Rassegna stampa 25 settembre

 

Giustizia: sovraffollamento; ipotesi, proposte, proteste digiuni

 

www.innocentievasioni.net, 25 settembre 2009

 

La presentazione del libro di Francesco Morelli e Laura Baccaro "In carcere: del suicidio ed altre fughe", la manifestazione dei sindacati della polizia penitenziaria, il convegno sull’emergenza sovraffollamento organizzato dalle cinque principali sigle sindacali (Sappe, Osapp, Sinappe, Cisl-Fns, Fp-Cgil, Ussp-Ug), hanno messo a confronto in questi giorni ipotesi sulle possibili risposte al problema del sovraffollamento carcerario.

Rita Bernardini, deputata Radicale eletta nel Pd componente della Commissione giustizia, alla conferenza stampa del libro edito da "Ristretti Orizzonti" ha ricordato - tra le misure urgenti da porre in essere in risposta ad uno Stato che" si comporta da delinquente abituale"perché per decenni viola la legge e la Costituzione - l’amnistia proposta da Marco Pannella con la quale "si intende contrastare e sconfiggere l’amnistia strisciante alla quale assistiamo giorno dopo giorno, quell’amnistia di classe, fatta di prescrizioni, che in dieci anni ha impedito di celebrare un milione e 800mila processi".

Non è pensabile un nuovo ricorso all’indulto,secondo il presidente della Commissione giustizia Filippo Berselli che nell’adeguamento delle strutture, in maggiori investimenti e nel prevedere possibilità di far scontare la pena all’estero ai detenuti stranieri"individua interventi efficaci per affrontare il problema .L’indulto è una strada da abbandonare anche per Franco Ionta Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che, tuttavia., evidenzia come "su 27mila persone uscite grazie all’indulto solo un terzo sono rientrate perché tornate a delinquere.

Ionta, che il 30 settembre incontrerà la Commissione Giustizia della Camera per discutere del Piano Carceri elaborato in qualità di Commissario straordinario per l’emergenza carceri, ha affermato che per affrontare l’emergenza occorre tanto costruire nuove carceri quanto aumentare il numero degli agenti di almeno 5mila unità.,obiettivi che vanno conseguiti insieme " altrimenti si rischia di arrivare a una situazione paradossale e cioè che in un mese si costruiscono nuove carceri ma poi non si ha il personale per farle funzionare".

Una nuova politica della pena dove sia previsto anche un maggiore ricorso alle misure alternative è una delle "soluzioni concrete per deflazionare le carceri" auspicata da Donato Capece segretario nazionale del Sappe, Sindacato autonomo della polizia penitenziaria. Capece ha messo in luce i rischi per la sicurezza comportati dal sovraffollamento "che ricadono sugli agenti della polizia penitenziaria, come hanno dimostrato le proteste di detenuti avvenute recentemente in numerosi istituti"

Intanto Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze ha iniziato lo sciopero della fame per protestare contro le "gravi condizioni di sovraffollamento nelle quali sono costretti a vivere i detenuti dell’istituto di Sollicciano". Allo sciopero aderiscono oggi simbolicamente anche i senatori radicali Donatella Poretti e Marco Perduca.

Giustizia: straniero il 30% dei denunciati e il 50% degli arrestati

 

Ansa, 25 settembre 2009

 

Nel 2008 i cittadini stranieri denunciati sono stati 205.188 (29,7% del totale), mentre gli stranieri arrestati sono stati 97.432 (49,2% del totale); al 1 settembre 2009 i detenuti stranieri sono 23.696 (37% del totale). Si tratta con tutta evidenza di cifre sproporzionate se confrontate con quelle riguardanti l’incidenza sulla popolazione residente (5.8%).

Il Censis segnala che a delinquere sono soprattutto gli irregolari e i clandestini. Il rapporto conferma, quindi, quanto oramai noto almeno sin dal rapporto sulla criminalità in Italia del 2006; questo dato, inoltre, è stato riconfermato da ultimo anche dal capo della polizia Manganelli che, il 7 maggio scorso, in occasione del 157° anniversario della fondazione della Polizia, aveva affermato che in Italia i clandestini arrivano a commettere il 30% dei reati e, in certe zone, il 70%.

Giustizia: 174 i corsi di alfabetizzazione per i detenuti stranieri

 

Ansa, 25 settembre 2009

 

Nelle sovraffollate carceri italiane (64.519 detenuti oggi presenti di cui 23.938 stranieri) nel 2008 sono stati organizzati 174 corsi di alfabetizzazione rivolti agli stranieri, con 1960 iscritti e 387 promossi.

A dichiararlo, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che ha partecipato alla cerimonia d’inaugurazione dell’anno scolastico al Quirinale, alla presenza del Capo dello Stato Napolitano e del Ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini.

Il sistema di istruzione in carcere va dai corsi di alfabetizzazione, a quelli di formazione professionale ai corsi universitari. In particolare - sottolinea il Dap - nel 2008 sono stati svolti 68 corsi di licenza elementare (857 iscritti e 186 promossi), 218 corsi di scuola media per 150 ore (con 2622 iscritti e 547 promossi), 245 corsi di scuola secondaria (frequentati da 6.340 detenuti, i promossi sono stati 1669).

Giustizia: Ucpi; dal 2 al 4 ottobre, un Congresso straordinario

 

Adnkronos, 25 settembre 2009

 

Ordinamento giudiziario, questione carcere, politiche della sicurezza, riforma della professione forense, processo penale, riforma della giustizia: questi i temi del Congresso Straordinario dell’Unione Camere Penali Italiane (Ucpi) che si svolgerà a Torino dal 2 al 4 ottobre. Il Congresso, dal titolo "Chi ha paura della riforma? L’Impegno delle Camere Penali contro chi lavora per il degrado del sistema" sarà, afferma l'Ucpi in una nota, "un’importante occasione per parlare di giustizia e dei temi caldi del prossimo autunno, dal lodo Alfano alla troppe volte rimandata riforma della giustizia".

I lavori si apriranno con i saluti di Luigi Chiappero, Presidente della Camera Penale "Vittorio Chiusano" del Piemonte Occidentale e Valle d’Aosta e delle Autorità, la relazione di Michele Cerabona, Presidente del Consiglio delle Camere Penali e la relazione di Oreste Dominioni, Presidente dell’Unione delle Camere Penali. È stato invitato a partecipare il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano

Tra gli ospiti attesi Giovanni Conso (Corte Costituzionale), Ennio Amodio (Università di Milano), Rita Bernardini (Pd-Radicali), Filippo Berselli (Pdl), Giuseppe Cascini (Anm), Enrico Costa (Pdl), Roberto Cota (Lega Nord), Benedetto della Vedova (Pdl), Vitaliano Esposito (Csm), Giuseppe Frigo (Corte Costituzionale), Stefano Livadiotti (L’Espresso), Antonio Patrono (Csm), Gaetano Pecorella (Pdl), Fabio Roia (Csm), Giuseppe Valentino (Pdl), Luciano Violante (Università di Camerino), Andrea Amatucci (Uncat), Pietro Buffa (Andap), Guido Calvi (Pdl), Fabrizio Corbi (Past), Emilio Di Somma (Dap), Angiolo Marroni (Garante dei detenuti del Lazio), Michelina Grillo (Oua), Cesare Salvi (Pd) e Celestina Tinelli (Csm).

Giustizia: la Costituzione… e la "bocciatura" del lodo Alfano

di Ennio Fortuna

 

Italia Oggi, 25 settembre 2009

 

Il lodo Alfano non introduce un mero privilegio personale, ma essenzialmente una barriera temporaneamente invalicabile posta tra chi esercita quelle funzioni e la giurisdizione penale. A tutela non solo della serenità personale degli interessati, ma anche e soprattutto della stabilità dell’esercizio delle funzioni, altrimenti verosimilmente esposte in modo eccessivo alle iniziative dei P.M. e dei giudici.

E tuttavia c’è un aspetto della legge Alfano obiettivamente di discutibile compatibilità con il testo della Costituzione. Non si tratta della tanto conclamata violazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, quanto dell’esclusione di ogni eccezione nel testo costituzionale.

La nostra legge suprema si occupa dettagliatamente dei parlamentari, del Capo dello Stato e del governo, ma per i primi prevede soltanto l’impunità per le opinioni e i voti dati nell’esercizio delle funzioni, nonché la necessità dell’autorizzazione per la limitazione della libertà personale e per le intercettazioni telefoniche e della corrispondenza.

Per il Capo dello Stato è prevista l’immunità per i reati commessi nell’esercizio delle funzioni, nonché il privilegio processuale della necessità della messa in stato di accusa da parte del Parlamento e la competenza per il giudizio della Corte costituzionale. Per il Presidente del Consiglio e per i ministri, la Costituzione prevede solo una speciale competenza della magistratura ordinaria e la necessità dell’autorizzazione a procedere del Parlamento, ma unicamente per i reati eventualmente commessi nell’esercizio delle funzioni. Nessuna tutela è ammessa per i reati comuni.

Ciò è tanto vero che il Lodo cerca di aggirare la carenza normativa, senza prevedere alcuna speciale immunità, ritenuta in partenza interdetta, ma solo una sospensione temporanea dei procedimenti per i reati comuni. È sufficiente ad evitare il rischio dell’incostituzionalità?

Se l’istituto viene individuato e definito come un privilegio protettivo di carattere personale delle Alte Cariche, la declaratoria di incostituzionalità è da ritenersi scontata. Se la sospensione verrà apprezzata come una mera, ma necessaria appendice funzionale della carica, senza però che contribuisca sostanzialmente alla definizione del suo ruolo e della sua posizione giuridica, riservati implicitamente alla Costituzione, il Lodo potrebbe superare lo scoglio. Posso sbagliare, ma se la Corte dichiarerà l’illegittimità del Lodo, tra le altre opzioni ci sarà sul tappeto anche l’ulteriore modifica della Costituzione. In pratica un altro Lodo Alfano, ma da approvare con il rituale di cui all’art. 138 della Costituzione.

Lettere: a proposito di carceri affollate e di pene alternative

di Sergio Romano

 

Corriere della Sera, 25 settembre 2009

 

Un lettore ha sollevato il problema dell’affollamento delle carceri. Il piano Ionta prevederebbe di aumentare la disponibilità carceraria di 17-18 mila posti entro il 2012, costruendo nuove carceri e ristrutturando parte delle esistenti. Tempo addietro si era parlato di un altro piano modificando la destinazione delle aree dove sono le vecchie carceri cittadine, ormai tutte in pieno centro città. Dopo la loro demolizione il 50% dell’area sarebbe stato destinato a verde pubblico e l’altro 50% a edilizia residenziale. Il ricavato permetterebbe di costruire nuove carceri da affidare in gestione ai privati come accade già in altri Paesi.

Caro Lettore, ho dovuto abbreviare la sua lunga lettera e rinviare a un’altra occasione alcuni dei suoi quesiti per concentrare la mia risposta sulla questione dell’affollamento. Il problema è particolarmente grave in Italia dove i detenuti sono 64 mila (i posti regolamentari sarebbero 40 mila), ma il fenomeno è mondiale. Negli Stati Uniti, dove gli abitanti sono 300 milioni, i detenuti sono 2 milioni. In California, dove gli abitanti sono meno di 40 milioni, i detenuti sono 55 mila. In Francia, con una popolazione pari a quella dell’Italia, sono 62.252.

Non vi è Paese sviluppato che non debba affrontare il problema dei detenuti e decidere quali misure adottare per impedire che il mondo carcerario divenga ingovernabile. Esiste un piano Ionta (dal nome del direttore del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria Franco Ionta) di cui ha parlato Dino Martirano sul Corriere del 15 maggio e che dovrebbe giungere in Consiglio dei Ministri entro la fine di settembre.

Sembra che il piano preveda tra l’altro la creazione di prigioni sull’acqua, da realizzarsi in alcune grandi aree portuali: Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli, Gioia Tauro, Palermo, Bari, Ravenna. Anche questo piano, come la sua lettera, muove dalla convinzione che il miglior modo per fare fronte al problema sia quello di costruire nuove carceri. Non è questa tuttavia la politica adottata da un certo numero di Paesi europei e Stati della Federazione americana.

Come ha scritto Donatella Stasio nel Sole 24 Ore del 12 settembre, la soluzione migliore consisterebbe nell’aumento delle pene alternative, fra cui quella del braccialetto elettronico a cui hanno fatto ricorso recentemente i francesi. Ma occorre, beninteso, adattare a questo scopo le norme del codice penale. L’Italia sembrava essersi orientata in questa direzione con una commissione per la riforma del codice che fu presieduta per alcuni anni dal procuratore di Venezia Carlo Nordio e, durante l’ultimo governo Prodi, dall’onorevole Giuliano Pisapia.

Benché nominati da governi diversi, i due presidenti hanno dato prova di una straordinaria sintonia e si preparano a pubblicare insieme un libro che darà conto del loro lavoro. Ma questo lavoro rimane per il momento lettera morta.

Aggiungo che la riforma del codice penale è particolarmente urgente in un Paese dove i troppi reati puniti con il carcere e le ingarbugliate procedure imposte ai magistrati dalla legge hanno conferito all’Italia, come ricorda Donatella Stasio, il record dei detenuti in attesa di giudizio: un quarto dei 130 mila che attendono un processo nelle carceri dei 27 Paesi dell’Unione europea. Un’ultima parola, caro Capussela, sulla gestione privata delle carceri. Dopo i molti danni, finanziari e morali, provocati dagli appalti americani in Iraq, dove molte funzioni pubbliche sono state affidate ai privati, sarà meglio pensarci due volte.

Lettere: cosa facciamo per la terribile situazione delle carceri?

 

Il Gazzettino, 25 settembre 2009

 

Grazie all’iniziativa "Ferragosto 2009 in carcere", attuata da una delegazione di parlamentari e amministratori, siamo venuti a conoscenza della reale situazione delle nostre carceri, definita disastrosa, incivile e disumana, paragonabile a quella esistente quasi un secolo fa.

Le nostre carceri risultano sovraffollate all’inverosimile per la presenza di ben 63.993 detenuti, nonostante la capienza sia limitata a poco più di 43 mila unità; quasi la metà sono in attesa di giudizio e oltre 23 mila sono stranieri; circa 15 mila, invece, sono i tossicodipendenti, mentre le donne sono quasi 3 mila, più un centinaio di bambini... al seguito. Detenuti che passano le giornate in celle anguste, spesso in numero doppio della loro capienza e che fruiscono di sole 2 ore di aria al giorno.

Sappiamo finalmente che ciascun detenuto viene a costare allo Stato, e quindi a noi contribuenti, ben 400 euro al giorno, per cui fatti i debiti calcoli si spendono più di 25 milioni di euro al giorno, vale a dire quasi 50 miliardi delle vecchie lire. Un costo esorbitante e insostenibile, da capogiro!

Su questo tema, ritengo che qualsiasi cittadino possa dare degli utili suggerimenti per il miglioramento della situazione generale e per contenere la spesa, quali: i detenuti in attesa di giudizio possono, in alternativa, essere assegnati agli arresti domiciliari; quanto ai tossicodipendenti, considerato che stando in carcere non possono di certo migliorare, vengano assegnati a strutture qualificate; gli stranieri si rimandino, gradatamente e previ accordi, ai loro Paesi d’origine per scontare la pena residua; emanare un ampio provvedimento di amnistia.

Attuando queste necessarie misure le carceri si sfoltirebbero e così potrebbero essere accantonati i progetti di nuove strutture carcerarie; gli agenti penitenziari in servizio potrebbero bastare e si realizzerebbe un considerevole risparmio di spesa, che potrebbe essere dirottato verso la ricostruzione dell’Abruzzo o destinati al miglioramento delle misere pensioni di tante povere vedove.

Sarebbe altresì auspicabile che venisse modificata la norma del sistema carcerario che fissa in due sole ore il tempo di ricreazione e il restante tempo in cella, che può indurre il detenuto all’ozio, all’abbruttimento, alla perversione e che con ogni probabilità è stata la causa prima dei numerosi episodi di autolesionismo e suicidio. Al detenuto deve essere garantita una maggiore libertà di movimento, una vita il più possibile all’aperto e l’occupazione del lavoro, giusto come prevede la nostra Costituzione, secondo la quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla reintegrazione del condannato.

 

Alceste Mazzucco

Milano: negati i "domiciliari" 69enne infermo muore in carcere

 

Ansa, 25 settembre 2009

 

Da un paio d’anni era rinchiuso nel carcere di San Vittore, condannato con rito abbreviato per l’omicidio della convivente, Anna Oriani, accoltellata a morte il 13 agosto 2007 nell’abitazione di Villa d’Adda. Da un paio d’anni però Roberto Laviano, 69enne, era malato: non si reggeva in piedi e più volte era stato ricoverato in ospedale. Ora è morto in cella per "scompenso circolatorio, ipertensione polmonare, stenosi carotidea bilaterale, diabete mellito-insulino dipendente, disturbi respiratori da pregressa tubercolosi, vasculopatia periferica sintomatica pregresso by-pass aorto femorale".

Nonostante le sue condizioni davvero gravi, le richieste dell’avvocato Ermanno Gorpia di concedergli la libertà per poter essere assistito costantemente non hanno sortito effetti. A prevalere è stata la legge, una nuova legge di quest’anno che ha modificato l’articolo 275 del codice di procedura penale allo scopo di impedire le scarcerazioni facili e la conseguente reiterazione dei reati. In seguito a questa norma per l’omicidio volontario si può applicare, in caso di malattia grave, solo la custodia cautelare in casa di cura. Ma l’ospedale più volte aveva dimesso Roberto Laviano perché necessitava di assistenza continuativa più che di interventi di cura. Sarebbe servito un hospice idoneo ad accogliere il detenuto, ma non esiste.

Così l’uomo, decisamente inoffensivo, dopo una serie di rimpalli di responsabilità, istanze bocciate, rinvii, è morto in cella.

Prato: la Cgil denuncia sovraffollamento carcere, 600 detenuti

 

Ansa, 25 settembre 2009

 

Sono oltre 600 i detenuti rinchiusi nel carcere di Prato, a fronte di una capienza massima di 450 unità. È quanto denuncia la Cgil pratese in una lettera inviata al dipartimento per l’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, al provveditorato regionale per l’amministrazione penitenziaria della Toscana e alla direzione della Casa circondariale di Prato.

"Il sovraffollamento del carcere di Prato è arrivato a punte inaccettabili - spiega il sindacato - con il 50% in più della soglia di tollerabilità e continua a crescere". In alcuni casi limite, si denuncia ancora nella lettera, ci sono celle da uno dove si arriva a ospitare anche quattro detenuti. La pianta organica, tra agenti e impiegati, dovrebbe essere composta da 340 persone ma non arriva a 200. La lettera della Cgil nasce a seguito dell’annullamento di un’assemblea sindacale prevista per il 15 settembre. Una comunicazione dalla direzione del carcere non ha liberato gli agenti in servizio perché sarebbero venuti a mancare i livelli minimi di sicurezza, facendo di conseguenza saltare l’assemblea.

Verona: approvata istituzione Garante dei diritti dei detenuti

 

Comune di Verona, 25 settembre 2009

 

Con 32 voti a favore, 1 contrario e 3 astenuti il Consiglio comunale ha approvato la proposta di deliberazione (a firma del consigliere Antonia Pavesi - Lista Tosi, presidente della Commissione per i Servizi sociali) relativa all’istituzione del garante dei diritti delle persone private della libertà personale e il relativo regolamento che ne disciplinerà l’attività. Dei 5 emendamenti presentati tre sono stati ritirati, uno a firma del capogruppo della Lega Nord Barbara Tosi è stato accolto, uno a firma del consigliere Roberto Fasoli del PD è stato posto in votazione e respinto.

"Questa figura andrà a difendere i diritti delle persone che si trovano in carcere - ha spiegato Pavesi - e andrà a promuovere, con funzioni d’osservazione e vigilanza indiretta, le opportunità di partecipazione alla vita civile e la fruizione dei servizi da parte dei detenuti".

Unico contrario il consigliere Giampaolo Beschin Udc il quale ha affermato che "in questo momento di crisi economica penso sia ora di smetterla di creare nuovi istituti, garanti e figure che costano ai veronesi. È meglio destinare i soldi che andranno al garante a servizi e aiuti concreti in favore dei detenuti".

Matera: ci sono troppi detenuti, protestano sindacati di agenti

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 25 settembre 2009

 

Le carceri scoppiano un po’ dovunque ed anche a Matera. A farle esplodere sono le condizioni inadeguate dal punto di vista della sicurezza, la mancanza di spazi specifici per la gestione dei detenuti, l’inadeguatezza numerica del personale rispetto al sovraffollamento dei carcerati, i disagi degli agenti penitenziari per quanto riguarda gli adeguamenti contrattuali e il pagamento degli straordinari.

Insomma, ce n’è quanto basta per una situazione di allarme non più tollerabile, tanto che i sindacati della Polizia penitenziaria della Basilicata prendono nuovamente posizione sulle condizioni delle case circondariali e in particolare della struttura di via Cererie.

Giuseppe Maniello, del Sappe, fa presente che "è allarmante la violazione della normativa in materia di sicurezza dei lavoratori in ogni sede della Basilicata, compresa la casa circondariale di Matera, seppure da pochi anni oggetto di ristrutturazione costata diversi milioni di euro. Una situazione denunciata da anni, in più occasioni".

Restano inevase le richieste per un reparto protetto per il piantonamento dei detenuti nell’ospedale "Madonna delle Grazie", la cui spesa, fa presente Giovanni Grippo della Uil Pa, "pare verrebbe interamente sostenuta dalla Regione Basilicata. Nonostante questo, anche in assenza di impegno economico, il Provveditorato regionale non ha ritenuto di garantire il minimo impegno per la sicurezza ai poliziotti, ai detenuti ricoverati e, in particolare, alla cittadinanza".

Un’altra nota dolente è quella degli organici inadeguati numericamente delle carceri. "Si ricorre costantemente al lavoro straordinario - dice Giuseppe Morlino, della Fp Cgil - e non sempre è sufficiente per garantire i livelli minimi di sicurezza. Per il carcere di Matera, in base alle valutazioni dello stesso Provveditorato regionale, la carenza è stimata intorno al 35 per cento dell’organico previsto".

Persiste il problema del sovraffollamento della popolazione detenuta, aggravato, sottolineano gli agenti di Polizia penitenziaria, da una provenienza geografica e culturale spesso contrapposta e conflittuale. E che dire dei ritardi ormai semestrali nei rimborsi dei servizi di missioni del personale di Polizia effettuati per il trasporto dei detenuti?

"Ritardi che riguardano anche i rifornimenti di carburanti - spiega Egidio Pontillo, della Fsa Cnpp - e le spese di vitto e alloggio nelle strutture esterne dei poliziotti". Il carcere rischia di implodere, sotto il peso di tanti problemi che si trascinano, irrisolti, da anni. Intanto, fanno sapere i sindacati, il Provveditore regionale ha comunicato che nell’ultima parte del 2009 non vi sarà la possibilità di poter pagare il lavoro straordinario, comunque imposto ai poliziotti penitenziari.

Ieri, anche la direttrice del carcere, Maria Teresa Percoco, nell’incontro che una delegazione comunale ha avuto con i 45 detenuti iscritti ai corsi di studio, ha ricordato i disagi della comunità carceraria dovuti anche al sovraffollamento delle carceri ed ha chiesto l’aiuto degli enti locali per attenuare in qualche modo le sofferenze.

La Polizia penitenziaria lamenta disagi anche nella casa circondariale di Potenza. Nella struttura carceraria di Melfi, invece, non è stato attribuito il coefficiente riferito ai detenuti ad alta sicurezza benché ne siano ospitati oltre 200, a seguito di valutazioni originarie che hanno classificato quest’ultimo carcere di secondo livello anziché di terzo, con tutte le relative conseguenze.

Como: peggiore carcere lombardo manca anche carta igienica

 

Affari Italiani, 25 settembre 2009

 

Il "Bassone" di Como, il "Canton Mombello" di Brescia e, infine, il carcere di Busto Arsizio. Sarebbero questi, secondo l’Osservatorio della Lombardia dell’associazione Antigone, gli istituti in peggiori condizioni di tutta la regione. Strutture vecchie fatiscenti, a cui si aggiunge, spesso, una cattiva organizzazione interna. "Tranne a Brescia - precisa Antonio Casella, responsabile dell’Osservatorio -, dove la direzione è stabile e funzionante, ma il sovraffollamento crea seri problemi". Per Antigone sono cinque i mali delle carceri lombarde: sovraffollamento, carenza del personale penitenziario, insufficienza di alcuni servizi per i detenuti, mancanza di educatori e l’abuso di psicofarmaci. Sovraffollamento. I guai più seri riguardano le carceri circondariali, ovvero quelle dove i detenuti sono di passaggio, anche per pochissimi giorni, in attesa di un processo.

"Nel carcere di Voghera, per esempio, nella sezione di alta sicurezza ci sono celle da 9 metri e 30 con un solo detenuto, e quindi la situazione è a norma - spiega Antonio Casella -. Ma basta spostarsi di qualche piano, in un’altra sezione con un regime diverso, che nello stesso tipo di cella magari sono stipati 11 detenuti in letti a castello da tre". Un vero paradosso, secondo l’Osservatorio di Antigone, acuito dal fatto che nelle sezioni circondariali entrano persone che ci devono restare solo per due o tre giorni, di solito stranieri che vengono arrestati per violazione della legge sull’immigrazione Bossi - Fini. Secondo i dati di Antigone, sugli oltre 8mila detenuti della regione Lombardia almeno il 45% è rappresentato da stranieri.

Carenza di agenti. - In Lombardia lavorano circa 4.200 agenti di polizia penitenziaria (dovrebbero essere 5.353) e di questi oltre 600 risultano "distaccati ad altra sede. Inoltre nelle carceri dove ci sono i collaboratori di giustizia i detenuti di alta sicurezza non possono mai incrociare altri reclusi -afferma Antonio Casella -. Questo comporta l’impiego di molti agenti di polizia penitenziaria e sono sempre sotto organico. Carta igienica e lenzuola. Il terzo problema è "ciò che in carcere manca quotidianamente".

Dalla carta igienica alla regolare pulizia delle lenzuola. "Ancora una volta la causa è il sovraffollamento - precisa il direttore dell’Osservatorio -, l’eccessiva presenza di detenuti fa aumentare il carico di lavoro, e se le lavatrici si riempiono, magari devi aspettare tre settimane per avere un paio di lenzuola pulite. A volte i carcerati sono costretti a pulirsi con i fogli di giornale. Tutto questo lede la dignità della persona". Mancanza di educatori. "Ogni carcere dovrebbe avere almeno sei educatori - dice Antonio Casella - invece in media ne trovi due, e questo è assurdo se si pensa che il carcere dovrebbe rieducare e non solo punire". Abuso di psicofarmaci. "I detenuti, in particolare nelle sezioni circondariali, tendono a chiedere sempre più psicofarmaci e i medici non possono fare altro che darglieli. Se ne fa un uso eccessivo perché le condizioni di vita dentro sono molto stressanti".

Roma: storia di Regina Coeli, carcere odiato e amato insieme

di Igor Man

 

La Stampa, 25 settembre 2009

 

L’aver accennato, di sguincio, al vetusto problema delle carceri, in particolare Regina Coeli, ha provocato non poche lettere al Vecchio Cronista. Tutte - dico, tutte - rivelano, paradossalmente, una sorta di "fascinazione" per il carcere più odiato d’Italia, Regina Coeli, giustappunto. Gaia e strafottente, crapulona, cinica questa l’immagine corrente di Roma. A crearla potrebbero aver contribuito gli stornelli a dispetto. Ma i meno conosciuti aritornelli antichi suggeriscono una diversa immagine di Roma popolana, se non più autentica certamente più drammatica. Gli aritornelli che in queste sere afose qualche vecchio intona in Trastevere, in via della Scala o al Mattonato, sono frammenti della lunga storia, senza radicali mutamenti, del "popolino" romano, romantico e sanguinario, che fu plebe oppressa e che rimane sottoproletariato, se non altro culturalmente. Amore e tradimento, la morte augurata al nemico, all’amante spergiuro, il coltello come simbolo della virilità e del comando, il Tevere nel suo implacabile fluire, la galera.

Per quasi un secolo (si cominciò a edificarlo nel 1870, fu inaugurato nel 1881) Regina Coeli ha esercitato un ruolo emblematico nella storia di Roma. Costruito secondo il sistema detto "panottico", rivisto da Jeremy Bentham (1748-1832), il filosofo del Beccaria, il Coeli ha otto "raggi" a raggiera e due rotonde, finestre a bocca di lupo, e celle simili a sepolcreti: 17 mattonelle per 8. In tanto avaro spazio s’ammucchiano in media due persone. Fra le sue antiche mura sono stati rinchiusi uomini e gentiluomini, assassini e innocenti, Arsenio Lupin di borgata, monsignori e uomini politici. Nei "bracci" dei politici, il terzo e il sesto, hanno sofferto i patrioti torturati dalle bande nazifasciste, da Regina Coeli son partiti i martiri delle Ardeatine. È difficile che si nasca delinquenti, più facile morire criminali. Secondo alcuni sociologi, nel cuore della malavita romana ci sono i germi del nichilismo da disperazione. Può sembrare assurdo, ma il detenuto che s’è comportato ingiustamente non può sopportare l’ingiustizia, spiegano.

In fatto la società ignora i detenuti figli tuttavia delle sue stesse contraddizioni. Molti rapinano e uccidono, persino, non tanto per protesta contro la società affluente, quanto per potersi integrare. Certi delinquenti, insomma, sarebbero tutto sommato "dei grossi conformisti". Una volta chiuso in cella, il carcerato, subito il trauma della immatricolazione che comporta la violenza dell’ispezione corporale, diventa Recluso e come tale avverte il peso d’una condizione umana degradata. Un ex recluso del Coeli, Er nasone, dice: "Fin quando la società continuerà ad allecare rejetti la criminalità non morirà mai. Bisogna avere il coraggio di rifare tutto daccapo".

Ravenna: visita del Sindaco; in carcere ci sono miglioramenti

 

Adnkronos, 25 settembre 2009

 

"Rispetto ad un anno fa ho trovato la situazione molto migliorata dal punto di vista del clima interno. Parlo del personale che fa un lavoro difficile e delicato. Nell’ultimo mese i detenuti erano 174. Adesso sono 118. È un fatto positivo. Abbiamo fatto il punto sugli interventi previsti dalla mia ordinanza e alcuni sono già stati attuati". Così il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci parla al termine della visita effettuata oggi al carcere cittadino insieme alla nuova direttrice del penitenziario Carmela De Lorenzo e al provveditore all’amministrazione penitenziaria per l’Emilia Romagna Nello Cesari.

Bollate: cinquecento detenuti coinvolti nelle "olimpiadi estive"

 

Redattore Sociale - Dire, 25 settembre 2009

 

Manifestazione in dirittura d’arrivo. Domani l’attesa finale di calcetto, dopo la cerimonia di chiusura che vedrà coinvolti tutti coloro che hanno preso parte alle gare e la premiazione dei vincitori.

Sono in dirittura d’arrivo le olimpiadi estive che hanno coinvolto i detenuti della seconda casa di reclusione di Milano Bollate nei mesi di luglio e agosto. Oltre 500 i partecipanti, tra di loro i conquistatori della finale di calcetto di domani, che si affronteranno alle 17 nell’incontro più atteso della giornata. La cerimonia di chiusura delle olimpiadi, che vedrà coinvolti tutti coloro che hanno preso parte alle gare, partirà invece qualche ora prima, alle 14.30, con la premiazione dei vincitori delle diverse discipline.

Prima della finale, verranno osservati due minuti di silenzio e nella casa di reclusione sarà contemporaneamente sospesa ogni attività. Obiettivo: "esprimere solidarietà - ha spiegato l’educatrice Catia Bianchi- verso i compagni detenuti in altri istituti carcerari che vivono in condizioni di sovraffollamento e di disagio". Insieme all’attesissima finale, la giornata prevede anche altre due competizioni aperte a tutti: il tiro alla fune e la corsa con i sacchi.

Le eliminatorie delle olimpiadi sono iniziate nel mese di luglio: i detenuti si sono affrontati nelle sfide di calcio, pallavolo, ping pong, calcio balilla, scacchi, briscola francese, scopa, scala 40, corsa con sacchi e tiro alla fune, con incontri tra i vari reparti, sia della sezione maschile sia di quella femminile. Non sono mancati i confronti misti: con team composti da donne che hanno sfidato squadre maschili, come nella finale della partita di pallavolo, che ha visto la squadra femminile sul gradino più alto del podio.

"Le olimpiadi sono state organizzate e gestite dagli ospiti del carcere -aggiunge Catia Bianchi- che hanno formato un vero e proprio comitato olimpico composto dai rappresentanti di ogni reparto". I detenuti si sono poi autotassati: hanno contribuito con due euro all’acquisto dei premi finali della gare, dalle coppe alle medaglie.

Pesaro: un detenuto picchia tre agenti, uno finisce in ospedale

 

Corriere Adriatico, 25 settembre 2009

 

L’altro ieri, in una cella della Casa Circondariale di Villa Fastiggi, tre agenti sono stati aggrediti da un detenuto. Due di loro, pur acciaccati, hanno rinunciato alle visite ospedaliere. Il terzo è invece ricorso alle cure del pronto soccorso del San Salvatore i cui medici gli hanno riscontrato ferite e traumi guaribili in cinque giorni.

L’aggressione ai tre agenti, avvenuta come sempre per futili motivi mentre il detenuto stava rientrando nella propria cella dopo un presumibile momento comune coi compagni di sventura, è avvenuta in contemporanea o quasi alla notizia dell’assegnazione di 10 unità supplementari al carcere di Pesaro che versa in forte stato di emergenza.

"Rimane quello che dicevo l’altro giorno - commenta Aldo Di Giacomo del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria -. Bene per i 10 agenti in più che dimostrano attenzione per la situazione di Villa Fastiggi, ma anche dopo il loro arrivo saremo sotto quanto previsto dalle piante organiche. Il tutto mentre i 316 carcerati di cui parlavo ieri sono arrivati a 324. Numeri impensabili". Numeri a cui si deve aggiungere la carenza di 5.500 agenti su scala nazionale.

Sassari: "Codice a sbarre", progetto per donare libri detenuti

 

Ansa, 25 settembre 2009

 

Per tutto il mese di ottobre sarà possibile donare dei libri ai detenuti del carcere sassarese di San Sebastiano attraverso i librai della città che aderiscono al progetto "Codice a sbarre", ideato dall’associazione "I Presidi del libro". La manifestazione è stata presentata oggi a Sassari nella biblioteca dell’istituto magistrale "Margherita di Castelvi". Chiunque potrà conferire libri destinati agli ospiti del penitenziario sassarese, ha spiegato la responsabile dell’area educativa del carcere di San Sebastiano, Maria Paola Soru, con due indirizzi precisi: testi in lingua straniera e libri dedicati al mondo femminile e ai bambini. Tra i 3.500 volumi presenti nella libreria del carcere, ha spiegato, sono pochissimi quelli non scritti in italiano, difficilmente comprensibili ai tanti stranieri che affollano il carcere sassarese.

È del tutto inesistente inoltre una sezione al femminile della biblioteca, che tratti tematiche di genere, sociali e socio-sanitarie, così come mancano sussidi didattici per i figli delle detenute che trascorrono il loro tempo con la madre. "Il solo mezzo per sentirsi liberi, vivendo in carcere, è leggere - ha spiegato Soru - e la stragrande maggioranza dei detenuti, il cui grado di scolarizzazione è generalmente molto basso, iniziano a farlo proprio in carcere".

Codice a sbarre partirà il 26 settembre in occasione della Festa dei lettori, che conta diversi appuntamenti in tutta l’isola, e contemporaneamente con la manifestazione "Ottobre, piovono libri!", cui i Presidi del libro collaborano con l’Associazione librai sardi indipendenti. I punti di raccolta, l’elenco delle librerie e delle biblioteche che aderiscono all’iniziativa sono reperibili sul sito www.presididellasardegna.org.

Immigrazione: un cronista entrato nell’inferno del Cie di Bari

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 25 settembre 2009

 

La bottiglia di plastica appesa al muro serve per la doccia. L’ugello che spruzza acqua sembra quasi un ricordo. Anche le porte del bagno sono ridotte a briciole. Muffa ovunque, pure negli stanzoni dove i letti sono sbrindellati all’interno dell’ex Cpt al San Paolo. Un tempo erano bullonati. "I bulloni li ingoiamo, è l’unico modo per sperare di essere ricoverati in ospedale e uscire da qui", dice uno dei 192 immigrati. Altri sei e il limite massimo, 198, è raggiunto.

Non è affatto scontato che ingoiare ferro significhi garantirsi almeno una radiografia. Anzi. Abdi dice di aver ingerito anche lamette. Niente raggi x. Solo una dieta a base di patate. Un suo compagno di "cella" racconta di aver mandato giù perfino un accendino. Tutto da verificare, d’accordo. Ma perché dovrebbero essere bugie? Che gusto c’è a spararla così grossa? Il destino è segnato comunque, lo indica la parola stessa: Centro di identificazione e espulsione.

Prima accertano se vieni da uno di quei paesi coi quali c’è un accordo di rimpatrio e poi ti cacciano via. Solo che prima l’accertamento doveva avvenire entro 60 giorni mentre da questa estate, da quando è entrato in vigore il Pacchetto sicurezza del governo Berlusconi, l’identificazione può prolungarsi fino a 180 giorni. Sei mesi. Come un pena in carcere. Risultato: gran numero di depressi, ansiolitici a gogò.

Appena fuori dal Cie c’è il via vai delle camionette dei soldati del battaglione San Marco e dei carabinieri. Dentro, il "mini esercito" di 18 operatori dell’Oer San Paolo, l’associazione che è rimasta a gestire la struttura: ha perso la nuova gara d’appalto, assegnata in un primo momento al consorzio "Connecting people"; ha fatto ricorso e l’ha spuntata.

È il giorno dei "consoli per l’identificazione", al Cie del San Paolo, costruito dai Matarrese a uno sputo dalla Cittadella della Finanza e a un tiro di schioppo dall’aeroporto militare dove l’Aeronautica ha fatto costruire il nuovo Cara, il Centro d’accoglienza per richiedenti asilo.

Quando arrivano i consoli il da fare aumenta. In giro ci sono pure gli avvocati. Quelli noti che fanno incetta di mandati entrano e escono con facilità, altri devono fare un’attesa non da poco. Ma a sentire loro, quasi tutti tunisini, algerini e marocchini il problema dei problemi è che gli avvocati spariscono. "Si vedono un giorno, fanno firmare la carta (del mandato, ndr) ma poi li vediamo raramente".

L’aria è cambiata eccome. Non stupisce allora che sui siti internet e su You Tube rimbalzano notizie e immagini di pestaggi. Di rivolte si sa solo quando la polizia fornisce i nomi degli arrestati o degli agenti feriti, come è successo a metà agosto. Certo è che in due, il 4 settembre, hanno dovuto farsi dare punti di sutura per ferite profonde 6 centimetri. "Sono loro stessi a procurarsi le ferite", è la replica di medici e operatori della struttura. Forse perché vale la pena mettere a rischio persino la vita per tentare di cancellare una espulsione rimediata magari solo per un documento scaduto.

C’era il padiglione delle donne. Smantellato. Sono rimasti i materassi per terra. Su un materasso è accovacciato un maghrebino. È lì da due giorni, raccontano i suoi connazionali, e rifiuta il cibo. Bugia anche questa? Per terra anche molti tappeti. Il carcere ha una cappella e un’area moschea, il Cie no. Sicché le coperte vengono stese per pregare. Ce ne vorrebbero altre per coprirsi: niente.

Un ragazzone con gli occhi spenti dice di avere 17 anni. Confessa di aver detto una bugia al giudice spacciandosi per maggiorenne. Troppo tardi, nessuno più si preoccuperà di verificare l’età. Perché c’è il tempo solo per fare in modo che la folla in gabbia non s’inferocisca. Almeno fino all’aereo del ritorno all’inferno.

Droghe: Toscana; progetto-pilota tossicodipendenti in carcere

 

Notiziario Aduc, 25 settembre 2009

 

"Se ci fosse un’operazione che riguardasse migliaia di tossicodipendenti destinati in altri luoghi e non nel carcere, noi avremmo sgonfiato la bomba del sovraffollamento". Lo ha detto Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del comune di Firenze, che oggi ha annunciato l’idea di un "progetto pilota innovativo a livello nazionale, ancora in fase di progettazione", che prevederebbe di trasferire, in affidamento, 100 detenuti tossicodipendenti dal carcere di Sollicciano a centri specializzati.

Corleone ha spiegato che il progetto, "un affidamento speciale dei tossicodipendenti con meno di sei anni a fine pena", è stato presentato alla Regione Toscana. "Su questo - ha aggiunto -, nei giorni scorsi, c’è stato un confronto anche con la Asl e con le comunità terapeutiche. A livello preliminare c’è una disponibilità della Regione ad immaginare un progetto di questo genere. Ora occorre trovare le risorse, ma mi auguro che si vada avanti: sarebbe un segnale per tutta Italia. L’idea è di non costruire nuove carceri, ma eliminare le ragioni del sovraffollamento". "A livello nazionale - ha detto ancora Corleone - i detenuti tossicodipendenti sono il 33% del totale; a Sollicciano il 38%, di cui 235 donne. È doveroso trovare i fondi economici e coinvolgere la magistratura nell’avviare, su tutto il territorio nazionale, esperimenti di trasferimento come quello che stiamo progettando a Firenze".

Giappone: la storia di Sakae, 34 anni nel braccio della morte

 

Indpendent, ripreso da "Nessuno tocchi Caino", 25 settembre 2009

 

Quando il corpo non cede sotto il peso dei suoi 83 anni, e il sole splende sul suo luogo di nascita, Kyushu, in Giappone, Sakae Menda a volte si dimentica delle pene sofferte ed è consapevole di essere fortunato ad averla scampata. Ma per la maggior parte del tempo non può dimenticare che lo Stato giapponese gli ha rubato 34 anni di vita per un reato che non aveva commesso, né può scordarsi di quando pensava che ogni giorno dei 12.410 giorni trascorsi nel braccio della morte poteva essere l’ultimo. Perché, dice, "essere in attesa di morire è una forma di tortura, peggiore della morte stessa."

Menda è il primo uomo liberato dal braccio della morte giapponese, un posto che in un recente rapporto si è meritato le critiche fulminanti di Amnesty International. I detenuti sono portati alla follia nell’attesa dell’esecuzione, sostiene Amnesty International, e almeno 5 dei 102 condannati a morte giapponesi sono malati di mente. Molti dei detenuti più anziani sono sull’orlo della senilità, ma i dati precisi della situazione non sono resi noti.

"La politica del governo è di non permettere visite ai detenuti nel braccio della morte e le nostre richieste d’accesso sono regolarmente respinte," dice Amnesty, che definisce il sistema "vergognoso".

Gli oppositori della pena di morte rilevano che il Giappone sta opponendo resistenza al trend mondiale abolizionista. Sebbene spedisca in carcere esattamente un terzo di persone in meno del Regno Unito, il sorprendente tasso di condanne del paese, pari al 99%, dimostra che i condannati includono certamente persone innocenti come Sakae Menda. "C’è poco da dubitare sul fatto che vi siano altri Menda nelle nostre prigioni," ha detto Yoshikuni Noguchi, un’ex guardia carceraria divenuta avvocatessa e attivista contro la pena di morte.

I detenuti sono privati di ogni contatto col mondo esterno, tenuti in isolamento e costretti ad attendere in media oltre sette anni, a volte decenni, in celle dalle dimensioni di un gabinetto mentre il sistema legale li stritola. Quando arriva il decreto di esecuzione, i condannati hanno, letteralmente, minuti per sistemare le loro cose prima di infilare la testa nel cappio. Siccome l’ordine può arrivare in qualunque momento, i detenuti vivono ogni giorno pensando che potrebbe essere l’ultimo, ricorda Menda, che fu incastrato dalla polizia per un caso di duplice omicidio.

La mattina presto del 30 dicembre 1948, un assassino fece irruzione nella casa di un sacerdote e di sua moglie, vicino l’abitazione di Menda, e li uccise a coltellate e a colpi d’ascia. L’assassino avrebbe potuto essere chiunque, ma Menda - un manovale povero e privo d’istruzione - si trovò nel posto sbagliato al momento sbagliato, e fu arrestato in un caso a parte relativo a un furto di riso. La polizia lo trattenne per tre settimane senza che vedesse un avvocato finché non riuscirono a estorcergli una confessione. Condannato nel 1951, non avrebbe più messo piede fuori dal carcere di Fukuoka fino al 1983, quando fu riconosciuto innocente.

Una vita ridotta in una cella di isolamento di 5 metri quadri, senza riscaldamento, illuminata giorno e notte e costantemente monitorata. Menda racconta quando per la prima volta ha sentito dalla sua cella uno dei detenuti che veniva portato al patibolo. È stato un evento che lo ha fatto uscire fuori di testa e lo ha portato a urlare così tanto da fargli meritare un chobatsu (una punizione): in quel caso, si trattò di due mesi con le mani legate così che era ridotto a mangiare come un animale.

Ma ogni mattina, dopo la colazione, quando sarebbe arrivato lo squadrone dell’esecuzione, ritornava il terrore che quello potesse essere il suo ultimo giorno. "Le guardie si sarebbero fermate davanti alla tua cella, il tuo cuore sarebbe impazzito, poi loro avrebbero proseguito e tu avresti potuto riprendere a respirare," ricorda vivamente Menda che avrebbe visto dozzine di altri detenuti trascinati via.

"Mentre venivano portati alla forca, gli uomini urlavano: ‘Me ne andrò per primo e ti aspetterò’," ricorda Menda. La moglie Tamae definisce un ‘miracolò il fatto che suo marito sia rimasto sano di mente. "È un tipo molto irascibile e ostinato e credo sia sopravvissuto grazie al fatto che non aveva un’istruzione e non poteva capire il senso di quello che gli stava capitando."

La settimana scorsa, la direttrice di Amnesty International nel Regno Unito, Kate Allen, ha definito il sistema un "regime di silenzio, isolamento e vera e propria non-esistenza", e la scelta di notificare l’esecuzione lo stesso giorno in cui avviene "assolutamente crudele". I boia restano indifferenti di fronte all’età, la senilità o a eventuali handicap: tra i condannati c’è un uomo di 83 anni, Masaru Okunishi, che da oltre quarant’anni protesta la sua innocenza circa l’avvelenamento di cinque donne. Secondo Amnesty sono 32 le persone impiccate in Giappone dal gennaio 2006.

I sondaggi mostrano uno scarso sostegno all’abolizione. Secondo un’indagine del 2005 oltre l’80% degli intervistati si dichiara "a favore" delle esecuzioni (nei "casi inevitabili"), un aumento di oltre il 23% dalla metà degli anni ‘70. Gli abolizionisti sperano che il nuovo governo Democratico di Yukio Hatoyama discuterà l’eliminazione della pena di morte.

Ma Menda è pessimista. "Quando sono stato rilasciato, la gente ha iniziato a interessarsi alla causa (dell’abolizione) ma poi ha perso interesse. La democrazia giapponese ha solo 60 anni. Il concetto di diritti umani non è radicato nella nostra storia," dice Menda. L’avvocatessa Noguchi, che ha lasciato il servizio penitenziario per la pratica legale nel 1980, ritiene che la riforma è attesa da troppo tempo. "Il sistema è persino peggiorato rispetto a 30 anni fa. Le regole sui contatti con il mondo esterno, inclusa la corrispondenza e gli incontri con i familiari, sono diventate più rigide. Prima ai condannati l’esecuzione veniva notificata 24 ore prima, ora lo sanno solo con poche ore d’anticipo."

Più di vent’anni di libertà non hanno affievolito l’avversione di Menda nei confronti della polizia e della magistratura. Lui sostiene che il sistema che ha distrutto la sua vita non è cambiato: la polizia può ancora trattenere un sospetto per 23 giorni senza alcun controllo giudiziario; le confessioni hanno ancora un peso enorme, con oltre il 99% delle accuse che si risolvono in una vittoria della procura nei processi, mentre i condannati continuano a essere tenuti in isolamento potenzialmente all’infinito.

"Il potere qui ha il sopravvento," dice Menda. "Sono andato a trovare la polizia quando sono stato rilasciato e ho chiesto loro come si sentissero dopo quello che mi avevano fatto. Hanno risposto che stavano facendo solo il loro lavoro".

 

 

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