Rassegna stampa 1 settembre

 

Giustizia: quando il potere teme il "controllo" dei mass-media

di Stefano Rodotà

 

La Repubblica, 1 settembre 2009

 

L’aggressione ai giornali sgraditi non riguarda solo i paesi totalitari, ma interroga la qualità delle democrazie.

Le tecniche per controllare e contrastare il sistema dell’informazione vanno dalla censura, la selezione dei giornalisti, il condizionamento economico fino alla violenza e l’uccisione.

A che vale l’offerta di infiniti canali televisivi se la produzione di contenuti è concentrata nelle mani di pochi monopolisti? È la varietà di opinioni a essere decisiva.

La guerra ingaggiata dai paesi totalitari contro la libertà di informazione su Internet costituisce la manifestazione ultima e spettacolare di un conflitto secolare, di una insofferenza di tutti i poteri costituiti nei confronti di chi agisce per rendere trasparente e controllabile il loro operato. È una vicenda lunga, accompagna la nascita dell’opinione pubblica moderna, che riesce a strutturarsi e a far crescere la sua influenza proprio grazie al ruolo della stampa. Qui è la radice di un processo che, insieme, dà senso alla democrazia e fa progressivamente emergere la stessa stampa come potere, il "quarto potere", al quale ne seguirà un "quinto", identificato nella televisione: poteri oggi unificati dal riferimento comune al sistema della comunicazione.

Non dimentichiamo che la democrazia è anche, e forse soprattutto, governo "in pubblico". Una caratteristica istituzionale affidata per lungo tempo quasi esclusivamente al parlamento, la cui funzione "teatrale" significava appunto che la politica doveva svolgersi su una scena visibile al pubblico. Una funzione prima accompagnata, poi appannata, infine spesso cancellata dal trasferimento della politica sulla scena televisiva: non è un caso che una trasmissione come "Porta a porta" sia stata definita "una terza Camera".

Sono così cresciuti ruolo e responsabilità del sistema informativo. E la definizione della stampa come quarto potere significava proiettarsi al di là della tripartizione di Montesquieu, rafforzando proprio la funzione di garanzia che, nel dilatarsi del ruolo dello Stato e nell’ampliarsi della sfera pubblica, non poteva essere pienamente assicurata nell’ambito delle tradizionali strutture istituzionali. La stampa prima, e l’intero sistema della comunicazione poi, si presentavano così come luogo della libertà e di una nuova forma di rappresentanza della società.

Ma questa trasformazione portava con sé anche l’allargarsi dell’area del conflitto, e un ricorso diffuso a strumenti capaci di controllare il sistema dell’informazione. Si tratta di tecniche ben note, dalla censura al condizionamento economico, dal regime proprietario all’accurata selezione di giornalisti compiacenti, dalle minacce all’eliminazione fisica. Tecniche che continuano a convivere, caratterizzate tutte da un’intima carica di violenza.

L’italiano Antonio Russo scompare in Cecenia; Anna Politkovskaja è divenuta il simbolo di una indomabile devozione alla libertà che può essere spenta solo con l’assassinio; Yahoo! si fa complice del governo cinese svelando il nome di un giornalista che aveva inviato alcune notizie negli Stati Uniti, Shi Tao, che così può essere arrestato e condannato a dieci anni di carcere. Sono soltanto tre esempi di uno stillicidio quasi quotidiano, di una irresistibile voglia di bavaglio di cui ci parlano vicende recenti in Cina, Birmania, Iran.

Ma non sono soltanto i regimi totalitari e autoritari a doverci inquietare. Nei paesi democratici il carattere pervasivo dei diversi strumenti di comunicazione, che strutturano la sfera pubblica, fa crescere le pretese di un potere politico che considera appunto il sistema della comunicazione come uno strumento essenziale per acquisire e mantenere il consenso. Si opera così un capovolgimento istituzionale. Il sistema dell’informazione vede alterata la propria natura e si trasforma in strumento servente di un potere che, insieme, si libera del controllo esterno e accentua il suo controllo sulla società.

Tutto questo avviene in forme che mantengono l’apparenza del pluralismo. A che vale, però, l’offerta di centinaia di canali televisivi se le centrali di produzione dei contenuti sono nelle mani di monopolisti, obbediscono alla stessa logica, hanno gli stessi "azionisti di riferimento"? Rendere possibile l’esposizione di ciascuno al massimo possibile di opinioni diverse è ormai la condizione fondamentale per il funzionamento dei sistemi democratici. Altrimenti la democrazia pluralista si trasforma in un guscio vuoto. Di questo è ben consapevole il nuovo "Zar dell’informazione", Cass Sunstein, nominato da Obama proprio per affrontare i nuovi problemi del sistema della comunicazione, che ha proposto per i siti Web particolarmente influenti l’obbligo di indicare un collegamento con siti che manifestano opinioni diverse. E, proprio per allentare la presa dei vari centri di potere sull’informazione, in Francia si prepara un sistema di calcolo dei tempi televisivi che escluda privilegi per lo stesso Sarkozy, mentre in Gran Bretagna si guarda alle tv private in un’ottica che tenga conto della funzione pubblica che anch’esse rivestono.

Rispetto a tutto questo, la situazione italiana si configura non solo come eccezione, ma come profonda deviazione. Consideriamo un caso davvero esemplare per il rapporto potere, informazione, cittadini. Un recente rapporto Censis ha rilevato che il 69.3% degli elettori forma le proprie opinioni in base alle informazioni fornite dai telegiornali. Il controllo dei telegiornali, dunque, è un veicolo essenziale per l’acquisizione del consenso. E il fatto che si tratti di una informazione quasi monocorde, ridotta a un denominatore davvero minimo, che nega alla radice il pluralismo, altera i caratteri democratici del sistema e svela pure il carattere ormai ingannevole dei sondaggi, la cui attendibilità dipende dall’ampiezza del patrimonio informativo di cui dispone ciascuno degli interrogati.

Ma la normalizzazione del sistema televisivo evidentemente non basta. E così, con una mossa tipicamente autoritaria, si vuole normalizzare anche la stampa, spegnendone le voci dissenzienti. Non si commetta l’errore di ritenere che, in definitiva, siamo di fronte a casi isolati, di cui ci si può disinteressare. Le resistibili ascese sono sempre cominciate così - ci ammonisce la storia dei rapporti tra stampa e potere. Quando, poi, ci si accorge che quello era solo un primo passo, che si voleva colpirne uno per educarne cento, può essere troppo tardi.

Giustizia: Sappe; carceri italiane ad un passo dal terzo mondo

 

Comunicato stampa, 1 settembre 2009

 

Aumentate a 12 le Regioni "fuori legge" che ospitano un numero di persone detenute superiore al limite "tollerabile". Questa mattina sono stati pubblicati sul sito internet www.pianetacarcere.it i dati aggiornati al 31 agosto delle statistiche sulle presenze delle persone detenute negli istituti penitenziari italiani e l’effettiva presenza di Polizia Penitenziaria.

Sono arrivate a dodici le Regioni "fuori legge" che hanno superato la capienza di persone detenute che al Dap definiscono "tollerabile": Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto. Tutte le altre Regioni hanno comunque ampiamente superato la capienza "regolamentare", quella cioè per si è stimato che un carcere possa funzionare correttamente seguendo i dettami della nostra Costituzione.

Il settore penitenziario è l’ultima fase di un processo di politiche sulla giustizia. Se questo settore è al collasso come i dati dimostrano ampiamente, significa che qualunque provvedimento a monte verrà "avvertito" in carcere solo dopo alcuni mesi. Ma la situazione oggi è tale che la Polizia Penitenziaria ha dato fondo a tutte le risorse e a tutti i sacrifici. Se la politica non interverrà al più presto è certo che il prezzo più alto lo pagheranno le migliaia di appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria e le loro famiglie. I politici che hanno dato bella mostra del loro interessamento ai problemi del carcere in occasione dello scorso Ferragosto, ora hanno l’obbligo politico e morale di trovare al più presto una soluzione, magari ascoltando anche le proposte di chi, come la Polizia Penitenziaria, in carcere ci lavora 24 ore al giorno 356 giorni l’anno. Purtroppo però sono passate più di due settimane da quelle visite ed ancora non abbiamo visto nulla di concreto.

Abbiamo assistito alle solite denunce di una situazione insostenibile per i detenuti e qualche interrogazione parlamentare, ma se questo è l’unico risultato di una mobilitazione che pure abbiamo ampiamente applaudito, allora era meglio evitare quella passerella di celebrità, che ha generato molte aspettative nei confronti delle persone detenute e che ha "sfruttato" ancora di più il lavoro della Polizia Penitenziaria chiamata ad un lavoro straordinario che non verrà nemmeno pagato.

Capece conclude rinnovando l’appello del Sappe in primis al Ministro della Giustizia Angelino Alfano e a tutti i Parlamentari, soprattutto quelli che hanno potuto rendersi conto dal vivo a Ferragosto di cosa significhi vivere e lavorare in carcere, di impegnarsi a trovare una soluzione al sovraffollamento entro cento giorni dalla visita di Ferragosto. I primi quindici sono già passati.

Giustizia: "braccialetti elettronici" inutilizzati e milioni sprecati

di Donatella Poretti (Senatore Radicali - Pd)

 

Ansa, 1 settembre 2009

 

Il problema sovraffollamento delle carceri, così come ampiamente denunciato dall’iniziativa di Radicali Italiani "Ferragosto in carcere", per ora ha solo destato attenzione. Il ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, ha solo confermato che la soluzione del Governo è quella dell’incremento dell’edilizia carceraria (quindi se ne parla fra qualche anno). Intanto, così come avevo già evidenziato lo scorso 20 agosto, l’uso delle risorse disponibili è uno dei problemi maggiori. Pietra dello scandalo sono le misure alternative alla detenzione e l’uso del braccialetto elettronico, uso quasi ignorato dai magistrati.

A quanto già rilevato, oggi si aggiunge una importante novità. Lo scorso 31 agosto, l’agenzia di stampa Il Velino riportava le dichiarazioni di Francesco Pirinoli uno dei maggiori consulenti informatici delle procure della Repubblica, in particolare quella milanese, nonché azionista della "Monitoring Italia" una delle due società che fornisce a Telecom Italia sistemi per il controllo a distanza dei detenuti: "Abbiamo 200 braccialetti elettronici (altri duecento sono forniti da una società israeliana) ma utilizzati soltanto una decina".

Sempre secondo l’agenzia stampa sembra che l’ex ministro dell’Interno Enzo Bianco e l’ex Guardasigilli Piero Fassino avessero firmato con Telecom Italia un contratto vicino ai dieci milioni di euro all’anno per dieci anni (scadrà nel 2011), contratto che il Viminale onora regolarmente per un servizio che oggi riguarda appena una decina di detenuti agli arresti domiciliari. Telecom Italia avrebbe installato 309 centraline sul tutto il territorio nazionale collegate alle questure, ai comandi provinciali della finanza e dei carabinieri, connesse con i numeri di emergenza. Tutto farebbe capo ad una sala di controllo che è stata installata presso la sede centrale di Telecom Italia in via Oriolo, a Roma.

In Gran Bretagna sono circa 13mila i "detenuti" controllati con braccialetto elettronico, quasi altrettanti in Francia, mentre in Italia sarebbero una decina, con un costo di quasi un milione di euro l’anno ciascuno. Per questo motivo, insieme al senatore Marco Perduca ho presentato una nuova interrogazione in cui chiediamo di sapere:

- che venga reso noto il contratto stipulato con Telecom Italia, le clausole e i vincoli per lo Stato e per il gestore telefonico, nonché lo stato di attuazione per le due parti contraenti;

- quanti sono i braccialetti in funzione, con quali costi ciascuno e dove sono localizzati i detenuti, se e quali tipi di problemi hanno mostrato;

- a fronte del basso numero di braccialetti elettronici utilizzati in Italia rispetto ad altri Paesi europei come la Gran Bretagna e la Francia, quali sono le cause ostative per questo tipo di misure alternative alla detenzione in carcere, se risiedono nella magistratura o nella tecnologia;

- se visto lo stato di sovraffollamento dei nostri istituti penitenziari con oltre 20mila detenuti rispetto alla capienza, e l’elevato numero di detenuti in attesa di giudizio, quali misure intenda adottare per rendere più fruibili e incentivare le misure alternative alla detenzione in carcere.

Giustizia: Ugl; bene interesse da istituzioni locali per il carcere

 

Adnkronos, 1 settembre 2009

 

"In attesa di programmare ulteriori iniziative di sensibilizzazione del governo e delle istituzioni sul tema delle carceri, registriamo come l’interesse delle istituzioni locali sia importante rispetto alla ricerca di soluzioni al problema del sovraffollamento e della carenza di organico degli istituti penitenziari".

Lo dichiara Giuseppe Moretti, segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria. "Il personale di polizia penitenziaria - continua - si attende che già al riavvio del dibattito parlamentare sia promossa una concreta discussione sulla riforma del sistema delle carceri, in considerazione delle difficoltà operative e nel rispetto della dignità delle persone detenute. Come sindacato riteniamo che le iniziative dell’Assessorato alle Politiche sociali della Regione Umbria possano avere il consenso dell’unanimità dei consigli regionali, ai quali ci rivolgeremo per sollecitare interventi anche territoriali a beneficio del personale degli istituti di pena e della popolazione carceraria".

"Inoltre - conclude - l’Ugl Polizia Penitenziaria intende chiedere un’audizione anche agli organismi competenti dell’Unione Europea, al fine di descrivere la situazione in atto sotto il profilo del carico di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria".

Giustizia: timori per l’influenza "A", vaccinare subito i detenuti

 

Vita, 1 settembre 2009

 

"Con i livelli di sovraffollamento attuali, per altro tendenti ad aumentare, c’è il rischio concreto che le carceri italiane siano fra i primi luoghi dove il virus A/H1N1 possa attecchire e diffondersi nella sua forma peggiore".

È l’allarme lanciato dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, dopo i sopralluoghi effettuati dai suoi collaboratori nelle carceri del Lazio. "Giustamente si parla di una campagna di vaccinazione che, nei prossimi mesi, riguarderà alcune categorie a rischio - ha detto Marroni, che è anche vicepresidente della Conferenza nazionale dei Garanti dei detenuti - quello che mi stupisce è che fra tali priorità nessuno parli del carcere in tutte le sue componenti: detenuti, agenti di polizia penitenziaria, volontari e i loro familiari".

In effetti il pianeta carcere - 206 istituti con oltre 64 mila persone recluse in tutta Italia, dai minorenni agli over 80, con oltre il 35% di stranieri e il 30% di tossicodipendenti - sembra racchiudere "tutte le criticità tali - scrive Marroni - da farlo ritenere una priorità nell’emergenza H1N1. Negli istituti si registra, infatti, un indice di salute medio-grave (con oltre 6 persone su 10 malate), una diffusione elevata di malattie come tubercolosi, epatiti B e C, diabete e Hiv, problemi cardiocircolatori e polmonari, una frequenza altissima di reclusi con fragilità mentale e un numero di decessi che, solo nei primi sette mesi del 2009, è già a quota 118, fra cui 45 suicidi".

Ai detenuti, ricorda inoltre Marroni, "vanno poi aggiunti 34 mila agenti di polizia penitenziaria e centinaia di operatori dell’area educativa (educatori, Uepe, volontari, direttori, ecc). Secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), nel 2008 il turn-over nelle carceri ha coinvolto più di 90 mila persone. Queste - fa notare il Garante - sono costrette a vivere 24 ore al giorno in ambienti non salubri, vetusti, in strutture che all’80% non sono a norma, sovraffollate e che per questo non rispondono alle norme per ciò che concerne, ad esempio, i metri quadrati, la luce, la ventilazione e i servizi igienici pro-capite, con una oggettiva impossibilità di minimizzare i contatti con le persone malate".

"A questa massa di persone - sottolinea inoltre Marroni - occorre poi aggiungere le criticità rappresentate dagli immigrati (e relativi sorveglianti e addetti) ospitati nei 13 Cie italiani e dai minori dei 17 istituti penitenziari minorili. In assenza di notizie certe - spiega dunque il Garante - sto predisponendo una lettera urgente da inviare al ministro del Welfare, a quello della Giustizia e al capo del Dap, per invitarli, in vista della riunione che dovrebbe stabilire le linee guida della campagna di vaccinazione, a inserire anche il carcere fra le priorità del piano di prevenzione e controllo dell’epidemia. Con le condizioni attuali - conclude - si corre davvero il rischio che il virus H1N1 mostri la sua faccia più virulenta proprio nelle carceri".

Toscana: continua la calda estate del sovraffollamento carceri

 

La Nazione, 1 settembre 2009

 

La calda estate dei solleoni e del sovraffollamento delle carceri. Un fenomeno dal quale neppure la Toscana si può ritenere graziata, tanto che gli assessori regionali al sociale Gianni Salvadori e al diritto alla salute Enrico Rossi hanno presentato delle richieste in una lettera a doppia firma indirizzata a Maria Pia Giuffrida, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria.

I due amministratori si dicono "preoccupati per la gravissima situazione di sovraffollamento e dalle conseguenti condizioni di vita inaccettabili e disumane sia per i detenuti che per lo stesso personale penitenziario". Rossi e Salvadori chiedono "un incontro in tempi brevi con la pronta attivazione di un tavolo regionale di monitoraggio interistituzionale della situazione che sia in grado di valutare possibili soluzioni alternative".

Dello stesso avviso i senatori Donatella Poretti e Marco Perduca (Radicali-Pd). "Ben vengano le sollecitazioni che la Regione Toscana sta portando avanti nei confronti del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) e del Ministero della Giustizia sul fronte carceri, ma intanto potrebbe darsi una mossa istituendo il garante regionale dei detenuti. Con l’associazione radicale fiorentina Andrea Tamburi ed il suo segretario Giancarlo Scheggi, abbiamo più volte chiesto al presidente Claudio Martini, che prima del termine della legislatura venisse approvata la legge e istituita la figura del garante. Questa figura è ormai presente in quasi tutti gli Stati europei, ricordiamo che esiste a Firenze nella persona di Franco Corleone il garante comunale che non può spostarsi di pochi chilometri e seguire le situazioni né del carcere di Prato, né dell’Opg di Montelupo fuori dal territorio di propria competenza".

Umbria: detenuti trasferiti da tutta Italia, gli agenti protestano

 

Redattore Sociale - Dire, 1 settembre 2009

 

"Bombe a orologeria" i 4 istituti di pena oltre 1.000 i detenuti, di cui 150 in regime di 41 bis a Spoleto; agenti di custodia sotto organico di 200 unità. L’assessore Stufara: "Subito un tavolo con il Governo".

L’emergenza carceri in Umbria si fa sempre più pressante. Da mesi i rappresentanti delle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria della regione denunciano le condizioni di sovraffollamento, mancanza di spazi e scarsità del personale di sorveglianza, "mal comune" di tanti istituti di pena del Paese, ma che in Umbria si è aggravato negli ultimi mesi a causa del trasferimento di centinaia di nuovi detenuti nelle carceri di Perugia, Terni, Orvieto e Spoleto, senza che a questo corrispondesse un incremento del numero di agenti di custodia.

Questi i numeri. Duecentoquindici agenti a Perugia, contro i 339 che servirebbero secondo i parametri minimi della sicurezza; centonovanta a Terni contro i necessari 218, 359 a Spoleto, ma ne servirebbero almeno trenta in più; infine Orvieto con i suoi 68 agenti invece dei 75 previsti dagli standard ministeriali.

"Mentre gli agenti sono sotto organico di circa duecento unità - dichiarano all’unisono i rappresentanti sindacali della polizia penitenziaria - i detenuti crescono in maniera esponenziale, arrivando a 1.100 nelle quattro carceri umbre, considerando l’ultimo trasferimento in massa di 500 nuovi detenuti da sistemare nell’ala appena aperta del carcere di Capanne a Perugia e nel nuovo padiglione dell’istituto di pena di Spoleto, già con una capienza oltre il limite di detenuti in regime di 41 bis; da solo il carcere spoletino ospita 150 detenuti in carcere duro, un quarto del totale in Italia.

L’istituto di Capanne in particolare in un solo anno ha visto raddoppiare i detenuti, dai 243 del 2008 ai 485 di oggi, a fronte di una capienza di soli 284, e con una disponibilità di spazi vitali di molto inferiore ai 7 metri quadri per ospite previsti dalla legge". A peggiorare la situazione - denunciano inoltre i sindacati - anche l’emergenza terremoto in Abruzzo che ha visto arrivare dal carcere dell’Aquila 77 detenuti in regime di carcere duro, andati ad ingrossare le fila delle celle di Spoleto".

Un’estate, questa, che gli operatori degli istituti di pena umbri e i detenuti ricorderanno per le condizioni invivibili, causate dal caldo e dal sovraffollamento e dai turni massacranti di lavoro. Un’estate che ha visto forme di proteste eclatanti, fino alla minaccia di autodenuncia da parte degli agenti di sicurezza e al rischio di sommosse tra i detenuti e che ha portato la Giunta regionale a sollecitare un incontro urgente con il ministro Alfano.

L’assessore alle Politiche sociali Damiano Stufara, dopo aver incontrato i rappresentanti delle sigle sindacali e aver ascoltato le loro ragioni, con numeri e fatti alla mano, ha espresso "piena condivisione" delle ragioni della protesta per le insostenibili condizioni di lavoro del personale che opera negli istituti di pena e per le difficili condizioni di vita dei detenuti.

"Nonostante l’opera di razionalizzazione dei servizi che abbiamo portato avanti - ha detto Stufara - le risorse erogate dallo Stato sono assolutamente inadeguate in quanto conteggiate sulla base delle spese sostenute nel 2006, quando le carceri umbre ospitavano circa 600 detenuti. Oggi la popolazione carceraria è invece raddoppiata, superando il limite di capienza tollerabile delle strutture tarato sulle 1.100 unità. Come Giunta regionale - ha concluso l’assessore - in coerenza con il protocollo d’intesa firmato nel 2001 tra Ministero e regione Umbria, intendiamo aprire un confronto con il Governo nazionale affinché negli istituti di pena dell’Umbria tornino ad esserci condizioni di lavoro, di sicurezza e vivibilità proprie di un Paese che si dice civile".

Il sovraffollamento e la scarsità di personale si portano dietro altri e più drammatici problemi, come la difficoltà di avviare iniziative di lavoro esterno (a Perugia sono solo 5 i detenuti che lavorano all’esterno in un’azienda agraria), la mancanza di insegnanti e psicologi, che oggi possono garantire solo un colloquio ogni sei mesi e, soprattutto una carente assistenza sanitaria, che pesa ormai in modo insostenibile sul servizio sanitario regionale in termini di risorse umane, finanziarie e strutturali. Un problema "dentro il problema" è la presenza massiccia di tossicodipendenti nelle carceri umbre, per i quali non ci sono adeguati servizi di assistenza nei Sert e nelle comunità di recupero.

Il problema dell’assistenza sanitaria è stato al centro del recente incontro tra i sindacati e l’assessore Stufara. Quest’ultimo ha annunciato che la "giunta regionale chiederà al ministro Alfano e al capo dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta, di concordare un tavolo ministeriale sull’emergenza in corso, anche per sollecitare congrue risorse finanziarie destinate alla sanità penitenziaria, da circa un anno trasferita al sistema sanitario regionale".

Veneto: Zanon (Pdl); bisognerà costruire nuovi istituti di pena

 

Ansa, 1 settembre 2009

 

"Non deve rimanere inascoltato l’allarme lanciato dal Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria - Sappe che denuncia il Veneto tra quelle Regioni aventi un numero considerevole di Istituti Penitenziari sovraffollati che superano la capienza "regolamentare". A tal riguardo ho chiesto alla Giunta Regionale di attivarsi affinché vengano verificate le condizioni igienico-sanitarie esistenti nelle carceri del Veneto, in rapporto al sovraffollamento denunciato dal Sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria".

Ad affermarlo è il consigliere regionale di Alleanza Nazionale verso il Pdl, Raffaele Zanon, che aggiunge: "Gli istituti veneti di pena necessitano di interventi urgenti sia per risolvere il problema del sovraffollamento sia per migliorarne il funzionamento secondo i dettami Costituzionali".

"Gli istituti di pena del Veneto, come confermano i dati al 31 agosto sulle presenze negli Istituti Penitenziari - prosegue l’esponente del Pdl - sono al limite della saturazione per cui bisogna intervenire, con la realizzazione di nuove strutture, per risolvere il problema del sovraffollamento senza però dimenticare che il Corpo di Polizia Penitenziaria svolge spesso i propri compiti con organici inadeguati rispetto alla popolazione carceraria".

Terni: detenuti esasperati affollamento in sciopero della fame

 

Ansa, 1 settembre 2009

 

"Che la situazione negli istituti di reclusione umbri fosse preoccupante, anche se non ai livelli di altre zone d’Italia, lo avevamo sottolineato immediatamente dopo le nostre visite effettuate dal 14 al 16 agosto. Prima la protesta nel carcere perugino e adesso l’annuncio da parte dei detenuti nella Casa Circondariale di Terni di uno sciopero della fame a partire da domani lo confermano in modo inequivocabile".

Francesco Pullia della Direzione nazionale di Radicali Italiani ed Andrea Maori della Direzione nazionale dell’Associazione radicale antiproibizionista sottolineano come "reclusi ed agenti di polizia penitenziaria siano giustamente esasperati dal sovraffollamento (due o più persone costrette a trascorrere una media di ventuno ore al giorno in una cella di appena nove metri quadrati) e da disservizi (l’impossibilità di partecipare ai corsi formazione professionale e a quelli scolastici) che impediscono l’attuazione del dettato costituzionale e li rendono vittime dello stesso intollerabile sistema.

Chi sta dietro le sbarre - affermano Pullia e Maori - non chiede sconti di pena ma la possibilità di usufruire delle misure contemplate dalla legge, alternative alla detenzione, così come gli agenti lamentano gravi carenze d’organico. Nel confermare la propria solidarietà e nel mostrare apprezzamento per l’alto senso di responsabilità finora dimostrato, Pullia e Maori rivolgono un appello alle forze politiche affinché nel mese di settembre si affronti finalmente in Parlamento in modo serio e non approssimativo o demagogico una situazione che rischia di diventare esplosiva e che non può di certo essere risolta con la costruzione di nuove strutture destinate, tra l’altro, a non poter funzionare per mancanza di personale".

Empoli: il carcere in ristrutturazione, in attesa dei transgender

 

La Nazione, 1 settembre 2009

 

Il carcere del Pozzale si avvia a grandi passi alla sua nuova destinazione di utilizzo. Presto - a metà di questa settimana - riprendono i lavori di ristrutturazione di un complesso che, fino ai mesi estivi, ha ospitato detenute in rosa. Al massimo dal mese di ottobre, la struttura penitenziaria di via Valdorme aprirà le porte ai transessuali, con ogni probabilità nei primi giorni del mese di ottobre.

Un cambio di destinazione di quello che è stato ritenuto fin dalla sua nascita un fiore all’occhiello di una cittadina come Empoli che avviene senza che nessuna delle istituzioni locali e non solo batta ciglio, senza che nessuno obietti qualcosa. In fin dei conti Empoli perde un pezzo della sua identità, senza nessun pregiudizio e senza nessuna discriminazione nei confronti di chi verrà.

Nel 1997 quando la casa a custodia attenuata nacque, sulla scorta dell’esperienza positiva della Casa Circondariale maschile "Mario Gozzini" di Firenze, venne salutato come il primo istituto femminile in Italia e in Europa che trattava in maniera specifica i problemi legati a detenuti con passato legato alla tossicodipendenza e all’alcool dipendenza.

Le ultime due ospiti, due giovani madri, sono state tradotte in altre carceri d’Italia da un giorno all’altro. Pare che le due donne, fra l’altro, avessero seguito un corso apposito per sostenere a giugno l’esame per la licenza media e che per questa improvviso cambio di destinazione non abbiano potuto affrontare le prove scritte ed orali.

La struttura femminile del Pozzale vantava molte attività: dal teatro, ai corsi di diverso genere, alla cura dell’orto fino alla redazione del giornalino "Ragazze fuori", fondato nel 1998. Ricordiamo il cartellone di "Estate ... al fresco", che animò i mesi vacanzieri dell’anno 2005, quando (ovviamente solo su prenotazione) cittadini liberi potevano varcare la soglia del carcere e trascorrere qualche ora insieme alle detenute alcune volte impegnate direttamente in perfomance, altre volte spettatrici di concerti, rappresentazioni, giochi. Il tutto rientrava in un percorso di collegamento fra il dentro e il fuori, fra coloro che vivevano recluse e la città che accoglieva una struttura il cui obiettivo era il recupero di donne da reinserire nella società con un lavoro.

Adesso la svolta, anche questa volta da primato: il carcere del Pozzale, adeguatamente risistemato (saranno rifatte la portineria e altri locali interni), destinato a diventare sezione penitenziaria specializzata per ospitare detenuti transgender. Un trasferimento che avrebbe dovuto avvenire fin dal mese di maggio, ma ha subìto dei rallentamenti nella tabella di marcia. La scelta di accogliere detenuti transgender è stata dettata dal fatto che il numero di detenute ospitate era ormai molto basso, mentre l’edificio può contenere fino a una ventina di detenuti.

Viterbo: il segretario Fns-Cisl in visita al carcere Mammagialla

 

Viterbo Oggi, 1 settembre 2009

 

Dopo le visite negli Istituti Penitenziari di Rebibbia e Cassino, il Segretario Generale della Fns Cisl del Lazio il oggi si reca a Viterbo per visitare l’Istituto Penitenziario di Mammagialla.

La situazione penitenziaria in Italia, asserisce il Segretario della Cisl è sempre più incandescente, ogni giorno si registrano manifestazioni e proteste di detenuti sempre più violente, non ultimo nella nostra Regione abbiamo assistito nel carcere del Nuovo Complesso di Rebibbia ad una aggressione dei detenuti verso un assistente della Polizia Penitenziaria.

Oramai siamo nell’esasperazione, i detenuti in Italia sono circa 63.000 con un esubero di circa 22.000 unità, l’organico della Polizia Penitenziaria è ridotto ai minimi termini, effettivamente in servizio sono circa 34.000 ne dovrebbero essere 42.000, già abbiamo inviato una nota al Ministro Alfano e al Capo del Dap Franco Ionta necessitano quanto prima soluzioni concrete atte a riequilibrare il rapporto di numeri tra Detenuti e Polizia Penitenziaria, negli Istituti del Lazio ne mancano circa 1.000.

In particolare, sottolinea Nazzareno Leoni le insufficienti dotazioni organiche del personale fanno sminuire il compito primario degli Istituti di Pena e degli addetti ai lavori, ovvero il servizio sociale di redimere il detenuto e di reinserirlo nella società. Ovviamente il Carcere di Mammagialla rispecchia la situazione nazionale con un sovraffollamento di detenuti ed una carenza di personale di circa il 30% in meno di quello previsto.

La politica del Ministro di aprire nuovi Istituti di Pena, vedi anche quello di Rieti, deve di pari passo essere accompagnata da una politica vera sull’aumento di organico della Polizia Penitenziaria, politica vera significa affrontare una volta per tutte con un Decreto Ministeriale, le necessità organiche Istituto per Istituto, ivi compreso gli Uffici del Dap e dei Provveditorati Regionali in modo che questi ultimi non intacchino ulteriormente le già esigue risorse organiche degli Istituti Penitenziari.

La nostra Confederazione, conclude Nazzareno Leoni, ha voluto fortemente l’accorpamento delle forze istituzionali che garantiscono al Paese sicurezza e tranquillità e la nascita del Sindacato della Federazione Nazionale della Sicurezza Cisl costituita dagli addetti ai lavori del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, del Corpo Forestale e non ultimo dalla Polizia Penitenziaria non può che contribuire attraverso progetti e proposte a migliorare la qualità della vita sia dei cittadini che degli addetti ai lavori in primis quello incandescente del sovraffollamento delle carceri e delle condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria.

 

Il segretario generale Nazzareno Leoni

Bologna: emergenza-organico, al carcere minorile del Pratello

 

Ansa, 1 settembre 2009

 

È vero, al carcere minorile del Pratello i lavori di ristrutturazione sono stati fatti e l’edificio potrebbe accogliere anche minori provenienti da altre strutture sovraffollate, ma c’è un problema: carenza di personale. Sono pochi gli educatori, appena quattro su un totale di 24 minori reclusi, e due di questi sono lavoratori part-time. L’allarme è partito dal Pd che presto porterà la questione sul tavolo del ministro della Giustizia Alfano. Sono le parlamentari Donata Lenzi e Sandra Zampa, ieri in visita al penitenziario, ad annunciare un’interpellanza al Governo per risolvere la problematica della carenza di organico che rischia di compromettere il trattamento dei minori detenuti nel carcere. Intanto lo scorso fine settimana si è conclusa l’esperienza del "Cantiere" Scout dell’Agesci all’interno della struttura: quattordici ragazzi scout, provenienti da tutta Italia, sono stati all’interno del penitenziario e hanno lavorato insieme con i 18 ragazzi attualmente detenuti.

Milano: agente indagato per violenze sessuali a detenuto trans

 

Il Giorno, 1 settembre 2009

 

Abusi sessuali, violenza fisica e psicologica su chi può solo sottostare. L’aguzzino, secondo la Procura della Repubblica, un agente penitenziario di San Vittore, la vittima, un detenuto, transessuale. Un’indagine difficilissima, condotta dal sostituto procuratore della Repubblica Isidoro Palma e che attende la verifica dell’incidente probatorio davanti al giudice delle indagini preliminari Guido Salvini.

Perché da una parte c’è lo stimato graduato, 35 anni sulla breccia senza demeriti, e dall’altra un transessuale brasiliano, con condanna a cinque anni per rapina. Due parole con peso diverso? Il pubblico ministero, dopo un’istruttoria vasta, accusa l’agente di custodia e individua quattro specifici episodi avvenuti nello stanza dei sotto-ufficiali del carcere di San Vittore, a due passi dall’infermeria tra il giugno e il settembre del 2008.

Episodi, non denunciati, ma confessati, all’inizio, dallo stesso ragazzo brasiliano a un operatore carcerario, che non se la sente di prenderle alla leggera, che stila una relazione, che attiva un’indagine condotta dalla stessa polizia penitenziaria, che confluisce in un fascicolo della Procura della repubblica per violenza sessuale aggravata.

La vittima, il transessuale, si comporta con le modalità di chi non sa se può o non può: inizialmente nega anche ai suoi compagni l’esistenza dell’inchiesta, ma al pubblico ministero racconta i particolari di quelle quattro volte col secondino. Che lo prelevava dalla cella e lo faceva entrare nel locale dei sotto-ufficiali. Un pomeriggio alle quattro, durante un cambio guardia, poi altre tre volte, di notte e nei fine settimana.

Il detenuto riporta la stessa versione a un funzionario del consolato brasiliano, la riferisce in una lettera a un amico detenuto e trasferito in altra prigione. Per capire la portata delle accuse, si interrogano tutti i transessuali in quel periodo detenuti: e nessuno dichiara di avere subito abusi. La conferma della versione del giovane giunge da un altro detenuto, italiano, che invece conferma agli inquirenti la storia, se non altro perché lo stesso ragazzo gliel’aveva raccontata in tempi non sospetti. L’indagato dichiara assoluta estraneità ai fatti, i suoi colleghi lo sostengono, dichiarando che sarebbe impossibile, dentro San Vittore, condurre un detenuto dalla cella al locale delle guardie, senza essere notati.

Immigrati: Ue; sui "respingimenti", Italia e Malta chiariscano

di Francesco Viviano

 

La Repubblica, 1 settembre 2009

 

I "respingimenti" indiscriminati di somali, eritrei, nigeriani, raccolti in mare e rispediti in Libia anche se molti di loro avevano il diritto di chiedere asilo politico o lo status di rifugiati politici, ha provocato l’intervento dell’Unione Europea che ha inviato una lettera ai governi italiano e maltese per avere chiarimenti sulle procedure di respingimento.

L’ultimo avvenuto l’altro ieri quando 75 extracomunitari, tra loro anche donne e bambini, sono stati soccorsi in mare da maltesi e italiani e ricondotti in Libia con un pattugliatore della Guardia di Finanza, dove sono giunti a Tripoli ieri alle 13,30. Ma ieri il ministro degli interni, Roberto Maroni, ha detto che i "respingimenti" proseguiranno. Insomma un vero e proprio braccio di ferro politico, non solo tra l’Unione Europea ed Italia e Malta ma anche tra il nostro Governo e quello de La Valletta che fanno a gara per non ricevere sulle proprie coste gli extracomunitari che scappano dai loro paesi per la guerra o per la fame e che cercano, anche a costo di morire in mare, di raggiungere l’Europa. Adesso però l’Unione Europea, davanti alle quotidiane stragi del mare, con centinaia di disperati che muoiono durante la navigazione e che vengono portati a terra soltanto se moribondi o ammalati, interviene per fare rispettare la convenzione di Ginevra, firmata anche dall’Italia, che prevede di dare rifugio o asilo politico a quegli extracomunitari che ne hanno diritto.

I nostri militari della Guardia di Finanza che eseguono "ordini superiori" decidono invece di rimpatriare tutti, donne incinte, bambini, senza accertarsi chi siano e da dove vengano. Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr, l’Alto Commissariato per i profughi, non ha risparmiato le accuse alla politica di respingimento del nostro Governo. "Quel che accade - ha affermato - è molto grave, vengono violati i diritti di migliaia di persone di ricevere asilo come prevede la convenzione di Ginevra che viene costantemente violata soprattutto dal nostro Paese. Sono stati respinti donne e bambini somali che hanno chiesto di poter fare domanda d’asilo, implorando di non essere rimandati in Libia.

Ma, nonostante fossero ancora a bordo della motovedetta italiana e in acque italiane, non gli è stata data la possibilità di fare richiesta di asilo". Non si capisce a questo punto perché il Governo Italiano negli ultimi mesi ha dato il via alla campagna di costruzione di numerosi Centri di identificazione ed espulsione che dovevano servire proprio ad identificare gli extracomunitari che giungono via mare e stabilire chi deve essere mandato via e chi no. Centri quasi vuoti, compreso quello di Lampedusa che in parte è stato bloccato perché costruito abusivamente e con il prefetto Morcone indagato dalla Procura di Agrigento.

L’ultimo respingimento si è concluso proprio ieri quando il pattugliatore della Finanza "Denaro", dopo avere raccolto in mare 75 extracomunitari che erano stati "guidati" fino alle nostre acque territoriali dai maltesi, li ha trasferiti in Libia. E quando gli extracomunitari hanno capito di essere stati riportati di nuovo in territorio libico, hanno protestato, ma inutilmente. Le donne, soprattutto, violentate proprio in Libia durante la loro permanenza in attesa di partire, hanno implorato i militari della Guardia di Finanza di non sbarcarli. Ma l’ordine è perentorio. "La situazione nei centri di raccolta per immigrati in Libia è veramente preoccupante, una tragedia", ha denunciato ieri monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli.

Per il ministro Maroni i respingimenti vengono effettuati in base ad un protocollo sottoscritto dal precedente governo quando ministro dell’Interno era Giuliano Amato. Sull’efficacia del sistema, ha fornito anche qualche cifra: l’anno scorso nel periodo tra il 1 maggio e il 31 agosto i clandestini giunti in Italia erano stati 14mila contro i 1.300 giunti nello stesso periodo quest’anno.

Immigrazione: Unhcr; minare il diritto all’asilo è scelta politica 

 

Liberazione, 1 settembre 2009

 

"Questo non è "contrasto all’immigrazione irregolare". Si tratta della messa in discussione del diritto di asilo". Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) racconta la vicenda che ha visto l’ennesimo respingimento in mare di 75 persone, di cui 15 donne e 3 minori, al largo del Canale di Sicilia. Una storia che ormai si ripete: il gommone era stato soccorso dalle autorità maltesi che avevano tratto in salvo due ragazzi stremati e una donna con un neonato. Per gli altri nessuna pietà, un po’ d’acqua e poi l’imbarcazione è stata accompagnata al limite delle acque territoriali italiani, di fronte a Capo Passero.

"Per quello che ci risulta le persone erano stipate su un gommone e sono state raccolte da un pattugliatore della Guardia di Finanza. Siamo stati informati in tempo dell’evolversi degli eventi. Una volta a bordo dell’imbarcazione, territorio italiano in quanto battente bandiera italiana, hanno chiesto espressamente di poter accedere al diritto d’asilo e implorato i militari di non essere riportati in Libia".

 

Provenivano tutti dalla Somalia?

A quanto ci risulta sì. Un paese che insieme alla vicina Eritrea potrebbe essere definito come "produttore di rifugiati". Per questo come Alto Commissariato affermiamo che si sta minando il diritto di asilo. Lo scorso anno il 70% dei richiedenti asilo proveniva dal mare, questo significa che con la politica dei respingimenti, quest’anno il numero potrebbe calare vertiginosamente e questo non è un segnale positivo perché non è che siano venute meno le ragioni per cui si fugge da quei paesi.

 

Consideri grave quindi il respingimento?

Ad ora risulta intanto che si tratti di un respingimento collettivo, pare non si sia proceduto ad identificazione dei richiedenti asilo. Poi il tenore di tornare in Libia ha provocato forti tensioni a bordo. Le leggi nazionali e internazionali in materia considerano un obbligo degli stati accogliere le domande e non inviare persone in luoghi dove la propria vita e la propria libertà potrebbero essere a rischio.

 

Anche l’Unione Europea ha chiesto maggiori informazioni al governo...

Non siamo i soli ad essere preoccupati per la piega che sta prendendo la situazione. Chi torna in Libia finisce nei centri di detenzione senza aver commesso alcun reato. 175 somali dell’ultimo respingimento sono già finiti in uno di quei centri, ancora non ci è chiaro quale, dove a loro porrebbe capitare di tutto. Non appena sbarcati in Libia sono stati caricati su un pulmino e portati nel centro.

 

Ma ci sono state reazioni da parte del ministero dell’Interno italiano?

Noi abbiamo incontri continui, di routine, con il ministero dell’Interno solo che in questo caso si tratta di scelte politiche che vanno ben oltre i rapporti quotidiani con i vari funzionari.

 

Come Unhcr non avete accesso ai centri in Libia?

Non abbiamo un riconoscimento ufficiale. I nostri operatori fanno quello che possono ma non hanno una completa libertà di movimento. A volte li fanno entrare nei centri a volte no, in molti non abbiamo accesso.

 

Ma è cambiato qualcosa a quanto vi risulta?

Per quello che ci è dato sapere nei centri vige la durissima situazione di sempre e non ci sono stati significativi miglioramenti. Ma tenete conto che noi non abbiamo una completa mappatura delle presenze dentro queste strutture. Quando, il 1 luglio scorso, fu respinta un’altra imbarcazione di cittadini eritrei, riuscimmo a raggiungerne una parte e a verificare le loro condizioni. Ma anche seguirne la sorte è praticamente impossibile. Vengono spostati con frequenza e ad oggi non sappiamo dove siano, se siano stati liberati o rimpatriati.

 

Sembrava che in Libia l’Unhcr avrebbe presto potuto svolgere con meno problemi i propri compiti?

Nei fatti non è ancora cambiato niente. Noi speriamo e ci auspichiamo che si creino le condizioni per poter operare serenamente ma ad oggi questo non c’è. E lo ripeto, ad essere minato in questo caso è il diritto d’asilo non certo il contrasto all’immigrazione economica.

 

Ora cosa intendete lare?

Intanto continuare a seguire per quanto possibile questa ultima vicenda e le altre precedenti. Poi dobbiamo augurarci un ravvedimento del governo. Credo che così non si possa continuare, l’Italia dovrà prima o poi riconsiderare queste scelte.

Droghe: il ministro Zaia difende il vino; "no al proibizionismo"

 

Notiziario Aduc, 1 settembre 2009

 

"Bisogna finirla di considerare ubriaco chi beve due bicchieri: è in atto una criminalizzazione del vino che non ha senso alcuno e che sta uccidendo uno dei comparti più pregiati del Made in Italy". In un’intervista alla rivista Quattroruote, il Ministro dell’Agricoltura Luca Zaia entra di petto nel dibattito sui limiti di tasso alcolemico per chi guida, attaccando i sostenitori della tolleranza zero: "Non credo nella cultura del proibizionismo - attacca il Ministro - il limite attuale, 0,5 grammi di alcol per litro di sangue, è ragionevole e stradigerito dall’opinione pubblica, entro questi livelli si è sobri e perfettamente in grado di guidare. Corrisponde a due bicchieri di un vino che abbia non più di 11 gradi, diciamo uno spumante o un rosso non strutturato".

Zaia invita a guardare con attenzione le statistiche sugli incidenti: solo il 2,09% è causato da guidatori in stato d’ebbrezza, gente ben al di sopra dello 0,5: "Non vedo perché dovrei rinunciare a bere con intelligenza e moderazione, solo perché ci sono irresponsabili che si ubriacano - spiega Zaia - E perché non si guarda con altrettanta severità alle altre cause degli incidenti? Vogliamo parlare del fumo o dei farmaci che danno sonnolenza? Degli antistaminici che migliaia di italiani prendono in primavera per combattere le allergie? O dei tranquillanti? Temo siano più pericolosi dei fatidici due bicchieri, ma nessuno se ne occupa".

"Il dibattito su alcol e guida - scrive Quattroruote è tornato d’attualità dopo il varo alla Camera del provvedimento che abbasso a zero il limite per i neopatentati (Zaia dice di non essere contrario a forme di tutoraggio per i giovani) e dopo le dichiarazioni di chi, anche nella maggioranza, vorrebbe che il divieto assoluto di bere prima di mettersi al volante venisse esteso a tutti: a fine luglio il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, aveva reclamato un forte attacco a chi guida in stato d’ebbrezza, sostenendo che l’alcol è una piaga sociale come la droga. Il Ministro dell’Agricoltura sostiene invece che la continua criminalizzazione del vino finirà per spianare la strada ai superalcolici, prodotti da e sostenuti da ben più potenti multinazionali.

Gran Bretagna: il vitto del carcere meglio dei pasti in ospedale

 

Asca, 1 settembre 2009

 

I detenuti delle prigioni britanniche sono meglio nutriti dei pazienti ricoverati negli ospedali. Lo sostiene uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Bournemouth University, nel sud dell’Inghilterra guidati dal professor John Edwards. Come se non bastasse, lo studio dimostra che il vitto delle carceri costa meno ed è più nutriente, in termini proteici e di contenuto di carboidrati, rispetto a quello fornito dalla maggior parte degli ospedali pubblici.

Il 40% dei pazienti che si rivolge agli ospedali vi giunge già malnutrito, ammette Edwards, ma poi, una volta che si è ricoverati, raramente la situazione migliora. "Se sei in prigione" invece, afferma, "la dieta somministrata è veramente ottima in termini di contenuto nutrizionale. In verità il cibo è meglio di quello che mangia la maggior parte dei civili".

Palestina: 980 detenuti a rischio di morte, per mancanza cure

 

www.infopal.it, 1 settembre 2009

 

Un rapporto pubblicato dall’Associazione dei prigionieri "Hossam" ha rivelato ieri la presenza di 980 malati in condizioni gravi nelle carceri dell’occupazione israeliana, la cui vita è in pericolo a causa dell’abbandono sanitario.

Il rapporto, di cui il corrispondente di Infopal.it ha ricevuto una copia, cita ad esempio la presenza di decine di detenuti disabili, perché colpiti dal fuoco israeliano prima del loro arresto: tra loro si contano 12 casi di semiparalisi, come quella di Luay al-Ashqar, detenuto nel carcere di Megiddo e in attesa di sottoporsi a diversi interventi. Vi sono anche più di 40 casi di epilessia e di malattie neurologiche e psicologiche, tutti disturbi dovuti alle torture praticate dai carcerieri israeliani durante le interrogazioni.

Secondo il rapporto dell’associazione, la politica di deliberata e sistematica negligenza medica è un crimine di guerra che viola tutte le leggi e le norme internazionali, compresa la Quarta Convenzione di Ginevra. Le condizioni sanitarie dei prigionieri sarebbero peggiorate in modo significativo nel corso degli ultimi due anni, a causa della repressione e dell’oppressione da parte di Israele - che include persino esperimenti medici sui prigionieri palestinesi.

La relazione ha infatti segnalato "un peggioramento della salute dei detenuti che non trova precedenti negli ultimi anni, e che ha portato alla morte di diversi di loro (…) Più volte i carcerati sono stati colpiti da casi collettivi di avvelenamento, verificatisi in più strutture di detenzione".

Il rapporto afferma inoltre che 16 tra i detenuti e le detenute sono malati di cancro, e che il loro numero è cresciuto negli ultimi anni. I maltrattamenti e i metodi di tortura impiegati durante gli arresti e gli interrogatori, la mancanza di cure mediche e di dottori specializzati nelle carceri, il rinvio degli interventi medici talvolta di diversi anni, sono tutte cause che contribuiscono alla degenerazione e alla diffusione delle malattie tra i prigionieri, che vengono più spesso imbottiti di calmanti che curati.

La relazione ha quindi sottolineato che le prigioni israeliane non sono affatto idonee alla vita umana, considerando, oltre alle vessazioni e alle percosse, anche le scarse condizioni igienico-sanitarie: basti citare la mancanza del sapone e di qualsiasi prodotto per la pulizia nelle celle, o l’uso di pesticidi per uccidere gli insetti e i ratti, diffusi in queste strutture. Non sono migliori le condizioni delle cliniche delle carceri: l’ospedale della prigione di Ramleh è privo di molte attrezzature sanitari, e non differisce da quest’ultima in termini di trattamenti crudeli.

Iraq: Amnesty denuncia; 1.000 detenuti nel braccio della morte

 

Ansa, 1 settembre 2009

 

Almeno 1.000 prigionieri sono in attesa di essere giustiziati in Iraq, il Paese con il più alto numero di esecuzioni al mondo. Lo rivela un rapporto di Amnesty International. Tra i detenuti nei corridoi della morte ce ne sono 150 che hanno esaurito possibili appelli. Secondo Amnesty e altre organizzazione umanitarie le autorità irachene hanno eseguito 31 condanne a morte dall’inizio dell’anno, tra cui quelle di 18 uomini e una donna il 19 giugno. Il governo locale si difende sostenendo che il ricorso alla pena capitale è necessario per arginare la spirale di violenza che attanaglia il Paese. Agosto ha fatto registrare un incremento della violenza con 393 civili uccisi, il numero più alto da aprile. Nell’agosto dell’anno scorso gli innocenti uccisi furono 382.

Iran: detenuto di 25 anni morto in carcere per percosse e stress

 

Ansa, 1 settembre 2009

 

Un ragazzo di 25 anni, arrestato per avere partecipato alle manifestazioni di protesta contro i brogli elettorali orchestrati da Mahmoud Ahmadinejad è morto per abusi nelle carceri iraniane. Una serie di abusi in carcere hanno causato la morte di un ragazzo di 25 anni, finito agli arresti per aver partecipato alla manifestazione contro la rielezioni di Mahmoud Ahmadinejad del 12 giugno scorso. Secondo il rapporto redatto dall’Associazione di Medicina Legale, il detenuto sarebbe deceduto in seguito "allo stress psicologico e alle numerose percosse che ha ricevuto, tra i quali colpi subiti con oggetti contundenti".

 

 

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