuti stranieri privi di permesso di soggiorno". Ma senza codice fiscale è impossibile avere un lavoro, sia dentro che fuori dal carcere, ma anche accedere all’istruzione superiore, a cure mediche non urgenti e alle misure alternative. Ma il timore dei responsabili dell’osservatorio di Padova è che "con la riapertura degli uffici, dopo le ferie estive, possa scoppiare una baraonda".

 

Voglio tornare in Romania, ma nessuno mi risponde

 

Chi vi scrive è un detenuto della Casa Circondariale "Lo Russo e Cutugno" di Torino. Sono di nazionalità romena, con una pena definitiva di 8 anni e 11 mesi, arrestato nel 2003, e con fine pena al 30 dicembre 2010. In riferimento alla Convenzione di Strasburgo ho provveduto a fare richiesta al Ministero di Giustizia (più volte da me sollecitato nell’anno 2003 davanti alla Corte d’appello di Torino, nel 12 settembre 2008 e nel 27 marzo 2009 direttamente al ministero della Giustizia e con due lettere direttamente inviate al ministro Alfano), di poter scontare la pena in Romania, così da avere vicino la mia famiglia. Inoltre a fine pena sarebbe più facile l’inserimento del detenuto nel proprio Paese. A tutt’oggi non ho avuto la benché minima risposta né dal ministero, né dal ministro di Giustizia.

Mi sento in dovere di riferirvi anche la mia esperienza, credendo di non essere il solo straniero che vuole scontare la sua pena al proprio Paese, ed è per questo che voglio denunciare lo stato di negligenza e di assoluto assenteismo delle autorità competenti. Mi sento preso in giro e torturato mentalmente. Tutto questo a maggior ragione, è ancora vissuto da parte mia e da tanti altri detenuti in modo più crudele, considerato anche il sovraffollamento delle carceri italiane. Mi chiedo allora, cosa aspetta il governo a trovare una soluzione? Gli strumenti ci sono. Forse è la volontà politica che manca? Non sarebbe il caso, dato l’urgenza di risolvere il problema delle carceri, incominciare ad estradare subito coloro che ne fanno richiesta, compreso il sottoscritto? Nonostante tutti gli accordi presi dai vari ministri per destinare i detenuti stranieri nel proprio Paese, io sono ancora qua!

Giustizia: detenuti "espulsi" a luglio, ma ancora qui in carcere

 

Ansa, 2 settembre 2009

 

A luglio hanno ottenuto l’espulsione, come misura alternativa alla detenzione, ma sono ancora in carcere. Sono le storie raccontate da due extracomunitari, detenuti del carcere di San Gimignano (Siena), che hanno scritto al Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, chiedendogli di attivarsi per ottenere il rimpatrio. Il primo, un tunisino, spiega che l’espulsione gli è stata concessa il 24 luglio e che è molto preoccupato perché suo padre è ricoverato all’ospedale di Tunisi per un infarto.

"Lo scrivente - spiega il detenuto - si trova costretto a esternare il suo dolore auto-lesionandosi da diversi giorni". L’altro racconta di aver ottenuto, su sua richiesta, l’espulsione "in alternativa alla detenzione", il 27 luglio. Per Corleone, che spiega di aver verificato quanto affermato dai due detenuti, "questo dimostra che siamo nel Paese della retorica e della demagogia: si continua a parlare di espulsioni e poi, chi le ottiene, rimane in carcere. Di chi è la responsabilità? Certamente ci troviamo davanti a forme di trascuratezza burocratica assolutamente intollerabile".

Giustizia: lettera aperta di Fleres (Pdl) al Governo sulle carceri 

 

Agi, 2 settembre 2009

 

Un tavolo per trovare una soluzione all’affollamento delle carceri viene proposto dal garante per i diritti dei detenuti in Sicilia, il senatore del Pdl Salvo Flerese che questa mattina ha presentato in una conferenza stampa davanti all’istituto penitenziario di Piazza Lanza, una sua proposta comprendente alcune misure articolate in quattro diverse aree ed esposte in una lettera inviata al ministro della Giustizia, al ministro del Welfare, al direttore del Dap "come contributo per avviare un tavolo risolutivo", ha detto Fleres, secondo cui "dopo le visite di agosto, bisogna passare dalla fase delle verifiche e delle analisi a quella della proposta".

Le quattro aree individuate da Fleres sono gli accordi internazionali per scontare le pene nei paesi di origine; l’infrastrutturazione, per nuove carceri e migliorare quelle esistenti; le pene alternative, per favorire il ricorso a questo strumento e alleggerire così il sistema penitenziario; infine, l’area del personale che secondo il garante siciliano va potenziato e riqualificato. Alle quattro aree, si affiancano nella proposta di Fleres interventi per la sanità e il lavoro nelle carceri.

Giustizia: "lunga estate calda"… le celle scoppiano di proteste

 

Il Giorno, 2 settembre 2009

 

La lunga estate calda delle carceri continua. Dopo le proteste e gli "scioperi" della scorse settimane un po’ dovunque, ma soprattutto al Bassone di Como, con tanto di materassi dati alle fiamme, ora è la volta dei detenuti pavesi di Torre del Gallo che annunciano uno sciopero "del carrello": in pratica, si asterranno a partire da oggi dalle normali mansioni come servire i pasti e fare le pulizie. I motivi sono sempre gli stessi: sovraffollamento, carenza di personale come educatori, medici, infermieri, psicologi, mancanza di spazi dove esercitare le previste attività riabilitative. E via di questo passo.

Proprio ieri il Sappe, uno dei maggiori sindacati degli agenti di polizia penitenziaria, ha reso noto che le presenze nelle carceri italiane sono ritornate ampiamente alle quote pre-indulto, pari a 63.993 detenuti, di cui il 37% sono stranieri. E ha inserito anche la Lombardia nelle regioni fuori legge, dove cioè si è ampiamente superata la capienza tollerabile di persone detenute. Questi i dati lombardi: 8.554 detenuti, contro un limite regolamentare di 5.506 e una capienza tollerabile di 8.518. Dove per "capienza tollerabile" si usa un eufemismo, in quanto non è proprio tollerabile stare accatastati uno sopra l’altro in spazi angusti.

Di fronte a questa situazione è intervenuto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, il quale ha ribadito il suo "no" a nuovi indulti e il "sì" alla realizzazione di nuove carceri. "Nella storia della Repubblica - ha osservato il Guardasigilli - si è sempre seguita la strada delle amnistie e indulti, in media ogni due anni. Sono tornati in libertà alcune migliaia di detenuti per liberare le carceri e poi ci siamo ritrovati al punto di partenza. Noi invece vogliamo seguire una strada diversa che è quella della realizzazione di nuovi istituti e a breve presenteremo in consiglio dei ministri il nuovo piano delle carceri".

Alfano ha rilevato inoltre che su questa materia "la Commissione Europea è pronta ad ascoltare il Governo italiano. Da più parti, inoltre, si chiedono nuove assunzioni di personale carcerario per fare fronte all’emergenza.

Intanto scoppia una piccola "querelle", quella dei braccialetti elettronici per i detenuti. Secondo la senatrice radicale Donatella Poretti, che ha presentato un’interrogazione parlamentare, in Italia tali mezzi di controllo elettronico sarebbero solo una decina con un costo di quasi un milione di euro l’anno ciascuno. Perciò la senatrice chiede che siano resi noti "il contratto stipulato con Telecom Italia, le clausole e i vincoli per lo Stato e per il gestore telefonico nonché quanti siano i braccialetti in funzione, con quali costi ciascuno e dove sono localizzati i detenuti".

Giustizia: Osapp; Dap scoordinato pessima gestione personale

 

Il Velino, 2 settembre 2009

 

"Nella serata di ieri presso l’Istituto penale per minorenni di Nisida due detenuti, uno dei quali maggiorenne, hanno aggredito con dei bastoni due appartenenti alla Polizia penitenziaria che hanno riportato lesioni rispettivamente per 8 e 30 giorni di prognosi. Solo grazie all’intervento di altro personale si è impedito che i due detenuti che nel frattempo avevano raggiunto le cucine e si erano impossessati di un coltello, agissero con ulteriore e più grave violenza".

A darne notizia è il sindacato Osapp della Polizia penitenziaria il cui segretario generale, Leo Beneduci, riferisce che "malgrado una parziale riduzione del numero dei detenuti nelle carceri italiane pari oggi a 63.981 soggetti, non solo continuano a non vedersi miglioramenti ma sono la disorganizzazione e la pessima gestione del personale nell’amministrazione penitenziaria a peggiorare le condizioni di vita e di lavoro nelle carceri".

"Dalla seconda metà di settembre alla ripresa delle attività delle Aule di Giustizia il trend di crescita ritornerà ad essere oltre i mille detenuti al mese - aggiunge il leader dell’Osapp - ma l’Amministrazione penitenziaria dimostra totalmente le carenze che hanno reso le carceri italiane tra le peggiori in Europa, nonostante le ingenti risorse utilizzate in questi anni per tutto e per tutti in carcere. tranne che per la Polizia penitenziaria con organici e mezzi fermi al 1992".

Giustizia: Sappe; rischio-influenza in carcere, tutele ad agenti

 

Comunicato stampa, 2 settembre 2009

 

Influenza da Virus A/H1N1: deciso intervento del Sappe nei confronti del Ministro della Giustizia Angelino Alfano e del Capo DAP Franco Ionta affinché siano presi tutti gli opportuni provvedimenti a tutela del personale di Polizia Penitenziaria.

Gli operatori che sono quotidianamente a contatto con cittadini stranieri ed extracomunitari, con particolare riferimento al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria, vivono con preoccupazione la problematica relativa all’influenza da virus A/H1N1 che si sta rapidamente diffondendo in Europa e, di recente, anche in Italia. Una preoccupazione che ha seri e fondati motivi, considerando che il personale della Polizia Penitenziaria è in contatto con persone, provenienti dall’estero, che possono aver contratto l’influenza in questione e che i detenuti stranieri oggi presenti sono circa 24 mila, il 37% della popolazione detenuta. Per questo, con particolare riferimento (ma non solo) agli operatori della Polizia Penitenziaria, è opportuna una attenta valutazione affinché siano distribuiti guanti di protezione e mascherine ad hoc, che pur non potendo totalmente garantire una immunità dalla malattia possono certamente contribuire a ridurre i rischi di esposizione e di contagio.

È quanto scrive Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, in una nota inviata al Ministro Guardasigilli e al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria.

Capece aggiunge che esponenti dell’attuale Governo hanno garantito che, a partire da ottobre, ci sarà la possibilità di vaccinarsi e ovviamente coloro che esercitano professioni a "rischio", operatori sanitari e appartenenti alle Forze dell’Ordine in primo luogo, saranno certamente messi nella condizione di poter fruire dell’opportuna profilassi. Ciò nonostante, pur consapevoli che l’influenza da virus A/H1N1 deve essere ancora studiata ed approfondita, è evidente che le possibili modalità di trasmissione della malattia fino ad oggi individuate - attraverso le goccioline di saliva, le secrezioni respiratorie veicolate con la tosse, gli starnuti, i colloqui a distanza molto ravvicinata, senza contare l’esposizione indiretta come ad esempio bere dallo stesso bicchiere o bottiglia - espongono il personale ad un rischio di contagio elevato. Per tali ragioni si rendono necessarie adottare con urgenza provvedimenti per contribuire a ridurre i rischi di esposizione e di contagio.

Lettere: un inferno nelle celle, non c’è spazio per stare in piedi

 

Il Tirreno, 2 settembre 2009

 

Siamo dei detenuti della Casa Circondariale "Le Sughere" di Livorno. Scriviamo queste poche righe perché in questi giorni si è tanto sentito parlare tramite mass media dei carceri o meglio del sistema carcerario di tutta Italia e della Toscana, ma non si è mai parlato in particolare del carcere della città di Livorno. Vorremmo mettervi a conoscenza di alcune cose che molto probabilmente chi sta fuori da questa struttura non sa.

Partiamo col dire che stiamo in celle che sono al limite della tollerabilità di un uomo, cioè celle che dovrebbero essere adibite ad 1 persona ci stanno in 3 e celle adibite per 2 persone ci si sta in 5, siamo il doppio se non il triplo di quella che è la capienza del carcere.

Continuiamo col dire che per fare la barba ci tocca farla in più di 50 persone usando lo stesso lavandino facendo i turni e quindi in una maniera proprio igienicamente non appropriata. Continuiamo parlando delle docce, cioè della doccia, una per tutti piena di muffa e ruggine. Continuiamo parlando del vitto spesso arriva il pane ammuffito e la frutta marcia, non parlando di quello che si trova in mezzo al cibo.

Nel momento in cui un detenuto viene portato in carcere nessuno si prende la briga di effettuare le analisi allo stesso, e se la stessa li richiede non si sa nemmeno se te li fanno "le analisi". Siamo abbandonati a noi stessi se qualcuno sta male nessuno se ne prende cura, c’è gente con epatite "C" e sieropositivi che fanno i portavitto o peggio stanno in cucina.

Il medico si vede solo una volta a settimana e le visite sono molto brevi e molte volte incoerenti con malattie dichiarate. Parliamo adesso della struttura, il 50% se non più della stessa, è inagibile, ci sono più padiglioni chiusi perché dichiarati inagibili i pilastri della struttura visti dall’esterno assomigliano alla torre di Pisa "pendono da una parte", facciamo i colloqui con i familiari in stanze chiuse senza nemmeno un ventilatore e tante di loro sono costrette ad uscire fuori per prendere aria altrimenti svengono.

 

Un gruppo di detenuti della Casa Circondariale Le Sughere

Lettere: "parole sbarrate" uno spazio per detenuti e operatori

 

CNR Media, 2 settembre 2009

 

Celle anguste, caldo opprimente, condivisione forzata di ogni spazio vitale: è il sovraffollamento nelle carceri italiane. CNR Media ospiterà periodicamente in questo spazio le "parole sbarrate" di detenuti e operatori che vivono questa realtà.

Marino è un detenuto della casa di reclusione di Padova. Questo è un carcere dove le celle sono costruite per una persona però da subito ne sono state alloggiate due. Adesso già da un paio di mesi siamo in tre. In tre significa che è stato aggiunto un letto a castello che porta via proprio l’aria. La cella diventa ancora più opprimente, lo spazio rimane pochissimo. Abbiamo solo due sgabelli per tre persone e quindi quando mangiamo uno di noi deve stare sul letto, con l’altra branda sopra. Si mangia in condizioni poco dignitose, quasi accovacciati perché non c’è spazio e questo rende le cose un po’ più difficili. Poi ci sono problemi per andare in bagno, o per le esigenze minime, tutti e tre insieme non possiamo stare in piedi in cella, qualcuno deve sempre stare sul letto.

Il sovraffollamento lo sentiamo in tutte le cose, per cominciare a lavorare bisogna aspettare più tempo, per andare ai colloqui bisogna aspettare più tempo. Ci sono disagi anche per la lavanderia, sembra che arrivino problemi anche per la mensa perché in cucina sono attrezzati per cucinare per 700 persone, pare che arriveremo a 1000 e stanno già pensando che bisognerà sostituire parecchie attrezzature perché non avranno più la capacità ci cucinare per tante persone.

Certo che bisogna sopportare di più. Prima dovevo dividere lo spazio della mia cella con un altro compagno, adesso lo devo dividere con due. Di conseguenza abbiamo dovuto restringere gli spazi ma anche le manovre di vivibilità. Soprattutto all’inizio c’è un po’ di sofferenza, non è facile trovare le persone con le quali andare d’accordo, e perciò bisogna rivedere tutto quanto.

Finché sai di avere una pena breve sopporti tutto perché sai che presto, prima o poi uscirai. Così invece devi pensare che la condizione di adesso sempre se non peggiorerà ancora la si dovrà vivere per tanti anni. Quindi se da una parte ci si corazza un pochino e ci si prepara ad affrontare con più difficoltà gli anni che verranno dall’altra parte però pensi anche: ma quanto riuscirò a resistere in queste condizioni?

Giustizia: i parlamentari hanno visitato i luoghi dei loro delitti

di Carmelo Musumeci (Ergastolano, carcere di Spoleto)

 

Asca, 2 settembre 2009

 

Agosto è finito, e possiamo lasciarci andare ai commenti su quanto accaduto nel cuore dell’estate. Quando, nelle giornate a cavallo di ferragosto, 187 istituti penitenziari sono stati ispezionati da 161 persone tra parlamentari e consiglieri regionali. Pdl e Lega hanno approvato le peggiori leggi liberticide di tutti i tempi, hanno riempito le carceri e la scorsa estate hanno visitato il luogo del delitto, il loro delitto.

Ci vuole coraggio: hanno persino avvisato i mass media e il Ministero della Giustizia che a sua volta, per far trovare tutto pronto e in ordine, ha emanato una Circolare, la numero 02911088 del 7 agosto 2009: "è necessario garantire adeguata accoglienza e accompagnamento durante tutto il tempo della visita".

Ci vuole coraggio: non si può essere garantisti e visitare le carceri un giorno all’anno. Bisognerebbe esserlo anche quando si approvano le leggi.

A un parlamentare è dato il diritto di entrare in carcere prima di tutto affinché si renda conto delle condizioni di vita negli istituti, in funzione della tutela dei diritti fondamentali delle persone, e in secondo luogo affinché possa sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi delle prigioni. Ma se la visita è annunciata è ovvio che tutto sarà pulito, che i corridoi odoreranno di candeggina (a proposito: sono mesi che non passano i prodotti di pulizia per le celle perché non ci sono fondi).

Ci vuole coraggio e faccia tosta a non domandarsi: chi ha riempito le carceri di poveracci, tossicodipendenti, emigranti, per fare di esse una discarica umana? Chi ci fa vivere uno sopra l’altro, nell’inerzia, chiusi, nascosti, nell’illegalità, nell’inattività e murati vivi? Chi ci fa vivere nel dolore, nella disperazione, nella sofferenza e non rispetta i principi della nostra Costituzione e della Carta dei Diritti dell’Uomo? Chi ci tiene in carceri sovraffollate, in spazi chiusi, a morire fisicamente e psicologicamente?

Ve lo dico io. Sono i deputati che sostengono questo governo e che a ferragosto hanno fatto turismo penitenziario, con lacrime di coccodrillo, nelle nostre patrie galere. Ricordo a loro che la legalità, prima di pretenderla, va offerta. Non ci sarà mai legalità all’esterno se non c’è neppure fra le mura di un carcere.

Sardegna: da una condizione "disagiata" ad una… disastrosa

 

Comunicato stampa, 2 settembre 2009

 

Il Ferragosto 2009 è stato molto significativo, i Rappresentanti Sindacali della Cisl Fns hanno deciso di trascorrere al Carcere di Buoncammino a Cagliari , in concomitanza con le visite degli altri Segretari Nazionali in altrettante carceri d’Italia

Il Segretario Nazionale Mattia D’Ambrosio, insieme al Segretario Regionale della Sardegna Nino Manca e Segretario Aggiunto Giovanni Villa, hanno visitato l’Istituto cagliaritano per manifestare la loro vicinanza e quella della Cisl alle Colleghe ed ai Colleghi della Polizia Penitenziaria.

Definire la situazione di Cagliari disastrosa potrebbe non essere sufficiente a descrivere ciò che abbiamo trovato: oltre 500 detenuti a fronte dei 330 posti letto disponibili; il personale di polizia penitenziaria previsto sarebbe di 267 unità, ma ne operano in carcere solo 170 e circa 35 sono al Nucleo Traduzioni e Piantonamenti. Mancano quindi circa 60 unità di personale e questa situazione fa registrare un dato scandaloso di circa 17.000 giornate di ferie arretrate da concedere e circa 60 riposi mensile negati alle Colleghe ed ai Colleghi.

Ma la situazione di Cagliari è perfettamente identica a quella che comunemente registriamo in tutta la Sardegna. Risultano assegnate in regione infatti, 1047 unità di polizia penitenziaria, contro un decreto ministeriale che prevede 1.324 unità. Mancano quindi in regione 277 poliziotti penitenziari.

Per sopperire a questo deficit, oltre che per venire incontro a specifiche norme di tutela e di diritti contrattuali dei poliziotti, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria aveva assegnato provvisoriamente in Sardegna (per problemi familiari) circa 127 unità, provenienti da Carceri della Penisola. Purtroppo nell’ultimo mese il Dap ha deciso di farne rientrare almeno 50 nelle Sedi di provenienza, aggravando le condizioni operative in regione e determinando un grave danno ai propri dipendenti ed alle loro famiglie.

Ma in Sardegna è anche la gestione dell’esistente a creare disagio nel disagio. Diritti del Personale ignorati, insensibilità ai problemi personali e familiari che con carichi di lavoro sempre peggiori devastano la "vita privata" del Personale. Poliziotti che trascorrono ormai sempre più tempo in carcere che fuori e che paiono essere loro quelli che devono scontare una pena.

Sì una pena, quella di uno Stato incapace di assicurare dignità ai propri rappresentanti, uno Stato che finge di non conoscere i problemi ed in nome di una miopia politica, spacciata per economicità della spesa pubblica, non completa gli Organici del Personale con le assunzioni necessarie, non completa la costruzione dei nuovi carceri previsti in Sardegna, ignora i diritti dei Poliziotti come se non avessero un Contratto da rispettare.

Nel 50% dei carceri Sardi manca il Direttore e nella stessa misura mancano i Commissari. Questa situazione aggrava ancor di più le questioni perché nessuno si fa carico di avviare un piano di rilancio, una strategia per una politica penitenziaria in questa importante regione.

Ed è anche per questi motivi che la Cisl Fns chiederà al Ministro della Giustizia, al Capo del Dap, alle Istituzioni Locali, alla Regione ed ai Parlamentari eletti in Sardegna, di mettere in campo ogni utile iniziativa che possa sbloccare la situazione e restituisca la normalità al sistema penitenziario sardo.

Alle Colleghe ed ai Colleghi della Sardegna vogliamo assicurare che come Cisl faremo tutto quello che è nelle nostre possibilità, chiedendo il loro sostegno perché sono loro stessi che debbono essere protagonisti del proprio futuro.

 

Il Segretario Generale Cisl Fns

Pompeo Mannone

Veneto: anche nel ricco Nordest carceri sono da Terzo Mondo

 

Il Gazzettino, 2 settembre 2009

 

"Siamo un paese da Terzo Mondo". Non ha dubbi Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria. Ieri l’organizzazione ha diffuso un comunicato che, sunteggiando i dati sul sovraffollamento carcerario elaborati assieme all’Associazione Pianeta Carcere, mette alla berlina dodici regioni italiane. "Con i dati aggiornati al 31 agosto, queste sono le regioni "fuori legge", dove si è arrivati a superare la capienza di detenuti definita come "tollerabile" dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto". Però tutte le altre regioni hanno superato ampiamente la capienza "regolamentare".

Quest’ultima è data dal valore stimato affinché un carcere possa funzionare correttamente, nel rispetto delle persone che vi sono ospitate. Il livello di tollerabilità indica, invece, la situazione limite oltre la quale il trattamento dei detenuti è indecente da un punto di vista del rispetto umano. "È solo grazie alla professionalità e al senso dello Stato che hanno le migliaia di poliziotti penitenziari che si riescono a contenere i disagi e le proteste delle 64 mila persone detenute" ha dichiarato Capece.

Lanciando un appello: "Se la politica non interverrà al più presto è certo che il prezzo più alto lo pagheranno gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria e le loro famiglie. I politici che hanno dato bella mostra del loro interessamento ai problemi del carcere in occasione di Ferragosto, ora hanno l’obbligo politico e morale di trovare al più presto una soluzione".

Il riferimento è alle visite che si sono svolte un po’ in tutte le carceri. "Abbiamo assistito alle solite denunce di una situazione insostenibile e a qualche interrogazione parlamentare. Ma se questo è l’unico risultato di una mobilitazione che pure abbiamo ampiamente applaudito, allora era meglio evitare quella passerella di celebrità, che ha generato molte aspettative nei confronti delle persone detenute".

La situazione in Veneto e Friuli è più allarmante che in Italia, dove i 63.993 detenuti totali presenti costituiscono il 147 per cento dei 43.327 posti regolamentari e il 99 per cento dei 64.111 posti tollerabili. In Friuli Venezia Giulia gli 858 detenuti presenti sono pari al 156 per cento dei 548 posti regolamentari e il 102 per cento degli 841 posti tollerabili. L’unica struttura sotto affollata è Gorizia. Ma Tolmezzo e Udine hanno il doppio dei detenuti previsti, Pordenone e Trieste hanno una volta e mezzo la capienza regolamentare. Tutte e quattro le strutture sono oltre il limite di tollerabilità.

In Veneto ci sono realtà dove il carcere è un inferno. Stando ai numeri Venezia è in testa alla classifica. Santa Maria Maggiore ha il triplo della capienza regolamentare e il doppio di quella tollerabile. A seguire, le presenze Vicenza, Treviso e Rovigo sono il doppio di quelle previste, mentre superano di gran lunga la soglia di tollerabilità. Valori negati anche a Belluno. L’unica situazione che sta al di sotto delle soglie critiche è quella del carcere femminile della Giudecca, con una ventina di posti liberi rispetto alla capienza.

Nella Casa di Reclusione di Padova il livello di sovraffollamento è del 178 per cento, anche se viene solo sfiorato il limite di tollerabilità. Nella casa circondariale ci sono 10 detenuti in più (su un totale di 220) rispetto alla capienza regolamentare. A Verona i detenuti presenti sono oltre duecento rispetto al capienza regolamentare, ma ancora al di sotto della soglia di tollerabilità.

Sulle condizioni di Santa Maria Maggiore, a luglio si è registrato uno sciopero degli avvocati veneziani. "È una situazione inaudita - denuncia il presidente della Camera Penale, Antonio Franchini - Siamo vicinissimi alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo sui trattamenti inumani". Altre iniziative verranno adottate con la ripresa dell’attività dopo le ferie estive.

La denuncia del Sappe ha suscitato ieri anche la reazione del Consigliere regionale di Alleanza Nazionale, Raffaele Zanon. "Non deve rimanere inascoltato questo allarme che denuncia anche il Veneto tra le regioni che hanno un numero considerevole di Istituti Penitenziari sovraffollati. Ho chiesto alla giunta regionale di attivarsi affinché vengano verificate le condizioni igienico-sanitarie esistenti nelle strutture del Veneto". E ha concluso: "Gli istituti veneti di pena necessitano di interventi urgenti sia per risolvere il problema del sovraffollamento, sia per migliorarne il funzionamento secondo i dettami della Costituzione".

Lazio: carceri di Rieti e Velletri vuote per mancanza personale

 

Il Tempo, 2 settembre 2009

 

Il clamore suscitato dalle visite ispettive di Ferragosto, che su iniziativa dei Radicali Italiani hanno portato negli istituti di pena diversi politici e rappresentanti istituzionali, continua a tenere viva l’attenzione sulle comunità penitenziarie. I "sopralluoghi", infatti, hanno messo in rilievo problematiche organizzative e strutturali, oltre a carenze mai colmate nella maggior parte degli istituti d’Italia, compresi i tre della nostra provincia.

Situazioni che in gran parte erano note e su cui si era espresso anche il Garante dei detenuti, dati alla mano. Dopo Ferragosto, da più parti e con più vigore, sono state sollecitate "risposte" concrete da parte della politica. A stare peggio, nella nostra provincia, è sicuramente la casa circondariale del capoluogo, stretta dal sovraffollamento dei detenuti da un lato e dalla carenza di personale dall’altro. Vladimiro Rinaldi, capogruppo della Lista Storace alla Regione Lazio, ha lanciato una proposta in attesa del nuovo piano di edilizia carceraria: "Garantire nuovo personale nelle carceri esistenti".

"Il Guardasigilli ricorda e scongiura il periodico ricorso alle amnistie e agli indulti per risolvere i problemi legati al sovraffollamento delle carceri, tuttavia - ha sottolineato Rinaldi - dall’ultimo provvedimento in tal senso, nulla di concreto è stato fatto. Magari a quest’ultima dichiarazione del ministro farà seguito l’avvio concreto, anche se tardivo, di un piano di edilizia carceraria. Ma nel frattempo, perché ignora le esortazioni di chi, come noi, conosce a fondo il problema del proprio territorio e non procede rapidamente all’apertura delle strutture già pronte di Rieti e Velletri e soprattutto all’assunzione di nuovo personale?

Il ministro Alfano non vuole e non crede nei provvedimenti di amnistia e indulto, ma - ha paventato il capogruppo Rinaldi - a breve potrebbe essere costretto a ricorrervi, a scapito dei cittadini già esasperati da una giustizia che stenta a far pagare i colpevoli e che rischiano di vedersi riversare nuovamente nelle città numerosi potenziali delinquenti". L’esistenza di strutture nuove o comunque adeguate (paradossalmente vuote) potrebbe essere una delle soluzioni per alleggerire quelle esistenti. Un aspetto che per quanto riguarda Frosinone era già stato messo in evidenza dal punto di riferimento provinciale dei Radicali Pier Paolo Segneri.

Campania: a fine anno medicina penitenziaria rischia collasso

 

Ansa, 2 settembre 2009

 

Il presidente della Commissione Trasparenza del Consiglio Regionale della Campania Giuseppe Sagliocco (Pdl) ha rilasciato la seguente dichiarazione: "A dicembre, allo scadere della proroga dei contratti del personale sanitario che attualmente garantisce la continuità assistenziale nelle carceri della Campania, l’intero sistema carcerario, che per sovraffollamento ha oltrepassato di gran lunga il limite della tollerabilità, potrebbe davvero collassare.

In Campania, come ho già avuto modo di segnalare nei mesi scorsi, non v’è solo, e più che altrove, il gravissimo problema del sovraffollamento sul quale oggi giustamente il Sappe ha lanciato l’allarme. C’è anche e soprattutto una pesantissima criticità in ordine alle garanzie di tutela della salute dei detenuti e delle condizioni di lavoro tanto degli operatori di polizia penitenziaria che con spirito di abnegazione affrontano un lavoro straordinario per sopperire le carenze di organico quanto e soprattutto di quelli sanitari. Questi ultimi, ed in particolare quanti si occupano della continuità assistenziale, sono ad esempio costretti ad attendere mesi e mesi lo stipendio per il mancato o ritardato trasferimento delle risorse dalla Sanità penitenziaria alle Asl.

Sul fronte della medicina penitenziaria, nelle nostre carceri, tra carenza di personale sanitario e assenza di un piano organico di ristrutturazione del servizio, il rischio caos è, come abbiamo avuto modo di dimostrare in Commissione, decisamente più elevato che altrove. Voglio augurarmi che dopo l’ennesima denuncia dei sindacati, la Regione, che su questo fronte ha assunto positivamente impegni precisi, si rimbocchi le maniche e affronti con urgenza e concretezza i nodi da sciogliere".

Umbria: detenuti raddoppiati e stessi fondi per spese sanitarie

 

Ansa, 2 settembre 2009

 

È il risultato del raddoppio delle presenze nelle Case Circondariali della regione quando furono assegnati i fondi necessari da parte del Ministero della Giustizia; anche il numero delle guardie carcerarie è rimasto invariato.

La "piena" di carcerati che sta colmando ogni spazio disponibile nelle carceri umbre, come del resto d’Italia, ha importanti riflessi pratici oltre quello sulla condizione della vita carceraria.

Piena condivisione" delle ragioni della protesta per le insostenibili condizione di lavoro del personale che opera negli istituiti di pena e per le difficili condizioni di vita dei detenuti è stata espressa dall’assessore regionale alle Politiche sociali della Regione Umbria, durante l’incontro con i rappresentanti delle Organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria.

Nel corso dell’incontro l’assessore ha annunciato che la Giunta regionale si farà portavoce della situazione di grave disagio presente nei quattro istituti di pena della regione, chiedendo al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e al Capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, di concordare un tavolo ministeriale sull’emergenza in corso. Ciò a sostegno della richiesta dei sindacati degli agenti di custodia di adeguare gli organici nelle strutture carcerarie, ma anche per sollecitare congrue risorse finanziarie destinate alla sanità penitenziaria, da circa un anno trasferita al sistema sanitario regionale.

"Nonostante l’opera di razionalizzazione dei servizi che abbiamo portato avanti - ha detto l’Assessore- le risorse erogate dallo Stato sono assolutamente inadeguate in quanto conteggiate sulla base delle spese sostenute nel 2006, quando le carceri umbre ospitavano circa 600 detenuti. Oggi la popolazione carceraria è invece raddoppiata, superando il limite di capienza tollerabile delle strutture tarato sulle 1.100 unità".

Pavia: continuano proteste dei detenuti contro l’affollamento

 

La Provincia Pavese, 2 settembre 2009

 

La quasi totalità dei reclusi della Casa Circondariale di Pavia ha aderito in questi giorni a forme di protesta, collocandosi nella scia di scontento che sta scuotendo le carceri sovraffollate di mezza Italia.

A confermarlo è Franco Vanzati, delegato della Camera del lavoro per il settore carcerario, che ha preso contatti con la direzione carceraria nei giorni scorsi. Non sono dunque bastate le visite dei parlamentari né i proclami: anche i detenuti di Torre del Gallo in queste settimane stanno via via rinunciando a svolgere le mansioni loro assegnate, dallo scopino alla mensa, per attirare l’attenzione sulla loro situazione. "La protesta ha preso il via dal sovraffollamento - spiega Vanzati - ci sono 300 posti e 430 presenze, ma è legata anche alla cronica carenza di personale nell’area medica e in quella trattamentale".

E continua: "Questa carenza non tocca solo il carcere di Pavia: se le due aree citate presentano carenze di personale, la vita dentro l’istituto va in tilt, come sta accadendo qui". Il rappresentante della Cgil ripercorre il percorso che ha portato a questa situazione: "Ci sono tre leggi, tutte emanate dal centro-destra, che hanno tramutato il carcere in una "discarica sociale": la legge sulla immigrazione Bossi-Fini, la Cirielli sulla recidiva e la Fini-Giovanardi sulle droghe.

Detenuti che dovrebbero essere altrove, per esempio curati in qualche comunità di recupero per alcolisti o tossicodipendenti, sono abbandonati nelle carceri senza possibilità di curarsi. Così per l’area trattamentale: così se mancano educatori, psicologi, il detenuto rimane sostanzialmente abbandonato a sé stesso e la detenzione è solo punizione e restringimento della libertà", spiega Vanzati, che vede anche nel disinteresse del mondo libero un fattore che tende ad aggravare la situazione dei detenuti.

"Se si vuole assegnare al carcere una funzione rieducativa, tra le altre cose serve lavoro, cioè commesse per la falegnameria nel caso di Pavia, serve che la scuola possa programmare programmi di recupero scolastico senza impedimenti, serve che le istituzioni locali investano in attenzione e programmazione: il carcere deve diventare un pezzo della socialità del territorio, altrimenti, come nel caso di Pavia, c’è l’abbandono" accusa Vanzati. Abbandono mitigato solo da qualche volontario e dai corsi di formazione che, in questi anni, il Centro di Formazione Professionale sta portando avanti con il supporto della Regione, ma che raggiungono ancora solo una minima parte dei carcerati.

Ancona: i detenuti sono quasi tre volte il limite regolamentare

di Raimondo Montesi

 

Il Resto del Carlino, 2 settembre 2009

 

In Italia è emergenza carceri, si sa. Celle sovraffollate, personale di guardia insufficiente, condizioni di igiene e sicurezza a dir poco problematiche. Il carcere di Montacuto ha una delle percentuali di affollamento più alte d’Italia. Pensate che, al 31 agosto, i detenuti erano (e sono) 386, mentre la capienza regolamentare è di 172. In percentuale: più 113 per cento.

Le cose vanno male anche sull’altro lato della medaglia, quello del personale penitenziario: servirebbero 198 persone, e invece ce ne sono 129. Non sorprende che Aldo Di Giacomo del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, usi espressioni forti come miscela esplosiva e situazione disastrosa. "Le difficoltà sono enormi e segnalate da tempo. La carenza di spazio crea grandi disagi. Basti pensare che in molte celle che dovrebbero ospitare un detenuto ci sono letti a castello per tre detenuti. La situazione igienica è quella che si può immaginare, senza contare il caldo d’estate.

Ormai si è superata la soglia di sopportabilità. Oggi le carceri italiane non sono degne di un paese civile". Di Giacomo pensa ovviamente anche ai lavoratori, denunciando la carenza d’organico: "È chiaro che più il rapporto tra numero di detenuti e agenti di poli-zia penitenziaria è alto più questi ultimi lavoreranno bene. Così invece sono costretti a turni massacranti, alla rinuncia al riposto settimanale".

Soluzioni? Di Giacomo non sembra molto ottimista: "È una questione di volontà politica del Governo. A livello regionale si può fare ben poco. Si parla di nuove carceri, ma per costruirne uno servono undici anni. Il nuovo piano delle carceri non serve assolutamente a nulla. Servono misure alternative per certi reati, anche perché la metà dei detenuti è in attesa di giudizio".

La gravità della situazione di Montacuto è confermata anche da altri dati: in questi primi otto mesi ci sono stati 41 atti di autolesionismo. I tossicodipendenti sono 98 (24 quelli in terapia metadonica), di cui 3 sieropositivi. Alcuni potranno rimanere stupiti nell’apprendere che su 386 detenuti solo 110 hanno una condanna definitiva. Forse sorprenderà meno, il dato relativo alla presenza di stranieri: 201, ovvero il 51 per cento del totale. L’Italia multirazziale è anche questo.

Parma: i Sindacati; una situazione di "totale ingovernabilità"

 

La Repubblica, 2 settembre 2009

 

I sindacati denunciano la situazione di "totale ingovernabilità" del penitenziario della città. "Il modello Parma ha cessato di funzionare" affermano, dopo l’aggressione subita da due guardie. Vista l’assenza di risposte annunciano proteste e mobilitazioni.

E siamo a quattro, anzi cinque. Perché è di questi giorni la notizia dell’aggressione di un detenuto ai danni di altri due agenti di polizia penitenziaria presso gli istituti penitenziari di Parma. Da tempo denunciamo come il modello "Parma" dell’amministrazione penitenziaria abbia cessato di funzionare come si vuole viceversa ancora far credere.

I problemi sono i soliti: sovraffollamento, carenza di personale, popolazione detenuta troppo disomogenea (da sempre chiediamo invano, oltre all’invio del Gom per la gestione dei 41 bis, semplificazione ed omogeneizzazione dei detenuti così da rendere meno gravosi i carichi di lavoro), gestione atipica dell’istituto all’insegna del rigore e dell’inflessibilità nei confronti del personale di polizia penitenziaria.

A ciò si aggiunge la totale assenza di un confronto sindacale al quale il dottor Di Gregorio si è, nei fatti, sempre sottratto costringendo tutte le organizzazioni sindacali il 23/06/2009, stante l’indisponibilità a rispettare gli impegni contrattuali concordati il 27/05/2008 dopo ben 11 anni di discutibilissima gestione dell’Istituto, ad interrompere le trattative con la direzione ed a dichiarare lo stato di agitazione che ha portato e porterà all’organizzazione di diverse iniziative di protesta e sensibilizzazione sul territorio parmense rivolte a istituzioni, stampa e cittadinanza.

Ulteriore esempio della disattenzione verso le esigenze del personale lo si è avuto, ad esempio, con la realizzazione dei tanto decantati lavori di ristrutturazione delle sezioni detentive per l’ammodernamento delle camere detentive con tanto di doccia e tv lcd in cella.

Come sindacato avevamo chiesto di cogliere l’occasione per realizzare lavori di messa "a norma" anche degli ambienti e degli spazi fruiti dal personale di polizia penitenziaria: si poteva sfruttare l’ex locale docce, dotato di finestra, per una nuova e più salubre allocazione dell’ufficio dell’agente di sezione (ancora privo di finestra in deroga a tutte le norme relative alla salubrità dei posti di lavoro) ed invece con argomentazioni incomprensibili ed in perfetto stile "burocratese", si è deciso di adibirla ad altro; si potevano installare impianti di aereazione per la lotta al fumo passivo ed anche qui ci è stato riferito, anche un po’ provocatoriamente, che sono sufficienti allo scopo le bocchette di aspirazione poste nei bagni delle camere detentive.

Ed invece, si è puntato esclusivamente all’ennesima operazione d’immagine con tanto di questionario per la misurazione dell’indice di gradimento della nuova sistemazione allocativa da parte dei detenuti. Tutto ciò sommato e messo insieme, unitamente alla mancata liquidazione di parti rilevanti dello stipendio (aspettiamo ancora il pagamento di straordinari, incentivi, arretrati aumento contrattuale, servizio passivo, ecc.) ed all’atavico problema dell’organizzazione di traduzioni e piantonamenti, oltre ad accrescere in maniera esponenziale il senso di precarietà e di insicurezza nel personale tutto, ha portato, come ampiamente previsto, all’assoluta ingovernabilità dell’istituto.

Per tali ragioni i sindacati, nel ribadire il perdurare dello stato di agitazione, preannunciano la volontà di intraprendere tutta una serie di iniziative e proteste ancora più incisive, anche a livello regionale, tese ad abbattere l’ostilità e l’indifferenza mostrata finora dall’amministrazione penitenziaria verso le nostre rivendicazioni.

Agrigento: 450 detenuti in 200 posti e i letti arrivano al soffitto

 

La Sicilia, 2 settembre 2009

 

Un piano in più per i detenuti del carcere Petrusa. C’è poco di cui gioire però in vista di un miglioramento della vivibilità all’interno del penitenziario agrigentino.

Il piano in più è quello aggiunto ai letti a castello posizionati nelle celle che ospitano complessivamente circa 450 persone, nei vari settori della Casa Circondariale.

Una situazione logistica che lascia senza parole e che nei giorni scorsi, aveva avuto come "cantore" un detenuto "d’eccezione" come il sindaco di Lampedusa Dino De Rubeis. Il terzo piano sui letti a castello rappresenta la concretizzazione anche ottica dell’emergenza detentiva nella struttura inaugurata nel 1997 per accogliere circa 200 persone stando strette e che da mesi è teatro di un sovrannumero di "ospiti" senza precedenti storici. Le celle non certo grandi accolgono al momento tre detenuti ciascuna e queste tre persone sono costrette a dividersi lo spazio anche di notte, cercando di fare attenzione a non precipitare al suolo da alcuni metri d’altezza, mentre si è magari immersi nel sonno. Basti pensare a come il sindaco lampedusano abbia posto rimedio nei giorni della propria detenzione a questa situazione, essendo altro tra l’altro oltre due metri. Il primo cittadino isolano dormiva per terra, tanto era critica la situazione che lo vedeva coinvolto.

Anche chi non è alto due metri vive non pochi disagi. Sempre carcere è, non trattandosi di un albergo o di una pensione, ma a tutto c’è un limite. Alla luce di quanto si verifica quotidianamente ha quasi del miracoloso che la pazienza dei detenuti non cessi di colpo, dando luogo a proteste anche plateali. In questo senso l’azione preventiva della polizia penitenziaria appena quanto mai determinante. La speranza è che non aumentino i piani dei letti a castello, anche se ormai il tetto è vicino.

Monza: adesso anche polizia penitenziaria scende in protesta

di Enrico Dallera

 

Il Giorno, 2 settembre 2009

 

È stata un’estate caldissima per il carcere di Monza. Sovraffollamento ormai fuori controllo, mancanza cronica di agenti in servizio e un edificio in condizioni fatiscenti. "Non possiamo più lavorare, la situazione è intollerabile - attacca Domenico Benemia, segretario regionale della Uil penitenziari -.

La Casa Circondariale al momento ospita 840 detenuti, la capienza è invece poco più di 600". Numeri che diventano ancora più problematici se sommati alla carenza di personale. "Abbiamo circa 380 agenti, per svolgere un servizio adeguato avremmo bisogno di rinforzi. Almeno cento agenti. È troppo tempo che andiamo avanti così. Per noi non esistono diritti - accusa il segretario -. Siamo costretti a turni di lavoro massacranti. Abbiamo appena dieci minuti per i pasti, altrimenti qualcuno rischia di rimanere senza cibo".

Disagi che a fine maggio hanno portato gli agenti a proclamare lo "sciopero della fame". Un segnale forte contro l’Amministrazione penitenziaria. "Non c’è un risvolto positivo. I mezzi, ad esempio le vetture che abbiamo in dotazione, sono fuori norma. E poi quando piove l’acqua penetra sempre nei locali".

Il sindacato è comunque pronto ad andare avanti con le battaglie: "Il Governo e il ministro della Giustizia non provvedono a risolvere i gravi problemi. Il 22 settembre saremo, a nostre spese, a Roma alla sede della Uil penitenziari per cercare di avere delle risposte concrete. Dobbiamo - conclude Domenico Benemia - lottare per il nostro futuro".

Teramo: Ugl; sovraffollamento in carcere, personale a rischio

 

Il Centro, 2 settembre 2009

 

Il sovraffollamento e la carenza di personale nel carcere di Castrogno continuano ad alimentare le proteste dei sindacati che sollecitano interventi e minacciano manifestazioni di protesta. "Il malessere dei detenuti dovuto al sovraffollamento (ad oggi vi sono ristretti più di 400 detenuti a fronte di circa 185 agenti di polizia penitenziaria) ed alle conseguenti carenze igenico-sanitarie", scrive in una nota Emiliano Centorame, vice segretario dell’Ugl, "ha raggiunto un livello di allerta tale da mettere a rischio l’incolumità del personale di polizia penitenziaria, già costretto a lavorare in pessime condizioni ambientali, dovute all’eccessivo carico di lavoro che è fonte di stress e di tensioni insopportabili.

Siamo profondamente preoccupati di questa situazione, ma soprattutto di questo immobilismo da parte degli organi superiori dell’amministrazione penitenziaria. A seguito delle numerose segnalazioni e denunce di questa situazione di gravità non si è avuto nessun riscontro o iniziative atte ad arginare il problema. Inoltre, si sta materializzando sempre di più la possibilità che venga aumentata la capienza della struttura detentiva, aggiungendo altri posti letto in celle dove lo spazio non lo consente".

Il segretario regionale del Sinappe Giampiero Cordoni in una nota propone "una eclatante manifestazione di protesta che attiri l’attenzione dell’intera società sulle difficoltà degli agenti di polizia penitenziaria. È il momento di alzare la voce contro l’indifferenza del provveditorato".

Bologna: sull’evasione da Ipm Pratello c’è una seconda verità

di Alessandro Cori

 

La Repubblica, 2 settembre 2009

 

Sulla fuga di Bright Ofori, il ghanese ventenne evaso il 16 agosto dal carcere minorile del Pratello insieme ad un complice e poi catturato dieci giorni dopo a Milano fino ad ora non è stata detta tutta la verità. I due, come è noto, mentre si trovano nel campo di calcetto avvicinano con una scusa uno dei quattro agenti in servizio, lo scaraventano contro la recinzione e poi fuggono arrampicandosi sulle grate. Questo, almeno, è ciò che risulta dalla prima relazione di servizio che esce dal carcere, ma non è tutto. Prima di ciò accade qualcosa di ben più grave, innanzitutto un sequestro di persona, di cui non c’è traccia nei documenti e che sicuramente darà modo alla Procura di Bologna di rivedere l’intera vicenda, raccontata invece in maniera esatta solo in una seconda relazione di servizio, riscritta la settimana e ora a disposizione dei pm, quando ormai la verità non poteva più essere taciuta. Il quadro accusatorio contro almeno uno degli agenti e i due detenuti, per i magistrati di piazza Trento e Trieste è infatti ben più grave.

Un’altra guardia, oltre a quella già accusata per il reato di colpa del custode, è stata infatti indagata dal magistrato che si occupa del caso, il pm Antonella Scandellari. Questo perché Ofori insieme all’altro fuggiasco, uno slavo diciassettenne ancora irrintracciabile, sorprendendo l’agente pare siano riusciti a sequestrare per pochi minuti una dipendente della Camst che lavora nel carcere. Un "particolare" grave, che non emerge all’inizio e di cui nessuno parla. Pare inoltre che la guardia abbia cercato di convincere la donna a non raccontare nulla dell’accaduto e la dinamica infatti non appare sulla prima relazione che descrive come è andata l’evasione. Da qui il fascicolo aperto dalla Procura per falso, nel caso in cui sia stato lo stesso agente a firmare il documento. Accusa che potrebbe cambiare invece in omissione di atti, se a redigere la relazione fosse stato un altro pubblico ufficiale ingannato dall’agente che si lascia sfuggire inizialmente i due detenuti.

Senza dimenticare poi che se le pressioni sulla dipendente della Camst fossero accertate, per la guardia si configurerebbe inoltre il reato di subornazione di teste, aggravato dal fatto che a commetterlo è un pubblico ufficiale. Insomma, un quadro davvero sconcertante, che emerge solo molto tempo dopo la prima ricostruzione. Quando la dipendente della Camst, che per un paio di giorni non si reca a lavoro per paura di ciò che le è successo, viene contatta dai suoi superiori e racconta come sono andate veramente le cose. L’azienda allora chiede spiegazioni ai responsabili del carcere, all’oscuro di tutto. Il meccanismo si mette in moto, gli agenti vengono ascoltati e la dinamica viene ricostruita.

Ofori e il detenuto minorenne, durante l’ora d’aria, chiedono di poter tornare nelle loro celle, vengono accompagnati da un agente che ad un certo punto viene sopraffatto o forse si muovono da soli, fatto sta che quando entrano nella sala mensa e sequestrano la dipendente nessuno dà l’allarme e i due agiscono indisturbati. Poi cercano di scappare da una porta che trovano chiusa, lasciano la donna e tornano di nuovo nel campetto dove hanno la meglio su una seconda guardia e infine fuggono arrampicandosi sulle grate. I due evasi, alla luce di queste nuove rivelazioni, potrebbero essere indagati anche per violenza privata e sequestro di persona.

Su Ofori, che si trovava in carcere perché nell’aprile del 2007 stuprò una donna alla stazione di Reggio, pende inoltre l’accusa per la tentata violenza sessuale al Parco Talon. La direttrice del carcere minorile del Pratello, Paola Ziccone dice di "non poter confermare" la nuova dinamica su come sono andati i fatti, ma allo stesso tempo non smentisce nulla.

Lucca: in vendita le piante coltivate dai "detenuti-giardinieri"

 

Comunicato stampa, 2 settembre 2009

 

I detenuti del carcere di Lucca nel corso dei mesi estivi hanno partecipato ad un’attività rieducativa di giardinaggio, che ha coinvolto attivamente alcuni di loro e che ha permesso di coltivare diverse specie floreali e non (Coleus, Peperoncino, Vinca e Aloe).

Il risultato di questo lavoro sarà esposto in occasione di Murabilia, la mostra-mercato dedicata al giardinaggio amatoriale, organizzata dal Comune di Lucca e dall’Opera delle Mura, che avrà luogo dal 4 al 6 settembre prossimo. Le piante saranno messe in vendita allo stand che è situato nel Baluardo di San Salvatore. Il ricavato sarà utilizzato per implementare le attività rieducative e del tempo libero del carcere di Lucca.

Tutto questo è stato reso possibile grazie alla fattiva collaborazione tra i vari enti coinvolti: la direzione del carcere di Lucca, dott.sa Emilia Ortenzio, il Comune di Lucca e l’Opera delle Mura e le volontarie e i volontari del progetto di servizio civile "Vale La Pena", che da gennaio scorso prestano servizio presso il Gruppo Volontari Carcere, all’interno della casa di accoglienza San Francesco, nei progetti di informazione e sensibilizzazione del territorio e nella Casa Circondariale di Lucca.

Riteniamo che questo sia solo un piccolo esempio di come anche in una realtà come il carcere, del quale negli ultimi mesi molto si parla a causa del sovraffollamento, grazie alla disponibilità e all’opera di varie realtà che si sono messe in rete, si possano realizzare delle buone prassi che vanno nella direzione della maggiore integrazione con il territorio.

 

Massimiliano Andreoni

Gruppo Volontari Carcere - Lucca

Televisione: il 6 trasmissione sui respingimenti degli immigrati

 

Comunicato stampa, 2 settembre 2009

 

"Presadiretta". Prima puntata. "Respinti", domenica 6 settembre, ore 21.00, Rai Tre.

Da quando sono cominciati i respingimenti in mare sono stati finora 800 gli uomini e le donne che le autorità italiane hanno riconsegnato alla Libia. Eppure di tutti questi respingimenti non abbiamo mai visto neanche un’immagine: nessun telegiornale italiano, né pubblico né privato ha potuto documentare che cosa sia successo.

Presadiretta per la prima volta è riuscita ad alzare il velo sul primo respingimento, quello fatto nei giorni 6 e 7 maggio dalla motonave Bovienzo della Guardia di Finanza insieme ad altre due unità della Capitaneria di Porto.

In esclusiva la Rai manderà in onda le foto scattate da Enrico Dagnino l’unico giornalista che si trovava a bordo della Bovienzo e che ha assistito al primo respingimento dal momento in cui è stato avvistato il gommone carico di migranti fino a quando sono stati letteralmente "buttati" sui pontili del porto di Tripoli.

Non solo. Presadiretta è riuscita anche a dare un nome e cognome a 24 dei primi respinti: tredici eritrei e undici somali, tutta gente che scappa dalla guerra e dalla dittatura, gente che se fosse riuscita ad arrivare a Lampedusa avrebbe potuto ottenere lo status di rifugiato e il permesso di restare in Italia. E invece agli uomini e alle donne trovati allo stremo delle forze in mezzo al mare nessuno ha chiesto il nome e il cognome e sono stati rimessi nelle mani della polizia libica.

Che fine hanno fatto? Che cosa succede nelle carceri libiche? Come vengono trattati i migranti e hanno la possibilità in Libia di vedere riconosciuto il loro diritto di asilo come sostenuto da Berlusconi durante la conferenza stampa che ha fatto con Gheddafi durante la visita a Roma nel giugno scorso? E infine la politica dei respingimenti ha contribuito al successo elettorale della Lega Nord? Per capirlo Presadiretta è andata a Reggio Emilia dove la Lega è diventata il secondo partito della città e il terzo della provincia.

Musica: con i saggi del jazz il suono si libera al di là delle celle

di Silvana Porcu

 

La Nuova Sardegna, 2 settembre 2009

 

Complementari e unici, Franco Cerri e Enrico Intra hanno monopolizzato per due giornate l’attenzione di pubblico e allievi di "Nuoro Jazz" e dei detenuti del carcere di Badu ‘e Carros. Tutto grazie a un concerto, una masterclass e a un’intensa mattina di musica dentro il carcere. Tre buone occasioni per conoscere da vicino due musicisti che hanno fatto la storia del jazz in Italia. Il chitarrista ormai è un simbolo: Cerri ha accompagnato i più grandi artisti del mondo.

Eppure sul palco sta quasi rannicchiato sul suo strumento, stretto nell’abito scuro, con le ginocchia vicine, e quel suono rilassato, che arriva sempre un istante dopo, e che ancora oggi resta uno dei suoi marchi di fabbrica, come si può ascoltare in "But not for me" e in "My funny valentine". Spetta al pianoforte di Enrico Intra il compito di far salire i toni e scombinare le carte, magari a bordo di un treno lento lento, più vicino ai vecchi vagoni dell’isola che a quello di Duke Ellington in "Take the A Train", trasformato in una ballad dalle sfumature blues.

Il "Doppio trio" permette ai leader di scendere di volta in volta dal palco per lasciare spazio a uno solo dei due, sempre accompagnati da Marco Vaggi, contrabbassista preciso e lineare, e Tony Arco, vivace e dirompente, in linea con la sonorità di Intra. Nei duetti il pianista lascia che Cerri sia il suo "promemoria della tradizione", come l’ha definito durante l’incontro con gli allievi dei seminari organizzati dall’Ente musicale di Nuoro.

Davanti ai ragazzi si è tornati indietro con i ricordi fino alle serate con Billie Holiday, Gerry Mulligan, o "a quella volta che fischiarono Sinatra" e ai gloriosi tempi del Derby, lo storico locale di Milano fondato proprio da Enrico Intra. A suon di aneddoti ed esempi su come si possa trovare la propria strada in questo "dialetto onnivoro del linguaggio musicale", il pianista si lascia andare a un suono percussivo, trasforma l’armonia, alterna esplosioni sonore a momenti raccolti, come è successo ieri mattina in carcere, tra decine di detenuti in silenzio.

La tradizione di portare la musica a Badu ‘e Carros è stata rispettata anche quest’anno, e al pubblico di detenuti maschi seduti nei banchi della cappella questa volta si è aggiunta la sezione femminile. Ancora classici del jazz per i due artisti ospiti, e un duetto con Paolo Fresu su una delicata versione di "Autumn leaves". Il concerto si è chiuso con un veloce blues che ha dato al pubblico la libertà di accompagnare il ritmo a piacere. Un invito che i detenuti hanno accolto subito, con una partecipazione divertita e rumorosa. La stessa direttrice del penitenziario ha voluto ringraziare l’Ente "perché ci fa sentire meno soli, e sempre più parte integrante della città".

Anche sindaco e alcuni volti dell’amministrazione hanno preso parte all’evento, e hanno poi accompagnato Cerri e Intra fin dentro le sale del Comune di Nuoro, per firmare il libro della città. Un’onorificenza che probabilmente sarebbe spettata a un altro ospite atteso: Giorgio Gaslini, decano del jazz italiano, trattenuto da alcuni problemi di salute. Il suo concerto, in programma per giovedì 3 settembre, sarà sostituito dal trio del clarinettista Gianluigi Trovesi, con Fulvio Maras (percussioni) e Umberto Petrin (pianoforte).

Quest’ultimo sarà protagonista anche della serata di oggi. Dopo la breve trasferta di ieri all’Eliseo per lo spettacolo di danza "AnimaAmataMente", stasera alle 21 nella casa di Grazia Deledda i riflettori saranno puntati sull’omaggio di Stefano Benni a Thelonious Monk. I capolavori del grandissimo pianista afroamericano punteggiano "Misterioso", lo spettacolo ideato dallo scrittore insieme con Umberto Petrin, che oggi è fra i maggiori conoscitori dell’opera di Monk. Reading e momenti musicali ripercorreranno la vita di uno dei personaggi più complessi e interessanti del secolo scorso.

Immigrazione: fotografie di sangue e torture in carceri libiche

di Gabriele Del Grande

 

L’Unità, 2 settembre 2009

 

Adesso abbiamo le prove. Sono quindici foto in bassa definizione. Scattate con un telefono cellulare e sfuggite alla censura della polizia libica con la velocità di un mms. Ritraggono uomini feriti da armi di taglio. Sono cittadini somali detenuti nel carcere di Ganfuda, a Bengasi, arrestati lungo la rotta che dal deserto libico porta dritto a Lampedusa. Si vedono le cicatrici sulle braccia, le ferite ancora aperte sulle gambe, le garze sulla schiena, e i tagli sulla testa. I vestiti sono ancora macchiati di sangue. E dire che lo scorso 11 agosto, quando il sito in lingua somala Shabelle aveva parlato per primo di una strage commessa dalla polizia libica a Bengasi, l’ambasciatore libico a Mogadiscio, Ciise Rabiic Canshuur, aveva prontamente smentito la notizia. Stavolta, smentire queste foto sarà un po’ più difficile.

A pubblicarle per primo sulla rete è stato il sito Shabelle. E oggi l’osservatorio Fortress Europe le rilancia in Italia. Secondo un testimone oculare, con cui abbiamo parlato telefonicamente, ma di cui non possiamo svelare l’identità per motivi di sicurezza, i feriti sarebbero almeno una cinquantina, in maggior parte somali, ma anche eritrei. Nessuno di loro è stato ricoverato in ospedale. Sono ancora rinchiusi nelle celle del campo di detenzione. A venti giorni dalla rivolta.

Tutto è scoppiato la sera del 9 agosto, quando 300 detenuti, in maggioranza somali, hanno assaltato il cancello, forzando il cordone di polizia, per fuggire. La repressione degli agenti libici è stata durissima. Armati di manganelli e coltelli hanno affrontato i rivoltosi menando alla cieca. Alla fine degli scontri i morti sono stati sei. Ma il numero delle vittime potrebbe essere destinato a salire: ancora non si conosce la sorte di un’altra decina di somali che mancano all’appello.

Il campo di Ganfuda si trova a una decina di chilometri da Bengasi. i detenuti sono circa 500 in maggior parte somali, poi c’è un gruppo di eritrei e alcuni nigeriani e maliani. Sono tutti stati arrestati nella regione di Ijdabiyah e Benghazi, durante le retate in città. L’accusa è di essere potenziali candidati alla traversata del Mediterraneo. Molti di loro sono dietro le sbarre da oltre sei mesi. C’è chi è dentro da un anno. Nessuno è mai stato processato. Ci sono persone colpite dalla scabbia e da malattie respiratorie. Dal carcere si esce soltanto con la corruzione, ma i poliziotti chiedono 1.000 dollari a testa.

Le condizioni di detenzione sono pessime. Nelle celle di cinque metri per sei sono rinchiuse fino a 60 persone, tenute a pane e acqua. Dormono per terra. E ogni giorno sono sottoposti a umiliazioni e vessazioni da parte della polizia. Sono esattamente le stesse condizioni di detenzione riferite dai migranti che, respinti dall’Italia, sono stati reclusi in campi quali Tuaisha, Zlitan e Misratah, la "Misurata" della nostra epoca coloniale.

Sulla vicenda, i deputati radicali hanno depositata lo scorso 18 agosto un’interrogazione urgente al presidente del Consiglio e al ministro degli Esteri, chiedendo se l’Italia "non ritenga essenziale, anche alla luce e in attesa della verifica dei fatti sopraesposti, garantire che i richiedenti asilo di nazionalità somala non siano più respinti in Libia". Probabilmente la risposta all’interrogazione tarderà a venire. Ma nella realtà dei fatti una risposta c’è già. E il respingimento dei 75 somali di ieri ne è la triste conferma.

Siamo finalmente riusciti a parlare telefonicamente con uno di loro. A bordo erano tutti somali, ci ha detto. E avevano chiesto ai militari italiani di non riportarli indietro, perché volevano chiedere asilo. Inutile. In questo momento, mentre voi leggete, si trovano nel centro di detenzione di Zuwarah. Da quando sono sbarcati, ieri alle 13, non hanno ancora ricevuto niente da mangiare. Né hanno potuto incontrare gli operatori dell’Alto commissariato dell’Onu di Tripoli. Li hanno rinchiusi in un’unica cella, tutti e 75, comprese le donne e i bambini. Non sanno quale sarà la loro sorte. Ma nessuno si azzardi a criticare l’Italia per la politica dei respingimenti o per l’accordo con la Libia. Tanto meno l’Unione europea e i suoi portavoce...

Libia: festeggiamenti per la rivoluzione, grazia 1.273 detenuti

 

Ansa, 2 settembre 2009

 

Arriva in Libia la grazia per 1.273 detenuti e la sostituzione della pena di morte con l’ergastolo. Il provvedimento riguarda coloro che erano stati condannati alla massima pena prima del primo settembre. La decisione è giunta nel giorno delle celebrazioni per il quarantesimo anniversario di Gheddafi al potere. Negli anni il leader libico, in prossimità della festa nazionale, ha sempre fatto qualche gesto di benevolenza, ma mai di queste dimensioni.

 

 

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